Partito della Rifondazione Comunista
Comitato Politico Nazionale 14 - 15 ottobre 2006

Documento Cannavò e altri

Dopo un ciclo di lotte popolari, contro il liberismo e la guerra, che ha permesso di battere il governo Berlusconi si è insediato un nuovo governo di centrosinistra con al suo interno il Partito della Rifondazione comunista.
Le prime misure di questo governo sono però deludenti e contrarie alle attese generate. Non abbiamo mai nascosto le nostre riserve e contrarietà all’ipotesi governativa, ma la realtà del governo Prodi supera le previsioni più negative. Dalla continuità nelle missioni militari alla politica sociale improntata ai dettami del liberismo temperato, come dimostra la Finanziaria per il 2007, il governo Prodi si muove nelle coordinate disegnate dal multilateralismo in politica estera, lo stesso degli anni '90 delle missioni in Somalia e della guerra nel Kosovo, e del liberismo di Maastricht e del patto di Stabilità.
Il ruolo di Rifondazione si ferma al tentativo di “ridurre il danno”, emendando o addolcendo un corpo centrale della politica di governo che non inverte nessuna rotta rispetto agli ultimi 15 anni.
Rifondazione rischia così di perdere il senso della propria storia e identità, quello di una sinistra alternativa alla sinistra moderata, fuori dai canali del bipolarismo e orientata a un solido progetto anticapitalista.
Questo smarrimento è visibile nelle modalità e nelle finalità del costituendo Partito della Sinistra Europea che si presenta come la conclusione del ciclo della rifondazione comunista e come avvio di un ciclo di ricomposizione della sinistra di governo. Un cambio di passo che opera una cesura con quanto noi stessi abbiamo fin qui realizzato. Una cesura che lascia irrisolto il nodo di una soggettività politica anticapitalistica che non disperda il patrimonio di questi quindici anni, che consolidi l’internità al conflitto sociale, che mantenga salda una prospettiva di classe.

a) Una finanziaria neoliberista
La finanziaria non è di sinistra ma mantiene uno stampo neoliberista. L’ipotesi di un’altra finanziaria, ottenuta dalla stabilizzazione del debito e di importo nettamente inferiore all’attuale, non è stata perseguita con il risultato negativo che la piccola redistribuzione operata, con logica familista, a vantaggio dei redditi medio-bassi è oggi annullata dai tagli alla sanità, alla scuola e agli enti locali; il Tfr, che appartiene ai lavoratori e non alle imprese, viene utilizzato per finanziare opere infrastrutturali tra cui l’Alta velocità o, peggio, per le spese militari (350 milioni di euro); nel pubblico impiego viene di fatto bloccato il turn-over; alle aziende continuano ad affluire miliardi di incentivi mentre si scopre la truffa del cuneo fiscale che non viene rigirato ai lavoratori nella misura promessa ma che viene dato ai padroni fino all’ultimo euro. Non è prevista né l’abolizione, né tanto meno la riscrittura della legge 30 o della Bossi-Fini mentre i sindacati confederali firmano un memorandum che prevede il taglio dei coefficienti contributivi (cioè le pensioni future) e l’allungamento dell’età pensionabile. La grancassa di Confindustria, del resto, ha come obiettivo quello di ottenere al più presto e senza resistenze un intervento mirato e chirurgico sullo stato sociale. Infine assistiamo a un aumento vertiginoso delle spese militari.
Per queste ragioni vanno respinti i contenuti antisociali della Finanziaria, nelle lotte e in Parlamento, per arrivare a risultati positivi per i lavoratori e le lavoratrici. In particolare crediamo sia necessario operare un’inversione di rotta a partire da alcune misure indispensabili:
ridurre le spese militari in funzione delle spese sociali, sanità e scuola;
abrogare la legge 30;
togliere il Tfr alle imprese per porlo nella piena disponibilità dei lavoratori senza trasferirlo forzosamente all’Inps per fare cassa ai fini di bilancio;
eliminare il taglio di organico nella scuola pubblica con la riduzione dei finanziamenti alla scuola privata;
equiparare le retribuzioni dei parasubordinati ai lavoratori a tempo indeterminato;
recuperare il fiscal drag e il cuneo fiscale non assegnato ai lavoratori dipendenti;
eliminare i tagli agli enti locali.
In caso contrario la Finanziaria non può essere votata e Rifondazione deve riconsiderare la propria presenza al governo.
Il No alla Finanziaria dei tagli sociali deve vivere nell’iniziativa parlamentare ma soprattutto nel conflitto sociale a partire dalla manifestazione del 4 novembre, per la quale ci impegniamo a costituire comitati locali, nelle iniziative sui luoghi di lavoro, nelle scuole e nelle università fino alla giornata di mobilitazione per la scuola pubblica e allo sciopero generale del 17 novembre.

b) La lotta contro la guerra
La lotta alla guerra senza se e senza ma deve riprendere. L’esito negativo del rifinanziamento alla missione militare in Afghanistan, gli entusiasmi per la missione Onu in Libano, hanno contribuito, pur senza esserne l’origine, allo stallo in cui versa il movimento pacifista. La battaglia contro la guerra oggi vuol dire innanzitutto ricostruire un movimento unitario che metta al centro la questione palestinese, il ritiro delle truppe dai teatri di guerra, a cominciare dall’Afghanistan, la riduzione drastica delle spese militari, la chiusura delle basi militari straniere. Crediamo che sulla guerra debba realizzarsi un comportamento parlamentare conseguente, con il rifiuto di avallare le missioni militari e l’impegno a dare voce a un movimento che in larga parte è da ricostruire. Ribadiamo la nostra contrarietà all’attuale missione in Libano, ma crediamo che il movimento per la pace debba padroneggiare le differenti posizioni avviando una riflessione sulla valenza di quella missione, sulle sue ambiguità e contraddizioni.
L’assemblea di Firenze del 21 e 22 ottobre rappresenta un’occasione per questo percorso complessivo e per questo occorre contribuire alla sua riuscita.

c) Ricomporre la sinistra anticapitalista
L’attuale percorso della Sinistra Europea, per come si è ormai configurato, non ci convince in particolare perché chiude il ciclo della rifondazione comunista, cioè della costruzione di una sinistra di classe e anticapitalista. Il percorso verso la Se, infatti, si configura come un progetto di ricomposizione di ceti politici veicolato dalla collocazione al governo. Quello che riteniamo sbagliato, e lesivo della storia e dell’identità del Prc fino a prefigurarne un superamento di fatto, è posizionare la costruzione di un nuovo partito in uno spazio politico che, obiettivamente, si pone nello stesso orizzonte politico e culturale della sinistra socialdemocratica avanzato dalla sinistra Ds. Il rapporto diretto e l’unità d’azione tra le varie forze della sinistra è certamente auspicabile e positivo ma non può far venire meno l’obiettivo di una sinistra anticapitalistica e compiutamente di classe. Questo resta il nostro orizzonte, in continuità con il percorso decennale di Rifondazione comunista. Questa prospettiva vorremmo fosse discussa in un congresso straordinario del partito. Questa stessa prospettiva proporremo comunque all’imminente conferenza organizzativa che andrà costruita in un percorso democratico e garante del confronto tra tutte le posizioni.

Salvatore Cannavò, Franco Turigliatto, Flavia D’Angeli, Gigi Malabarba

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