Partecipa e contribuisci all'attività di Rifondazione Comunista con 10 euro al mese. Compila questo modulo SEPA/RID online. Grazie
CPN 17-18 dicembre 2022
Relazione del segretario
Care compagne e cari compagni,
in apertura di questa riunione del Cpn esprimo tutta la nostra solidarietà con i lavoratori della Italtrans di Bergamo in sciopero e duramente caricati dalla polizia. E’ un episodio che dà la misura del clima nel paese. Non è la prima volta che si verifica negli ultimi tempi e non è una novità che si possa attribuire alla matrice del nuovo governo. Credo che fotografi il fatto che le istituzioni assumono un ruolo che restringe gli spazi del conflitto sociale e della protesta. In queste ore è arrivata anche la notizia del senzatetto morto di freddo a Bolzano, una delle città più ricche del paese. Erano esauriti i posti letto nel dormitorio.
Mi preme anche sottolineare la preoccupazione per il voto da parte del parlamento europeo riguardante l’Holodomor. Si tratta dell’ennesima operazione di riscrittura della storia che dobbiamo e possiamo respingere proprio perché siamo un partito comunista antistalinista che non ha mai avuto problemi nel condannare crimini e orrori di Stalin. Siamo di fronte a un uso guerrafondaio della storia, peraltro sulla base di una tesi contestata dagli storici più autorevoli, che segue la votazione con cui il parlamento europeo ha indicato la Russia come “stato terrorista”. Putin diventa non solo nuovo Hitler ma anche nuovo Stalin e quindi si continua la guerra per procura a oltranza perché con Hitler+Stalin non si può trattare.
Una vicenda che indica chiaramente quanto sia importante il ruolo di un partito come il nostro, in questa fase storica, nel costruire un fronte di resistenza non solo politica e sociale ma anche culturale. L'opposizione alla guerra è anche paziente opera di contrasto della propaganda che avvelena i pozzi e rende sempre più difficile ricostruire ponti e possibilità di dialogo tra i popoli. Una propaganda che riesce a egemonizzare anche settori della sinistra radicale a livello europeo e anglosassone. Lo si vede dalla difficoltà nel costruire un movimento contro la guerra in Europa.
Il congresso della Sinistra Europea
Lo abbiamo visto al congresso della Sinistra Europea, a Vienna, la scorsa settimana. Fortunatamente siamo riusciti a far passare dopo tante riunioni, a tutti i livelli, una correzione del documento politico e a fare approvare una mozione – scritta dal sottoscritto, ma frutto di un lavoro collettivo – per il cessate il fuoco e la trattativa che raccogliesse il messaggio della manifestazione del 5 novembre a Roma. Ma non è stato per nulla facile. Penso che abbiamo fatto un buon lavoro grazie all’apporto di tutte le compagne e i compagni della delegazione, di Transform, di chi segue questioni esteri e pace. Siamo stati il partito che ha presentato più mozioni. Galieni ne ha scritta una che è quella che ha ottenuto il consenso più largo nella votazione. Riguardavano questioni dirimenti e anche su questioni che non bisogna mai dare per scontate. Persino la Palestina e i curdi. I compagni curdi ci hanno dato ampio spazio sui loro media.
Stiamo lavorando a un dossier sul congresso con tutti i materiali tradotti da far circolare tra le compagne e i compagni e anche all’esterno del partito. Purtroppo per un pelo (due voti) non siamo riusciti a riconquistare una vicepresidenza, ma lo sapevamo già da tempo. Paolo Ferrero mi aveva proposto di chiedere settimane fa la sua riconferma. Io l’ho fatto con una lettera per provare a forzare sugli uscenti ma non è bastato. Al congresso allora abbiamo proposto Eleonora Forenza. E’ stato giusto fare la nostra battaglia coscienti della nostra debolezza rispetto ad altre formazioni. Alla fine comunque abbiamo ottenuto che la compagna Eleonora entrasse nel segretariato che si riunisce con i vicepresidenti, posizione che va valorizzata anche in Italia. Ringrazio i compagni uscenti, Ferrero vicepresidente e Giovanna Capelli nell’esecutivo, per il lavoro svolto in questi anni. Nell’esecutivo, in cui abbiamo due posti di diritto, come delegazione abbiamo scelto di indicare il responsabile esteri Marco Consolo e la compagna Anna Camposampiero che da sempre segue le questioni internazionali, è impegnata da anni nella Sinistra europea e in tante reti e campagne internazionaliste, dai curdi all’America Latina, all’antirazzismo.
Ricordo a tutte/i che in tutti i congressi della SE è sempre stata la delegazione a nominare i nostri rappresentanti. Va detto che avevo proposto, insieme a Consolo, di dedicare una riunione della direzione a questo tema dopo quella che avevamo fatto per individuare le linee della nostra presenza politica nel congresso. Purtroppo non vi sono state le condizioni politiche e i tempi per farla dopo la rottura che mi ha spinto a convocare il Cpn. La nostra partecipazione al congresso e il lavoro preparatorio hanno dimostrato quello che riesce a fare il nostro partito quando è unito nella chiarezza delle posizioni politiche e non si divide in nome di altre ragioni. E sottolineo che anche in questo ambito è emerso il valore della rifondazione comunista, dell’approccio che ci è proprio e che rappresenta un’esperienza originale nel nostro continente e non solo.
La rottura in direzione nazionale
Ho convocato in base allo statuto questo Comitato Politico Nazionale nella prima data possibile - altri weekend erano occupati dall’assemblea nazionale di UP e dal congresso della Sinistra Europea – per un’urgenza di chiarificazione della linea politica vista la rottura che si è determinata nell’ultima riunione della direzione.
In Direzione il documento proposto dal segretario nazionale è stato bocciato senza neanche una dichiarazione di voto che in maniera comprensibile ne spiegasse le ragioni. Non è un fatto normale ed è giusto affrontare le questioni con la massima trasparenza. Nell’immediato, dopo l’esito del voto, si è detto che c’era stato un equivoco e si voleva solo approvare un emendamento. Ma anche prendendo per buona questa versione dei fatti è bene esaminarne il contenuto per capire se si trattasse di una divergenza di poco conto.
In sintesi l’emendamento presentato chiedeva di cancellare dal documento la menzione del M5S. Il documento si concludeva con un dispositivo piuttosto chiaro di mandato ai comitati regionali a “proseguire il lavoro per la presentazione delle liste di Unione Popolare e la costruzione di uno schieramento unitario con altre formazioni, incluso il M5S e Si/verdi laddove si collochino in alternativa al PD, sulla base di priorità programmatiche condivise su temi sociali e ambientali.”
Niente di nuovo perché è una posizione che abbiamo da tempo.
Si chiedeva con l'emendamento di cancellare il riferimento al M5S e a SI/Verdi che erano stati aggiunti da un emendamento del compagno Schiavon.
Dunque alla base della bocciatura del documento c’è la posizione da tenere verso altre forze politiche che decidano in regioni e comuni di non allearsi col PD.
Se ho ritenuto necessario discuterne in sede di CPN è perché credo che sia doveroso verificare quale sia l’orientamento del gruppo dirigente largo del partito e dell’organismo che statutariamente ha il compito di esprimere la linea politica tra un congresso e il successivo, dopo una frattura nel gruppo dirigente che ha visto l’ex-segretario e metà segreteria votare contro il documento politico. Non mi sembra che una cosa del genere possa rimanere senza una verifica tra di noi.
Il voto della direzione è in contrasto con un orientamento che questo Cpn aveva confermato anche nel documento approvato nell’ultima riunione del 15 e 16 ottobre. Vi leggo il passaggio:
“Avevamo avanzato con Luigi de Magistris la proposta, dopo la rottura del M5S col PD, di una coalizione popolare contro la guerra. Si-Verdi e M5S si sono assunti la responsabilità di non rispondere. Il rifiuto da parte di questi partiti ha impedito che si aprisse un confronto per costruire un polo di alternativa come in altri paesi. Riteniamo sbagliata la propensione di settori della sinistra a affidare nuovamente al M5S una funzione di supplenza o di rassegnarsi a un ruolo subalterno al PD ma non rifiutiamo a priori la possibilità che si riapra una interlocuzione e una collaborazione a partire dall’opposizione al governo Meloni.
Non pensiamo a Unione Popolare come un recinto autoreferenziale e settario. Il fatto che il recupero del M5S in versione “progressista” abbia chiuso lo spazio politico della nostra lista nel tempo brevissimo della campagna elettorale non implica dismettere un atteggiamento di confronto critico e dialettica unitaria.”
Nella direzione nazionale del 21 luglio avevamo approvato un documento che avanzava una proposta chiara su cui c’era stata larghissima convergenza:
“Poniamo apertamente alle formazioni che si dicono di sinistra e ambientaliste e si sono dichiarate all'opposizione del governo Draghi con quale credibilità ripropongano logiche di alleanza con un Partito Democratico che si presenta come il più coerente sostenitore dell'agenda Draghi. Lo stesso tema riguarda il Movimento 5 Stelle che si trova a un bivio dopo una legislatura che ha deluso le speranze di cambiamento e rottura che aveva rappresentato per milioni di persone.
Rifondazione Comunista mette a disposizione tutte le sue energie militanti per rendere possibile la costruzione di una coalizione di alternativa contro la guerra per un governo popolare con un programma sociale e ecologico, per la democrazia e l'attuazione della Costituzione.”
La frattura nell’ultima direzione ha probabilmente alla base qualcosa di più di un dissenso politico e attiene all’assetto dei gruppi dirigenti. Dato che mi riferisco a circostanze note a tutte le compagne e i compagni del CPN non mi dilungo. Per quanto mi riguarda non intendo confondere i piani e, in questa sede, ritengo che sia innanzitutto doveroso chiarirsi su qual è la linea che il partito democraticamente assume e articola in una fase certamente nuova come quella apertasi con la crisi del governo Draghi, la rottura tra M5S e PD, la vittoria della destra e la nascita del primo governo guidato da un’erede del partito di Almirante e Rauti.
Credo che dovremmo anche assumere il dato che la situazione che si è aperta è nuova e non basta reiterare le formule ma semmai metterle a verifica. Non è che il mondo intorno a noi cambia e noi stiamo fermi e non ce ne accorgiamo. Quindi è legittimo che si esprimano posizioni articolate, che ci siano dubbi, perplessità e anche divergenze.
Penso che sia utile che si superi una tendenza al conformismo nelle nostre fila o alla demonizzazione di posizioni che non possono essere liquidate con anatemi quando corrispondono a orientamenti assai diffusi. Se - per fare un esempio che riguarda questa tornata elettorale – dei compagni e delle compagne ritengono che sia meglio saltare il turno temendo di bruciare il progetto di UP in uno 0,… non si può tacciarli di alto tradimento. Tra l’altro non dovrebbero farlo quei dirigenti che hanno praticato questa scelta nelle loro regioni e nel proprio capoluogo negli ultimi anni e anche alle ultime elezioni amministrative.
Cambiano i contesti ed è giusto ragionare. Insomma il mio intento è quello di favorire una chiarificazione e un dibattito franco perché il partito dovrebbe essere un intellettuale collettivo e non c‘è qualcuno – un singolo o un gruppo - che ne è proprietario o ne incarna la salvezza (considerati anche i risultati dell’ultimo quindicennio direi che di Lenin non ne abbiamo).
Avendo sempre operato per l’unità del partito - non per buonismo ma perché la ritengo un prerequisito per recuperare efficacia nell’iniziativa politica e per rispetto di un corpo militante estenuato da 15 anni di sconfitte, defezioni e una storia ancor più lunga di esasperata conflittualità interna - ritengo indispensabile che sciogliamo questi nodi politici in un confronto trasparente nella sede idonea statutariamente che è questo CPN.
Il nostro giudizio sul governo
Partiamo dai punti su cui siamo spero d’accordo tutti.
Il giudizio negativo su questo governo: draghiano nelle impostazioni di politica economica e nella prosecuzione della guerra, e per questo molto impegnato in iniziative identitarie di destra per mantenere consenso e polarizzare l’opinione pubblica su un’agenda reazionaria: anticomunismo del ministro Valditara, di nuovo guerra a ong e migranti, decreto anti rave, di tutto di più. Anche una rarissima luce - come la nomina del nuovo capo del DOG che è un giurista democratico come mi hanno riferito Schiavon e Russo Spena – ma in un quadro complessivo più che negativo.
La manovra è da bocciare e va salutata la protesta dei sindacati di base e in questi giorni della CGIL. È un governo classista e reazionario. Lo si vede molto bene dai contenuti della manovra, non tanto per il condono delle cartelle fino a mille euro, che solitamente riguardano l’evasione per disperazione (direi che quello è semmai un segnale di attenzione ai problemi del lavoro autonomo) quanto per il taglio della tassazione sulle rendite da capitale dal 26 al 14% per cui chi guadagna con la borsa è meno tassato di chi va a lavorare grida vendetta. E’ un manifesto di classe. Come la reintroduzione di voucher e soprattutto l’odioso attacco al reddito di cittadinanza.
Certo la destra ha ottenuto degli insperati successi perché tra lo scandalo che ha travolto Aboubakar Sumahoro, la moglie e la suocera e poi quello del Qatargate possiamo dire che l’immagine dell’opposizione è a dir poco screditata. Si pensi solo la scoperta dei 600.000 euro in contanti a casa di Panzeri dopo due mesi di campagna del centrosinistra contro la soglia dei “60 euro sul contante”. La destra festeggia.
Da un lato queste vicende confermano la giustezza della linea di rigore e coerenza che abbiamo tenuto a prezzo di gravi sacrifici in questi anni ma gli effetti saranno di ulteriore spoliticizzazione e nel caso di Sumahoro anche di delegittimazione di chi come noi si batte per l’accoglienza degna e la solidarietà. Pensiamo solo al processo di Mimmo Lucano.
Credo che rimaniamo anche d’accordo sul giudizio critico nei confronti del PD, con o senza terzo polo, nel senso che non si vede alcuna sinistra che con determinazione persegua un cambiamento reale. Che il favorito alle primarie sia Bonaccini, la dice lunga sul fatto che il renzismo non era un incidente ma una versione maleducata di un’impostazione programmatica condivisa. La stessa candidatura di Elly Schlein non esprime una rottura programmatica forte quanto un cambio di narrativa. Finora non è riuscita a dire neanche no all’invio di armi.
Comunque, come avevamo preventivato, il finto terzo polo di Calenda e il PD non fanno certamente quell’opposizione da sinistra di cui ci sarebbe bisogno e anzi riescono anche a scavalcare a volte a destra il governo. Basti pensare in queste ore alla reiterazione della richiesta di utilizzare i fondi del MES.
L’inefficacia dell’opposizione parlamentare è palese nel momento in cui invece ci sarebbe bisogno di evidenziare come il governo non affronta le emergenze sociali (bassi salari – siamo gli unici nel G20 ad averli visti diminuire del 12% - carovita, sanità al collasso, il Mezzogiorno, solo per citarne alcuni) e lancia un’offensiva sul piano istituzionale con l’autonomia differenziata che sarebbe devastante per il sud ma non solo per il sud. Il PD che è stato complice e corresponsabile non ne fa una battaglia e giungono segnali inquietanti dal gruppo Calenda - Renzi, rispetto alla prospettata riforma presidenzialista.
In questo quadro il M5S è l’unico soggetto che riesce a occupare uno spazio di opposizione che appare (sottolineo appare) netta su questioni principali in agenda consolidando il risultato elettorale e il nuovo ruolo “progressista” che si è dato. Senza diventare un partito della sinistra radicale appare – anche e soprattutto per demerito degli altri – come la forza che contrasta la destra, difende i ceti popolari (vedi reddito di cittadinanza e nuovo rapporto con Cgil) e si oppone alla guerra. È di questi giorni il voto contro l’invio di armi che segue al ruolo svolto per determinare la convocazione della manifestazione del 5 novembre.
Il contesto in cui il governo Meloni si muove non è pacificato. La guerra continua, l’inflazione cresce, la crisi economica e sociale non può che aggravarsi se si considerano le scelte della BCE di alzare i tassi di interesse e la stessa manovra in corso di approvazione. Sappiamo però che il peggioramento della situazione economica non è automaticamente foriero di uno spostamento a sinistra del paese né dello sviluppo del conflitto sociale se non vi sono anche condizioni soggettive che intervengono. Questo per i classici era scontato ma a volte noi ci siamo illusi che ci sia un determinismo che purtroppo non c’è.
Ovviamente le condizioni soggettive non riguardano soltanto il livello politico.
Riguardano il livello sindacale - sul quale possiamo intervenire relativamente ma dovremmo fare molto di più, anche con più immaginazione - ma anche le soggettività politiche. I movimenti, l’associazionismo.
Ma tra le condizioni oggettive c’è anche il come si dispongono le soggettività politiche, quello che fanno, gli spazi che aprono.
Se non emerge forte e percepibile un altro punto di vista – di classe, popolare, ambientalista, di sinistra – su come affrontare i problemi del paese è difficile che il loro aggravarsi si trasformi in conflitto e azione collettiva o che si crei il clima per un’opposizione di massa.
Quale deve essere il ruolo di Rifondazione Comunista in questa fase?
Qui forse cominciano i dissensi.
Unione Popolare
Stiamo avviando un percorso che è solo ai primi passi, pieno di contraddizioni, problemi e limiti. Avevamo deciso di proseguire e mi pare che vada fatto e lo stiamo facendo. Ci sono stati delle difficoltà. L’unità è una fatica e ha i suoi tempi. Quelli del nostro dibattito interno e anche quelli degli altri. Abbiamo registrato nel coordinamento una spinta forte di de Magistris a strutturare Unione Popolare al più presto possibile, una posizione nostra più riflessiva ma positiva verso lo sviluppo di un processo, verso la partecipazione a partire dai coordinamenti territoriali, e una resistenza molto forte di Pap al riguardo. Per settimane hanno proposto che ci fosse solo un coordinamento nazionale. Erano inizialmente poco propensi anche all’allargamento del coordinamento a figure indipendenti, intellettuali, ecc. A poco a poco i problemi si superano, si fanno dei passi. La discussione sulle regionali ci ha anche distratto dal confronto sulla definizione organizzativa di UP. Le differenze si superano discutendo. Le diffidenze anche. Noi mi sembra che abbiamo sempre cercato di dare un contributo che è andato verso la risoluzione dei problemi e anche delle diffidenze.
Qual è il nostro ruolo dentro UP? Come stare dentro UP?
Diventare la fotocopia di Pap, essere subalterni a questa o alle altre componenti fondatrici, oppure portare le nostre idee di Partito della Rifondazione Comunista e della Sinistra Europea, la nostra cultura unitaria, la nostra attenzione alla complessità (per dirla con Lidia Menapace)?
Io penso che dobbiamo portare la complessità delle nostre culture, storie e pratiche (senza egemonismi naturalmente perché nessuno ha la verità in tasca).
Trovo sbagliato per esempio che si rinunci in partenza a proporre il nostro punto di vista perché altrimenti Pap rompe. C’è un’altra via: quella di avere delle idee e farle valere. Confrontarsi nel rispetto ovviamente degli altri interlocutori dentro UP. Ma senza rinunciare alla propria autonomia. Se noi pensiamo che ci sia bisogno di una coalizione più larga e efficace non dobbiamo rinunciare alla nostra posizione.
Noi non dobbiamo essere subalterni a nessuno. Né a Luigi de Magistris né a Pap, né a ManifestA e relazionarci con lealtà e spirito costruttivo. Non significa rompere, scontrarci, ma discutere, confrontarsi, convincere o essere convinti se gli altri hanno proposte migliori delle nostre. Dentro UP tutte le componenti sono importanti. A cominciare da Luigi de Magistris. Il suo ruolo si è dimostrato prezioso in questi mesi perché, nonostante UP non abbia fatto grandi progressi organizzativi o di iniziativa politica, ci ha garantito una visibilità e una tenuta che si nota anche nei sondaggi. La stessa Manifesta anche se rappresenta un numero di persone molto ristretto è un’esperienza molto preziosa e originale di fuoriuscita verso sinistra dal M5S.
Siamo ancora d’accordo con l’ispirazione iniziale del progetto che avevamo concordato e su cui abbiamo fatto la campagna elettorale in condizioni difficilissime? Non parlavamo di un progetto aperto capace di intercettare anche aree più larghe di quelle già organizzate in Rifondazione o Pap? Manteniamo questa impostazione o pensiamo che Unione Popolare debba essere un’aggregazione, un intergruppo, un coordinamento della sinistra anticapitalista che già c’è?
Riteniamo fondamentale non disperdere quell’area di intellettuali e attivisti che si sono aggregati e spesi per il progetto?
Pensiamo che UP non debba presentarsi solo come aggregazione della sinistra anticapitalista ma anche come proposta alternativa di governo del paese? Come hanno fatto i nostri compagni in quasi tutti i paesi. Ultimamente citiamo Podemos o Melenchon ma è quello che fece anche Syriza. Presentarci non come quelli che lottano per il 3% ma come quelli che propongono un’alternativa popolare per il paese.
Per fare qualche esempio sulle differenze con altre componenti: tra gli interlocutori di UP ci deve essere solo una organizzazione del sindacalismo di base che pure apprezziamo o c’è bisogno di un’interlocuzione con tutti i mondi della sinistra sociale, compresi Cgil, ANPI, Arci senza rinchiudersi in maniera settaria? Ci sono delle differenze di storia e attitudine che vanno rispettate e sono anche una ricchezza, ma non bisogna rinunciare alla nostra autonomia. Che non significa pretendere sempre di avere ragione. Le esperienze unitarie di solito con pazienza modificano tutti i soggetti coinvolti e possono trovare sintesi più avanzate delle posizioni di partenza. L’esperienza della grande manifestazione per il cessate il fuoco del 5 novembre dimostra che l’unità dentro UP si può costruire confrontandosi con rispetto delle posizioni altrui (che di solito hanno qualche fondamento e nascono da sentimenti che sono anche nostri) arrivando a scelte unitarie. Non era scontato che tutta UP decidesse di esserci, visto il ruolo della Cgil nella convocazione. Ma è successo perché tutte/i si è dato priorità alla lotta per la pace e all’allargamento del fronte pacifista.
La questione M5S
Ma veniamo al punto che ci ha divisi: il che fare nel quadro apertosi con la crisi del governo Draghi e le elezioni. E come relazionarci, noi e UP, rispetto al M5S che è diventato la soggettività politica che non solo occupa lo spazio della sinistra ma ormai si qualifica apertamente come forza “progressista”.
Innanzitutto evitiamo equivoci. E’ sbagliato pensare che il M5S sia diventato un partito della sinistra radicale. Se lo diventasse ne prenderei atto positivamente. Ma evidentemente ha un’altra genesi, non ne ha la cultura anche se molte persone di sinistra radicale e anche molti che si dicono comunisti vi aderiscono e soprattutto lo votano. Se anche compagne e compagni di Rifondazione Comunista, hanno, alle elezioni politiche, scelto di votare M5S, temendo che il voto a noi fosse sprecato, è o non è un problema? Il M5S non sarà mai un partito di classe, ha un impianto interclassista, ma ha raccolto un consenso larghissimo delle classi popolari, e anche nelle aree di movimento e della sinistra.
Noi nell’ultimo congresso abbiamo parlato di costruire da un lato un’aggregazione, una soggettività politica unitaria – e questo è il ruolo di Unione Popolare più larga almeno potenzialmente – e dall’altro di costruire uno schieramento.
In estate abbiamo lanciato la proposta di costruire una coalizione popolare e contro la guerra. Pareva che almeno in direzione e nel Cpn fossimo d’accordo. Non c’è stata risposta e non avevamo neanche il tempo per insistere dato che dovevamo raccogliere le firme.
Quella idea rimane? La condividiamo ancora? La pratichiamo laddove è possibile? Nell’immediato quando se ne offre l’occasione – come alle elezioni regionali e comunali – ci proviamo?
La proponiamo al paese? Ne facciamo oggetto di battaglia politica?
Io credo che dobbiamo farlo e non solo per mere ragioni elettorali che comunque non vanno sottovalutate: solo chi parla per slogan può liquidarle come politicismo.
Siamo o no schiacciati da anni dal voto utile e dal fatto che elettrici/elettori, che pur condividono le nostre idee o simpatizzano per noi, non ci votano perché pensano che isolati non ce la faremo o non avremo la forza per incidere?
Non è stato il principale problema anche alle ultime elezioni politiche?
Tutti noi abbiamo fatto per anni scelte difficili di rottura che abbiamo ritenute necessarie per costruire una sinistra di alternativa. E certo non sarò io a proporre di rimangiarcele. Proposi di togliere la fiducia al governo Prodi bis e trovo surreale che ci sia chi mette in giro su qualche chat che il segretario voleva fare accordi con il PD in Lombardia. Roba da collegio di garanzia! Le nostre scelte erano e sono motivate dalla necessità di segnare una netta linea di dissenso e opposizione rispetto a quella che i media continuano a presentare come “la sinistra” con le sue scelte di guerra e neoliberiste. Aggiungerei anche con sistemi di potere fortemente segnati dalla questione morale. Il Qatargate ricorda che rimane una questione centrale.
Ma credo che abbiamo il dovere di perseguire l’unità quando vi sono le condizioni programmatiche per costruirla almeno per un tratto anche con forze che hanno caratteristiche diverse dalle nostre.
Una linea settaria è cosa diversa dall’essere radicali e coerenti. Da Marx a Lenin a Trotsky a Mao a Gramsci a Togliatti a Fidel Castro e Ho Chi Min, la storia comunista migliore èsi è sempre posta il tema nei differenti contesti della ricerca dell’unità su obiettivi di fase o programmatici specifici tenendo conto della correlazione di forze.
Non vorrei mettermi a fare citazioni o a ricostruire passaggi storici ma forse dovremmo fare qualche esercizio di memoria delle comuniste e dei comunisti perché tramandare la precedente esperienza del movimento, scriveva Rosa Luxemburg, serve a evitare di ripetere errori. Non cito Togliatti perché mi danno poi del destro, ma andrebbe riletto Trotsky degli anni ‘30 per il fronte unico in Germania contro il “socialfascismo”. Ne scriverò. Lenin esigeva che si sfruttasse ogni minima “possibilità di guadagnarsi un alleato numericamente forte, sia pure temporaneo, incostante, infido, condizionale. Chi non ha capito questo non ha capito un acca né del marxismo, né del moderno socialismo scientifico in generale”.
Ma senza importunare i classici basti pensare agli schieramenti popolari in America Latina.
Se è possibile non essere soli e costruire uno schieramento molto più forte su punti programmatici qualificanti in alternativa ai poli esistenti non facciamo semplicemente il nostro dovere?
E questo non rende Rifondazione Comunista e Unione Popolare anche più attrattive per tante/i che non ci hanno votato ma che comunque cercano un’alternativa che possa incidere o almeno provarci?
E non è nostro dovere di comuniste/i proporre che si costruisca un fronte pacifista in alternativa al governo, al PD e al terzo polo che continuano sulla strada della guerra?
Questo ci renderebbe meno capaci di comunicare con i settori popolari, con le giovani generazioni, con i movimenti, con le classi lavoratrici? Io non credo.
Comprendo che ci sia sempre la paura di cadere nell’opportunismo, però che Lenin indicava anche il rischio di incorrere nella deviazione opposta. Ma credo che noi come Rifondazione siamo stati al massimo efficaci quando siamo stati radicali senza essere settari e lo siamo stati essendo corsari, per dirla con Pasolini.
Chi parla non crede nelle soluzioni magiche ed è convinto della centralità della lotta sociale e anche delle pratiche conflittuali e mutualistiche. Ho dedicato gran parte del tempo della mia vita a organizzare lotte, movimenti, esperienze di autorganizzazione sociale e culturale.
Ma è evidente che in un paese in cui la sinistra radicale è quasi invisibile alle grandi masse Unione Popolare e Rifondazione abbiano anche il dovere da un punto di vista di classe di rendersi visibili con le proprie posizioni nella dialettica di un campo politico-mediatico che - ci piaccia o no – esiste. Diceva Abbie Hoffman che non è molto marxista un marxista che non tenga conto del ruolo della televisione e dei media. E lo faceva nel 1967. Ora la comunicazione è molto più diversificata grazie ai social ma quasi sempre anche lì si discute sulla base della polarizzazione dei media mainstream. La comunicazione è un terreno su cui formano le opinioni di milioni di persone. E noi militanti, di Rifondazione o di UP, siamo troppo pochi per incrociarli per strada con un volantino.
La sola prefigurazione di una coalizione tra noi e il M5S non susciterebbe un’attenzione polemica dei media e degli avversari di Conte che ci darebbe una visibilità che non abbiamo da qualche lustro?
Lo domando perché sembra tra di noi che ragionare di queste cose sia politicismo.
E’ politicismo ragionare sulla correlazione di forze come ci insegnano in America Latina dove si sperimentano fronti che di solito apprezziamo? E’ politicismo cercare di entrare nelle contraddizioni?
Immaginiamo solo la fenomenologia dei territori, i tanti comuni in cui compagne e compagni sono talmente demotivati dalle sconfitte che a volte neanche si presentano alle elezioni. Persino in capoluoghi. Spesso non c’è neanche più una presenza organizzata nostra e non solo nostra ma della sinistra in generale.
Se in un comune il M5S si coalizza con noi è la stessa cosa o siamo più forti e credibili? E magari anche più rimotivate/i? A Carrara abbiamo fatto una coalizione con M5S con una compagna bravissima proposta da Rifondazione come candidata sindaca che è stata eletta. I compagni di Rifondazione mi sembravano contenti di poter avere un impatto, ragionavano della possibilità di andare al ballottaggio.
E questo non apre contraddizioni nei livelli territoriali di altri partiti di sinistra che potrebbero essere incoraggiati a non seguire la linea nazionale e a fare coalizione con noi?
Chiedo: in Lombardia dove tutti – persino Pap – abbiamo convenuto che sarebbe stata auspicabile una coalizione con M5S, se fosse stata possibile non ci avrebbe evitato la situazione difficile in cui ci troviamo con pezzi consistenti della nostra area che vogliono fare una lista civica in coalizione con Majorino e altri che non credono che sia il caso di prendere lo 0,…e quindi propongono di saltare il giro?
Non è ormai diventato normalità che settori della sinistra, dei movimenti, dei comitati che sui contenuti la pensano come noi finiscono con fiancheggiare o entrare nelle coalizioni imperniate sul PD semplicemente perché avvertono il bisogno di uno spazio istituzionale che pensano autonomamente di non avere?
Abbiamo contrastato queste tendenze e dovremo continuare a farlo, ma determinare condizioni più favorevoli non aiuterebbe?
Ho ascoltato una strana teoria che non mi convince nell’ultima direzione: verifichiamo se è possibile fare accordi ma non scriviamolo perché se ci dicono di no sembriamo quelli che vanno col cappello in mano. Mi pare che altri hanno passato.
Io trovo questa teoria scarsamente politica. Ho la tentazione di citare di nuovo i classici. Mi limito a dire che neanche Trotsky credo che la condividerebbe. Negli anni ‘30 spiegava che bisognava proporre il fronte unico contro Hitler ai dirigenti socialdemocratici tedeschi per parlare agli operai socialdemocratici. Non credo che l’organizzatore dell’Armata Rossa fosse un politicista. Semplicemente si poneva il tema di come si fa una politica di classe.
È evidente che, ad ogni livello vadano verificate le disponibilità degli interlocutori e le eventuali convergenze programmatiche. Ma la politica di massa si fa parlando – o almeno provandoci – a parlare alle masse.
Nel momento in cui noi proponiamo ad altre forze di unirsi per costruire un’alternativa è evidente che non parliamo mica solo ai dirigenti ma alle persone che li votano o alla loro base organizzata. E anche a quelli indecisi tra noi e loro. O almeno ai nostri che li votano. Quando proponiamo di unire la sinistra in alternativa alla guerra e al neoliberismo noi esercitiamo di fatto una critica alla linea di Fratoianni o di Bonelli. Vale lo stesso per il M5S.
Si può ovviamente in qualche circostanza decidere di non fare un’offensiva pubblica per ragioni che dei dirigenti politici valutano opportune, ma certo non si può evitare di scrivere la propria proposta politica nei documenti, perché altrimenti non c’è poi neanche la linea e la legittimazione a perseguirla. Ed è quello che è accaduto nell’ultima direzione.
Mi si obietta: ma il M5S non ci vuole. Preferisce una sinistra come quella che sta aggregando Fassina che propone di riequilibrare i rapporti e tornare ad allearsi col PD.
D’accordo: il loro progetto non è il nostro. Ma siete sicuri che lo si fronteggia rifiutando il confronto? Oppure – visto che prendono un voto che si pensa di rottura – possiamo far leva sulla contraddizione? La realtà è che in vari comuni in giro per l’Italia l’alleanza tra noi e il M5S si è determinata per la sintonia sui programmi e le battaglie con noi. Non si tratta di esperienze positive?
Non si tratta di avere una linea rinunciataria anzi. Unione Popolare deve essere l’aggregazione più combattiva, militante, coerente, radicale, radicata nelle lotte e nei movimenti. Ma anche quella che propone una prospettiva diversa dalla riedizione del centrosinistra con Bonaccini al posto di Letta.
Non ci si riesce? Magari sarà possibile praticare il terreno unitario solo in qualche regione o comune ma sarà un esempio utile anche per criticare domani un M5S che si rimangiasse di nuovo le posizioni che sta assumendo oggi.
Dietro alla debolezza che dura da anni nostra ma anche del complesso della sinistra di classe, e anche al sempre più debole conflitto sociale e alla ridottissima capacità di mobilitazione, non pesa un senso di sfiducia, rassegnazione, frustrazione, delusione, la sensazione che non sia possibile cambiare le cose?
Ebbene proporre o almeno prefigurare un fronte più largo, certo spurio – ma non era Lenin che invitava i massimalisti italiani a non farsi scappare gli ex combattenti che seguivano D’Annunzio, i bordighiani a stare negli arditi e a insegnare che le rivoluzioni non si presentano mai in forma pura? – non è un elemento che rimotiva alla partecipazione? Non solo al voto ma anche alla militanza, alla lotta, all’azione collettiva?
Ma se lo proponiamo poi la gente di sinistra vota M5S? L’obiezione mi sembra poco fondata, dato che mi sembra lo facciano a prescindere da quel che diciamo noi.
Ma prefigurare uno schieramento più largo significa rinunciare alla critica? Non credo. Anzi. Penso che vada esercitata. Per esempio noi siamo garantisti e loro no. E sull’immigrazione anche se Conte ha fatto autocritica deve farne ancora molta di strada. Noi siamo anticapitalisti, loro no. Potrei fare un elenco più lungo. Però, onestà intellettuale vuole, che si colgano anche gli aspetti positivi che non a caso vengono apprezzati anche da chi ci votava con convinzione. Per esempio il voto contro l’invio delle armi.
Su questo abbiamo una posizione diversa da Pap? Ne discuteremo in UP.
Faccio un esempio che illumina le attitudini differenti tra noi e Pap. Nel mese di giugno fui invitato a un confronto tra i partiti organizzato da Landini. La posizione di Pap era che io non ci dovessi andare perché noi di UP, che non c’era ancora, saremmo stati confusi con i partiti di governo del centrosinistra draghiano. Io naturalmente ci andai dopo aver risposto a Pap cordialmente che, prendevo atto della loro posizione, ma che ero stato invitato come segretario di Rifondazione. Partecipai, fui credo il più applaudito dai delegati e – tra l’altro – attaccai pesantemente Conte sui decreti sicurezza. Un giornale scrisse che l’outsider era quello che aveva ricevuto più applausi. Mi sembra che questo debba essere il nostro stile.
Pap ha posizioni diverse da noi sul rapporto da tenersi con Cgil, ANPI. Forse il problema è che certe attitudini ci sono anche tra di noi. Nel rapporto con una grande organizzazione di massa come l’Anpi i problemi li ho avuti nel partito. C’era qui dentro chi sosteneva che dovevo ritirare la firma da un appello sacrosanto perché era sottoscritto anche dal PD, cosa piuttosto naturale trattandosi dell’ANPI. Al contrario di chi come il PCI fece questa scelta, a mio parere sbagliatissima, noi siamo rimasti in una relazione positiva con l’Anpi che è un luogo unitario antifascista. Dal palco del congresso nazionale a nome di ho attaccato il PD e la Nato sulla guerra con grande consenso della platea della più grande organizzazione antifascista del nostro paese. E la posizione assunta dall’ANPI non ha dimostrato che sarebbe oltremodo settario considerarla un’appendice del centrosinistra?
Ripeto: avere una posizione nostra rischia di rompere UP? Non credo. E’ stata la posizione che ho sentito nel Lazio. La scorsa estate noi e Luigi de Magistris abbiamo sostenuto anche pubblicamente una linea di apertura che Potere al Popolo e ManifestA non sostenevano. Non mi pare che questo abbia prodotto lacerazioni ma discussione. Tra l’altro segnalo che rotture possono venire anche da altri soggetti se si impone un atteggiamento unilaterale.
Il tema non è rompere Unione Popolare. Avendo lavorato per costruirla vorrei evitarlo. Ma nelle riunioni di Unione Popolare dobbiamo andare con una linea, una nostra, unitaria proposta politica o no?
Senza chiarire questo punto – che ha preso uno spazio spropositato rispetto a una relazione che sarebbe stata incentrata su altro – non è possibile esprimere una direzione politica nei prossimi mesi.
Qui non stiamo discutendo solo di cosa fare nel Lazio o in Lombardia. Anche perché in queste due regioni il grosso è ormai fatto ma del profilo del partito. Il partito ha discusso, anche con sofferenza, ha preso i suoi tempi, il percorso democratico interno dei regionali con una dialettica fisiologica sul “che fare”. C’è una preoccupazione sulla raccolta firme considerate le temperature invernali, spero che le compagne e i compagni facciano di nuovo il miracolo. Già mi aspetto che qualcuno dica di essere arrivato in ritardo a causa del segretario nazionale che avrebbe rallentato nel tentativo fallito di costruire uno schieramento unitario e, anzi, sussumendo l’autonomia degli organismi preposti. Ma non mi risulta di aver interferito con i comitati regionali e che le richieste di discutere siano venute dal loro interno. Certo ci sono stati e ci sono problemi dentro Unione Popolare dove il portavoce ha legittimamente espresso forti perplessità sia su una scelta isolazionista nel Lazio, sia sul rischio di una presentazione senza spazio politico in Lombardia. Dubbi leciti che sono stati espressi anche dentro il partito. La preoccupazione di fare un pessimo risultato che potrebbe avere un effetto negativo sull’ulteriore sviluppo del progetto di UP è legittima. D’altronde è quella che ebbero gli attuali esponenti di Pap quando posero 5 anni fa il veto alle precedenti regionali lombarde all’uso del simbolo perché dicevano che bisognava preservarlo non essendo pronti.
I nostri CPR hanno assunto decisioni e procediamo. Auguri di buon lavoro alle compagne Rosa Rinaldi e Mara Ghidorzi. Segnalo che domattina sarei contentissimo se domani ci fosse uno schieramento più largo. La vedo difficile.
Ringrazio il comitato regionale del Lazio che col suo dibattito interno ha imposto di verificare anche se molto tardivamente se vi erano le condizioni per una coalizione che non è stata nemmeno tentata prima, perché la segreteria regionale partiva dalla condivisione della linea di Pap. Una linea che non mi convince, che contrasta con quella a suo tempo assunta dal partito e che non tiene conto di quello che è accaduto in questi mesi. Dire no a priori semplicemente perché il M5S è stato negli ultimi due anni nella giunta Zingaretti mi sembra sbagliato visto che quella giunta è nata in parallelo al Conte 2 in un altro contesto politico. Conte ha di fatto commissariato il partito nel Lazio, gli uscenti che volevano continuare col PD non saranno nemmeno ricandidati per la regola dei due mandati.
Quello che dovrebbe contare è che il posizionarsi in alternativa del M5S ha già prodotto la rottura tra Verdi e SI con i primi che vanno col PD e i secondi che hanno votato – nonostante la linea nazionale – di partecipare a una coalizione alternativa. E soprattutto che su punti programmatici comprensibili a livello di massa, a partire dal no all’inceneritore, il M5S sarà in campagna coprendo il nostro spazio politico.
Sarà facile spiegare che non ci alleiamo a priori neanche con chi rompe col PD? Io non credo. Tra l’altro mi sembra sbagliato lanciare il messaggio implicito a quelli di SI che scelgono una linea diversa da quella nazionale di Fratoianni che a noi non ce ne frega.
C’è una cosa ovviamente che non può accadere e non è accettabile - fatta salva la verifica programmatica - che dal M5S o da altri ci si chiedano cose che non sono nella loro disponibilità. Se pongono come hanno fatto da ultimo – probabilmente per non indebolire la lista promossa da Fassina – che UP rinunci a presentare il suo simbolo si deve rispondere con un netto rifiuto. Perché su cosa fa UP decidono le compagne e i compagni che hanno dato vita ad UP. E questo è stato risposto da noi al M5S.
Il tema vero – oltre i casi specifici - è esprimere un orientamento.
E’ il caso di esprimere un orientamento politico che il partito porti avanti - sempre nel rispetto dell’autonomia dei territori – e che consenta a chi deve rappresentarci nei tavoli con UP o deve relazionarsi con altre forze politiche di avere la legittimità di poterlo fare.
Vorrei essere chiaro: non si tratta di fare alcun cedimento rispetto al nostro programma e alla nostra coerenza ma di provare a verificare se si apre uno spazio politico a seguito della spaccatura del “campo largo”. Lo ritengo un’opportunità e un dovere.
Non mi convince l’idea che basti solo la manutenzione organizzativa pur fondamentale. Le difficoltà nel tesseramento, la rarefazione della nostra presenza nei territori, la nostra scarsa visibilità, l’abbandono della militanza non sono anche conseguenza delle sconfitte elettorali? Per affrontare la drammaticità della nostra situazione economica senza 2x1000 e detrazioni serve anche creare un clima che rimotivi le/i compagni all’impegno e ricostruire intorno a noi un’area di simpatia diffusa? A proposito anche l’attività di autofinanziamento è in ritardo e spero che non si attribuisca la responsabilità al segretario!
Rifondazione Comunista deve essere percepita come uno strumento utile per la lotta, per il mutualismo (stamattina causa Cpn non posso andare nella mia federazione ad aiutare a scaricare le arance), ma anche per uscire dalla drammatica situazione che vede la scomparsa della sinistra sul terreno della rappresentanza. Nel diffuso affidamento, spesso acritico, al M5S c’è anche la disperazione nel non riuscire a vedere una forza coerentemente di sinistra in campo. Ed è nostro dovere provare a ricostruirla.
Non credo che basti puntare sulla purezza e sull’isolamento. Le persone chiedono anche forza e questa domanda viene spesso da anni strumentalizzata da politicanti e opportunisti o da formazioni politiche che poi la usano per fini opposti. Si pensi a quante porcherie ha fatto il centrosinistra grazie al voto utile. Ma anche il M5S.
Però noi il tema dell’efficacia e della forza perlomeno della nostra resistenza controcorrente ce lo dobbiamo porre.
E non possiamo scambiare la eroica bolla di un’area militante sempre più ristretta, con il paese, con i milioni che neanche sanno che esistiamo ancora e che i comunisti e la sinistra non sono quelli del PD. Proprio perché da anni andiamo controcorrente dovremmo cercare di non farci isolare quando si possono aprire spazi di iniziativa.
Avrei dovuto dire molto di più su crisi, pratiche e conflitto dentro l'analisi della fase e dell'attacco del capitale. Bisogna però avere la consapevolezza che non è solo con le pratiche sociali, che purtroppo non siamo in grado di sviluppare su una scala sufficiente, o con una miriade di vertenze localizzate e frammentate che si cambiano i rapporti di forza. So di correre il rischio di essere accusato di politicismo, ma penso con Gramsci che bisogna agire tenendo conto della complessità dell'intreccio di struttura e sovrastruttura e di un campo politico ha una sua autonomia che non ha inventato Tronti ma casomai Lenin. E’ evidente che la relazione è sbilanciata su un punto, ma non è necessario ripetere cose su cui siamo d’accordo e che semmai meritano discussioni più approfondite della ripetizione liturgica di discorsi volontaristici.
Io spero che riusciremo a liberarci con un referendum del bipolarismo maggioritario. Penso che dobbiamo provarci comunque a essere protagonisti come Rifondazione e come Unione Popolare di una stagione di riscossa e di ricostruire sui territori una diffusa presenza rimotivando all’impegno e alla lotta.
IN OGNI PASSAGGIO STORICO i comunisti coniugando sociale e politico sono usciti dalla minorità indicando una prospettiva politica tenendo conto dei rapporti di forza e degli obiettivi di fase.
L’Italia ha bisogno di una sinistra popolare forte e di rompere la polarizzazione tra forze schierate comunque con la Nato e il neoliberismo.
Siamo piccoli, quasi irrilevanti, ma possiamo ancora esercitare un ruolo fondamentale e spero che la discussione ci aiuti a farlo in maniera costruttiva ma chiara.