Documento
finale della Direzione Nazionale del Prc del 20 marzo 2003 sulla crisi
irachena
La
direzione nazionale del Prc, riunitasi in seduta straordinaria in data
20 marzo 2003, esprime la più ferma condanna per l'attacco unilaterale
sferrato contro l'Iraq dalla coalizione "dei volenterosi" guidata
dagli Stati Uniti.
L'avvio dei devastanti bombardamenti su quel paese sta già causando
un vero e proprio massacro tra le popolazioni civili ed è un crimine
contro l'umanità.
Gli Usa, con l'attuale amministrazione guidata da Bush, hanno dato corso
alla drammatica escalation di violenza contenuta nella dottrina della
guerra preventiva. Gli Stati Uniti si sono resi responsabili dinanzi al
mondo di una criminale azione, che potrà approdare ad un vero e
proprio "stato di barbarie", una regressione di civiltà
inaudita.
Il perseguimento ossessivo dell'attacco all'Iraq rivela con chiarezza
quante e quali menzogne siano state dette per sostenere la necessità
della guerra. Questa guerra non è contro il terrorismo, come non
lo è stata quella in Afghanistan, ma è piuttosto una guerra
che alimenterà il terrorismo spargendo il terrore in tutto il pianeta.
Questa guerra non è per "riportare la democrazia" in
Iraq. In quel paese vige da decenni la sanguinaria dittatura di Saddam,
che nel corso degli anni è stato sostenuto ed armato in primo luogo
dagli Usa, soprattutto quando il regime iracheno ha sterminato innumerevoli
oppositori comunisti e kurdi. In più gli Usa, con l'avallo della
comunità internazionale, hanno attuato un embargo criminale che
ha mietuto più di un milione di vittime innocenti. Nessuna guerra
può esportare la democrazia, non è stato così nei
Balcani, non sarà così per l'Iraq. Questa guerra non serve
per disarmare Saddam e per impedirgli di utilizzare armi di distruzione
di massa. Gli Usa hanno deliberatamente ostacolato prima ed impedito oggi
che si attuasse un piano di disarmo sotto il controllo degli ispettori
Onu, pur osservando concreti risultati nella distruzione di alcune decine
di missili e pur avendo, gli stessi ispettori, ribadito che l'Iraq non
fosse una minaccia incombente per la sicurezza del mondo.
La guerra preventiva è scatenata per garantire gli interessi degli
Usa e per ribadire la superiorità politica e militare dell'unica
superpotenza rimasta sul pianeta, come più volte ha ribadito l'amministrazione
Bush. E' una guerra per il petrolio, sia per controllare direttamente
le risorse di uno dei maggiori produttori mondiali, sia per determinare
gli orientamenti globali del mercato di questa risorsa strategica. Inoltre
la lucida determinazione di Bush risponde agli interessi potentissimi
delle lobbies petrolifera e delle armi, alle quali i maggiori rappresentanti
del governo americano e Bush stesso appartengono. E' una guerra che ha
lo scopo di fare dell'Iraq una piattaforma geopolitica nell'area mediorientale,
con il preciso intento di controllare direttamente quella parte del mondo,
già piena di basi militari statunitensi e "presidiata"
dall'alleato Israele.
In realtà questo attacco è inscritto in una strategia imperiale
che ridefinirà la mappa dei poteri in tutto il mondo ed essa è
il prodotto più evidente della crisi del sistema della globalizzazione
neoliberista. La globalizzazione neoliberista, di fronte alla crisi, non
può essere più governata per consenso, come è avvenuto
nella sua fase crescente, ma necessita della guerra globale permanente.
La guerra globale permanente, che può scatenarsi in qualsiasi parte
del mondo e che permane in forme diverse su tutto il pianeta, agisce come
un colpo di stato permanente, una sovversione delle élites dominanti
contro la maggioranza dell'umanità. Non è un caso che essa
sia del tutto priva di consenso, a partire dalle popolazioni dei paesi
che partecipano all'azione bellica, e che abbia distrutto ogni residuo
di legalità internazionale. Prima che fosse sganciata la prima
bomba ci sono stati già degli effetti devastanti. L'Onu non solo
non ha potuto impedire che l'attacco si sferrasse, ma è stata negata
nella sua essenza costitutiva: il suo Statuto, nato dalla tragedia della
II guerra mondiale, non contempla in nessun caso un attacco preventivo.
Si ripete una azione militare devastante, senza nessun avallo delle Nazioni
Unite, come già accadde per la guerra in Yugoslavia. Qualsiasi
cosa accada, da oggi al termine della belligeranza, è in discussione
una rifondazione del modello di convivenza internazionale, basato sulla
carta fondamentale delle Nazioni Unite. Per paradosso l'attestato di esistenza
di un organismo come il Consiglio di Sicurezza si è avuto proprio
alla vigilia della sua totale esautorazione: le divisioni in seno al Consiglio,
prodotte dalla Francia, dalla Russia e dalla Cina, hanno contribuito in
maniera determinante a svelare la volontà di dominio insita nel
conflitto, ma non sono bastate a fermare la guerra. I paesi che si sono
formalmente opposti, a partire dalla Francia e dalla Germania, hanno reagito
all'unilateralità dell'attacco perché consci della devastazione
di lungo periodo che risiede nella guerra americana. Non è un caso
che si siano opposti anche alleati storici degli Usa, come il Messico
ed il Canada, che per altro sono inclusi nel trattato di libero scambio
del Nafta. Già prima dell'attacco, in particolare nel vertice delle
Azzorre con Bush, Blair ed Aznar, si sono gettate le basi per ridefinire
i rapporti euroatlantici e per modificare l'assetto stesso della Nato.
In questo contesto la Nato assume ancora una maggiore pericolosità
nel panorama mondiale e non è stata casuale la scelta di accelerare
i tempi della sua espansione verso Est, dove non a caso risiedono molti
dei paesi che gli Usa annoverano tra i nuovi e più fedeli alleati.
Uno degli effetti più devastanti della guerra sarà costituito
dal peggioramento della crisi palestinese e kurda. Gli uni e gli altri
saranno oggetto di una repressione sistematica e sanguinosa, che ha come
intento dichiarato quello di annullare fisicamente l'esistenza dei due
popoli, intesi come entità politiche portatrici di diritti e di
bisogni. Israele, applicando alla perfezione la dottrina Bush contro il
terrorismo, continuerà nell'opera di assassinio sistematico di
civili palestinesi e non solo, vista l'atroce morte della pacifista americana
Rachel Corrie, e la totale delegittimazione dell'Autorità nazionale
Palestinese. La Turchia, in cambio dell'appoggio alla guerra, proverà
a "risolvere" a suo favore definitivamente la questione kurda,
andando ad un offensiva su larga scala anche nel Kurdistan iracheno.
Verranno utilizzate nell'attacco armi di distruzione di massa, che gli
Usa posseggono in quantità incomparabile rispetto a qualsiasi altro
paese. Sofisticati e distruttivi sistemi di morte verranno impiegati in
Iraq: bombe convenzionali, chimiche, batteriologiche e forse addirittura
atomiche. E' già in corso una ripresa del riarmo di tutti i paesi,
i cui effetti saranno militari ma anche sociali, essendo deviate su questo
capitolo consistenti risorse destinate all'affermazione dei diritti sociali.
Uno degli effetti che la guerra produrrà sarà la nascita
di quello che viene definito il "fronte interno". Già
con le misure "antiterrorismo" si sono ridotti gli spazi di
agibilità politica ed a farne le spese sono stati immediatamente
gli immigrati, in particolare musulmani, e i movimenti sociali più
radicali. La guerra riduce gli spazi di democrazia, anzi si oppone alla
democrazia. Inoltre genererà una maggiore insicurezza ed aumenterà
i rischi di attentati terroristici in tutto l'Occidente.
L'Italia è stata "arruolata" da Bush ed il governo Berlusconi
sta garantendo un pieno appoggio politico. Ieri il Parlamento ha votato
a maggioranza una mozione che schiera l'Italia, al di là delle
assolute ipocrisie contenute nelle dichiarazioni di Berlusconi, decisamente
a favore guerra. L'utilizzo delle basi per sostenere la campagna bellica
è incompatibile con l'ordinamento costituzionale e rappresenta
una palese violazione dell'articolo 11 della Costituzione. Comunque la
compagine di maggioranza appare confusa e imprigionata in una fedeltà
ottusa all'alleanza con gli Stati Uniti, ma sempre più delegittimata
nella società. La mancanza dell'avallo Onu peggiora la crisi istituzionale
nel nostro paese e, nei fatti, rende incostituzionali le scelte della
maggioranza parlamentare e del governo. Il Presidente della Repubblica,
garante della Costituzione, assiste a questo scempio, senza operare nessuna
scelta che sancisca il rispetto della nostra carta fondamentale, anzi
il suo ruolo nel demolirla è attivo. L'Italia ha autorizzato il
sorvolo aereo, l'utilizzo delle basi militari e delle infrastrutture civili.
L'Italia di Berlusconi è a favore della guerra.
A questa guerra si sta opponendo una pluralità di forze che concorrono
a rendere isolata, come mai prima d'ora, la posizione della coalizione
guidata dagli Usa. Si sono opposti alla guerra la maggioranza dei paesi
del mondo: solo trenta sono con gli Usa, tra cui l'Italia. Alla guerra
si sono opposte voci autorevoli di intellettuali, politici, religiosi,
fino al grido di dolore lanciato dal Papa che ha fatto appello ai credenti
di tutte le religioni per impedire questo "crimine contro Dio e il
mondo". La stessa opposizione di centrosinistra, così come
è avvenuto per molti paesi europei, ha espresso un voto contro
la guerra in Parlamento, con la significativa adesione alla nostra proposta
di sollevare il problema della concessione delle basi.
In questi mesi è cresciuto impetuosamente un movimento per la pace,
che costituisce davvero un evento epocale. Questo movimento si è
intrecciato al movimento contro la globalizzazione neoliberista ed è
per questo motivo che ha saputo denunciare le ragioni di fondo della guerra,
le sue complicità con gli interessi delle multinazionali e la natura
antidemocratica della stessa.
Le risorse del movimento sono state straordinarie: dalle mobilitazioni
di centinaia di milioni di uomini e di donne, agli atti di disobbedienza
individuale e collettiva, alla sanzione dal basso dell'arroganza del potere,
fino alla testimonianza del rifiuto della guerra mediante l'esposizione
delle bandiere della pace. Si è costituita una opinione pubblica
mondiale maggioritaria e consapevole dell'urgenza di opporsi alla guerra
senza se e senza ma.
Il nostro partito è impegnato a fondo nel movimento contro la guerra
e considera ciò l'impegno prioritario per tutti i suoi iscritti.
Fin da subito saremo impegnati in azioni che favoriscano la crescita della
mobilitazione per fermare la guerra.
Esprimiamo la più totale solidarietà al popolo palestinese
ed a quello kurdo, che avrebbero diritto alla pace, alla terra ed alla
libertà e che invece sono tra le principali vittime del conflitto.
Chiediamo alla comunità internazionale di sostenere il diritto
di questi popoli ed in particolare all'Unione Europea di interrompere
il trattato di associazione con Israele e di rifiutare l'allargamento
alla Turchia, vista la totale inosservanza delle più elementari
norme di rispetto dei diritti umani.
La direzione nazionale dà indicazione a tutte le strutture territoriali
di mettere a disposizione ogni cosa necessaria allo scopo di opporsi alla
guerra (disponibilità delle sedi, produzione di materiali informativi,
attivazione dei militanti, ecc.). Dà inoltre indicazione di intensificare
le mobilitazioni unitarie a partire da quelle proclamate dalle organizzazioni
sindacali nei primissimi giorni dell'attacco. Lo sciopero generale rappresenta
una straordinaria manifestazione di rifiuto della guerra. Dobbiamo contribuire
a realizzare uno sciopero generale europeo e a generalizzare lo stesso
in tutte le parti del paese: disobbediremo alla guerra. Ricorreremo alla
disobbedienza non violenta per impedire l'utilizzo delle infrastrutture
civili, come è accaduto nella campagna del Trainstopping, per manifestare
davanti alle sedi diplomatiche degli Usa e dei loro alleati e davanti
alle basi militari americane e Nato, come è avvenuto a Camp Darby
e come accadrà nelle prossime ore a Bagnoli, Taranto, Aviano e
Sigonella. Le nostre mobilitazioni dovranno essere segnate dalla costante
ricerca dell'unità politica del movimento e dalla condivisione
delle forme di lotta. Le nostre azioni, anche quelle meno consuete (digiuni,
boicottaggi, ecc.) dovranno avere un carattere chiaro e condiviso, evitando
le azioni indiscriminate e minoritarie. Siamo dinanzi ad una mobilitazione
di lungo periodo, indipendentemente da quanto durerà la belligeranza,
e quindi dovremo essere in grado di articolare la nostra attività
e di costruire elementi permanenti di opposizione alla guerra. Cercheranno
di reprimere, dividere, screditare il movimento, ma la nostra risposta
dovrà essere in grado di farlo crescere unito e ancora più
combattivo. Viviamo ore d'angoscia, ma non siamo disperati. Vive e vivrà
la speranza che abbiamo contribuito a costruire. Non siamo riusciti ad
impedire la guerra, possiamo tuttavia fermarla. L'opposizione alla guerra
crescerà. La guerra è cominciata ma noi non saremo complici
di questo massacro. Non in nostro nome. |