Partito
della Rifondazione Comunista
Comitato Politico Nazionale 21 - 22 novembre 2020
PER IL RILANCIO DEL PUBBLICO
La pandemia ha rivelato, col suo carico di sofferenze
e lutti, oltre al fallimento del mercato, gli effetti devastanti dell’arretramento
del pubblico sulla vita delle persone e sul sistema paese.
Se si è evitato un disastro peggiore lo si deve a ciò che di pubblico
è rimasto e alle/ai sue/suoi lavoratrici e lavoratori, che con il loro
impegno hanno sopperito alle grandi carenze in termini di strutture
e di personale prodotte da trent’anni di politiche neoliberiste e/o
di austerità e ai giganteschi tagli giustificati con i vincoli europei
e il peso del debito. La devastazione del pubblico risulta evidente
alla luce di alcuni dati.
-scuola e università 66 mld di spesa pubblica contro i 120 della Francia
e i 134 della Germania;
-sanità 150 miliardi contro i 250 della Francia e i 350 della Germania
Germania
-in Italia 80 dipendenti pubblici per mille abitanti contro una media
europea di 118, i 135 della Germania e i 170 della Svezia.
La pandemia ha vieppiù evidenziato il disastro prodotto
dalle gravi lesioni inferte al ruolo e all’importanza del pubblico nella
sfera dell’insieme della riproduzione sociale: si è “scoperto” che cosa
ha significato l’aver gravemente ridotto l’organico del personale medico
e infermieristico e l’aver distrutto il sistema di prevenzione e medicina
territoriale, o l’aver mantenuto la Scuola in stato di precariato, con
patrimonio edilizio vecchio e insufficiente, classi sovraffollate, o
ancora le grandi carenze del welfare con insufficienti interventi di
sostegno al reddito e la mancanza di ammortizzatori sociali universali.
Quello visibile oggi è un disastro che viene da lontano : anni di riduzione
degli organici, di delegittimazione del lavoro pubblico, di svalorizzazione
del suo ruolo sociale conseguenze della mercificazione di tutto ciò
che era pubblico e comune; della privatizzazione di interi settori e
servizi, accompagnata dalla progressiva aziendalizzazione del servizio
pubblico. Si è trattato di processi su larga scala attraverso i quali
il capitalismo ha perseguito il sostanziale smantellamento del pubblico,
in nome della espropriazione e messa a valore di ogni attività umana.
Così i bisogni si sono trasformati in merci, mentre l’intero settore
è stato sottomesso a rapporti gerarchici di comando di tipo aziendale,
incentivando al massimo la competitività fra lavoratori, con la predominanza
di misuratori di tipo aziendalistico con scarse o nessuna considerazione
per la qualità del lavoro e dei servizi
Il progressivo disimpegno dello Stato in termini di disinvestimento
e di rinuncia alla gestione diretta dei settori pubblici (a partire
da quelli principali , quali sanità, istruzione, assistenza, ma non
solo) ha contribuito ad amplificare le differenze di classe e le disuguaglianze
prodotte dalle politiche degli ultimi 30 anni, aumentando il numero
di persone a rischio di povertà (economica e culturale), generando categorie
di cittadinanza differenziate, diseguali, ingiuste e tendenzialmente
disgregatrici dell’intero contesto sociale.
Pesantissime le conseguenze su lavoratrici e lavoratori
pubblici che hanno sofferto la riduzione progressiva degli stipendi
causato dal blocco della contrattazione e il peggioramento delle condizioni
normative e dall’introduzione di forme di precarietà del lavoro prima
inesistenti. Il risultato è che oggi ci troviamo di fronte a un personale
invecchiato, malpagato, insufficiente, sfiduciato.
Tutto ciò ha platealmente smentito le promesse del neo-liberismo, che
prospettavano maggior efficacia, maggior efficienza e maggior qualità
dei servizi, raggiungibili grazie all’introduzione dei meccanismi connessi
all’aziendalizzazione e alla concorrenza fra pubblico e privato.
Anzi! La realtà odierna mostra ben altro: maggiori costi per gli utenti,
minor qualità dei servizi erogati, grandi diseguaglianze nell’accesso.
Per tacere dei “danni collaterali” rappresentati, ad esempio, dalla
corruzione che si è sviluppata grazie alle commistioni pubblico-privato
e al sempre più esteso sistema degli appalti e subappalti, oppure dai
costi in termini di maggior precarietà per i lavoratori e le lavoratrici,
a seguito dei processi di esternalizzazione.
Va inoltre sottolineato che uno Stato Sociale indebolito e residuale,
quindi con una sempre più ridotta azione di redistribuzione della ricchezza,
favorisce una cittadinanza diseguale e questa, intersecandosi con l’asimmetrica
divisione del lavoro riproduttivo, determina una condizione di illibertà,
costrizione, repressione e violenza in particolare per le donne; sotto
questo aspetto, ragionare di lavoro pubblico, con il corollario di estensione
dei servizi alla persona, di risorse per le politiche di assistenza
e di promozione sociale, significa avere ben presente che bisogni e
necessità non si declinano in modo neutro e paritario e che i compiti
devono essere almeno equamente distribuiti fra i generi in termini di
tempi e carichi di lavoro. Ma quando si affronta il tema della cittadinanza
è fondamentale assumere il principio che il riconoscere la differenza
delle donne e la sua piena declinazione nella sfera dei diritti apre
la porta a una nozione di cittadinanza progressivamente capace di assumere
tutte le differenze che si articolano nella società umana.
Non meno rilevanti sono stati gli effetti negativi
della ritirata del pubblico sull’insieme dell’economia prodotti dalle
scelte che hanno impoverito tutti i settori quanto a strutture e dotazioni
tecnologiche, ridotto gli organici, impedito il ricambio generazionale,
la formazione e l’innovazione.
Basti pensare agli effetti economici di lungo periodo dei bassi livelli
di scolarizzazione o dell’arretramento della ricerca o ai costi umani
ed economici della mancata prevenzione sanitaria ed ambientale; o ancora
alle amministrazioni pubbliche rese incapaci di progettare e spendere
i fondi disponibili per la drammatica perdita di competenze provocate
da tagli e esternalizzazioni; ai costi giganteschi provocati dall’abbandono
della manutenzione del patrimonio pubblico e del territorio; ai costi
economici dei ritardi e delle disfunzioni della giustizia per le carenze
di organici, di mezzi e dotazioni tecnologiche.
Che fare?
Alla luce di quanto detto, diventa chiara a molti la necessità di una
maggiore presenza del pubblico nella società , ma questo non basta;
per noi è fondamentale definire una diversa idea di Pubblico, che corrisponda
al nostro più generale modello alternativo di Società ed esprima una
nozione più avanzata di riproduzione sociale, non funzionale alle esigenze
del profitto, ma al benessere di tutta la popolazione, all’allargamento
della sfera dei diritti, alla tutela dei beni comuni.
Un pubblico nuovo, sottratto ai vizi su cui aveva fatto leva l’attacco
neoliberista, un pubblico accogliente, in cui la ripresa di protagonismo
delle lavoratrici e dei lavoratori si sposi con la partecipazione dei
cittadini, in cui l’allargamento della democrazia nella gestione si
intrecci con il miglioramento della qualità dei servizi.
Una tale trasformazione può avvenire solo all’interno di una battaglia
politica e culturale all’insegna della demercificazione dei bisogni
per ricondurne il soddisfacimento nella sfera del diritto, per il valore
universale dei diritti contro le disuguaglianze.
E’ una lotta che riguarda tutte le componenti sociali, ma che può trovare
gambe in modo particolare tra i lavoratori pubblici che rappresentano
una quota consistente degli occupati.
Lavoro Pubblico, nel nostro Paese, vuol dire ancora, nonostante i tagli
e riduzioni d’organico (165.000 unità in meno dal 2009 ad oggi), 3.200.000
lavoratori e lavoratrici fra Scuola, Sanità, Enti Locali, Ministeri
ed altri Enti e servizi. Questi lavoratori e lavoratrici sono per noi
un riferimento fondamentale per una proposta di rilancio del pubblico
in quanto vivono doppiamente, sia come cittadin* che come lavoratrici
e lavoratori, tutte le contraddizioni indotte dall’ attacco neoliberista
a tutto ciò che è pubblico; perfino in questo momento subiscono ancora
attacchi ai loro “privilegi” alle loro tutele e al contratto di lavoro
a tempo indeterminato.
Qualificare, estendere, retribuire adeguatamente il Lavoro Pubblico
significa difendere e rafforzare lo Stato Sociale, di cui il Lavoro
Pubblico rappresenta la realizzazione concreta; significa corrispondere
a bisogni sociali crescenti, i quali, se non ricevono adeguata risposta
pubblica, finiscono irrimediabilmente per essere esposti all’intervento
del Privato, che li vede esclusivamente come terreno di ricerca del
profitto (specie in fase di difficoltà di remunerazione del capitale)
e inevitabilmente li distorce in un’ottica di accentuata diseguaglianza.
Facciamo in particolare nostro lo slogan: “Prendersi
cura delle persone che curano”, con lo scopo di “riabilitare” insieme
il ruolo sociale del lavoro pubblico e l’idea di pubblico in quanto
tale.
Una proposta di sviluppo e di riqualificazione comporta necessariamente
un grande investimento in risorse economiche e umane, esteso all’insieme
dell’amministrazione pubblica e ai suoi fabbisogni, a partire dai settori
maggiormente in sofferenza. Chiediamo che i fondi di next generation
siano innanzitutto utilizzati per un grande piano di potenziamento delle
strutture, delle dotazioni e del personale dei settori pubblici.
Proponiamo all’interno di un più generale Piano Nazionale per il Lavoro,
un piano di assunzioni stabili nella P.A., adeguato alle necessità reali
della popolazione (identificando quindi bisogni fondamentali e servizi
corrispondenti), abbandonando i criteri di mero “risparmio economico”
che hanno dominato in questi anni; che siano attribuiti a lavoratrici
e lavoratori pubblici (a fronte di un blocco salariale decennale) consistenti
aumenti salariali; che siano riconosciute, valorizzate e promosse le
competenze; siano reinternalizzati i servizi che in questi anni sono
stati conferiti all’esterno, con l’obbiettivo di ricondurre tutti i
servizi pubblici al perimetro pubblico, con piena parità di trattamento
contrattuale dei lavoratori e delle lavoratrici coinvolti.
Le risorse necessarie dovranno essere reperite attraverso una diversa
politica fiscale, fortemente progressiva ed orientata a far pagare il
dovuto alle grandi ricchezze, introducendo una tassa patrimoniale sui
redditi superiori a 1 mln €, colpendo col necessario impegno l’evasione
fiscale.
Nell’organizzazione dei servizi, dovrà essere conquistato
il potere di intervento e di contrattazione dei lavoratori e delle lavoratrici,
superando i blocchi che gerarchia e burocrazia frappongono all’autonomia
e auto-organizzazione degli operatori. Così come occorrerà lavorare
per costruire forme efficaci di partecipazione della cittadinanza al
funzionamento della cosa pubblica.
A fronte della campagna di denigrazione svolta negli anni scorsi verso
i/le dipendenti pubblici/che, ribadiamo che non esiste alcuna contraddizione
di principio fra lavoratori/lavoratrici del servizio pubblico e cittadini/cittadine,
stante il loro interesse comune al buon funzionamento del servizio pubblico,
sia che esso si occupi di lavoro di cura (Scuola, Sanità, Welfare dei
Comuni), sia che si occupi di “benessere generale” (cantonieri, addetti
al piano regolatore, ecc.).
Sono questi gli assi generali su cui poter poi articolare, calandosi
nella notevole complessità della nostra Pubblica Amministrazione, tutta
una serie di obbiettivi più specifici e dettagliati quali:
-Assunzione di 500 mila lavoratrici e lavoratori stabili e consistenti
aumenti salariali in tutti i settori della pubblica amministrazione
per avvicinare l’Italia agli standard europei.
-Reinternalizzazione dei servizi esternalizzati e ritorno nel Pubblico
dei servizi dati in appalto con riassorbimento del Personale coinvolto,
nell’ottica di garantire la piena parità di trattamento di tutti i lavoratori
e tutte le lavoratrici che concorrono all’erogazione del servizio pubblico.
-Cancellazione di tutte le forme di precarietà e ripristino
del contratto a tempo pieno e indeterminato come norma in tutti i comparti
della P.A
-Rigetto dei tentativi di rendere strutturale la “didattica a distanza”
con la sua assimilazione allo smart working e al tele-lavoro.
-Eliminazione nella P. A. di tutti gli ostacoli occupazionali, professionali
e salariali alla piena parità di genere
-Partecipazione dei lavoratori e delle lavoratrici all’organizzazione
di uffici e servizi, prevedendo forme certe di partecipazione degli
utenti.
Infine essendo assolutamente prioritario sostenere il valore universale
del servizio pubblico, non possiamo che ribadire la nostra ferma opposizione
verso le varie ipotesi di “autonomia regionale differenziata” e pertanto
l’immediato ritiro del ddl sull’autonomia collegato alla legge di bilancio;
anche la tragica esperienza della pandemia, con i conflitti di attribuzione
che sono sorti fra le diverse articolazioni dello Stato, ha evidenziato
la necessità di rivedere profondamente la riforma del Titolo V introdotta
negli anni scorsi, così come le varie “riforme” introdotte in diversi
settori della P.A. (Province, ecc.), tutte tendenti alla riduzione del
servizio pubblico. Ribadiamo inoltre l’estrema pericolosità dell’introduzione
di forme di “welfare aziendale”, particolarmente perniciose laddove
si parla di lavoro pubblico.
Dipartimento nazionale lavoro del Prc