Partecipa e contribuisci all'attività di Rifondazione Comunista con 15 euro al mese. Compila questo modulo SEPA/RID online. Grazie

CPN 5 - 6 luglio 2025

Alberto Deambrogio

Il segretario ha definito la sua relazione sin troppo lunga. Una motivazione c'è: da troppo tempo non discutiamo e quindi i nodi da affrontare sono molti, troppi, tutti politicamente rilevanti. Siamo ad un tornante del tempo che molti storici potrebbero domani definire periodizzante, visto l'insieme qualitativo che caratterizza il fluire rapidissimo degli avvenimenti. Siamo cioè ad una frattura nel mondo per come l'abbiamo conosciuto, una frattura pericolosa e anche aperta a possibilità di alternativa. Ancora una volta occorre richiamare questo organismo alla sua funzione reale, chiederci insomma a cosa serviamo. La nostra democrazia interna è ridotta male e credo che in un momento in cui le logiche connesse alla guerra, quelle che promuovono le falsità, la repressione e la limitazione degli spazi democratici, dominano noi non dovremmo essere mimetici con esse. I comunisti e le comuniste hanno bisogno di avere sempre una discussione aggiornata, dobbiamo pensare ai momenti di confronto non con fastidio; è centrale il ribaltamento di ciò che è successo sino ad oggi con un di più di democrazia.

Una discussione democratica che è stata strozzata anche di recente in merito alla manifestazione del 21 giugno a Roma. Qualcuno, a partire dal Comitato regionale del Piemonte, ha provato a chiedere che si aprisse un dialogo dentro il partito in merito al suo possibile ruolo per facilitare l'unione fra le due piazze che hanno animato la presenza contro guerra e riarmo. Chi l'ha fatto ha messo da parte tutti i possibili elementi ostativi il risultato, compreso il no alla NATO, che pure rimane una organizzazione altamente criminale e destabilizzante nel mondo.

Il risultato è stato un deludente, assordante silenzio oggi di fatto giustificato con tanto di corollario sul solito ruolo di PaP, per cui nessuno di noi ha usato o usa toni elogiativi, ma che davvero è diventato ormai termine da gesto apotropaico. Solo che noi siamo un partito e non un soggetto dedito ad allontanare supposti influssi maligni. Chi è stato in piazza a Roma ha visto chi c'era. Una presenza sicuramente degna e importante, con la piazza "minore" comunque non insignificante. Una presenza fatta soprattutto di quadri militanti dei tanti soggetti organizzatori. Mancava con ogni evidenza una presenza sociale di massa contro guerra e riarmo, che andrebbe costruita con determinazione nel nesso tra questi ultimi e la questione sociale bruciante. Per fare questo andrebbe intanto dato un segnale di unità e credibilità complessiva. Come è possibile coinvolgere ampi strati sociali se permane questa divisione politica, sindacale, associativa?

In ultimo la vicenda dei referendum. Il risultato finale è figlio di diversi limiti sindacali, sociali e politici. Su quest'ultimo versante è stato patente l'errore di una torsione più verso il fronteggiamento tra schieramenti, che verso lo sviluppo concreto dei temi affrontati. Un errore madornale, che non poteva che far riemergere le responsabilità pesanti del centro sinistra per la normativa attuale, lasciando quindi nelle loro case molti e molte che da quel fronte non si aspettano più nulla. In realtà ha pesato molto l'assenza di una credibile presenza, almeno di medio periodo, di lotte organizzate intorno al mondo del lavoro. I referendum insomma, pur giusti da un punto di vista del principio, sono stati visti come qualcosa di quasi estemporaneo rispetto alle dinamiche reali di chi aspetta un contratto, di chi non riesce a far sentire la propria voce e avrebbe bisogno di una connessione delle lotte. Per non abbandonare, ancora una volta, i milioni di persone che hanno votato si e per dare risposta alla CGIL che propone di rilanciare i comitati referendari occorre dunque che si riparta esattamente da ciò che è mancato: un lavoro comune determinato, costante, vertenziale, socializzato sulle questioni del lavoro.

chiudi - stampa