Partecipa e contribuisci all'attività di Rifondazione Comunista con 10 euro al mese. Compila questo modulo SEPA/RID online. Grazie CPN 29 e 30 giugno 2024 Ezio Locatelli Per ragioni di tempo intervengo solo sul punto specifico delle elezioni chiedendo che in questa nostra discussione non si eludano i problemi e non si cambino le carte in tavola. Nei mesi scorsi la narrazione era che con Pace Terra e Dignità avremmo superato il quorum, che in ogni caso avremmo ottenuto un buon risultato in considerazione di una opinione pubblica in maggioranza contraria alla guerra. Le cose, come sappiamo sono andate diversamente. La lista ha ottenuto un risultato stantio. Come attestano tutte le rilevazioni non è stata votata dai giovani, non è stata votata dalle classi popolari, ovvero dai settori sociali di nostro riferimento. Penso che oggi sia un errore minimizzare la portata di un esito molto al di sotto da ogni aspettativa, da ogni previsione avendo chiaro che nessuno chiedeva di essere presenti alle elezioni solo come Up. La nostra proposta, sin dall’inizio, era di essere presenti con una lista ampia, plurale e che si lavorasse per questo. Ma al di là del voto quello da trarre è anche un bilancio politico. La relazione del segretario non contempla questo bilancio. Per parte mia pongo una domanda: il Partito, con questa operazione, è uscito indebolito o rafforzato sul piano della crescita, del radicamento, delle adesioni? La mia risposta, per la conoscenza che ho del Partito, è che da queste elezioni siamo usciti fortemente indeboliti e disorientati. Siamo stati chiamati, dopo aver perorato o operato per il superamento di Unione Popolare, a immedesimarci in una lista connotata in termini di forte personalizzazione: la lista Santoro. E’ vero, abbiamo raccolto una montagna di firme, siamo stati il nerbo della campagna elettorale a livello territoriale ma a fronte di ciò il Partito invitato a tenere le proprie bandiere nel cuore, è stato relegato in un ruolo gregario, di appendice di una lista precostituita, mossa sin dall’inizio dall’ambizione di essere sostitutiva di qualsiasi altra opzione politica. In questo vi è stata una cessione pressoché assoluta della nostra sovranità politica. Ora mi chiedo: con quanta credibilità si può parlare di rilancio dell’autonomia del Partito se manca qualsiasi autocritica per come sono andate le cose. Con quanta credibilità se si continua a dire che bisogna andare avanti su questa stessa strada ponendoci, come dice qualche dirigente, l’obiettivo di far nascere “cento e cento comitati locali PTD”, come se fosse possibile costruire una opposizione alla guerra su questo terreno inerte, della mera denuncia morale, politica, un terreno privo di fondamento sociale. Richiamo l’attenzione su una inchiesta fatta recentemente da Credem e Università Cattolica circa le questioni considerate più rilevanti dalle persone. Al primo posto, col 53%, ci sta il carovita, al secondo i cambiamenti climatici, al terzo le politiche del governo, al quarto posto con il 17% la guerra. E’ del tutto comprensibile che sia così. La maggioranza delle persone è sì contraria alla guerra ma nell’immediato, per quanto li riguarda più direttamente, devono combattere ogni giorno una guerra per la propria sopravvivenza. Ora non si può non tener conto di questi elementi. Se vogliamo pestare l’acqua nel mortaio, se vogliamo assolvere al ruolo di portatori di acqua proseguiamo pure sulla strada sin qui perseguita. Questo non significa venir meno a un confronto. Ma il confronto, come chiediamo ininterrottamente da mesi, deve essere a tutto campo, con tutte quelle forze, esperienze critiche, soggettività, comprese quelle di Unione Popolare, interessate alla costruzione di una alternativa ai partiti neoliberisti e della guerra. Avendo altresì chiaro che Il Partito deve essere artefice, non a rimorchio di questo confronto. Chiarisco. Io sono sempre stato contro ogni forma di minoritarsmo, per la costruzione di una sinistra popolare, di classe ma proprio per questo penso che non possiamo stare al gioco, stare dentro lo spazio circoscritto, connotato socialmente, dell’attuale quadro politico, quello in cui primeggia la “sinistra” – si fa per dire - liberista e guerrafondaia. Questo è quello che in alcune realtà si è cercato di fare in occasione delle recenti amministrative – una per tutte la realtà di Firenze – ma in altre realtà si vede chiarissimamente le volontà di cambiare campo politico, di essere interni al centrosinistra. Così è stato alle regionali in Abruzzo, alle comunali di Bari, di Perugia per citare i casi più eclatanti e trovo davvero fuorviante, vacuo parlare di ruolo egemonico di Rifondazione Comunista, in situazioni in cui nemmeno eleggiamo. Piuttosto vedo il rischio che noi si diventi mosche cocchiere, che queste operazioni preludano a quello che vuole fare alle prossime politiche: l’alleanza con il centrosinistra. A scanso di equivoci concordo sulla necessità di portare avanti unitariamente alcune battaglie democratiche come quella contro il premierato e l’autonomia differenziata, una battaglia, ricordiamolo, che ha preso quota grazie soprattutto al lavoro delle nostre compagne Marina Boscaino, portavoce nazionale dei Comitati contro ogni autonoma differenziata, alla compagna Tonia Guerra della segreteria nazionale. Così come concordo sulla necessità di stare dialetticamente in rapporto con le grandi organizzazioni sociali di massa come l’Anpi o la Cgil, nel caso di quest’ultima pieno è l’appoggio che diamo alle proposte referendarie, ma questo non può portarci in alcun modo ad essere interni e organici alle alleanze di centrosinistra. Altri, prima di noi, hanno commesso questo errore, quello di ritenere chiuso lo spazio politico per la costruzione di una alternativa. Errore che abbiamo sempre combattuto. Per quanto mi riguarda non penso che questo spazio sia chiuso. No, questo spazio rimane drammaticamente vuoto, non è occupato da una politica delle alleanze, della contrarietà alla guerra che abbia un fondamento sociale sul terreno della lotta alle disuguaglianze sociali, al carovita, alla povertà salariale, al diritto alla casa, ecc. A scanso di equivoci, non sono per l’autonomia del sociale. Ma penso che dobbiamo ripartire da qui se vogliamo ricostruire il senso di una rappresentanza politica, istituzionale in alternativa al neoliberismo cosiddetto progressista del centrosinistra che con le sue politiche di austerità ha spianato la strada alla destra. In una iniziativa fatta in questi giorni un gruppo di operai mi diceva che il Pd è il Partito più detestato dagli operai. Come si fa a non cogliere questo dato? Inutile nascondere che su questo tema sono presenti al nostro interno due divergenti posizioni politiche, una delle quali in totale distonia con le posizioni assunte all’ultimo congresso nazionale, ovvero la necessità di costruire un polo della sinistra di alternativa ridando centralità al ruolo che dovrebbe essere propria di un Partito che voglia dirsi comunista. Per questo, e non solo per naturale scadenza statutaria, va convocato il congresso nazionale. La parola sia data al più presto alle iscritte e agli iscritti a cui va rimessa la scelta se virare a destra o se gramscianamente “provare e riprovare” a ricostruire una sinistra alternativa nel nostro Paese.
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