Sintesi
della relazione di Fausto Bertinotti alla Direzione nazionale di Rifondazione
comunista 14 marzo 2003
Un mondo instabile e terremotato
Il tema della guerra e dell'opposizione alla guerra sarà caratterizzante
di un'intera fase politica e ciò a prescindere dal quando e dal
come della guerra e dalla durata materiale del conflitto. Questo tema
è già oggi una discriminante fondamentale ed è per
noi decisivo il come si affronta la questione della qualificazione dell'opposizione
alla guerra. Questo tema già ha determinato un vero terremoto fino
nelle relazioni politiche e tra gli stati. E' il contrario stesso della
stabilità e dello "statu quo". Possiamo dire, che è
veramente finito il dopoguerra, una intera lunga fase della vita politica
mondiale. Avevamo già visto, nelle precedenti crisi internazionali,
i contorni di questa nuova fase, oggi, ormai, si cambia completamente
pagina. Grande diviene l'incertezza in ciò che sembrava più
stabile, ovvero le relazioni internazionali. Questa guerra, inoltre, si
intreccia con una strisciante crisi economica ed è, altresì,
opinione diffusa, nei medesimi economisti di ispirazione liberale, che
la guerra sarà del tutto inefficace anche come risposta a quella
crisi. Siamo, quindi, dentro un quadro di crisi per molti versi irreversibile.
Ha prevalso, in chi dirige l'impero nordamericano e nei suoi più
stretti alleati, una tendenza estremistica. Questo non è un elemento
di superfetazione bensì un elemento strutturale su cui fonda il
proprio progetto l'amministrazione Bush, il suo brodo di cultura pesca
nel fondo delle culture fondamentaliste che mai così compiutamente
acquistano il ruolo guida delle funzioni di indirizzo della politica di
governo. Questo estremismo trova un'assonanza con i suoi più stretti
e fedeli alleati. Fatte le debite proporzioni, non si può non vedere
una somiglianza con il governo Berlusconi. Nel terremoto determinato dalle
contraddizioni del mondo e dalla crisi economica non serve una risposta
di mediazione che tenga una situazione di stallo ma va tentato l'affondo
della risposta estrema. In questo senso, si può fare a meno del
consenso. La crisi che provoca l'insieme di questi fattori destabilizzanti
è clamorosa. Basti vedere il caso emblematico del new labour di
Tony Blair.
Il
movimento per la pace
Mai un movimento per la pace è stato così forte e così
egemone nell'interpretare i sentimenti di fondo della società.
Si è data voce così allo spalancarsi di una crisi senza
precedenti del rapporto tra governo e paese, in forme estreme si pone,
quindi, il tema di una vera e propria crisi istituzionale. La nostra bussola,
in questo sommovimento profondo, è quella di stare dentro i nuovi
percorsi del movimento e di lavorare compiutamente alla maturazione del
rapporto tra crescita del movimento e costruzione di un nuovo modello
di società. E' nel vivo di questo processo che abbiamo di fronte
tre compiti principali:
- far avanzare anche il progetto politico della costruzione della sinistra
di alternativa, naturalmente non come proposizione di nuovi organigrammi
ma come crescita di relazioni e di percorsi che si intrecciano (e non
possiamo non vedere come, questo processo oggi possa essere favorito dallo
sviluppo del movimento).
- rinnovare e rimodellare l'opposizione al governo berlusconi attraverso
una nuova qualificazione del carattere dell'opposizione medesima. Basti
vedere, per fare un esempio, il deficit enorme tra la radicalità
e l'imponenza della manifestazione per la pace del 15 febbraio e la debolezza
e l'intrensica contraddittorietà della traduzione politica fatta
dal centro sinistra nella mozione presentata in parlamento. E non è
un caso che l'indubbio successo, anche di accumulo di consensi, della
nostra mozione sia stata l'essere la traduzione coerente della posizione
espressa dal movimento medesimo.
- Pensare di mettere all'ordine del giorno la possibilità di una
crisi del governo berlusconi prima della fine naturale della legislatura.
Ciò non nel senso di un processo ineluttabile, al contrario di
uno scenario che può concretamente aprirsi in una situazione, come
detto, così terremotata dalla guerra e dalla crisi sociale che,
veramente, si rende aperta a più esiti.
Il
rapporto con l'Ulivo
In questo ambito, dobbiamo inserire il tema del nostro rapporto con il
centro sinistra. Come è noto, alcuni giorni fa, abbiamo avuto,
su richiesta dell'Ulivo, un incontro. C'è evidentemente, nella
dirigenza del centro sinistra, una propensione continuista, una sorta
di coazione a ripetere: l'idea illusoria di sottrarsi alla crisi dell'impianto
fondamentale del centro sinistra semplicemente riproponendo il tema dell'allargamento
delle alleanze. Ma sarebbe sbagliato, anche qui, che non vedessimo anche
le novità che si presentano, almeno su due punti. La prima è
l'influenza della crescita del movimento (ciò nel senso che l'ulivo
non riesce più ad essere impermeabile e il rapporto con il movimento
ne condiziona evidentemente le posizioni); la seconda è l'articolazione
interna delle posizioni dentro il centro sinistra. Non c'è nodo
di fondo della vita politica e sociale che non determini immediatamente
un'articolazione (spesso una divaricazione) di linguaggi dentro le varie
componenti del centro sinistra. La guerra unilaterale probabilmente "grazierà"
il centro sinistra ma, sul rapporto guerra - ONU, sulle politiche sociali,
sul referendum, le contraddizioni sono grandi e alla luce del sole. Nel
nostro incontro con il centro sinistra abbiamo bandito la discussione
sul 2006 e le elezioni politiche. Dobbiamo derubricarla anche nella nostra
testa. Sarebbe, infatti, una discussione del tutto priva di significato,
puro politicismo. Al contrario, la nostra proposta è innanzitutto
di igiene politica: il tema di oggi è aprire un confronto sulla
qualificazione dell'opposizione. E, dentro questo quadro, possono utilmente
svolgersi confronti tematici e programmatici.
Art.
18 e sindacato
E' evidente, che il nostro punto di applicazione prioritaria resta il
movimento. La crescita e la capacità di incidenza sul tema della
guerra sono eccezionali. Dobbiamo, però, vedere attentamente anche
il tema del conflitto sociale. La manifestazione del 15 marzo a Milano
della Cgil su pace e diritti è molto importante. Noi ci saremo
con una partecipazione convinta e una posizione articolata, nel senso
che pone almeno altre due questioni ancora irrisolte. Una riguarda una
conseguente decisione del maggiore sindacato italiano a favore del referendum
per l'estensione dell'articolo 18, l'altra pone il tema dell'impegno concreto
per l'esito delle più importanti vertenze contrattuali. Il rischio
di una nuovo esito negativo del contratto dei lavoratori metalmeccanici
può portare a conseguenze generali disastrose, ovvero la messa
in discussione del contratto nazionale unitario di lavoro (d'altra parte,
i disegni di legge del governo vanno nella medesima direzione). C'è,
quindi, il rischio reale che, sul terreno sociale, alla scesa in campo
di un movimento straordinario, corrisponda una assenza di sbocchi concreti.
Si ripropone in maniera acuta, quindi, il tema del rapporto tra movimento
ed efficacia. E' proprio per questo motivo, che dobbiamo agire di più
politicamente sul referendum. Dobbiamo di più insistere sul referendum
come occasione concreta di sbocco al movimento, come possibilità
concreta di svolta nel rapporto movimento/risultati.
La
disobbedienza
Contro la guerra il movimento si dimostra veramente l'elemento decisivo.
Dobbiamo sottolineare appieno non solo la crescita quantitativa, bensì
quella qualitativa del movimento. Due soli esempi. Il primo simbolico
delle bandiere per la pace, un vero, grande fenomeno di massa, l'altro
al contempo simbolico e concreto: la pratica della disobbedienza. La disobbedienza
rappresenta davvero una importante novità, è la filiazione
più conseguente e creativa del nuovo movimento per la pace. Vale
per l'oggi, varrà ancora di più per il futuro, anche quello
prossimo. Gli Usa, possiamo ritenere, faranno la guerra senza l'avallo
dell'Onu, probabilmente eludendo il voto del Consiglio di Sicurezza. Si
apre, nel contempo, una crisi nei rapporti internazionali e una crisi
istituzionale. Si apre, anche formalmente, sulla base della versione moderata
del rapporto di legittimazione della guerra fornita esclusivamente dall'Onu
(versione che è stata assunta dai più alti vertici istituzionali,
a partire dalla Presidenza della Repubblica) un problema reale di legittimità
di qualsiasi forma di sostegno o di appoggio, diretto o indiretto alla
guerra. E' assolutamente giusto, a questo punto, chiedere alle più
alte cariche delle nostre Istituzioni, sulla base delle interpretazioni
da loro date (per noi, lo ripetiamo, non adeguate), di legittimazione
di una guerra solo in ambito di un mandato Onu, di essere conseguenti
e di impedire qualsiasi coinvolgimento di persone, e mezzi nonché
di qualsiasi appoggio logistico o uso del territorio funzionale alla guerra.
E' giusto portare la disobbedienza all'illegittimità della guerra
nei luoghi delle istituzioni, della politica, oltre che di movimento e
dobbiamo agire concretamente, nelle ulteriori fasi di destabilizzazione
che la guerra ulteriormente prepara, a partire dallo sciopero generale
europeo. La disobbedienza diviene una nuova ispirazione dell'agire politico
che, per esprimere compiutamente le sue potenzialità, va posta,
in modo netto e inderogabile, dentro la teoria e la pratica della nonviolenza,
altrimenti implode. Su questo punto, dobbiamo condurre una radicale battaglia
politica e culturale.
Si
può vincere
Dobbiamo valorizzare il referendum, anche come rinascita della democrazia
contro il suo restringimento provocato dal prevalere della logica maggioritaria.
Dobbiamo avere piena consapevolezza della concreta possibilità
di vittoria. Anche grazie al carattere aperto della promozione e gestione
del referendum nuove forze si dislocano a favore della vittoria del si.
Questo è l'orientamento che si annuncia prevalere nella medesima
sinistra dei Ds (il correntone). Una pressione positiva ed unitaria, e
al tempo stesso ferma, va esercitata nei confronti della Cgil. Un pronunciamento
per il SI è realmente possibile e il pronunciamento di importanti
camere del Lavoro e di intere categorie incoraggia in tale prospettiva.
Dobbiamo fare del referendum una battaglia trainante per una nuova fase
politica, come elemento di svolta e cogliere i nessi, per esempio, con
le drammatiche condizioni di precarietà del Sud, così come
occorre connettere i movimenti reali, anche su temi specifici, con i processi
innescati con la vittoria del SI. Un'intera stagione politica e sociale
può cambiare e il referendum rappresenta quell''elemento di svolta.
Dobbiamo assumere la consapevolezza che possiamo nuovamente incidere realmente.
Anche la questione Rai, in una certa misura, è significativa di
questa nuova situazione. Abbiamo avuto la capacità di cogliere
un elemento di movimento e di connetterlo alla situazione reale (il decadimento
del servizio pubblico dovuto allo smantellamento degli apparati e ai processi
di privatizzazione, dei quali neanche il centro sinistra è stato
senza responsabilità). Anche la caduta della proposta iniziale
dei Presidenti delle camere, dovuta fondamentalmente all'ostilità
delle forze di governo, dimostra la contraddizione che è stata
posta, cogliendo quell'elemento di movimento. Ciò dimostra come,
anche la manovra politica, se connessa alle questioni reali e in rapporto
al movimento, cessa di essere configurata come "opera del maligno"
(ovvero dentro la sfera separata della politica politicante) per divenire
uno strumento che può accompagnare la crescita del movimento, consentendo
delle utili incursioni che aprono nuovi spazi. Un problema più
generale ci viene posto dalle grandi novità che si introducono
nella vita politica e sociale, quello di accompagnare la crescita del
movimento e dello sviluppo delle forme di lotta con una nuova elaborazione
per costruire, così, una nuova cultura politica. Su questo tema,
pure così arduo, occorre misurarsi.
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