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CPN 5 - 6 luglio 2025

Gianluigi Pegolo

Confesso che mi aspettavo un dibattito sulla prospettiva, che andasse oltre la semplice riconferma delle posizioni congressuali. Non è stato così. Invece di cogliere la positività di manifestazioni unitarie molto partecipate su piattaforme condivisibili contro il riarmo e in sostegno ai palestinesi, in cui il nostro partito ha avuto una buona visibilità, si tenta ad esempio di alimentare una polemica sulla mancata unificazione con la manifestazione di PaP del 21 giugno, ben sapendo che questa forza non aveva la benché minima disponibilità a confluire in uno schieramento più ampio. Ribadisco che considero in questa fase l'arroccamento settario, il peggior errore politico che possa essere commesso. Sia per affrontare i pericoli che presenta lo scenario internazionale che quelli che derivano dalla natura e dalle scelte del governo è necessaria un'ampia mobilitazione di massa. Per questo alcune vicende come la non approvazione del referendum contro l'autonomia differenziata da parte della Corte costituzionale o il risultato insoddisfacente dei referendum sociali destano preoccupazioni.

Sono venute meno, infatti, alcune opportunità per potenziare uno schieramento di massa. Di questo dovremmo discutere, ma senza alcuna inclinazione allo sciacallaggio e riconoscendo, per esempio, che anche nella sconfitta dei referendum vi è però un dato importante e cioè la volontà della CGIL di impostare una battaglia su temi importanti e di generalizzarla anche fuori dall'ambito specifico del sindacato. Per questo dovremmo riconoscere che la prospettiva della Via Maestra assunta dalla stessa CGIL non va assolutamente dismessa, ma anzi va resa più concreta, agendo per la riqualificazione di una piattaforma programmatica (connettendo la democrazia e il lavoro con la difesa del welfare e l'iniziativa per la pace) e promuovendo un più ampia partecipazione (con una più estesa articolazione di comitati sui territori). Due questioni dovrebbero essere a tale proposito al centro della nostra azione. La prima è il potenziamento del welfare come alternativa al riarmo.

Un contro-piano per l'utilizzo alternativo degli 800 miliardi che la UE intendere spendere in armi costituirebbe una proposta utile che per sua natura travalicherebbe i confini nazionali. La seconda è il rilancio del processo di democratizzazione del paese, contro le velleità securitarie e i disegni accentratori del governo. Non si tratta solo di contrastare la legge sulla sicurezza, ma anche di rivedere gli strumenti della democrazia diretta (dal referendum alle leggi d'iniziativa popolare che ormai stanno perdendo ogni efficacia e che pertanto devono essere messi nelle condizioni di funzionare). Un tema però torma a squadernarsi di fronte ai nostri occhi ed è quello della legge elettorale.

La sua modifica potrebbe anticipare la legge costituzionale d'introduzione del premierato ed è per questo che occorre rilanciare una battaglia nel paese per il proporzionale, per il rifiuto di modifiche in senso maggioritario, contro forme di personalizzazione funzionali alla modifica in senso monocratico del ruolo di governo. L'ottica che dovrebbe guidarci è la costruzione di un'ampia alleanza sociale e politica, mirata alla salvaguardia dei diritti e alla difesa della democrazia. In questo percorso la sconfitta delle destre non può esser considerata come un orpello. Stupiscono interventi che neppure si pongono questa necessità. Ed è per questo che va rivista completamente quell'impostazione di natura testimoniale e settaria che ha improntato la nostra azione nei confronti delle amministrazioni locali. Non è l'esibizione di una radicalità astratta, costruita a prescindere dal sentire dei cittadini, di cui abbiamo bisogno.

Né si può continuare a ritenere le istituzioni - in quanto tali - come una pura palestra politica. Le istituzioni -- anche quelle locali – hanno una relazione diretta con il soddisfacimento di alcuni bisogni fondamentali. La primazia dei contenuti come criterio guida nella costruzione delle coalizioni non può che essere quindi il riferimento obbligato per i comunisti. In tal senso il rapporto con il PD non è il centro della nostra proposta. Il centro è la costruzione di una proposta di cambiamento per il paese e, in particolare, il soddisfacimento dei bisogni delle sue fasce popolari. La collocazione che assumerà il PD non è certo secondaria, sarebbe assurdo sostenerlo, ma non è in funzione delle posizioni che assumerà il PD che le priorità sociali potranno mutare.

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