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CPN 17-18 dicembre 2022
Rino Malinconico
L’ampia relazione del segretario ha ricapitolato la nostra cultura, oltre che la linea congressuale e le scelte che abbiamo fatto in questi mesi, dando vita a Unione Popolare e a un insieme di iniziative su pace, lavoro, diritti, solidarietà, ambiente. E mi meraviglierei molto se non ci fosse una larga condivisione su questa obiettiva ricapitolazione dei contenuti della linea congressuale e delle nostre scelte. Mi ha anche colpito un passaggio, a proposito delle elezioni, che reputo del tutto ragionevole, e che però finora non era stato enunciato con la stessa laica chiarezza: e cioè che di fronte alla chiara prospettiva dello 0, diviene legittimo anche discutere della possibilità di saltare il giro elettorale.
A me non pare utile, infatti, una lista di semplice testimonianza, una lista che non abbia possibilità non dico di eleggere, ma neppure di conseguire un risultato decente.
Lo 0, - lo sappiamo per esperienza - non lascia affatto le cose come sono. Ha un effetto devastante. E questo dobbiamo metterlo in conto. Nel prossimo febbraio, quando in Lombardia e Lazio sarà chiamato alle urne 1/4 del corpo elettorale italiano, potrebbe anche determinarsi un esito pesantemente negativo. Noi speriamo di no, e faremo tutto il possibile perché non accada; ma se succedesse, dobbiamo pur sapere che sarà difficile cavarcela come abbiamo fatto col risultato del settembre scorso, e cioè dicendo che non c’è stato il tempo per farci riconoscere...
Voglio tuttavia dire che ho colto, in diversi interventi, anche una logica, sicuramente inconsapevole, di potenziale disinteresse per i risultati elettorali. In sostanza, una logica incline alla sufficienza amarognola con la quale la volpe, nella nota favola di Fedro, guardava all'uva che non riusciva a prendere. Andandosene, la volpe diceva a se stessa: “tanto non è ancora matura e non è il caso di darsi da fare”. Il fatto che si possa anche dire “passo” quando si profila lo 0, non va mai vissuto come una furba scappatoia. Va invece compreso e discusso per quello che vale effettivamente: e cioè con la consapevolezza che anche la non-presentazione, nelle attuali condizioni, rimane una sconfitta. Ci evita, magari, la devastazione dello 0, ; ma segna comunque una sconfitta.
E ciò proprio perché la caratterizzazione della nostra soggettività politica è, sì, di puntare alle mobilitazioni sociali e alle dinamiche del conflitto - e anzi noi tendiamo soprattutto a costruire autorganizzazione e contrapposizione sociale allo stato di cose presenti; e però non ci possiamo raccontare che le elezioni non abbiano importanza nei paesi a capitalismo maturo organizzati col principio della rappresentanza. D’altronde, noi la politica non la viviamo alla maniera dei piccoli gruppi tardo-bordighisti, per i quali le elezioni sono strutturalmente inavvicinabili per i rivoluzionari, o alla maniera dei piccoli gruppi tardo-trozkisti, che le concepiscono semplicemente come campagne di propaganda.
Viceversa, sappiamo bene che gli appuntamenti elettorali, pur se viziati da corposi elementi di distorsione antidemocratica e da dinamiche di intensa alienazione culturale, restano sempre un momento fondamentale di relazione con l’insieme della società, e soprattutto con ciò che ci interessa dentro l'insieme della società: e cioè il proletariato e i gruppi sociali con i quali vogliamo interloquire per far avanzare l'alternativa dell’uguaglianza e della libertà reale.
Ovviamente, si potrebbe anche scegliere la via del boicottaggio attivo - attivo e effettivo vorrei chiarire. E in determinate circostanze può essere persino utile farlo. A me è successo di costruirla una campagna di boicottaggio attivo. La lanciammo ad Acerra, un grosso centro vicino Napoli, all’inizio degli anni ’80, ed ebbe un vero riscontro di massa, con l’annullamento di migliaia di schede su cui era incollato un bollino con la scritta “il nostro voto è la lotta”. Ma quello era appunto un boicottaggio attivo delle elezioni, non una loro sottovalutazione.
Siamo ora, ovviamente, in tutt’altra fase, ma dobbiamo riuscire a far vivere anche in Unione popolare il principio elementare che la questione delle elezioni va affrontata tenendo conto del sistema elettorale, del contesto reale e degli spazi effettivi. Più in generale, dovremmo ingaggiare una fraterna battaglia di egemonia culturale: perché alcune delle forze promotrici non hanno esattamente la nostra attitudine all’apertura e alla mobilitazione larga delle forze, e si pongono spesso in modi respingenti verso chi, diverso da noi, comunque prova a muoversi, con contraddizioni e inconseguenze, contro l’attuale stato delle cose.