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CPN 15-16 ottobre 2022

Stefano Alberione

Il problema è che ha vinto una destra sociale, quella più a lungo confinata nei sottoscala della Repubblica ed in una posizione marginale persino dentro il blocco conservatore.

Il punto è che una destra sociale non si sconfigge opponendole una sinistra liberaldemocratica, puramente caratterizzantesi a difesa dei diritti civili e della loro espansione.

Non basta perché questa destra si rivolge al nostro mondo e ne recluta una parte. Promette sostegno a ceti poveri ed impoveriti in uno scambio tra paura e protezione sociale.
La cultura liberale possiede argomenti assolutamente inadeguati nel saper soddisfare una richiesta di sicurezza per chi è colpito nei bisogni materiali: il cibo, la casa, il lavoro, il reddito, la salute, l’istruzione; insomma le basi stesse della dignità umana.

La sinistra ha perso qui, non il 25 settembre.

Cinque milioni di lavoratori e lavoratrici poveri e povere (cioè che pur lavorando sono sotto la soglia di povertà), l’80% dei nuovi contratti precari, 3 milioni di precari e precarie in più, unico paese europeo in cui i salari reali sono diminuiti: è questa la materialità della sconfitta della classe lavoratrice. Il sistema elettorale, gli assetti istituzionali, la costituzione materiale del Paese e i diversi ed ormai molteplici risultati elettorali negativi dei comunisti non sono che epifenomeni variamente declinati di questa materialità della sconfitta. Dobbiamo ancora lavorare molto su noi stessi per renderci pienamente consapevoli di ciò, impedendoci di cannibalizzarci imputandoci reciprocamente di volta in volta errori, insufficienze, incapacità ecc., presenti mai però determinanti nel quadro descritto.

Non sappiamo se questa destra al Governo del Paese vorrà fingersi moderata, ma è dal giudizio di cosa essa è che si deve fondare la nostra opposizione, rigorosa ma non parolaia, che non tollera soluzioni minimali.

Le nostre decisioni, l’identità, le alleanze cioè la nostra linea politica, devono dipendere da questa premessa: se siamo convinti di interpretare una sinistra piantata nei conflitti che sono aperti o che si apriranno in questo Paese, senza la quale nessuna difesa e lotta per i diritti civili saprà arginare questa destra sociale. Solo il conflitto potrà impedire che questa destra riesca a trasformare il consenso elettorale d’oggi in un blocco sociale coeso di domani, difficile da smontare. Per questo dobbiamo essere prioritariamente agenti della promozione e nell’organizzazione del conflitto.

Il tema è come fare tornare la politica da strumento regressivo per larghe masse popolari che ne hanno subito l’azione a strumento affidabile per migliorare la loro condizione, cioè strumento di una emancipazione collettiva nel segno della giustizia sociale.

Dobbiamo fare del nostro Partito, che vogliamo adeguatamente riorganizzare, e del più ampio spazio politico rappresentato da Unione Popolare che vogliamo consolidare, oltre la recente esperienza elettorale, lavorando alacremente al suo allargamento, le leve di una politica radicale, radicata, popolare a partire da quelle parole d’ordine che identificano una sinistra: pace, disarmo, internazionalismo. Dobbiamo dare a Unione Popolare gambe, un’organizzazione minima, nazionale e territoriale, un metodo decisionale per consenso, la funzione delegata a livello per lo meno elettorale.

E’ stato posto il problema della necessità di rinnovare la classe dirigente di questo nostro piccolo partito, ma non banalizziamone la natura riducendola a scorciatoie: come si forma una classe dirigente di un’organizzazione comunista nella latenza ultra decennale del conflitto sociale, come la si seleziona, come la si attrezza, come la si legittima nei confronti dell’intero corpo del Partito, non per filiere di appartenenza ma con modalità democratiche per quanto possibile condivise. Perché i tempi e i modi non devono rispondere ad esigenze organizzativistiche ma a una cultura politica che si fonda sulle ragioni dello stare insieme.

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