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CPN 10, 11 giugno 2023

Intervento di Marina Boscaino

Anche io, come Giovanna Capelli ieri, posso dire senza alcuna ironia di condividere la relazione di Maurizio. Condivido in particolare una affermazione, un passaggio di quella relazione: “quando siamo una comunità che dà il meglio di sé”. La considerazione è che siamo raramente una comunità che dà il meglio di sé. Ho tentato in tutti i miei interventi in questo CPN di spiegare cosa abbia significato, per me che sono sempre e solo stata nei movimenti, l’iscrizione a questo partito, la prima della mia vita. Passare dal simpatizzare al militare. C’è un grande investimento e una grande prospettiva; ci sono molte aspettative e molto entusiasmo. L’entusiasmo e l’aspettativa di essere in una comunità di reali compagni e compagne; in una comunità la cui linea condivisa, perché frutto di una elaborazione collettiva e di un congresso, venga rispettata, perché emersa da quella condivisione.

Alberto Deambrogio ha parlato ieri di problematizzazione. Io, molto più prosaicamente, dico oggi che mi sento etimologicamente spaesata: non so in che luogo mi trovo. Sento qualcuno – che non ho il piacere di conoscere personalmente, Ramon – che ciclicamente mi e ci spiega come si comporta un comunista, in questo caso rispetto all’apertura nei confronti del PD, dimenticando quanto emerso dal congresso e – soprattutto – il fatto che quel partito ha fatto carne di porco della Costituzione italiana, pezzo dopo pezzo, minuziosamente. Sono spaesata perché si conteggiano i risultati di piccoli comuni, ma non si riserva un solo minuto di riflessione rispetto al fatto che in una regione – il Friuli – si sia appoggiato un candidato autonomista, Morettuzzo.

Sono spaesata perché il luogo dove vorrei essere non censura il diritto di dissenso, e non riduce il dissenso alla faida, né alla lotta personale. Io penso che il segretario e l’intera segreteria di questo partito non siano stati in grado – per diverse motivazioni – di gestire coerentemente le conclusioni del congresso e penso che tutti e tutte hanno una parte di responsabilità; ma non per questo penso di offendere personalmente le persone che sento amiche. Sono spaesata perché il luogo dove vorrei essere promuove la democrazia; e invece qui mi pare che a decidere siano pochi; vorrei essere e pensavo di essere in un luogo in cui gli organismi siano investiti di una responsabilità operativa e decisionale collettiva e concreta, ma i nostri organismi non funzionano così.

I nostri organismi non funzionano, sempre ancillari a decisioni che vengono prese altrove. Sono spaesata perché persino su UP ci sono tra noi posizioni diversissime, comprese i commenti sarcastici che leggevo ieri in chat (qualcuno ha detto “un intralcio” al PRC e qualcuno ha scritto sardonicamente un “successo” dell’1%). Eppure se “ognuno vede in UP quello che vorrebbe UP fosse”, come ha detto Marotta, è perché la discussione del partito su questa importantissima opportunità non è stata portata avanti adeguatamente. Oggi tante e tanti ci stanno investendo, così come tante e tanti hanno smesso di investirci, destabilizzati dall’assenza di una linea. Sono spaesata perché in questo stesso CPN, nell’ultima riunione, ci sono stati pronunciamenti di astensione su un odg sull’autonomia differenziata dalla dizione semplice e chiara, che poteva essere approvata persino dai sostenitori della Lip di Villone (non pochi tra noi), che – lo ricordo – fa passare l’autonomia differenziata ma ne limita i danni, limitando le materie disponibili per le regioni. Ricordo che da ben 5 anni il partito è schierato sul ritiro di ogni autonomia differenziata, in linea con i comitati di cui PRC fa parte dal 2019. Sono spaesata perché in quello stesso CPN una votazione ha fatto emergere una maggioranza di dissenso (che qualcuno ha voluto chiamare faida, con enorme rispetto per compagne e compagni che hanno espresso la necessità di un cambio di passo, di una gestione differente); mi sarei aspettata la responsabile inaugurazione, da parte del segretario e del gruppo dirigente, quantomeno di un dibattito, di una riflessione. Di questo non c’è stato cenno.

Avrebbero dovuto, coloro che si sono trovati a prevalere, esigere un cambio di passo, rivendicando in maniera più veemente la propria prevalenza? Hanno forse sbagliato – e forse hanno sbagliato – ad immaginare che (come in qualsiasi consesso civile) si manifestasse spontaneamente un segnale, che prendesse atto di quella situazione? Qual è il fine, quale lo scopo di questa strategia che non può portare ad altro che a condannarci, nella migliore delle ipotesi, ad una irrilevanza ancor più accentuata di quella attuale, nella peggiore alla scomparsa del partito? Fuori c’è la guerra, concreta e metaforica. Parlo di ciò che mi sta più a cuore, ma ci sarebbe tanto altro: la cabina di regia dei Lep tra 2 mesi (secondo quanto previsto in legge di bilancio) avrà dovuto determinare i Lep. Se ciò non sarà accaduto, interverrà un commissario. E farà lui, nonostante la determinazione dei Lep sia prevista dal c. 2 dell’art. 117 tra le materie di potestà legislativa esclusiva dello stato. Una pletora di sedicenti addetti ai lavori di nomina governativa (forse uno solo, nella peggiore delle ipotesi) metterà mano alla più catastrofica riforma dello stato sociale mai avvenuta nel Paese.

Poi Calderoli – nonostante le audizioni abbiano manifestato un ampissimo dissenso di una parte importante del Paese – avrà mano libera per cominciare a stipulare le intese con le regioni. La CGIL scende in campo, il 30 settembre manifestazione nazionale. Questa decisione non è estranea alle conclusioni dell’assemblea del 29 gennaio del Tavolo Noad, che chiedevano appunto questo e alle interlocuzioni avute nel frattempo: un valore aggiunto inestimabile che, al di là di come la pensiamo su quella forza sindacale, e io non mi schiero tra i sostenitori di quel sindacato, deve essere valorizzata e plaudita. Così come importantissima la giornata del 24 giugno, una giornata di mobilitazione USB e CGIL (sul tema della salute) che non dobbiamo mancare di sostenere e partecipare. Perché, vedete, La stipula delle intese prevede l’irreversibilità per 10 anni, passati i quali si potrà tornare indietro solo per volontà della regione interessata o del governo.

Cioè, requiem per la Repubblica. Io temo che, se non riprendiamo nella sua integralità e completezza il progetto deciso nell’ultimo congresso e non ricostruiamo quanto prima un’unitarietà del gruppo dirigente, uscendo da tatticismi e accordi ufficiosi – e possiamo, siamo in tempo per farlo - sia PRC che UP si condannano ad un’agonia senza speranza. Le bellissime cose fatte da Transform, l’importante legge di iniziativa popolare sul salario minimo, le analisi sulla guerra, come quelle di Ferrero o Musacchio, la fondamentale opportunità rappresentata dalla nostra collaborazione con la Rete dei Numeri Pari, la generosità di compagne e compagni dei territori, insomma tutte le buone pratiche che Maurizio ha enunciato nella relazione, non saranno sufficienti se non affrontiamo con la massima urgenza, serietà ed onestà questo problema interno.

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