Partito della Rifondazione Comunista
Comitato Politico Nazionale 10 - 11 aprile 2010

UN LAVORO CORALE PER UNA STRADA NUOVA A SINISTRA

L’ESITO DEL VOTO

1) Il voto di fine Marzo dice che, seppure dentro un quadro tuttora difficile per Berlusconi e la sua maggioranza,( e anche se in presenza di una forte modifica degli equilibri interni ad essa) il centro destra nel suo complesso ha vinto nettamente le elezioni regionali.
Dopo mesi difficili in cui il governo è stato sulla graticola su tanti temi ( dalle vicende personali del premier agli scandali, dai guai giudiziari ai conflitti istituzionali, fino alla crisi economica ) mostra ancora di avere una tenuta.
Il Pd e il centro sinistra (allargato o meno) al contrario risultano sconfitti pur mantenendo le regioni di insediamento tradizionale (Toscana, Emilia Romagna, Umbria, Marche), la più difficile Liguria e strappando, grazie al fenomeno Vendola, il risultato in Puglia oltre che nella vicina Basilicata. Per il resto è un bollettino di guerra. Sconfitte secche in Lombardia e Veneto, sconfitta che brucia in Piemonte e anche nel Lazio, cui si aggiungono la conquista da parte del centro destra di Campania e Calabria.
L’aumento, a livelli mai raggiunti prima, dell’astensionismo non ha avuto lo stesso segno delle elezioni in Francia, dove ad essere penalizzato è stato soprattutto lo schieramento del presidente in carica. Da noi la critica astensionista si spalma un po’ su tutti gli schieramenti a conferma della caduta di credibilità forte della classe politica nel suo insieme.
La sinistra radicale nel suo complesso, e noi al suo interno, registra un arretramento significativo e ulteriore rispetto alle europee, sia in termini percentuali che in voti assoluti. Cede consensi all’astensione, a Di Pietro, a Grillo e anche al Pd e, rispetto a cinque anni fa, perde la metà dei propri voti, un milione e 274mila. Soprattutto, se si eccettua la specifica situazione di Vendola in Puglia, appare ormai uno schieramento logoro e ai margini, di fatto, della contesa essenziale che si svolge nel Paese. Confermando che la crisi evidenziata dal 2008 ad oggi è una crisi strutturale non destinata ad esaurirsi facilmente.
La rovinosa sconfitta nostra in Campania, al di là di dati locali da indagare, ha un significato politico che non si può occultare perché ci parla di un gruppo dirigente nazionale che si è rivelato incapace di guardare senza pregiudizi al Mezzogiorno e con un grave deficit di cultura democratica. Lì si è voluto sperimentare l’essenziale di un progetto, sbaragliando e disperdendo tutte le forze, le energie e il lavoro che, bene o male, in tanti anni si erano, pur con difficoltà crescenti, sedimentati sul territorio . Un cupio dissolvi che non ha salvato niente ( neanche il reddito di cittadinanza, e le leggi sull’immigrazione e per la preferenza di genere) e che come tale non poteva neppure intercettare (una volta fatto l’errore della presentazione solitaria) gli umori critici nel centro sinistra rispetto alla candidatura di De Luca. Umori critici inizialmente presenti che via via si sono assottigliati, anche man mano che la nostra campagna elettorale si dispiegava, fino a scomparire tanto da innescare episodi di voto disgiunto all’incontrario, cioè di elettori nostri su De Luca. Episodi magari deplorevoli ma sintomo inequivocabile del fallimento politico prima ancora che elettorale della candidatura alternativa.

LA CRISI DELL’ITALIA

2) La crisi del Paese non si inverte. Piuttosto sembra accentuarsi ma per farvi fronte occorre uno scatto autentico di tutto lo schieramento democratico e di sinistra. Uno scatto non frontista ma su un disegno politico efficace senza il quale non bastano le vertenze sui singoli obiettivi. La sfida aperta nel Paese riguarda ormai il suo equilibrio democratico e la sua fisionomia civile. Come conferire, cioè, all’Italia un modello sostenibile di crescita economica e sociale in cui le giovani generazioni siano trainanti anziché escluse. In cui si affronti il disagio economico e le diseguaglianze, in cui il lavoro ritrovi un ruolo, e chi lavora una funzione, pur nel difficile quadro di economia globale. In cui si valorizzino la scuola, l’università, la ricerca per competere al meglio sulla qualità piuttosto che sulla compressione dei diritti e dei costi del lavoro vivo. In cui lo storico dualismo italiano, quello Nord Sud, non sia negato e cancellato ma reindagato seriamente e, insieme, ci si interroghi sul perché le aree produttivamente più forti del Paese sembrano involvere su chiusure arcaiche e neocomunitarie. E’ rispetto a questi nodi essenziali, decisivi per le prospettive della Nazione, che ha un significato interrogarsi sulla funzione delle forze di sinistra e democratiche.
Le forze che esprimono il comando del Paese sono, ci piaccia o no, espressione dell’Italia, escono dai territori, maturano esperienze e classi dirigenti. Hanno qualche idea( cattiva ma ce l’hanno ) di come deve essere il Paese, soprattutto al Nord.
Nel Mezzogiorno andrà verificato come intenderanno muoversi. Finora la permanenza al centro sinistra di regioni come Campania e Calabria ( oltre alla Puglia e alla Basilicata, e lo stesso vicino Lazio) ha consentito al centro destra, attestato principalmente al Nord,di sviluppare una vera e propria aggressione al Mezzogiorno cui purtroppo si sono accodate tutte le forze politiche romane, anche del centro sinistra e della sinistra. Una campagna sistematica che, utilizzando i guasti effettivi del Sud e anche i limiti di parte delle sue classi dirigenti, ha finito per negarne perfino l’esistenza. Ora che a governare Settentrione e Mezzogiorno è lo stesso schieramento sarà interessante capire come il centro destra proverà ad affrontare questa contraddizione. E come vorremo affrontarla noi. Intanto al Nord il dominio della Lega si estende. Fondendo insieme l’efficacia di alcune parole d’ordine che appaiono un riparo, per quanto illusorio, agli effetti del modello economico globale che apre le frontiere per le persone ma che mette in movimento delocalizzando, per l’Italia perlopiù in uscita,realtà della produzione; l’impianto organizzativo molto aderente al territorio da grande patronato. Una sorta di grande sindacato territoriale che riempie spazi fatti di legami orizzontali un tempo occupati non solo dal Pci ma anche dalla Dc e perfino dalle forze e dai movimenti politici minori. Infine la maturazione di un ruolo di governo acquisendo un peso oltre il popolo delle partite Iva e delle imprese familiari nell’economia più larga e nel campo della finanza e delle banche.

UNA PROPOSTA POLITICA NUOVA CHE PARTA DAI TERRITORI E DALLA SCOMPOSIZIONE DI TUTTE LE ATTUALI FORZE IN CAMPO

3) A queste forze reali che ridisegnano il Paese, il suo assetto democratico e sociale, le sue vocazioni produttive e culturali non ci si contrappone con le parole. Il Pd fatica perché è un ibrido. Pur relativamente grande non ha un’attitudine al radicamento. E’ sospeso in un dibattito verticale infinito che lo avvita su se stesso e che non sembra capace di uno sbocco. La politica, anche quella contemporanea – nonostante l’elettronica e la rete – sembra aver bisogno di rapporti e di identità. Il Pd non può farcela perché appare privo di entrambe queste carte. Gli eredi del Pci faticano a mediare tra le diversità maturate fra di loro e soprattutto tra tante diverse vocazioni. La parte popolare non si è mai integrata e per questo non riesce ad esprimere rappresentanza sociale reale. In un diverso contesto si tratta di forze che sarebbero capaci invece di un rapporto con una parte del paese contribuendo al suo equilibrio sociale.
In questo quadro la scomposizione di tutte le attuali forze in campo di cui parla anche Vendola può diventare un tema vero. Se non si pensa a una sorta di neo partitone veltroniano può essere una strada da tentare. Provare a ricostruire cioè grandi forze politiche con identità e radicamento un po’ più chiari. Una grande sinistra, anche plurale, e una forza cattolico – democratica di centro che, sia pure con forti connotazioni anticentralistiche,possano competere con lega e Pdl riarticolando, innanzitutto socialmente, la democrazia italiana ormai così malata.
L’ obiettivo, non facile da perseguire, può diventare ora una vera federazione della sinistra, dove per sinistra si intende dal Pd a noi passando per tutte le altre forze e per tante aree sociali e culturali. Né alchimie politiciste né accanimenti minoritari, semmai qualcosa che riaccenda la passione di tanti e tante, un nuovo spazio pubblico di massa. La pretesa di indicare oggi percorsi e contenuti più definiti da parte di chiunque non evidenzierebbe spirito di proposta e autonomia ma solo immaturità politica. Una strada nuova a sinistra non potrà che crescere da un lavoro corale che muova dai territori e dalla consapevolezza delle difficoltà di tutti.

Vito Nocera Grazia Montoro

Respinto con 2 voti a favore

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