Documento proposto da “Sinistra Critica”

La legittima soddisfazione per aver battuto il governo Berlusconi non giustifica il trionfalismo dell’Unione né induce a uno sguardo ottimistico sulle elezioni politiche.

La incredibile divisione del paese, il successo numerico della Casa delle libertà al Senato, la vittoria alla Camera per soli 25mila voti e in virtù di un premio di maggioranza aspramente contestato, sono segnali che inducono a una riflessione pacata e a un giudizio non settario ne propagandistico.

1) Se è vero che Berlusconi è stato sconfitto come capo del governo, tuttavia non è stato sconfitto né il suo schieramento né il berlusconismo come “biografia del paese”. Si tratta di un dato analitico rilevante perché chiama in causa le reali possibilità dell’Unione di governare. Il berlusconismo si è dimostrato un collante sociale e politico formidabile che ha permesso un’insperata rimonta da parte del leader delle destre e soprattutto parla di un paese profondamente segnato dal mix di liberismo, populismo, razzismo e clericalismo che caratterizza la Casa delle libertà. Il suo messaggio, ispirato anche alla cultura neoconservatrice statunitense, ha coinvolto e motivato metà dell’elettorato, e la maggioranza di quello più anziano, in un’elezione che si è svolta con una massiccia partecipazione e con una riduzione drastica dell’astensionismo. L’unione non si è rivelata lo strumento sufficientemente adeguato per battere le destre nettamente e quindi far arretrare questa cultura, il suo humus sociale e quindi la forza del suo schieramento.

2) Nonostante l’Unione superi in valori assoluti la Casa delle Libertà e conquisti un risultato positivo tra i giovani, anche in virtù dell’articolazione e dell’ampiezza della sua conformazione il progetto di sfondamento nell’elettorato delle destre fallisce, lasciando il sapore amaro di una vittoria a metà. E con l’Unione è lo stesso Prodi a uscire battuto da queste elezioni in virtù della sconfitta numerica subita al Senato che peserà non poco nella formazione del Governo. Prodi ha fallito la campagna elettorale gestita all’insegna della moderazione, del rapporto con Confindustria, senza impugnare l’elemento sociale e quindi mancando la possibilità di uno smottamento del fronte avversario. Mentre Berlusconi adottava una strategia di radicalizzazione, di attacco a testa bassa per compattare il proprio elettorato, e ridurre il rischio di astensione, l’Unione ha risposto balbettando, facendo un passo indietro dopo l’altro sul piano della politica fiscale e sull’analisi stessa del paese, strizzando l’occhio ai “poteri forti” e smarrendo l’elemento di radicalità che invece era insito nel tema della precarietà o in quello della tassazione delle rendite finanziarie. Un cedimento alle spinte moderate che si è ritorto contro il cuore liberale dell’Unione, Ds e Margherita, che escono sconfitte. Il buon risultato di Rifondazione al Senato, pur bilanciato da un dato non soddisfacente alla Camera, e il contestuale buon andamento delle forze antiliberiste della coalizione, indica che c’era una voglia di sinistra non perfettamente sintetizzata dal profilo generale dell’Unione e dalla figura di Prodi.

3) Le elezioni segnano allo stesso tempo il culmine e il punto di arrivo di un sistema rigidamente bipolare. Il culmine perché mai come oggi il voto ha rappresentato un referendum pro o contro l’attuale capo del Governo. La stessa attesa notturna delle ultime sezioni scrutinate e il vantaggio di 25 mila voti alla Camera segnalano questa particolarità. Ma proprio per le sue caratteristiche, e in virtù di una legge elettorale “bastarda” lo scontro tra i due leader e tra i due schieramenti ha consegnato la fotografia di un paese esattamente diviso a metà, con le due camere a maggioranza diversa (se non altro sul piano dei numeri reali) e quindi con un blocco dell’intero sistema politico. Ce n’è abbastanza per sostenere la fine del sistema bipolare, l’introduzione di un efficace, e più democratica, legge elettorale proporzionale, sia pure alla tedesca, e il ripristino di una normale dialettica politica tra programmi diversi e leadership plurali.

4) Le elezioni registrano sempre, sia pure in ritardo, un rapporto di forza sul piano sociale e sul piano della lotta di classe. E questo parametro indica chiaramente che la fase di lotte e movimento che è alle nostre spalle ha senz’altro contribuito a incrinare il berlusconismo, ma non lo ha sconfitto socialmente. Il blocco delle destre ha gli stessi identici voti di cinque anni fa, di prima che iniziasse la stagione di Genova e la sconfitta di Forza Italia si traduce in un riequilibrio interno all’alleanza soprattutto in direzione dell’Udc. Le lotte e le vertenze del quinquennio hanno certamente indicato una strada in controtendenza rispetto agli anni novanta, ma non fino al punto da disegnare un’alternativa chiara al liberismo e al suo modello sociale. Aver creduto, e fatto credere, che il paese fosse cambiato e che bisognava solo attendere la data delle elezioni per mostrarlo, si è rivelato uno sbaglio drammatico così come un grave errore è stato non aver tentato di far cadere il governo nel suo momento di maggior debolezza, alle elezioni regionali, costruendo un’ampia mobilitazione politica e sociale in grado di dare la giusta risposta a lotte, vertenze e movimenti diffusi nel paese. Oggi il sentimento diffuso è quello del disorientamento. Aver creduto che lo “sbocco politico” fosse decisivo per consolidare i movimenti degli anni passati ha pesato su questi ultimi, indebolendoli. Oggi misuriamo con amarezza che nella strada del cambiamento sociale e politico c’e’ ancora molta strada da fare e che gli ostacoli sono numerosi. Del resto lo dimostra il non brillante risultato nelle regioni governate dal centrosinistra dove, a un anno dal cambio segato dalle regionali, è la destra che torna a vincere. Ennesima dimostrazione che, per guadagnare davvero un cambiamento, servono un insediamento sociale e la capacità di ricostruzione di un blocco per l’alternativa in grado di realizzare una dinamica di trasformazione innanzitutto dal basso. Pensare oggi di aggirare questo dato barricandosi in un governo di “minoranza sociale” potrebbe risultare drammatico per lo sviluppo della lotta di classe e per le sorti stesse del Prc.

5) In questo quadro la prospettiva che si apre non è delle migliori. La formazione di un governo di alternativa non appare all’ordine del giorno non più e non solo per l’ambiguità del programma prodiano o delle forze moderate del centrosinistra ma per l’oggettiva forza che il fronte delle destre ha dimostrato e per i suoi effetti nel centrosinistra. Il richiamo all’opzione centrista assume oggi maggior forza. E la sua consistenza la si ritrova non solo nell’ipotesi di un accordo con settori del centrodestra ma nelle stesse propensioni del centrosinistra e di Prodi. La presenza, al suo interno, di ingenti forze della borghesia italiana spinge in questa direzione e l’ipotesi di un ministro all’Economia come Padoa Schioppa ne costituirebbe il suggello.

6) Anche per questo, la pressione sul nostro partito sarà fortissima. L’appello al senso di responsabilità e il richiamo forte al vincolo di coalizione produrranno una coercizione sul Prc costretto a rispettare l’alleanza per non permettere una rivincita delle destre. Questo può tradursi nella somministrazione di misure indigeribili. Noi pensiamo che non esistano oggi le condizioni per una presenza organica del Prc al governo del Paese: né per i contenuti dell’alleanza, né per la qualità della coalizione. Altra cosa è un sostegno esterno vincolato alla realizzazione di alcune misure indispensabili che permetta la nascita del governo. Sarebbe questo il contributo più efficace per permettere al governo Prodi di intraprendere l’unica strada che ha a disposizione, quella di una reale discontinuità con le politiche liberiste e di guerra dei governi precedenti, compresi i governi di centrosinistra. E segnali di discontinuità immediati non possono che essere il ritiro immediato delle truppe dall’Iraq e dall’Afghanistan, l’abrogazione della Legge 30, della Moratti e della Bossi Fini, il rilancio della questione salariale, il rifiuto di nuove privatizzazioni e liberalizzazioni, una politica per il disarmo. La possibilità reale di battere le destre sul piano sociale, oltreché politico, e di arginare la loro rivincita sta tutta nella costruzione di una reale alternativa di governo che superi lo schema dell’alternanza.

7) Per questo Rifondazione deve riacquistare la propria autonomia d’iniziativa. Si tratta di riconferire centralità ai contenuti sociali anche sulla scia del formidabile risultato francese. Le principali emergenze della fase restano quelle della campagna elettorale: dall’immediato ritiro delle truppe dall’Iraq, all’abrogazione della legge 30, Moratti e Bossi-Fini, dalla chiusura dei Cpt alla tassazione delle rendite finanziarie e a misure concrete di redistribuzione del reddito, anche con la reintroduzione di una nuova scala mobile, da una legge sulle unioni civili a misure di risanamento sul piano giudiziario superando la politica delle leggi ad personam per una politica di leggi uguali per tutti (amnistia; droghe...). Particolare autonomia andrà esercitata nell’elezione del prossimo Presidente della Repubblica, rifiutando candidature che siano legate a una visione liberista dell’economia e che invece professino un solido attaccamento alla costituzione, in particolare all’articolo 11. In questo quadro si colloca la campagna referendaria per sconfiggere la controriforma costituzionale-”devolution”- del centrodestra così come la campagna elettorale per le imminenti elezioni amministrative.

8) Il risultato di Rifondazione si presta a due letture. Al dato eccezionale del Senato non corrisponde quello della Camera che rimane al di sotto delle aspettative. Certo, in termini assoluti c’è un significativo passo avanti. Resta però lo scarto tra i due voti che penalizza quello a maggior influenza giovanile.


La spiegazione può essere duplice: da un lato la concorrenzialità con la lista dell’Ulivo che evidentemente viene individuata come una proposta politica innovativa, unitaria e, paradossalmente, più a “sinistra” delle due liste, Ds e Margherita, presentatesi separate al Senato. Questo dato deve far riflettere sulla mancata attrazione determinata dalla proposta di Sinistra Europea Sezione Italiana, il cui ruolo, in relazione a quello del partito, resta ancora da chiarire. Dall’altro ha certamente contato un effetto di travaso tra il voto dell’Ulivo alla Camera e quello alla lista “Insieme per l’Unione” al Senato, con uno spostamento di voti dal Pdci al simbolo di Rifondazione, l’unico con la falce e martello. C’e’ da chiedersi quanto sia stata utile, a questo fine, una campagna elettorale giocata tutta sull’affidabilità invece che sulla differenziazione e sul “valore aggiunto” del Prc.

9) Il partito ha svolto un ruolo di primo piano in questa campagna, utilizzando l’energia e la pressione dei/delle militanti, la presenza e il prestigio delle sue strutture territoriali, la sua capacità di "essere partito”. Ovviamente questo dato non ha controbilanciato il peso di una campagna elettorale fortemente mediatizzata, dipendente dall’esposizione televisiva e quindi dalla leadership. Una stortura che dovremmo modificare con una discussione interna sul partito e sul suo ruolo. A questo proposito è necessario rilanciare la “riforma del partito” e la sua autonomia dal governo. Sono quindi necessari tre passaggi, anche in vista di un riassetto interno indispensabile: a) il rinnovamento e il ringiovanimento delle strutture di direzione e di dipartimento con il rispetto dell’incompatibilità tra incarichi parlamentari e/o di governo e responsabilità di partito; b) la reintroduzione di una gestione collegiale del partito con un ripensamento della struttura organizzativa decisa all’ultimo congresso; c) un ribilanciamento sul piano sociale con l’individuazione di una “Agenda sociale” che comprenda alcune campagne su cui mobilitare l’insieme del partito stesso.

Salvatore Cannavò
Flavia D’Angeli
Gigi Malabarba
Franco Turigliatto
Respinto a maggioranza con 13 voti favorevoli

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