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CPN 14 e 15 ottobre 2023
Intervento Marina Boscaino
Inizio con un ringraziamento alle compagne e i compagni che hanno organizzato la festa di Bologna, in cui – sia pure per le pochissime ore che vi ho passato -ho peraltro visto quel partito, quella comunità dalla quale mi sono senìta attratta al punto tale da iscrivermici tardivamente, rispetto alla mia storia politica complessiva, ormai lunghissima. Proprio perché ho negli occhi e nel cuore quel tipo di modello, quel tipo di situazione, eviterò di fare come tante e tanti che ho ascoltato tra ieri e oggi, che hanno invitato a stemperare conflitto e toni che ormai non da oggi, ma da anni, da sempre - per quanto riguarda la mia esperienza qui - affliggono il partito. Per poi affondare – dopo questa premessa, un po’ di maniera, dal mio punto di vista – il colpo, allargando ulteriormente il clima di sospetto e di frattura.
Vado, senza ulteriori preamboli, invece, a dirvi esattamente quello che penso. E non perché non sia mossa da una volontà costruIva, tutt’altro. Ma perché non riconosco nelle pratiche che ho visto mettere in atto e nell’atmosfera di questo CPN le condizioni per affrontare una discussione davvero onesta. E perché non ho alcun timore del conflitto. Che – dal mio punto di vista – non coincide mai o quasi mai (come ho spiegato personalmente al segretario) con l’attacco – né tantomeno – con l’odio personale. Le contraddizioni non si risolvono rimuovendo, ma nominando e discutendo. Del resto, anche nella mia esperienza personale, sono riuscita a lavorare con persone con cui non sono attualmente d’accordo, Daniela Ruffini, ad esempio. Evidentemente entrambe abbiamo compreso che ci sono faI gravissimi – l’autonomia differenziata, nel caso specifico -che dovrebbero mettere a tacere le nostre contraddizioni, i nostri disaccordi, le nostre tensioni interne e far prevalere la lotta comune.
La politica delle chat, degli insulti, delle manipolazioni persino dei principi più alti (il caso del femminismo mi ha particolarmente colpita) è quantomai deleteria nella situazione in cui ci troviamo. Vorrei ribadire con forza quello che ha illustrato Paolo Ferrero relativamente al modo in cui (non) pratichiamo la democrazia. Vi va bene così? Quanto riusciremo a galleggiare ancora?
Eleonora ieri ha detto che trova imbarazzante e vergognoso un dibaIto sulle nostre miserie interne, mentre fuori infuriano le guerre e il massacro del popolo palestinese. E si chiede come mai non si siano – come si faceva in passato – interrotte le aIvità degli organismi dirigenti per stare tutte e tuI in piazza. E che l’assenza di questa sospensione sia un segno del tempo: non saremmo più necessari e non saremmo più destinatari di un mandato da parte di alcun blocco sociale. Probabilmente è così e questo fatto ci interpella tutte e tuI. Ma, a fronte di questa premessa, sicuramente condivisibile, ha proseguito parlando di un congresso unitario “tradito”: ovvero, i buoni pensavano fosse unitarioti i caIvi li hanno ingannati, fingendo unitarietà, ma in realtà tramando ai danni del segretario. Credo che la ricostruzione filologica di quanto è accaduto nel passato sia ormai stucchevole e soprattutto inutile: solo una condizione di reciproca buona fede e riconoscimento degli errori compiuti, delle parole date, dei paI sanciti può rendere tali ricostruzioni utili a riconquistare un idem sentire. Condizione che, a mio avviso, non esiste. Ma credo anche che la narrazione degli onesti contro i disonesti – eufemisticamente imprecisa, dal mio punto di vista – ha fatto sì che ogni moto di dissenso sia stato interpretato da una parte di noi esclusivamente alla luce di un ipotetico complotto contro il segretario. Del quale, però, la rimozione è stata chiesta solo una volta, 10 mesi fa, per la precisione.
Sempre ieri Raul Mordenti, al quale va tutta la mia stima e riconoscenza in quanto studioso, non foss’altro perché mi ha costretto a riflettere seriamente sul Decameron quando sono stata sua studentessa, ha detto che TUTTO è COMINCIATO da un documento improvvidamente pubblicato sulla chat del coordinamento provvisorio di UPti pratica che, lo dico per onestà, non mi ha trovato del tutto d’accordo. Tutto è cominciato, appunto. Perché prima non era cominciato nulla, nel senso che né negli organismi dirigenti, né in alcun altro luogo – se non nello stesso coordinamento provvisorio di UP, di cui faccio parte, coordinamento provvisorio da cui era uscita una chiara ed incoraggiante pronuncia il 5 settembre– si era mai discussa (da quel che so) la questione Santoro. Ma la questione Santoro intanto è andata avanti, con colloqui privati, di cui pochi sono stati messi al corrente. E con una posizione del segretario di PRC totalmente arbitraria e soggeIva, come ormai tuI e tutte sappiamo.
Amato ha detto che il 30 settembre al Ghione il segretario ha ricostruito le NOSTRE ragioni. Nostre di chi, condivise da chi e dove? Questo è il problema: la mancanza di democrazia interna. Che si riverbera in entrambe le questioni – Santoro e UP – di cui stiamo discutendo. Le conclusioni del coordinamento provvisorio di UP erano, come dicevano, incoraggianti e potevano essere riassunte in una formula, ben esplicitata da Roberto Villani: trattare non è boicottare. Chiedere che UP non venga completamente divorata dal movimento di Santoro (esigenza che dovrebbe vederci tuI concordi) non è boicottare. E non è nemmeno porre un diktat sul simbolo. Ma le accelerazioni solitarie, i tavoli isolati, le trattative individuali rendono impossibile trattare. Hanno reso impossibile trattare.
Ci si lamenta poi degli scarsi risultati raggiunti da UP, evocando sondaggi, percentuali, numeri di iscriI. Un po’ di onestà intellettuale basterebbe per chiederci tuI e tutte quanto si sia investito realmente su UP, frutto di una decisione colleIva (o no?), dalle elezioni politiche ad oggi. La prova di una certa mistificazione del livello di coinvolgimento nel progetto è data, ad esempio, dal modo in cui è stata costruita la componente di PRC nel coordinamento provvisorio di UP (e in ciò includo anche la mia “nomina”): manuale Cencelli alla mano, si è data rappresentanza alle “anime” (sic!) di PRC, riservando un posto anche a chi – legiImamente
– rivendica di essere contro UP. Si tratta di investimento? Ho i miei dubbi. La condizione di oblio – se non di esplicito boicottaggio –, poi, in cui si sono svolte le elezioni in Lazio e Lombardia ne sono state una testimonianza ulteriore. Ci siamo mai chiesti che cosa sarebbe potuto accadere se – come era nella logica di un percorso che andava costruito – ci fossimo tuI e tutte adoperate per non far fallire quei tentativi.? Se non si fosse lavorato a latere per altro, di cui solo oggi tutte e tuI siamo consapevoli? e – persino -come avremmo potuto relazionarci a questo altro (intendo Santoro, naturalmente), se quei passi precedenti fossero stati compiuti correttamente ed unitariamente, come poteva essere? Invece si incoraggia il racconto di una parte del partito che addirittura avrebbe la finalità di servire a PAP su un vassoio d’argento il proprio agire contro l’altra parte del partito, per dimostrare la propria fedeltà. Che bello sarebbe stato se la relazione del segretario (che ho in gran parte condiviso) fosse stata pronunciata molto tempo fa, quando tutto stava cominciando, per condividere quelle posizioni e discuterle tutte e tuI insieme. Ho sentito parlare di appiaImento, sudditanza alla Rete dei Comunisti, di autocandidature a fare lo
SPI di Pap: sono questi i prerequisiti e i modi dell’investimento e dell’attenuazione dei toni? Non è questo il clima, la condizione per ricostruire, è evidente. Non parlo poi della schizofrenia percepita dai territori, perché penso sia inutile. Qui tuI sappiamo tutto, non fingiamo, per favore.
Io, per me, sono molto in difficoltà, a disagio. Da una parte di questo partito ho imparato che non è quello che il partito decide ciò che conta, ma di quale presunto schieramento faccia parte chi cerca di portare avanti l’istanza decisa. Ed è così che nella festa di Roma all’autonomia differenziata non è stata riservata nemmeno lo spazio di 15 minuti: autonomia differenziata – ovvero IL problema di politica interna, ciò che intercetta tutte le lotte possibili – non pervenuta. I Comitati per il Ritiro di ogni Autonomia Differenziata e il Tavolo NOAD, di cui PRC fa parte da sempre - 5 anni per i primi, 2,5 per il Tavolo – hanno subito una gravissima situazione, di cui pochissimi si sono faI carico. Evidentemente il PRC nella sua integralità non si è sentito parte lesa nella questione. Voglio invece ringraziare tutte le compagne e i compagni che sono venuti nel nostro spezzone a Roma, Ezio in primiis. E non vado oltre, perché non ho alcuna voglia di entrare in barruffe patetiche, a suon di insulti, colpi bassi, manovre e manovrine. Sono molto dispiaciuta. Sono molto dispiaciuta e imbarazzata di militare in un partito che non è in grado di cogliere assolutamente l’importanza di un rapporto privilegiato con un movimento che da 5 anni milita, forma e informa, studia, mobilita, contesta il progetto eversivo di autonomia differenziata.