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CPN 22 - 23 ottobre 2025

Fermare il sistema della guerra e sviluppare il movimento contro il genocidio. Rilanciare l'alternativa sociale e politica. Proseguire nella via indicata da Toscana Rossa

Documento respinto al CPN del 22 e 23 ottobre 2025

Il CPN valuta positivamente il cessate il fuoco a Gaza nel mentre denuncia l'evidente volontà del governo israeliano di boicottare la tregua e di proseguire con il genocidio e la pulizia etnica del popolo palestinese. Ritiene pertanto necessario il massimo sforzo del Partito nella prosecuzione della mobilitazione di massa contro le politiche del governo sionista d'Israele. È infatti evidente che l'accordo di cessate il fuoco - che non può in alcun modo essere scambiato con la soluzione dei problemi dell'area e del popolo palestinese in particolare - è stato imposto agli Stati Uniti e ai loro alleati occidentali sia dalla eroica resistenza del popolo palestinese che dalla mobilitazione popolare internazionale. La paura di perdere consenso tra le opinioni pubbliche è stata la molla che ha spinto alla tregua, ben sapendo che questo non risolve la questione della liberazione della Palestina e di totale ingiustizia che caratterizza la situazione nell'area.

In questo contesto è importante dare continuità al movimento di massa contro il genocidio. Un movimento, animato dalla presenza di giovani, giovanissime e giovanissimi, che, partendo da una rivolta morale, ha saputo coinvolgere persone di ogni età, spezzando il senso di impotenza che negli ultimi anni ha costituito il principale ostacolo alla costruzione della mobilitazione sociale nel nostro paese.

La radicalità morale della difesa della vita contro la logica di morte del governo sionista d'Israele e dei governi occidentali suoi complici si è espressa direttamente, al di fuori della politica organizzata attorno al sistema bipolare dell'alternanza, senza deleghe ad alcuno per la definizione dei contenuti o delle forme di lotta, assumendo da questa posizione lo scontro diretto con il governo Meloni: la presa di parola collettiva di una soggettività sociale, radicale nei contenuti quanto non violenta nelle pratiche, l'equipaggio di terra di una flottiglia carica di umanità solidale e coraggiosa.

Una radicalità che ha trovato la sua prima espressione nelle parole d'ordine "blocchiamo tutto", con cui i sindacati di base hanno convocato lo sciopero del 22 settembre scorso, innescando sul terreno politico e sindacale una risposta coerente con l'imperativo morale che ha portato milioni di persone in piazza su un piano del tutto asimmetrico rispetto al politicismo del bipolarismo.

Sviluppare la potenza democratica del movimento

La sedimentazione del movimento in un reticolo di comitati locali, territoriali, di scuola, di luogo di lavoro e la sua strutturazione democratica e partecipata sono la principale garanzia per il suo sviluppo, per la fine del genocidio e per sconfiggere l'involuzione antidemocratica che caratterizza tutto l'Occidente e che si nutre proprio della distruzione della partecipazione popolare.

Lo stesso attentato al giornalista Sigfrido Ranucci – a cui va tutta la nostra solidarietà – parla di questa crisi del tessuto democratico, in cui i giornalisti che svolgono con coscienza e competenza il loro lavoro vengono fatti oggetto di minacce e rischiano la vita.

La rivitalizzazione del tessuto democratico del paese è una vera priorità politica, che non può essere delegata a chi, con la pratica delle politiche liberiste, ne ha minato le basi materiali e formali, producendo disillusione e astensionismo crescenti.

La ricostruzione della democrazia - perché di questo si tratta - deve passare per la ripresa di un protagonismo popolare che ricostruisca quel bilanciamento dei poteri che – solo – può determinarne lo sviluppo: la democrazia o è progressiva o non è.

La difesa della vita e della dignità della vita di tutte e tutti, contro la logica di morte del governo di Netanyahu e dei i suoi complici, coglie la contraddizione fondamentale del capitalismo occidentale: un capitalismo barbarico che ha individuato nella guerra il proprio tratto distintivo e che si pone in contrasto con l'umanità in quanto tale. La messa al centro della dignità di tutti gli esseri viventi, dell'umanità nella sua ricchezza, è quindi oggi il punto fondamentale da cui operare una critica rivoluzionaria al capitalismo in crisi e su cui costruire una alterità morale e antropologica rispetto alle classi dominanti occidentali.

In questo quadro, la coniugazione del no al genocidio, alla guerra e all'aumento delle spese militari, con il no al taglio della spesa e dei diritti sociali costituisce il terreno di un possibile sviluppo positivo e convergenza del movimento stesso: un percorso non scontato, nel quale praticare il nostro ruolo e la nostra internità.

I)l Partito deve darsi il compito principale di contribuire alla crescita e alla convergenza di questo movimento popolare, quantitativamente e qualitativamente.

In questa prospettiva, è impensabile che il PRC possa interloquire positivamente con le istanze che esso rappresenta - che si pongono fuori dall'asfissia del sistema bipolare - proseguendo sulla strada delle alleanze elettorali nel campo largo e con chi sostiene quelle politiche antipopolari.

Le elezioni regionali: un'occasione mancata.

In questo quadro si inserisce il passaggio delle elezioni regionali, che – come dimostrano i positivi risultati della Toscana e della Valle d'Aosta – poteva e doveva essere utilizzato per rilanciare il progetto dell'alternativa e che invece ci consegna una pagina vergognosa nella storia della Rifondazione Comunista.

• In Valle d'Aosta abbiamo costruito una lista con il Movimento 5 Stelle e i fuoriusciti da Sinistra Italiana e dal PD, finalizzata a costruire un'alternativa al blocco di potere che da decenni governa la vallata. Questa lista ha preso il 5,5 % ma per 80 voti non ha eletto a causa di uno sbarramento del 5,7%.

• In Toscana abbiamo costruito con Potere al Popolo, Possibile e con varie espressioni del territorio la lista "Toscana Rossa", con candidata a presidente Antonella Bundu, in concreta alternativa al bipolarismo degli affari. Il risultato della nostra candidata è stato del 5,18%, quello della lista del 4,51%, ben più alto di quelli della Lega Nord e dei 5 Stelle. Un risultato molto positivo, che raddoppia le percentuali che avevamo ottenuto nell'ultima tornata elettorale regionale e che si situa in continuità con il lavoro fatto a Firenze dove,

da più tornate amministrative, ci presentiamo – eleggendo – in alternativa al centrosinistra. Solo una legge elettorale truffaldina non ci ha consentito l'immediata elezione di un consigliere regionale. Un risultato che ci dice come la chiarezza di prospettiva politica alternativa ai poli politici esistenti, se perseguita nel tempo, senza inutili settarismi ma anche senza alcuna ambiguità, sedimenta una credibilità che apre la strada al superamento degli sbarramenti elettorali.

Sia in Valle d'Aosta che in Toscana – dove abbiamo comunque fatto ricorso per ottenere un'applicazione corretta della legge – abbiamo mancato l'elezione per una manciata di voti.

Esiste un'area elettorale che non si riconosce più nei poli politici esistenti e gli stessi travagli interni ai 5 stelle ci parlano di questa situazione. La nostra mancata elezione, in Valle d'Aosta come in Toscana, per pochi voti in entrambi i casi, sconta l'assenza di un progetto politico nazionale chiaro, riconoscibile e visibile, che proponga chiaramente l'alternativa al bipolarismo degli affari, la coalizione politica pacifista e antiliberista impedita in Italia dalla linea scelta a maggioranza dai gruppi dirigenti del nostro partito.

• Nelle Marche siamo andati alle elezioni con una formula di "bicicletta" che appoggiava un presidente di regione favorevole al riarmo europeo. La possibilità di fare una lista con il PCI non è stata nemmeno presa in considerazione. Il risultato della lista in cui eravamo presenti, l'1,13%, e quello dei nostri candidati agli ultimi posti nelle preferenze, bastano da soli a smontare la narrazione che "col centrosinistra si elegge"; la destra, sfidata sul suo stesso terreno, ha vinto tranquillamente le elezioni in quella che era una "regione rossa".

• In Calabria, dove pure il centrosinistra ha presentato il miglior presidente della tornata elettorale, un ex iscritto a Rifondazione Comunista che ha mantenuto un profilo politico incisivo, il livello di compromesso e di svalorizzazione del partito a cui siamo scesi è difficilmente descrivibile. Nell'unica circoscrizione elettorale in cui abbiamo proposto un candidato di Rifondazione Comunista – il segretario regionale – questo è stato oggetto di obiezioni perché avrebbe dato un'immagine troppo spostata a sinistra del complesso della coalizione. Non solo abbiamo accettato questa esclusione ma nelle altre due circoscrizioni abbiamo sostenuto candidati in due liste diverse (in una quella del presidente, nell'altra quella di AVS) mentre il nostro simbolo scompariva anche nella coreografia delle manifestazioni, affidato unicamente alla presenza dei compagni in piazza. Difficile pensare ad una forma più vergognosa di subalternità.

• In Puglia abbiamo scelto di stare nella coalizione di campo largo guidata da Antonio Decaro, parlamentare europeo favorevole alla guerra e al riarmo contro la Russia, già sindaco di Bari a cui avevamo sempre fatto opposizione. La maggioranza del gruppo dirigente pugliese, con prese di distanza al proprio interno e con l'opposizione di alcune federazioni, ha deciso il sostegno alla lista del movimento 5 stelle, con l'indicazione, nel solo collegio di Bari, di due candidati in quella lista. Tale scelta contraddice decenni di attività politica del partito in quella regione, interrompe relazioni consolidate con soggetti politici e sociali a sinistra e sta comportando notevole disagio e l'allontanamento di compagni e compagne, di cui è eloquente esempio l'uscita dal partito e l'adesione del segretario della federazione di Foggia a Sinistra Italiana.

• In Veneto abbiamo superato il ridicolo, perché la maggioranza del Comitato Politico Regionale ha deciso, rifiutando una lista comune proposta dal PCI, di chiedere di entrare nel centrosinistra, richiesta snobbata dal candidato presidente, al punto che sui giornali veniamo definiti "i rifiutati". A questo punto, dopo che il segretario regionale si è pubblicamente lamentato sui giornali veneti del fatto che siamo stati rifiutati nonostante noi avessimo accettato tutti i punti avanzati dal PD, ha proposto e fatto approvare in Comitato Regionale la presentazione di una lista del partito. Ma pochi giorni dopo, senza che sia stata presa alcuna decisione dalla Segreteria Regionale o dal Comitato Politico Regionale, il segretario è tornato dal PCI per proporgli di fare una lista comune fuori dal centrosinistra. Il tutto senza che il partito sia stato messo nelle condizioni di sapere che cosa stava succedendo. Quindici giorni fa un nuovo episodio di questa saga imbarazzante: la scelta, a seguito della intervenuta disponibilità manifestata dal candidato presidente, di entrare a far parte a pieno titolo della coalizione di centrosinistra.

• In Campania, dove si voterà a fine novembre, abbiamo costruito una lista esplicitamente alternativa al sistema di potere di De Luca e famiglia, dando vita a "Campania Popolare", con Potere al Popolo e con il PCI, ma è evidente che, anche per la Campania, l'assenza di un chiaro e coerente indirizzo nazionale rende tutto più difficile.

È del tutto evidente che l'arlecchinata sopra descritta produce una situazione di scarsa fiducia per tutto il partito e aggrava in modo molto preoccupante la sua crisi politica.

La stessa proposta congressuale con cui sono stati raccolti i voti del primo documento, infarcita di proclami contro il PD, si è sciolta come neve al sole in una pratica politica priva di senso che non ha precedenti nella storia del nostro partito.

Rifondazione Comunista fra spinte sociali e subalternità al "campo largo"

Vi è un problema politico di inaudita gravità che la nascita del movimento di massa contro il genocidio del popolo palestinese e la vicenda delle elezioni regionali sottolinea una volta di più: la pratica di una linea opportunista senza principi, invece di determinare il rilancio, come era stato indicato dal congresso, genera un processo di dissoluzione del partito, ne mina la ragion d'essere, rendendo incomprensibile agli/lle stessi/e militanti quale sia il ruolo politico che è chiamata a svolgere Rifondazione Comunista.

Il nostro partito, imprigionato in una linea politica moderata quando non addirittura incomprensibile, largamente subalterna al centrosinistra, non ha giocato alcun ruolo politico nel movimento ed ha sprecato l'occasione delle elezioni regionali.

La scelta della Segreteria di non convocare gli organismi dirigenti, nel quadro nefasto di una gestione monocratica che esclude metà del partito (dopo il Congresso, la DN e il CPN sono stati convocati per discutere di politica un paio di volte) ha impedito la definizione di qualsivoglia discussione, elaborazione, proposta. Per la prima volta da quando è nata Rifondazione Comunista, partecipiamo alle manifestazioni senza svolgere un ruolo politico riconosciuto e senza alcuna indicazione nazionale. Non fu così nel 1992 nel movimento contro il taglio della scala mobile, non fu così in quello di Genova e nei vari cicli di lotta per la pace. Mentre sta nascendo un movimento che si pone non solo fuori dal palazzo ma fuori dal politicismo imperante, il nostro partito è impegnato a cercare una internità al centrosinistra e al "campo largo", a quel bipolarismo che con ogni evidenza nessuna risposta è in grado di dare alla radicalità della domanda politica che il movimento pone.

L'urgenza e la responsabilità di cambiare l'indirizzo politico

Questo stato di cose rende quanto mai necessario che il partito modifichi il suo indirizzo politico, ponendosi in sintonia con il tempo presente, il contesto, i movimenti reali, operando per costruire quella coalizione contro la guerra, il genocidio, le spese militari, che può oggi rappresentare la sola proposta in grado di interloquire positivamente con la domanda sociale emersa con grande forza in questi giorni e di rilanciare il Partito della Rifondazione Comunista, il suo senso e il suo ruolo.

Il cambiamento dell'indirizzo politico è un passaggio necessario, indispensabile, per interagire positivamente con lo sviluppo delle mobilitazioni e con i processi di politicizzazione che vedono protagoniste le giovani generazioni. Un cambiamento di indirizzo da attuarsi anche per contrastare efficacemente la legge finanziaria presentata dal governo Meloni che determina la sua cifra nell'aumento delle spese militari e nell'ulteriore distruzione del welfare a favore della finanza e delle assicurazioni private. Questa finanziaria non può essere contrastata con le stesse argomentazioni di chi vuole aumentare le spese militari, continuare la guerra, costruire l'esercito europeo e tenere buoni rapporti con il sistema bancario e assicurativo. Con questa impostazione parteciperemo alla Manifestazione nazionale promossa dalla CGIL a Roma il 25 ottobre prossimo, per dire NO al riarmo, per difendere la sanità e il sistema previdenziale pubblico, per aumentare salari e pensioni. Parteciperemo altresì allo sciopero generale contro la finanziaria di guerra del 28 novembre e alla manifestazione nazionale indetta a Roma il 29 novembre da Usb.

A fronte dei problemi sopra descritti il cambio della linea e dell'indirizzo politico si pone come necessità immediata, come ineludibile responsabilità, a partire da questo Comitato Politico Nazionale.

Facciamo appello a tutte le compagne e a tutti i compagni del partito affinché, alla luce delle grandi mobilitazioni - una novità che cambia completamente lo scenario sociale e politico - si apra al nostro interno, a tutti i livelli, una discussione che ponga al centro il ruolo e la linea politica del nostro partito per lo sviluppo del movimento e la costruzione dell'alternativa nel contesto di cambiamenti epocali e della ripresa della mobilitazione popolare.

Per queste ragioni, nell'immediato, chiediamo a tutto il partito di impegnarsi per:

- La prosecuzione della mobilitazione popolare contro il genocidio, per la liberazione di Marwan Barghuthi, per il rilancio dei comitati contro il riarmo.

- La costruzione di una campagna contro la finanziaria e la sua logica, a partire dal no all'aumento delle spese militari e all'ulteriore distruzione del welfare.

- L'adesione alle iniziative dell'Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole organizzate per il 4 novembre p.v.

- La ripresa dell'iniziativa politica e il sostegno al movimento contro il percorso governativo, tutt'altro che accantonato, di autonomia differenziata, di cui il disegno di legge delega sui Lep e l'avvio delle intese da parte di alcune regioni sono concreto esempio.

- La conclusione della campagna di tesseramento.

23 ottobre 2025

Daniela Alessandri, Valeria Allocati, Elena Maria Anelli, Simone Antonioli, Michela Arricale, Fabrizio Baggi, Michela Becchis, Tatiana Bertini, Marina Boscaino, Giovanni Bruno, Nicola Candido, Giovanna Capelli, Silvana Cesani, Nicola Cesaria, Marisa Chiaretta, Roberto Ciccarelli, Monica Coin, Luisa Colombo, Marco Consolo, Giuseppe Cucchiarini, Alberto Deambrogio, Stefania De Marco, Fiorenzo Fasoli, Eliana Ferreri, Paolo Ferrero, Gianni Ferretti, Grazia Francescatti, Luca Grasselli, Stefano Grondona, Tonia Guerra, Enrico Lai, Ezio Locatelli, Massimo Grazia Francescatti, Lorusso, Vittore Luccio, Stefano Lugli, Antonello Manocchio, Nando Mainardi, Maura Mauri, Vito Meloni, Alessandro Modolo, Pierluigi Mulliri, Luigi Pede, Cadigia Perini, Giulia Pezzella, Tania Poguish, Antonello Patta, Giuseppe Palomba, Roberta Piazzi, Claudia Rancati, Stefanella Ravazzi, Massimiliano Rossini, Luca Sardone, Rosella Satalino, Vittorio Savini, Monica Sgherri, Giulio Strambi, Giovanna Ticca, Danielle Vangieri, Roberto Villani.

 

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