Partito della Rifondazione Comunista
Comitato Politico Nazionale 16 - 17 ottobre 2010

DICHIARAZIONE DI VOTO DI ASTENSIONE AL DOCUMENTO DELLA SEGRETERIA
La grande manifestazione di ieri ci pone ancora una volta la necessità di ricostruire una sinistra di alternativa nel nostro paese, che possa proporsi come riferimento politico ai soggetti sociali che animano l’opposizione al Governo Berlusconi ed al capitalismo, una sinistra alternativa anche al PD. Non possiamo far cadere questa domanda!

La Federazione della Sinistra, per come si va configurando, si caratterizza in modo prevalente come scorciatoia organizzativa e autoreferenziale, piena di ambiguità e di contraddizioni su temi centrali come il rapporto col PD, i conflitti sociali, la questione sindacale, l’autonomia e il ruolo del nostro Partito, le alleanze istituzionali. In merito a quest'ultimo punto, riteniamo che la questione democratica non possa essere scissa dalle questioni dei diritti e della dignità del lavoro. Sta avvenendo una oggettiva cessione di sovranità da parte del PRC nei confronti del nuovo soggetto politico, senza alcun mandato democratico, che non poteva che scaturire da un congresso del Partito, generando così dissenso e disorientamento in molti compagni.

Senza la necessaria chiarezza sulle prospettive e la coerenza delle scelte politiche, rischia di risultare poco credibile qualsiasi ipotesi di alleanza elettorale, in vista di possibili elezioni.

Prima che sia troppo tardi, c’è bisogno di una sinistra comunista che riprenda il percorso della Rifondazione, come deciso a Chianciano, e lavori per ricostruire dal basso e nel vivo dei conflitti sociali una sinistra anticapitalista, capace di aprirsi e coordinare le diverse soggettività sociali e politiche, su un concreto programma di lavoro e senza scorciatoie organizzative.

Per questo esprimiamo il nostro dissenso sul documento della segreteria, sulla relazione e le conclusioni del Segretario.

Pasquale D’Angelo, Matteo Malerba, Antonello Manocchio, Laura Petrone, Sandro Targetti

DICHIARAZIONE di Salvatore Bonadonna, Milziade Caprili, Roberto Romito.
(Cpn del 16-17 ottobre 2010)

Non parteciperemo al voto sui documenti per marcare il dissenso da come procede la vita e la politica del Partito; si procede sul dovere essere e non su quello che siamo.

Il quadro politico propone lacerazioni, scontri e giochi di potere che segnalano il degrado della politica e la esistenza di una crisi aperta ad esiti diversi e anche pericolosamente negativi; lo scontro di classe e la riaffermazione del conflitto sociale, nella manifattura classica come nella organizzazione della precarietà diffusa anche nei campi della produzione di beni immateriali e della cultura, una incapacità strutturale che investe la destra e le politiche liberiste e di deregolamentazione con cui ha cercato di rispondere alla crisi.
La manifestazione della Fiom, con la sua carica di concreta forza critica e alternativa al disegno neoreazionario di Marchionne e della Confindustria, ha rappresentato con evidenza la possibilità di resistere e di opporsi, non arroccandosi ma facendosi portatrice di un altro modello produttivo, sindacale e sociale.

Eppure, in questa situazione, la sinistra non c’è. Non c’è come soggetto politico in grado di raccogliere, interpretare, elaborare e trasfondere in una strategia di unificazione politica e di cambiamento radicale queste condizioni di crisi economica sociale e politica, anche se si colloca a fianco delle lotte e dei movimenti, pure in presenza di una opposizione parlamentare incapace di esprimere una qualche proposta valida di alternativa sia sul piano sociale che su quello politico. L’ambiguità della opposizione parlamentare e le divisioni interne al PD sul disegno di Marchionne e della Federmeccanica, come quella su Montezemolo e il progetto con cui cacciare il governo Berlusconi, danno la misura della caduta di autonomia culturale della cosiddetta sinistra di governo e anche, purtroppo, della forza con cui si è affermato il pensiero unico del capitalismo globalizzato anche nei modelli della democrazia politica. A questo fa riferimento la incapacità del PD di sostenere la lotta per i diritti che si esprime nella manifestazione della FIOM. Questo elemento costituisce un fattore di pericolo per la democrazia specie nella situazione italiana segnata dagli interessi privati che muovono le scelte e le azioni del capo del governo e da quelli egoistici e populisti agitati dalla Lega. In questo quadro trova spazio e sostegno la politica della Fiat e della Confindustria volta ad imporre e acquisire consenso alle scelte eversive sull’organizzazione del lavoro e sui diritti dei lavoratori. La subalternità di Cisl e Uil e la indecisione della Cgil fanno si che solo la FIOM si debba fare carico di fronteggiare un attacco dalle dimensioni e dalla durezza che non hanno confronti negli altri paesi capitalisti dell’Europa. Lo stato di confusione che caratterizza la opposizione parlamentare e la incapacità del PD di costituire un punto di riferimento per costruire una alternativa non solo di governo, fanno si che il confronto sia confinato nella sfera separata della politica che rimane isolata e spesso insensibile allo aggravarsi della crisi e all’esplodere del conflitto sociale.

La sinistra di classe, le forze che intendono costruire una alternativa alla attuale organizzazione sociale, produttiva, economica e politica, hanno il dovere di compiere ogni sforzo per costruire una piattaforma unitaria e dare vita ad un soggetto politico in grado di rappresentare un polo forte di aggregazione capace di confrontarsi con le forze democratiche del centrosinistra in vista del possibile confronto elettorale e, soprattutto, in funzione delle politiche da attivare per sostenere e sviluppare la occupazione, alimentare uno sviluppo economico e sociale alternativo a quello dipendente dalla accumulazione e dallo sfruttamento capitalistico e capace di salvaguardare i beni comuni, le risorse ambientali, la libertà e l’uguaglianza come condizioni della civiltà dell’uomo nel secolo presente. A questo debbono tendere i partiti, i gruppi, i comitati, le reti e tutte le forze che in vario modo lottano, resistono e cercano di elaborare proposte di contenuto e di organizzazione. Riguardo a questi obiettivi Rifondazione Comunista deve avere il coraggio di mettersi in discussione e di mettersi nella condizione di compiere un salto di qualità nella elaborazione e nell’agire la politica.

L’autoconservazione proclamata ed esaltata dal congresso di Chianciano ad oggi, la collocazione di questa scelta conservativa dentro una federazione costituita da altre forze che perseguono lo stesso fine di sopravvivenza, fanno si che una forza nata con l’ambizione di rappresentare il lievito di una nuova cultura e di una nuova forza rivoluzionaria all’altezza della sfida del capitalismo globalizzato, risulti chiusa quasi a salvaguardia di una marginale residualità. È evidente come questo stato di cose faccia si che il Partito e la Federazione confidino le proprie prospettive in una alleanza marginale e subalterna al PD, agendo in una collocazione speculare a quella con cui si propone al PD il raggruppamento di SEL. Qui risiede il rischio del berlusconismo senza Berlusconi e, in queste condizioni, però appare segnata per Rifondazione la prospettiva cui si va incontro rassegnati.

Nella fase attuale non è possibile sopperire con dichiarazioni e proclami al vuoto di politica e di iniziativa; non si può fare riferimento alla unità della sinistra, e magari promuovere o aderire ad appelli in questa direzione, e poi, nei fatti, rimanere chiusi e vincolati dentro una Federazione che, invece di essere un soggetto aperto ed accogliente si dimostra un contenitore chiuso e blindato persino rispetto ai propri aderenti. Persino le forze che dentro Rifondazione avevano prima chiaramente sostenuto la necessità di un processo costituente hanno subito una involuzione in nome di una malintesa unità del partito e della rinuncia ad essere e ad agire come cerniera forte verso tutte le energie che si erano rese autonome, per le più diverse ragioni, rispetto ai processi interni ai partiti della sinistra, sia moderata che radicale, a partire dal raggruppamento di SEL. Anche quanti dall’interno di SEL hanno sostenuto quell’appello per l’unità sono impegnati in un congresso che ha lasciato per strada ogni ipotesi unitaria che sia frutto di una elaborazione e di una fase costituente aperta; il campo del confronto politico è divenuto quello delle primarie di una coalizione con il PD da strutturare in ragione del vincitore! E, anche in questo caso, l’idea presuntuosa dell’autosufficienza rende debole e congiunturale il ruolo stesso di quella forza politica.

Per Rifondazione Comunista e per la sinistra di alternativa la presenza attiva nelle lotte dei lavoratori e nei movimenti non può sostituire la incapacità di organizzare la trama di una strategia di unificazione sociale delle rivendicazioni e del loro trasferimento nella sfera della politica. Si subisce, per questa via, la separazione tra politica ed economia, tra società ed istituzioni; non è un caso che il “partito sociale” si configuri come componente specifica, dimensione operativa che non può attingere il cielo della politica se non per cooptazione. Per questa strada si giunge a concepire le politiche delle alleanze come puri espedienti elettoralistici in funzione dell’autoconservazione, quindi naturalmente incapaci di produrre effetti sul piano delle politiche di alternativa. Non è un caso che i partiti maggiori promotori della Federazione della Sinistra hanno già, in vario modo, annunciato i propri congressi in funzione della propria conservazione.

In questa ottica la linea definita in vista del Congresso della Federazione appare sterile, difensiva, declamatoria. Ciò non perché siano sbagliate o non condivisibili molti elementi di analisi e di indicazione politica contenuti nel documento congressuale; ma perché manca quella spinta propulsiva capace di mobilitare le intelligenze e le coscienze frustrate dalla catena di errori e di sconfitte e quelle delle generazioni che dovranno costruire la loro società del futuro. Manca il progetto e la sua capacità evocativa, manca il coraggio di agire in campo aperto e su quel campo verificare anche il consenso ai gruppi dirigenti attuali e selezionare i nuovi; manca il coraggio della sfida unitaria aperta verso le forze di SEL e del confronto strategico con un PD condotto da Bersani nella faticosa ricerca di un profilo culturale e politico smarrito tra comitati elettorali e potentati di vario genere e natura che inveravano la “vocazione maggioritaria” veltroniana.

Dentro Rifondazione Comunista l’area congressuale di Rifondazione per la Sinistra ha dismesso la propria funzione ed il proprio ruolo privilegiando la mistica dell’unita del vertice di direzione rispetto al ruolo forte ed unitario del confronto e della battaglia delle idee; anche questo ha contribuito a portare Rifondazione a mancare il tempo della “offensiva unitaria” e a ritrovarsi a dibattere nel limbo della Federazione.

A questo stato di cose occorre reagire se non si vuole accettare la marginalità come la condizione nella quale si pensa di salvare la prospettiva della politica di alternativa solo perché si confonde con essa la conservazione di una piccola parte del gruppo dirigente nella rappresentanza istituzionale. Infatti la dichiarazione preventiva, contenuta anche nel documento congressuale della Federazione e ripetuta in ogni occasione, che la FdS è favorevole alla alleanza per battere Berlusconi ma si autoesclude da una possibile alleanza di governo, è sbagliata ed inaccettabile, risulta di difficile comprensione per chiunque, nel movimento operaio, abbia concepito la battaglia dei comunisti, dei socialisti, della sinistra come lotta per trasformare il potere, il sistema, il modello di sviluppo, attraverso l’azione di governo, avendo da tempo riconosciuto come irreale l’ipotesi della conquista del potere attraverso l’azione rivoluzionaria violenta!

Il ragionamento che proponiamo è quindi volto a mantenere aperta e viva, dentro e oltre Rifondazione e il congresso della Federazione della Sinistra, la fase del confronto costituente unitario per giungere alla formazione di un soggetto politico, unitario e plurale, che non sia la sommatoria dei partiti e delle organizzazioni esistenti, mediata dall’autoconservazione dei vertici dirigenti ad ogni livello, ma invece la risultante di un confronto creativo affidato alla partecipazione volontaria e paritaria di ciascuna e di ciascuno e collocato negli spazi aperti ed autogestiti della elaborazione politica e programmatica.

Questa elaborazione politica e programmatica deve guardare anche alle possibili scadenze elettorali, e misurarsi con la necessità di organizzare e fare pesare le forze unite dell’alternativa nel confronto con i democratici e i moderati, ma non rimanere chiusa dentro questo limitato orizzonte. È indispensabile, infatti, mettere in campo visioni, progetti e proposte capaci di fuoriuscire dalle angustie economicistiche nelle quali vengono compressi non solo i salari e gli stipendi e le pensioni ma anche e soprattutto i bisogni, i sogni, i diritti e il futuro delle nuove generazioni.

Di questo parlano le lotte di Pomigliano, di Melfi, dei precari della scuola e dei ricercatori delle università, dei disoccupati e dei migranti tenuti nella condizione di moderni schiavi; di questo parlano le varie crisi con cui si manifesta il fallimento del mercato autoregolato della globalizzazione; di questo parla il nuovo paradigma del capitalismo dell’oriente e dei paesi emergenti.

Una forza che ambisce ad essere guida egemone della trasformazione democratica ed anticapitalista nel paese non può e non deve rinchiudersi nello spazio del minoritarismo culturale e della marginalità politica ma deve sfidare in campo aperto le ipotesi moderate e costruire i possibili compromessi capaci di dare ulteriore forza e massa critica alla strategia della trasformazione. La forza di un progetto politico di alternativa non si misura nella chiusura autoreferenziale di un gruppo dirigente ma nella capacità di affermare in campo aperto, nel confronto con altre e diverse formazioni e culture, la valenza rivoluzionaria che lo anima e lo sostiene. Per questo non ci proponiamo come ennesima microfrazione in cerca di legittimazione burocratica; ma quanti riconoscono nella trama di questo ragionamento il motivo di un progetto forte, volto a sviluppare iniziativa capace di costruire le forme più avanzate di unità nella sinistra sociale e politica, dentro e fuori le formazioni politiche di appartenenza, si impegnano a promuovere le occasioni, i luoghi e gli strumenti affinché si faccia strada e avanzi, oltre le formazioni frantumate esistenti, la nascita del soggetto politico dell’alternativa. Si tratta di attivare il funzionamento di un Campo di Forze per l’Alternativa che si prefigga l’obiettivo ambizioso di segnare una svolta nel paese.

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