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CPN 29 e 30 giugno 2024

Stefano Alberione

Occorre prendere atto che la fase è cambiata: siamo passati dal capitalismo neoliberista e siamo giunti, transitando dalla crisi pandemica mondiale, al capitalismo caratterizzato dalla tendenza alla guerra mondiale.
Questo passaggio è prodotto dall’incapacità crescente del capitalismo neoliberista di garantire una minima coesione sociale: ciò consegue ad una ormai intollerabile distribuzione iniqua della ricchezza che determina da un lato una crisi da sovrapproduzione mondiale e dall’altro una crisi del sistema ambientale planetario che congiuntamente pongono le premesse a migrazioni umane di dimensioni bibliche.

In un quadro in cui la competizione intercapitalistica vede uscire vincente la Cina e soccombente gli USA (e l’alleata Europa) che continuano però a detenere la supremazia militare mondiale.

Queste condizioni portano dritti e filati alla guerra mondiale. E la guerra è principio ordinatorio che muta i profili ideologici e sociali delle classi dirigenti e dei partiti che li rappresentano. La guerra ridefinisce il ruolo e il perimetro di cosa sono destra e sinistra. Determina nuovi rapporti di forza tra le classi, assetti istituzionali, sviluppi delle forze produttive (si pensi al ruolo che viene assegnato all’Intelligenza Artificiale).
Non siamo ancora al voto dei crediti di guerra e all’invio di giovani al fronte. Al momento siamo alle loro precondizioni: la costruzione ideologica dell’Occidente (nemico strutturale dell’universalismo e, quindi, del comunismo), la definizione di un blocco sociale capace di arricchirsi dentro la tendenza alla guerra e la manomissione delle istituzioni democratiche con l’attacco alla separazione dei poteri con il quale l’esecutivo tende a sottomettere sia il potere legislativo sia quello giudiziario.

La nostra linea e proposta politica deve essere ridefinita alla luce di questa nuova fase. Se centrale è la lotta alla guerra, non come elemento meramente morale, ma come elemento di lotta politico/sociale allora abbiamo un compito prioritario: concorrere ad orientare le grandi organizzazioni di massa esistenti nel Paese contro la guerra (a partire dalla CGIL, ANPI, ARCI ecc.).
Non dobbiamo rinchiuderci in piccoli recinti ideologici escludenti ed inefficaci quando, non di rado, opportunisti.

Dentro questo quadro bisogna prendere atto che Unione Popolare è un’esperienza esaurita e che occorre dare un chiaro mandato politico in tal senso al gruppo dirigente (con l’articolazione tattica più opportuna).
Dobbiamo proporre che Pace Terra e Dignità prosegua come centro d’azione, di coordinamento e di movimento unitario per un’azione politica di massa contro la guerra, con un coordinamento leggero, che sappia traguardare più alle scadenze elettorali nazionali che non ad una inutile precipitazione organizzativistica.

Dobbiamo prendere atto di come il voto europeo ci consegni un nuovo ruolo dell’antifascismo, dell’antirazzismo e dell’internazionalismo che sono ontologicamente nemici della guerra e di questo, in Italia, ci parla il vasto consenso, ottenuto da Cecilia Strada, Ilaria Salis e Mimmo Lucano.

Ma se per alcuni di noi PTD è stato un totale insuccesso cosa è stato l’esperimento, politicamente alternativo a PTD, di Piemonte Popolare (lista con noi, PAP e Sinistra Critica e qualche indipendente per lo più ex del M5S): lo stesso giorno, le stesse persone che si sono recate al voto in Piemonte, in 42 mila hanno scelto PTD e solo 28 mila la candidata presidente di Piemonte Popolare e 22 mila la lista.

Da ultimo una domanda non retorica, visto il tenore di alcuni interventi: ma se noi fossimo in Francia avremmo promosso o aderito al Fronte Popolare o saremmo stati più settari dei compagni/e della IV^ Internazionale?

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