TESI 16 ALTERNATIVA La storia controfattuale non è una elucubrazione costruita in tempi e in base a esperienze successive. Deve essere applicata alla situazione cui si dedica, sulla base di idee già allora presenti, tanto da poter ipotizzare una possibilità che non si è realizzata ma poteva realizzarsi. È legittimo tornare a chiedersi: esisteva qualche possibilità che, ancora negli anni Ottanta, il Pci non finisse in un collasso? Aveva ancora un patrimonio culturale non utilizzato, ma ormai utilizzabile, cui ricorrere (mi riferisco in questo caso al “genoma Gramsci”)? Ed erano mature contraddizioni o forze nella realtà su cui far leva per avviare una rifondazione comunista anziché una liquidazione (mi riferisco alla globalizzazione neoliberista già in atto)? A me pare di sì. (Lucio Magri) Domande dal presente a cento anni dalla fondazione del Pcdi Questo è un anno di anniversari importanti: cento anni di storia delle
comuniste e dei comunisti in Italia, settanta anni di Pcdi-Pci, trenta
anni di Rifondazione comunista. Per una rifondazione continua, per dare
“un senso a questa storia” oggi, poniamo ad essa domande dal presente.
Si sa, d’altro canto, quanto fosse importante la tradizione di studi,
riletture, elaborazioni, svolte prodotte dal Pci e dall’Istituto Gramsci
proprio in occasione degli anniversari. Porre domande dal presente è
anche il modo più efficace che abbiamo per sottrarre quella storia allo
scempio revisionista portato avanti dalla ideologia dominante: dalla
“maledizione del ‘21” di cui parla Ezio Mauro – che di fatto assegna
alla scissione di Livorno la responsabilità di non aver contrastato
il fascismo – alla equiparazione tra nazismo e comunismo portata avanti
dalla risoluzione del 2019 del Parlamento europeo. Senza la scissione
promossa da Bordiga nel 1921 non ci sarebbe stata l’irruzione di un’idea
e un di un soggetto di classe organizzato nella storia d’Italia, non
avrebbe avuto luogo quello “spirito di scissione” dei gruppi subalterni,
la soggettivazione autonoma della classe per sé: l’antitesi teorica
e politica non avrebbe avuto una dimensione di massa nella storia di
questo paese. È fondamentale interrogare non solo la storia del Pci, ma anche del Prc dalla prospettiva controfattuale proposta da Lucio Magri: fare la storia “con i se” serve a comprendere la portate e le conseguenze delle scelte di un soggetto collettivo. Serve al Prc non solo per tracciare un bilancio politico, ma anche per comprendere perché oggi la rifondazione comunista non riesce a “farsi storia” a livello di massa, a divenire movimento reale trasformativo. Una delle questioni su cui Gramsci riflette nei Quaderni, elaborando la sua riflessione sulla rivoluzione “molecolare” in Occidente è la creatività della filosofia, la sua “traduzione” della XI tesi su Feuerbach: una concezione del mondo, come l’ideologia costitutiva del soggetto della trasformazione storica, diviene vera se si fa senso comune, produce una morale conforme e una volontà collettiva che divengono movimento reale, storia. La storia del Pci è la storia di una concezione del mondo che ha saputo farsi storia, che ha intrecciato storia e vite, che è divenuta progresso intellettuale di massa, storia del Paese. La storia delle comuniste e dei comunisti in Italia è una storia di rifondazioni continue: Livorno, Lione, Salerno, il compromesso storico, Mirafiori, la Bolognina e Rimini, e poi Genova, Venezia e Chianciano. Per citarne solo alcune. Allora questo non può essere solo un anno celebrativo della nostalgia e dell’orgoglio, ma anche un momento di ricerca creativa, politicamente, storicamente. Come torniamo a farci storia e non cascame –a tratti folclorico – di cicli di lotta precedenti? Non si tratta di leggere la storia del nostro partito come “rosario di scissioni” o come “lo stillicidio di sconfitte, delusioni ed errori”. Non stiamo esprimendo un giudizio di valore, ma solo cercando di non rimuovere la necessità di comprendere gli errori affinché essi non si ripetano. La mancanza di autocritica, l’assenza di bilancio politico, lo “storicismo autoassolutorio” e il conformismo sono stati tratti e costume intellettuale di parti del nostro gruppo dirigente. Anche per il Prc è possibile e necessaria una storia controfattuale, proprio perché in tanti passaggi ci fu chi propose una alternativa alle scelte che furono fatte dal gruppo dirigente. Ci sembra importante riflettere su alcuni nodi – senza pretese esaustive – non perché vogliamo sminuire la portata della nostra resistenza in direzione ostinata e contraria, a cui tutte e tutti abbiamo contribuito, ma perché è necessaria una nuova rifondazione. Good Bye Gramsci: il partito messo al Muro Il dibattito che attraversò lungo due congressi la comunità politica
del Pci fu mendacemente rappresentato come una contrapposizione tra
innovazione e conservazione identitaria (il nome e il simbolo). A essere
messa al Muro e sepolta sotto le macerie del crollo del comunismo reale
fu la diversità del comunismo italiano, a partire, appunto, dal “genoma
Gramsci”, dalla ricerca sulla rivoluzione in Occidente al nesso egemonia-democrazia.
Più in generale, la svolta di Occhetto uccideva in primo luogo quella
diversità del comunismo italiano che, con declinazioni diverse, aveva
segnato il Pci dalla Costituente e dalla scommessa togliattiana sulla
democrazia progressiva fino alla alternativa democratica promossa dal
“secondo Berlinguer”. E, in effetti, la governabilità craxiana che Berlinguer
aveva osteggiato fu la vera vincitrice dello scioglimento del Pci. Occhetto,
infatti, sostenne da subito la svolta maggioritaria: fine del Pci, indebolimento
della lotta di classe dall’alto, governabilità e svolta maggioritaria
si intrecciano indissolubilmente. Di contro al partito/stato o al partito istituzionale andava costruito
un partito movimento. Senza sciogliere, ma trasformare. Appunto rifondare.
L’aggettivo ‘comunista’ indicava la direzione al sostantivo ‘rifondazione’.
Dunque, non innovazione contro conservazione, ma innovazione radicata
nella critica del capitalismo contro innovazione arresa alla ideologia
neoliberista. E oggi come allora occorre ribadire che il processo di
rifondazione non consiste nella aggiunta di nuovi soggetti o nuovi temi
al conflitto capitale-lavoro, ma di leggere il conflitto capitale-lavoro
nella sua storicità e nella sua dimensione materialisticamente intersezionale.
Ma non la pensavamo tutte/i alla stessa maniera. E alcune/i si “costrinsero”
a formare un partitino, invece del partito-movimento. Il capitalismo
Genova per noi Il movimento altermondialista rifondò il Prc: fu una stagione inedita
nel rapporto partito-movimento, di internità e permeabilità del partito
alle teorie, alla capacità mitopoietica, ossia di creare immaginario,
alle pratiche del movimento. Una permeabilità resa possibile anche dalla
scelta nel ’98 di far cadere il Governo Prodi e “subire” la scissione
del Pcdi a seguito della sua scelta governista. Una capacità resa possibile
dall’internità senza se e senza ma al movimento per la pace mentre il
Governo D’Alema e il partito di Rizzo bombardavano la Serbia. Oggi a
venti anni da Piazza Alimonda, dalla repressione di Genova, dall’omicidio
di Carlo, abbiamo una chiara consapevolezza storica di quanto rifondativo
fu quel passaggio e di quanto la repressione cilena di quei giorni fosse
funzionale e necessaria all’ordine della globalizzazione neoliberista.
La nostra utopia era così potente da essere concreta. Il Congresso di Chianciano e la travagliata scissione agita da parte
della mozione “Rifondazione per la sinistra” furono momenti traumatici
nella vita del partito. La drammatica conflittualità della discussione
risiedeva non solo nelle differenze di valutazione sulla partecipazione
al II Governo Prodi e sul nodo di fondo – alternativa di società contro
la logica dell’alternanza e della coalizione di centro-sinistra – ma
anche sulla necessità di rifondare democraticamente la vita del partito,
che aveva rischiato, dopo la sconfitta della Sinistra l’Arcobaleno di
essere trasformato in altro da parte del suo gruppo dirigente. Purtroppo,
per alcuni versi, rischiò di rieditarsi la stessa narrazione falsificante
che aveva attraversato il Pci Oggi unitariamente non si propone più l’unità della sinistra come architrave
della proposta politica. Speriamo che questa scelta non dipenda unicamente
dalla indisponibilità degli interlocutori ad abbondare l’ottica del
centrosinistra e confidiamo che sia una scelta che segna unitariamente
un elemento di discontinuità a partire da questo Congresso. Anche per
questa ragione riteniamo necessario un bilancio condiviso della linea
attuata per oltre un decennio. E venne così il Congresso di Napoli, nel 2011. Il documento di maggioranza
proponeva l’unità della sinistra nell’ambito del Fronte democratico
per cacciare Berlusconi: “Nel quadro E venne, poi, il 2014, con l’Altra Europa con Tsipras, l’unica esperienza
che riesce ad eleggere e a riportare anche il Prc in Parlamento europeo,
sulla base di una proposta politica di sinistra radicale: Syriza era
in opposizione al Pasok, praticava il mutualismo e il conflitto come
base dell’unità della sinistra radicale. Ben presto Sel ritorna nelle
terre di mezzo e abbandona AET. C’era allora la possibilità di costruire
AET come soggetto radicale e unitario, come sezione italiana della Sinistra
europea, possibilità che fu però osteggiata a partire dalle successive
elezioni regionali, dove aspettare e inseguire Sel era il mantra anche
di una parte del gruppo dirigente del partito. Partecipiamo così a Human
Factor, sostenendo l’ipotesi di una sinistra di governo e senza prendere
le distanze dalle scelte che intanto faceva il Governo greco, smentendo
il referendum: tacemmo in nome di un campismo fuori tempo massimo, contraddicendo
il nostro stesso orientamento politico, alternativo ai socialisti europei.
E venne così il Tavolo della Sinistra. Dopo numerose riunioni sulla
ipotesi di stesura di un documento, Sel e Fassina annunciano la nascita
di Si al Teatro Quirino, mentre il partito svolgeva il suo Cpn. Nonostante
questo, si decide di sottoporre al partito un quesito referendario interno
su una linea (già) morta. Poi venne il Brancaccio, l’affidamento alla
società civile, la nascita di Leu. E dopo la parentesi di Pap, la Sinistra
(senza aggettivi, come proponeva Bertinotti nel 2007) nelle europee
del 2019, con capolista donne scelte da un tavolo di maschi. Per questa ragione riteniamo necessari per uscire dalla crisi organica
del partito un bilancio, una rifondazione organizzativa, un salto di
qualità e una scelta di discontinuità: una terza fase della organizzazione
delle comuniste e dei comunisti in Italia – a cento anni dalla nascita
del Pci e a trenta dalla nascita di rifondazione – che sappia essere
socialmente utile e svolgere la sua funzione storica nel tempo presente.
Viviamo un momento storico periodizzante, determinato dalla pandemia, dalla crisi sanitaria, e della crisi economica conseguente, di profonde trasformazioni dei processi produttivi (smart working, rivoluzione digitale). Le case sono diventate sempre più casematte, in cui – come aveva già anticipato il femminismo – produzione e riproduzione, lavoro e vita – vengono messi in produzione e in cui la storia entra in casa, ma non ne esce. La rivoluzione digitale sta aumentando insieme il gap computazionale tra multinazionali che si appropriano dei flussi di conoscenza e comunicazione. E ancora, la faglia che si è aperta nel realismo neoliberista, parafrasando Fisher, la fine della stigmatizzazione del debito, della spesa pubblica, sembra dar vita a un passaggio della lotta di classe dall’alto dalla controriforma neoliberista a una rivoluzione passiva, che elargisce un welfare parcellizzante, con esplicito intento passivizzante. Il momento storico periodizzante coincide con una condizione di crisi organica della nostra organizzazione e delle organizzazioni comuniste tutte in Italia. E mentre i processi di digitalizzazione ci consegnano un nuovo terreno della lotta per l’egemonia, sembriamo privi di creatività politica, intenti all’autoconservazione, al controllo di micro-organizzazioni e delle rendite di posizione che ne derivano. Questi cento anni sono scanditi, appunto da due cicli: dai 70 anni di Pci e dai 30 di Partito della rifondazione comunista. Dobbiamo aprire un nuovo ciclo, rifondare l’organizzazione delle comuniste e dei comunisti in Italia. Una rifondazione comunista, ambientalista, femminista: intersezionale e internazionalista. Che sappia reinventare le forme della organizzazione e ricostituire una sinistra di classe, ribaltare il gap computazionale e connettere lotte e intelligenza collettiva, riattivare lo spirito di scissione e la lotta di classe dal basso. Imma Barbarossa, Lucietta Bellomo, Claudio Bettarello,
Claudia Candeloro, Roberto De Filippis, Michelangelo Dragone, Andrea
Fioretti, Eleonora Forenza, Giada Galletta, Riccardo Gandini, Gabriele
Gesso, Mara Ghidorzi, Rosario Marra, Nicolo Martinelli, Chiara Marzocchi,
Massimiliano Murgo, Antonio Perillo, Angelo Pozzi, Maria Lucia Rollo,
Francesca Sparacino, Sara Spera, Sandro Targetti, Pippo Trovato, Arianna
Ussi, Lia Valentini, Jan Vecoli, Roberto Villani, Pasquale Voza
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