Partito della Rifondazione Comunista
Comitato Politico Nazionale 10 - 11 aprile 2010

Proposta di documento conclusivo

Le elezioni regionali hanno visto l’affermazione della destra, un rafforzamento del governo Berlusconi e, all’interno della sua maggioranza, della Lega nord. Una volta di più si conferma la velleità di quelle ipotesi che affidano alla sola contestazione della “questione morale e democratica” svincolata dal conflitto di classe, o, peggio, a un ipotetico cambio di schieramento nei poteri forti del nostro paese, la possbilità di una incrinatura e crisi del blocco di destra. Peraltro la storia degli ultimi 15 anni mostra come solo in presenza di grandi movimenti di massa che al loro interno vedevano un forte protagonismo del movimento operaio è stato possibile sconfiggere Berlusconi. Fu così nel 1994, fu così nel 2001-2005.
La sconfitta del centrosinistra si manifesta nella perdita di quattro regioni (fra le quali le due dove il risultato appariva più in bilico: Piemonte e Lazio, e dopo che erano già state perse Sardegna e Abruzzo), nei distacchi abissali con cui la destra vince in Calabria, Lombardia e Veneto, nella continua espansione della Lega Nord nelle ex “regioni rosse”. La sconfitta riapre anche lo scontro interno al Pd e al centrosinistra, l’Udc si distacca bruscamente da ipotesi di “fronte democratico” che troppo incautamente erano state accreditate anche nel nostro partito come possibile leva per una offensiva contro Berlusconi.
Il padronato si appresta a celebrare la vittoria della destra con una nuova pesante offensiva contro i diritti dei lavoratori, contro i diritti democratici. Cota e Zaia hanno celebrato il proprio insediamento dichiarando guerra all’autodeterminazione delle donne e alla RU 486, lanciando un forte segnale alle gerarchie vaticane sotto critica per lo scandalo pedofilia. Le assise di Confindustria chiedono di accelerare nell’attacco ai posti di lavoro, ai diritti sindacali, la ristrutturazione neocorporativa dei rapporti sindacali disegnata dall’accordo separato del 22 gennaio deve, nei progetti padronali, essere messa in atto a tappe forzate. Emergono di fronte a questo attacco tutte le debolezze della posizione della maggioranza della Cgil; l’accordo separato viene di fatto largamente recepito in numerosi accordi di categoria, l’opposizione al disegno sull’arbitrato è stata puramente testimoniale; tutto il dibattito congressuale fin qui svolto prefigura il tentativo di superare la rottura dello scorso anno recuperando una unità con Cisl e Uil nello schema della nuova concertazione corporativa. Tutto questo conferma la necessità di una chiara battaglia che leghi la critica alla posizione maggioritaria alla costruzione del conflitto nei luoghi di lavoro.

Il Pd è sottoposto alla forza centrifuga che attrae in diverse direzioni i blocchi di potere che lo compongono, chi alla ricerca di un dialogo con la Lega e con la finanza cattolica del nord che ad essa si sta avvicinando, chi ribadendo la centralità dell’alleanza con l’Udc, in Sicilia la collaborazione con Lombardo è già operativa, Cacciari e Chiamparino tornano a rilanciare l’ipotesi del “partito del nord” già peraltro praticata da tanti sindaci e amministratori lombardi pronti a marciare a fianco dei sindaci leghisti contro gli “sperperi” delle amministrazioni meridionali. Al di là delle diverse formule politiche e ideologiche delle quali si rivestono tali proposte, il loro comune denominatore rimane la completa espulsione di qualsiasi suggestione che possa incrinare la vocazione interclassista, liberista che ha segnato il Pd fin dalla sua nascita. Non c’è spazio per i lavoratori e per l’espressione autonoma dei loro interessi in nessuna di queste varianti della strategia del Pd.

Il nostro risultato elettorale è negativo, arretriamo ovunque in termini di voti assoluti rispetto alle Europee (32% dei voti persi), arretriamo in percentuale in 10 regioni. Va detto con chiarezza: il risultato negativo non si inquadra solo nell’onda lunga della sconfitta del 2008, ma anche nella nostra incapacità di far vivere la svolta a sinistra, proclamata a Chianciano ma seppellita dopo la sconfitta delle europee. Il dato è negativo non solo quantitativamente, ma anche qualitativamente. Le nostre liste si sono dimostrate incapaci di avanzare sui terreni pure possibili: non raccogliamo dal milione di voti persi dal Pd; non raccogliamo il voto di protesta, in parte capitalizzato dalle liste Grillo che in 4 regioni su 5 dove si presentano ottengono risultati superiori ai nostri; non raccogliamo neppure quel voto alla nostra sinistra che, per quanto esiguo, esisteva alle europee e alle politiche ma non aveva rappresentanza diretta in queste regionali.
Anche le rotture che abbiamo operato non sono mai state inserite all’interno di una strategia complessiva che puntasse alla costruzione nel tempo del campo della sinistra come polo politico esterno e alternativo al bipolarismo imperante. L’esperienza campana dimostra che non si superano 17 anni di governismo ininterrotto con 30 giorni di campagna elettorale dopo una svolta compiuta all’ultimo minuto. Un profilo alternativo richiede un investimento di lungo periodo e una profonda mutazione nello stesso modo di essere del partito. I tentativi di svolta, al di là dei limiti con cui sono stati praticati, si sono anche scontrati con settori del nostro partito pesantemente dipendenti dalla presenza istituzionale, disposti persino alla rottura laddove la linea politica metta in discussione il loro possibile ruolo di governo. Ciò chiama a una forte riflessione sulla natura del rapporto fra il partito e i propri rappresentanti istituzionali, un rapporto che per lunghe stagioni è stato segnato da una forte dipendenza del primo dai secondi.
Il sorpasso operato da Sinistra Ecologia e Libertà nei nostri confronti deve essere oggetto di riflessione. Esso infatti consente a Sel di perseguire con più forza il proprio disegno di costruire una sinistra pienamente inserita all’interno del centrosinistra (logica delle primarie), con forti accenti leaderistici sottolineati dalle intemerate di Vendola contro i partiti “morti”. Il nostro profilo confuso, mai chiaramente identificabile come opposizione di sistema, ha permesso a Vendola di accreditarsi come elemento di contraddizione e conflitto contro la leadership del Pd pur essendo la sua proposta pienamente interna a quel campo e persino con elementi di trasversalismo, come testimoniato dall’oggettiva sponda fra Vendola e Poli Bortone nella vicenda pugliese.
Non esiste l’ipotesi di una alleanza o sommatoria fra le nostre forze e quelle di Sel sul piano politico, se non a prezzo di una nostra definitiva subordinazione al quadro bipolare, trasformando nuovamente il nostro partito in forza di complemento delle ambizioni di questo o quel gruppo in lotta per la leadership nel centrosinistra. Né questa prospettiva cambia di molto con l’ipotesi di accordi tecnici elettorali per il 2013, che ci riporterebbero in pieno nella stagione della collaborazione di classe e che peraltro non sono neppure utili a fermare la destra, come testimonia il voto in Lazio e Piemonte.

Siamo dunque di fronte a un lavoro di lunga lena, che chiede innanzitutto attenzione al partito, alle sue strutture di base, alla costruzione necessariamente non breve di una leva di militanti e quadri capaci di sviluppare l’iniziativa politica in questo contesto. Va costruito un nuovo gruppo dirigente e un nuovo quadro diffuso che non sia perennemente condizionato da una deteriore logica “ex parlamentare” e dalla estenuante ricerca di mediazioni interne che impediscono la effettiva costruzione di una linea chiara e comprensibile.
La nostra ambizione è di costruire un polo politico di sinistra, strategicamente alternativo ai due poli dell’alternanza, capace di dare organizzazione e prospettiva ai bisogni sociali e democratici, oggi completamente espunti dal quadro politico bipolare. Questa strategia deve partire da una interlocuzione sistematica con i movimenti, con quei settori operai e sindacali più combattivi (dalla sinistra Cgil ai sindacati di base) oggi privi di seri riferimenti politici, deve investire su una ricostruzione non solo organizzativa ma anche programmatica e teorica del nostro impianto.
La crisi capitalistica, a dispetto dell’attenuarsi della caduta della produzione, continua a macinare le sue contraddizioni e a svilupparne di nuove, sia sul piano finanziario (crisi greca e suoi effetti sull’area dell’Euro), sia sul piano delle relazioni internazionali, sia soprattutto nello sconvolgimento delle condizioni di esistenza e delle prospettive di vita di masse enormi di persone, gettate in un cataclisma sociale senza alcuna forza, né sindacale né politica ad oggi in grado di dare una risposta convincente. Una piattaforma politica all’altezza dei tempi si può costruire solo nella relazione tra un’elaborazione teorica e la relazione col movimento reale, con tutte le sue contraddizioni e la tortuosità del suo percorso attuale.
Siamo quindi chiamati ad un compito che è paragonabile a quello di quelle generazioni che, in altre epoche, hanno dovuto affrontare momenti di crisi strategica del movimento operaio. Non a caso dal punto più avanzato del conflitto di classe a livello mondiale, dall’America latina, viene oggi la suggestione di una nuova Internazionale, la Quinta, che sappia riprendere il filo interrotto dell’elaborazione e della battaglia per un mondo libero dallo sfruttamento. Quali che siano le vicende che segneranno questa ipotesi, quali che siano le vicende del conflitto di classe nel nostro paese, è quella l’ambizione con la quale dobbiamo misurarci, non facendoci rinchiudere dalle nostre difficoltà odierne, per quanto profonde, in un dibattito asfittico e tutto dominato dai posizionamenti e dal politicismo elettoralista, ma riconquistando sul campo a partire da noi stessi, la capacità di porci al livello della sfida.

Claudio Bellotti, Mario Iavazzi, Lidia Luzzaro, Sonia Previato, Jacopo Renda, Antonio Santorelli, Dario Salvetti

Respinto con 6 voti a favore

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