Partito della Rifondazione Comunista
Comitato Politico Nazionale 13 - 14 dicembre 2008

Relazione di Paolo Ferrero

Care compagne e cari compagni,
Dopo il congresso, questa è la prima occasione di confronto a tutto tondo. Io cercherò di affrontarla nella maniera più schematica possibile, dando per letti e acquisiti dalle compagne e dai compagni l'insieme degli atti della recente direzione e che sono stati pubblicati su Liberazione.

1. Il contesto della crisi è quello decisivo
E' esplosa una crisi dell'economia capitalista globalizzata di carattere strutturale. Il mondo ha attraversato un ciclo liberista di lungo periodo. La rivoluzione restauratrice prodotta da questo ciclo ha sconfitto a livello mondiale il movimento operaio e le istanze di rinnovamento e ha destrutturato i diritti del lavoro e il welfare. Si è raddoppiato "l'esercito salariato di riserva", si sono prodotti effetti devastanti nella direzione di salari sempre più bassi e di incremento della precarietà. In realtà, invece, si dimostra come bassi salari e precarietà siano l'origine profonda di questa crisi. La speculazione finanziaria ha avuto l'effetto di farla esplodere ma non di causarla. E non si intravede, dentro il contesto delle economie attuali, una nuova locomotiva che traini la ripresa.
La tesi che intendo avanzare è, pertanto, la seguente: noi dobbiamo cogliere la crisi come "luogo storico", come crisi costituente, in cui si rompono gli equilibri esistenti. Dentro la valanga della crisi, nulla rimarrà come prima. Basta vedere cosa sta accadendo nel nostro apparato industriale: un milione di posti di lavoro in meno, precarietà portata ancora di più all'estremo, insicurezza che diviene condizione generale di esistenza per milioni di persone.
Il punto centrale che sottopongo alla discussione è che per una forza della trasformazione, quale la nostra, il no alla crisi non basta, occorre la capacità di un salto di qualità, di saper proporre un progetto alternativo. Da questa crisi, se ne esce o a destra o a sinistra (l'unica cosa esclusa è il poterne uscire al centro).
Non siamo, come Rifondazione comunista, solo gli eredi della sconfitta degli anni 80 e 90. Noi dobbiamo avere la capacità di ricollocare la nostra iniziativa dentro la novità della crisi strutturale del capitalismo globalizzato.
Il governo sembra cogliere bene questa situazione, dal suo punto di vista. La sua iniziativa, infatti, si propone di intervenire dentro la crisi, cercando di utilizzarla ai fini di una ristrutturazione in senso autoritario, attraverso l'uso regressivo dell'intervento pubblico. Nelle misure proposte, il governo, infatti, interviene per salvare le banche e i grandi interessi ma senza mettere in discussione il modo di funzionare di tali istituti, ripropone le grandi opere connesse a quegli interessi, non da nulla sul versante del lavoro e delle pensioni, opera una politica di tagli al welfare, interviene con misure di elemosina caritatevole, proponendo se stesso come "nuovo sovrano" che si rapporta direttamente ad alcune fasce di povertà, una relazione diretta tra il potere centrale e i soggetti atomizzati e senza rappresentanza.
Insomma, l'ipotesi dell'uscita da destra dalla crisi è molto forte. La sfida che dobbiamo essere in grado di portare avanti è assai difficile. Ma questa deve essere la nostra ambizione: proporre una alternativa, una uscita da sinistra.

2. La ripresa dei movimenti
Abbiamo scommesso sulla ripresa dei movimenti. Non tutti, a dire il vero. Anche nel nostro congresso, c'è stata una posizione che, proprio partendo da una valutazione negativa su questo, pensava alla necessità di una supplenza politica dall'alto e ha contrastato l'ipotesi politica di ripartire dalla società e dal basso.
Penso che dovremmo approfondire l'analisi sul movimento della scuola. Esso esprime una fortissima politicità, a partire dalla capacità di aver saputo unificare un fronte che si è spesso frantumato (i docenti, gli studenti, il personale tecnico, i genitori delle scuole elementari). La politicità che il movimento ha espresso è data sia dalle indicazioni generali che ha posto ("noi non paghiamo la vostra crisi") sia dalla capacità di saper proporre una piattaforma complessiva che esprime una idea della conoscenza come bene comune. E' proprio questa politicità (non il suo contrario) che permette al movimento di autorappresentarsi e non delegare alla politica come oggi è.
L'altro elemento fondamentale è la collocazione di autonomia che la Cgil è andata assumendo sia in rapporto al governo che alla Confindustria. La scelta dello sciopero generale è stata importantissima. Non dobbiamo sottovalutare quanto avvenuto: il successo dello sciopero generale della Cgil e dei sindacati di base non era scontato. Su questo percorso, dobbiamo investire con determinazione. Dobbiamo lavorare per consolidarlo anche perché è chiaro che la Cgil ha conquistato una autonomia ma ancora non ha elaborato una piattaforma complessiva alternativa alla concertazione. E' del tutto evidente, infatti, come la collocazione attuale della Cgil contribuisca all'ossatura dei movimenti, alla loro massa critica, a mettere in relazione i soggetti. Anche da questo punto di vista, la crescita dei movimenti è decisiva perché esprimono l'esigenza di una fuoriuscita dalla logica della concertazione.
Questa è la divaricazione che indica anche il crocevia di fronte alla crisi: il governo e la confindustria propongono un'uscita da destra e i movimenti indicano la possibilità di una uscita da sinistra.

3. La contraddizione del Pd
Il Pd non è stato in grado di aderire allo sciopero generale perché non è autonomo dalla Confindustria. Possiamo sostanzialmente dire che tra governo e movimento, il Pd ha una posizione terzoforzista. Può trarre un successo solo nella misura in cui i movimenti vengano sconfitti nella loro capacità di porsi autonomamente nei confronti del governo e, quindi, vengano ricacciati in una logica lobbista.
La nostra autonomia dal Pd, quindi, semmai va accresciuta e proprio il tema della relazione con i movimenti segna la differenza strategica tra il nostro progetto e quello del Pd. Vorrei sottolineare come sia un errore madornale affidarsi alle divisioni interne al Pd . La divisione nel Pd non incrocia nemmeno minimamente il tema dell'autonomia e della dinamica dei movimenti.

4. La proposta del coordinamento della sinistra
Noi abbiamo avanzato la proposta del coordinamento delle forze della sinistra. Su questa proposta, vogliamo rapidamente stringere con tutti coloro che sono disponibili. Vorrei precisare la differenza tra questa proposta e quella del coordinamento delle opposizioni. Naturalmente, ovunque possibile, non siamo ostili ad iniziative comuni con le altre opposizioni non di sinistra. Il punto è che con il Pd e Italia dei Valori manca la concordanza su temi decisivi e che riguardano la lotta alla precarietà, i diritti del lavoro, la redistribuzione del reddito, la politica ambientale, l'intervento pubblico e così via.
Penso che a sinistra, occorrerebbe uscire dalla schizofrenia: o partito unico o il deserto. Penso, invece, che occorra riconoscere le differenze politiche che ci sono e, al tempo stesso, valorizzare le convergenze programmatiche che sono possibili, partendo da esse, per proporre una azione comune che possa favorire l'ulteriore crescita dei movimenti.

5. Per l'uscita a sinistra dalla crisi
Quali sono i punti forti di una proposta complessiva che intervenga, dentro la crisi, per proporre una fuoriuscita da sinistra dalla crisi globale?
Propongo una schematizzazione di questo intervento, così articolato nei suoi tratti essenziali:
- la crisi è strutturale e frutto delle politiche neoliberiste (non solo dei suoi eccessi speculativi): bassi salari e precarietà sono cause fondanti la crisi che attraversiamo. Senza affrontare questi nodi non si affrontano le cause della crisi.
- Conseguenza di questo è che dalla crisi non si esce con i sacrifici (ovvero con meno salari e più precarietà). Così la crisi si aggrava. Ridistribuire il reddito a vantaggio del lavoro dipendente e delle pensioni aiuta la soluzione della crisi.
- Ridistribuire il reddito si può, partendo da misure molto semplici: reintrodurre la tassa di successione, introdurre la tassazione delle rendite finanziarie, dei grandi patrimoni immobiliari, la tobin tax, intervenire sui paradisi fiscali, ridurre le spese militari.
Qual è l'obiettivo di fondo che dobbiamo lanciare con le risorse che si producono in questo modo?
Occorre garantire a tutti i lavoratori, a prescindere dalla dimensione produttiva e dalla forma contrattuale che si possiede, il diritto agli ammortizzatori sociali. Insomma, di fronte alla perdita del lavoro, va data la garanzia del reddito a tutti. Connessa a questa, il salario sociale per chi il lavoro non ce l'ha.
A questo, naturalmente, vanno accompagnate misure sulla riduzione della tassazione sul lavoro, la restituzione del fiscal drag, ecc.
In secondo luogo, dalla crisi non si esce con il medesimo modello economico e di sviluppo. E' necessario un intervento generale per la riconversione ecologica dell'apparato produttivo e dell'economia.
E' in questa prospettiva (cioè la risposta alla crisi) che dobbiamo proporre il tema decisivo del controllo pubblico del credito, ovvero la nazionalizzazione dei grandi istituti. Insomma, senza un progetto e strumenti concreti, come il controllo pubblico del credito, un obiettivo di tale forza strategica non è proponibile. Il governo, al contrario, interviene per socializzare le perdite e privatizzare i guadagni.
Altro punto da porre con forza riguarda il diritto dei lavoratori di riappropriarsi del Tfr, a partire dal diritto di poter ritornare indietro rispetto alla scelta fatta (o alla non scelta, funzionando il cosiddetto metodo del silenzio assenso).
Su questa impostazione generale, è necessaria una offensiva anche di carattere culturale. Occorre affermare con grande nettezza che chiedere maggiori diritti e più salario non è un atto egoistico, di cui vergognarsi perché c'è la crisi. E' il contrario: è la condizione essenziale per risolvere la crisi. Gli aumenti fanno bene al Paese e all'economia. Altrimenti, c'è il rischio che ognuno lotti quando è toccato personalmente dalla crisi ma poi sia ancora vittima dell'ideologia dei sacrifici e dell'egemonia culturale del neoliberismo.

6. Riconvertire l'iniziativa del Prc
Un salto è necessario nella nostra iniziativa. La nostra collocazione deve essere la seguente: stare nella crisi per impedire la guerra tra i poveri, costruendo il conflitto. In questa prospettiva, occorre fare attenzione anche al modo di intendere il rapporto con le istituzioni, anche quelle locali. Non dobbiamo essere, o essere vissuti, come i difensori delle istituzioni, quelli che si mettono in mezzo tra queste e i movimenti. Al contrario, anche la postazione nelle istituzioni, vanno utilizzate al fine della crescita dei movimenti.
In questa prospettiva, vanno ulteriormente rilanciate le attività di mutualismo. Su questo, si è svolta una polemica che ritengo vada superata. Certamente, distribuire il pane a un euro al chilo non esaurisce la nostra iniziativa, anche dentro la dimensione del mutualismo. Ma, diviene un fato importante se è dentro il recupero della politicità del mutualismo, che è stata componente fondamentale della crescita del movimento operaio. L'obiettivo deve essere uno spostamento rispetto a come siamo percepiti oggi, dentro la crisi della politica.
Sugli enti locali, dobbiamo avere una riflessione approfondita. Vorrei sottolineare l'importanza della tornata della prossima primavera e della necessità di affrontarla con un profilo politico preciso e unitario. Va effettuata una attenta verifica delle alleanze, rifiutare accordi con l'Udc e, anche dentro quello che si può definire il vecchio centro sinistra, va richiesta e ottenuta una qualificazione programmatica e un rigore sulla questione morale che non lasci ombre e segni una discontinuità netta con la pratica politica prevalente dentro il sistema politico attuale. Siamo per investire con determinazione per una apertura delle liste alla società e ai movimenti (pensiamo a proporre un'apertura del 50% delle liste ai non iscritti). Al contempo, affermiamo l'esigenza di presentare liste del Prc, con il nostro nome e simbolo perché quella della rifondazione comunista è la nostra prospettiva.

7. Liberazione e la comunicazione.
La direzione ha chiesto la predisposizione di un piano di risanamento e di rilancio del giornale con l'obiettivo del pareggio di bilancio per il 2009. Il deficit del giornale, come è del tutto evidente, è oggettivamente incompatibile con la sopravvivenza del partito.
Oggi dobbiamo svolgere una discussione di carattere politico sull'indirizzo del giornale. Io non credo che la questione da affrontare sia quella dell'autonomia del giornale ma il fatto che oggi Liberazione risponda ad un altro progetto politico, che è quello del superamento del Prc. E' questo il problema che riscontro al giornale.
Vorrei proporre anche l'assunzione di una iniziativa editoriale nuova: la promozione di una rivista del Prc, come spazio pubblico comune di riflessione e confronto, utile per proporre analisi e inchiesta e anche per favorire una circolarità del nostro dibattito e di quello dentro a tutta la sinistra.
Dobbiamo, infine, avviare una discussione più approfondita sulle forme di comunicazione. Occorre protestare e manifestare contro la censura del servizio pubblico ma occorre anche affrontare il problema di come noi parliamo al Paese e ripensare le forme con cui comunichiamo con l'esterno, da internet al sistema radiotelevisivo.

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