Partito
della Rifondazione Comunista
Comitato Politico Nazionale 10 e 11 marzo 2018
Documento respinto
Indietro non si torna!
Questo documento avanza sinteticamente alcune considerazioni e alcune proposte sulla prosecuzione del percorso di Potere al popolo e per rilanciare e ripensare la funzione storica del Partito della Rifondazione comunista, dopo il voto, nel contesto italiano ed europeo.
Elementi di analisi del voto
Il voto alle elezioni politiche del 4 marzo esprime un esito di portata storica. In primo luogo la netta sconfitta dell’establishment del Pd, travolto come tutte le forze della socialdemocrazia in Europa, che hanno contribuito a imporre ai popoli europei le politiche neoliberiste, le riforme strutturali, lo svuotamento della democrazia e l’aumento della povertà e delle disuguaglianze.
In secondo luogo, ci consegna l’affermazione di due “populismi”: quello “adattivo” al senso comune e alle sue ambiguità del M5s, che raccoglie insieme il voto di protesta e il voto utile “contro il sistema”, costruisce consenso sia su una proposta di reddito (presentato in una chiave regressiva e di workfare) che su un ordine del discorso xenofobo come quello “sbarchi zero”; quello leghista che traduce la questione settentrionale in questione nazionale, che parla al blocco sociale della piccola imprenditoria, ma anche a settori proletari del Nord, attraverso la retorica del “prima gli Italiani”. Entrambi, pur non volendo scalfire i poteri economici e finanziari dominanti, si presentano come forze “antisistema” e anti-Ue (anche se la Lega è alleata coi Popolari Europei e i M5S erano pronti a entrare nell’Alde)
Questo esito è il anche frutto dell’assenza di un conflitto sociale di massa, di un tessuto sociale più passivizzato in Italia che in altri contesti europei – dove il conflitto sociale ha consentito l’affermarsi di “populismi di sinistra” – e di un quadro politico più americanizzato, dove il bipolarismo “berlusconismo-antiberlusconismo” ha visto il susseguirsi di grandi coalizioni, governi tecnici, alternanza tra i due poli nella continuità delle politiche neoliberiste. Nell’assenza del conflitto sociale, la rottura del bipolarismo italiano non porta alla affermazione di massa di una rottura col sistema che sappia coniugare “il basso contro l’alto” con la proposta di una alternativa di società anticapitalista, antisessista, antirazzista, antifascista.
Per ripensare la funzione storica di Rifondazione comunista e rilanciare il partito
In questo complesso passaggio, che il M5s ha enfaticamente definito come l’avvio della “Terza Repubblica”, si impone la necessità di ripensare radicalmente la funzione storica del Partito della rifondazione comunista. Ribadiamo ancora una volta non solo la ferma contrarietà a qualsiasi ipotesi di scioglimento o superamento di fatto del Prc, non solo la necessità di un rilancio del partito e di affermazione della sua autonomia, ma anche di un ripensamento del modo e delle forme del suo essere partito: non pensare alla sua esistenza come difesa burocratica di una struttura, ma come rilancio di una prospettiva politica “socialmente utile” in questa fase del capitalismo.
Siamo orgogliose e orgogliosi di una comunità politica che da più di 25 anni si pone collettivamente il problema della costruzione del “movimento reale che abbatte lo stato di cose presenti”, che continua a camminare “in direzione ostinata e contraria”, pur nelle infinite difficolta. Siamo orgogliose e orgogliosi di aver dimostrato anche in questa campagna elettorale l’indispensabilità di Rifondazione comunista per proporre alle elezioni una forza di alternativa. Nella raccolta firme, nella messa a disposizione di competenze, nella apertura delle sedi, nella passione e nella intelligenza di questa comunità politica generosa abbiamo ritrovato ancora una volta il senso del nostro essere partito. Ringraziamo le compagne e i compagni del Prc, senza cui Potere al popolo non sarebbe stato possibile.
Ma sappiamo che il nostro partito deve passare – ancora una volta – “dalla resistenza al progetto”. Proponiamo quindi una assise straordinaria da svolgersi entro l’estate, giornate di confronto orizzontale e non di conta, giornate di rifondazione. Dobbiamo ripensare le forme della nostro insediamento sociale, sapendo che nella disgregazione neoliberista occorre ridefinire la distinzione di compiti classica tra partito e sindacato e che il fare società, la soggettivazione politica nel conflitto e nel mutualismo devono diventare tratti fondativi del nostro essere partito; rielaborare le forme della nostra organizzazione e della comunicazione; ripensare il rapporto lavoro/reddito alla luce dei processi di robotizzazione e di quella capacità di lettura intersezionale tra dominio di sesso, classe, razza, che ci consegna il movimento femminista mondiale “Non una di meno”, sceso potentemente in piazza ancora una volta lo scorso 8 marzo con lo sciopero politico dal lavoro produttivo e riproduttivo, dai ruoli e dalle identità di genere; ridefinire una linea di lavoro di massa antirazzista e antifascista a partire dalle manifestazioni di Macerata, Firenze e dal Fight-Right di Roma dello scorso 16 dicembre; riflettere sulla “questione settentrionale” e sulla “questione meridionale” che la fotografia del voto (Lega al Nord, M5s al Sud) ci restituisce potentissimi, ritraducendo elementi di lungo periodo della storia italiana in forme inedite; avanzare con efficacia la proposta della rottura dell’Ue fondata sui trattati neoliberisti, demistificando le retoriche di Lega e M5S; rielaborare una teoria della rifondazione comunista nel neoliberismo e una pratica di lavoro a partire da un programma minimo di fase.
La fine del ciclo dell’unità della sinistra, per il rilancio e la democratizzazione di Potere al popolo
In questo quadro, il risultato elettorale di Potere al Popolo, che si attesta intorno all’1%, è – lo diciamo senza infingimenti e autoconsolazioni – al di sotto delle aspettative e delle potenzialità del progetto. Allo stesso tempo, diciamo con altrettanta nettezza che Potere al Popolo è stata la scelta giusta e rappresenta la prospettiva politica su cui continuare a lavorare: come abbiamo detto in campagna elettorale, Potere al Popolo continua, indietro non si torna.
Perché? Perché Potere al popolo ha aperto una prospettiva di lavoro politico e sociale per la costruzione di una alternativa che abbia l’obiettivo di costruire un nuovo blocco sociale e parlare al “popolo-classe”. Se il volano dell’egemonia neoliberista è la produzione di disgregazione e, quindi, di passivazione, Potere al popolo ha rappresentato un movimento opposto di riattivazione e di riconnessione. La formazione delle liste di Potere al popolo – avvenuta nelle assemblee territoriali e non nella spartizione a tavoli notturni – e la campagna elettorale hanno rappresentato questo lavoro molecolare di connessione, di costruzione dell’unità delle lotte come processo costituente di un movimento sociale e politico per la maggioranza non rappresentata. Scorrendo le liste di Potere al popolo si incrociano voci del lavoro precario e attiviste per la difesa dell’ambiente e del territorio (No Tap, no Tav, no Triv, no Muos …), lotta contro la “buona scuola”, resistenze operaie, pratiche mutualistiche e partigiane della Costituzione, militanti di centri sociali e attiviste LGBTQI, dirigenti di partito e femministe, antimafia sociale e associazioni per i diritti delle persone detenute. Le pratiche del conflitto, del mutualismo, della solidarietà sociale come ridefinizione della politica non relegata sul terreno della rappresentanza o del governo sono alla base di questa esperienza: una pratica concreta del fare società per fare politica contro il neoliberismo che afferma che la società non esiste e lavora a distruggerla.
Come auspicavamo nel dibattito congressuale, possiamo finalmente chiudere il ciclo decennale e fallimentare che ha imperniato la prospettiva politica del partito nella costruzione politicista dell’unità della sinistra, ripartire da una ipotesi di lavoro non solo nettamente alternativa al Pd e al Socialismo europeo sul terreno politico, ma che assume come fondativa la riconnessione di politico e sociale nella costruzione del blocco sociale.
Valutiamo molto positivamente che questa proposta stia diventando una prospettiva di azione di tutto il partito. Non ci illudiamo sulla capacità di autocritica del gruppo dirigente, ma lavoriamo affinché non si perseveri negli errori degli scorsi anni.
Fino a pochi mesi prima della campagna elettorale, dopo anni di Federazione della Sinistra e tavoli, il partito si attardava nell’investire sul “Brancaccio”, ignorando i segnali di ambiguità – che pure non abbiamo mancato di evidenziare – che emergevano sotto il tetto della “Lista unica della Sinistra”: ambiguità sia nel rapporto col socialismo europeo, sia nelle tentazioni di rifondazione del centrosinistra. In sintesi, si trattava di una prospettiva politicista a sinistra del Pd, ma non alternativa al Pd e al Socialismo europeo, come ha dimostrato successivamente la lista Liberi e Uguali, che subisce una sconfitta disastrosa non solo sul terreno elettorale, ma – qui a differenza di Potere al popolo – anche sul terreno della prospettiva politica.
Grazie al fallimento del Brancaccio (determinato dai gruppi dirigente di Si, MdP, Possibile e dai garanti) e al sostegno dato all’iniziativa meritoria dell’Ex Opg- Je so’ pazzo (che già aveva fortemente criticato la gestione del Brancaccio), il Prc si è salvato da una prospettiva elettoralmente e politicamente fallimentare. Il piccolo mondo antico della “sinistra che conta” non c’è più, è il vecchio che è morto. Potere al popolo è piccolo, ma è il vivo che sta nascendo. Per questa ragione, abbiamo difeso l’idea che non ci fosse la parola sinistra nel simbolo della lista: non dobbiamo ricostruire la sinistra che ha divorziato dal popolo-classe, ma il popolo-classe che non si identifica più nella parola sinistra.
Proprio perché Potere al popolo ci ha aperto una possibilità di lavoro in avanti, la risposta a un risultato elettorale negativo è stata in continuità con quell’energia che abbiamo riscontrato in questa bellissima campagna elettorale, carica di entusiasmo, che ha riattivato e riconnesso energie militanti, organizzazioni comuniste e anticapitaliste, centri sociali e movimenti, sindacalismo conflittuale, pezzi di intellettualità e precariato cognitivo, ma anche attivato la partecipazione di tante singole e singoli e “sottratto” all’astensionismo compagne e compagni.
Siamo consapevoli dei limiti di Potere al popolo: in primo luogo del fatto, che abbia raccolto molto voto militante, ma non intercettato le fasce popolari a livello di massa; dei problemi che si sono riscontrati su molti territori; di una eccessiva centralizzazione riscontrata nell’emergenza della campagna elettorale; del rischio di una recinzione e di una forzatura organizzativa che, riproponendo vecchie forme della politica, depotenzierebbe le possibilità di apertura del progetto.
Per queste ragioni, è necessario continuare a lavorare convintamente, a partire dalla prossima assemblea nazionale del 18 marzo, sulla prosecuzione di Potere al popolo, sul superamento dei limiti riscontrati, sulla sua democratizzazione e sulla sua apertura a settori sociali e di movimento che ancora non abbiamo coinvolto, anche per il breve tempo e l’oscuramento mediatico che abbiamo subito in questa campagna elettorale; rilanciare le adesioni individuali e collettive al manifesto e al programma come base per una democratizzazione, che permetta di superare sia una eccessiva centralizzazione che la logica degli “intergruppi”, dando lo stesso potere di decisione a tutte e a tutti. La prossima assemblea dovrà ridefinire, in maniera aperta, democratica e partecipata, anche il ruolo delle assemblee territoriali, del coordinamento nazionale, delle e dei portavoce.
Per queste ragioni, sarebbe un errore gravissimo intendere Potere al popolo! come scelta tattica e non strategica, come un autobus elettorale preso in mancanza d’altro, come uno dei tanti cantieri della sinistra in cui impegnare il Partito e non come il luogo che ci consente una prospettiva strategica per la rifondazione comunista; sarebbe un errore gravissimo confondere la necessità dell’apertura del progetto di Potere al popolo con l’inseguimento di pezzettini di ceto politico della sinistra. Apertura e allargamento vanno praticati in primo luogo come radicamento nelle fasce popolari, nelle generazioni precarie, come risposta all’aumento della povertà e delle disuguaglianze che Potere al popolo come movimento sociale e politico, radicale e popolare, deve saper fornire.
Andiamo avanti, consapevoli dei rischi, ma senza paura, e con coraggio.
Indietro non si torna!