Documento proposto da “Area Ottobre”

Il risultato conseguito dal Prc alle Elezioni Politiche rappresenta un indiscutibile successo sul piano elettorale, tuttavia, a parere dei compagni dell’Ottobre, ciò non costituisce la garanzia del conseguimento degli obiettivi politici e programmatici che il nostro Partito si riproponeva.

Aver mandato a casa Berlusconi, infatti, pur con margini elettorali assai ridotti, ha riaperto prospettive nel paese, ma purtroppo non superato quel “berlusconismo” immesso in dosi massicce nel tessuto sociale e riscontrabile anche indipendentemente dall’ancora consistente peso elettorale del centrodestra, sostanzialmente corroborato dal clerico-fascismo.

Sarebbe un profondo errore pensare che la cacciata di Berlusconi sia, di per sé, sufficiente a sanare i guasti sul terreno sociale e su quello democratico, causati dall’attuale crisi capitalistica prima ancora che dal Presidente del Consiglio. Il berlusconismo è, infatti, il frutto della crisi e non l’origine, credere che la sua cacciata basti a rimettere le cose a posto è un tragico errore dialettico le cui conseguenze saranno pagate dai lavoratori negli anni a venire.

Al di là del necessario approfondimento di lettura dei flussi elettorali, c’è che l’aumento in consensi assoluti delle forze del centrosinistra non è stato sufficiente a garantire a pieno margini di tenuta autonoma da parte dell’Unione; e c’è anche che, dentro il positivo risultato elettorale del centrosinistra, la crescita ancora più netta del Prc e di altre componenti avanzate dello schieramento obiettivamente non intacca l’egemonia centrista e moderata nell’Unione, che anzi si mostra accentuata.

L’insieme delle due cose, con l’aggiunta dell’eredità pesante che il governo delle destre lascia, resa ancora più stringente dalle “pressioni” interessate di settori non secondari di Confindustria e “poteri forti” condizionano sin d’ora gli indirizzi del futuro governo entro contenuti e sviluppi non coerenti con le aspettative delle sue forze più avanzate; non è difficile immaginare le delusioni che ne verrebbero, sulle quali si intravede sin d’ora l’incursione strumentale del populismo già in allestimento da tempo e nel contesto del quale emerge il riferimento berlusconiano.

La necessità per il Prc di fare la propria parte a garanzia della definitiva “cacciata delle destre” non può essere confusa o resa alternativa alla parallela esigenza di riscontrare, con coerenza ed effettività, l’indirizzo e l’ipoteca connessi con le aspettative di quella parte dell’elettorato, non residuale, che ha identificato nel Prc un riferimento per la prioritaria difesa degli interessi dei ceti non parassitari e per far fare un passo in avanti alla prospettiva dell’alternativa di sistema al capitalismo.

Il contesto post elettorale, infatti, va scaricando, in particolare sul Prc, vincoli ancora più rischiosi di quelli già venuti a seguito della preventiva ed incondizionata identificazione con l’Unione; così che, oggi, il coinvolgimento pieno, diretto ed organico nel governo Prodi, voluto dall’attuale Direzione Politica, verrebbe a porsi nei fatti come omologazione ai suoi limiti strutturali e al suo orientamento “modernista”, con conseguente sostanziale limitazione dell’autonomia del partito, di cui sono più che palesi i segni.

La mortificazione di autonomia, le sempre più ridotte agibilità e condizioni effettive di confronto e pluralismo interno - sui quali gli obblighi di governo verranno ad incidere negativamente e in modo non indifferente - nonché una prevedibile esposizione ad “inquinamenti” tipici di sottogoverno, porrebbero un partito già pesantemente intaccato nell’identità e nel carattere alternativo in una condizione proibitiva, che ne dubiterebbe continuità ed effettività di riferimento alternativo di classe.

Altro discorso e differenti condizioni di garanzie oggettive - forse con minore rappresentanza, ma certamente con integrità e coerenza di posizione - sarebbero potute venire, invece, da una scelta di esplicito e condizionato appoggio esterno del Prc, con vincoli stretti di verifica, determinanti per la conferma del sostegno; una scelta coerente, d’altronde, con una pregiudiziale di classe che indica in una presenza della sinistra, determinante per indirizzi e contenuti di reale orientamento alternativo, la condizione per la partecipazione diretta a governi di coalizione con forze che non esprimono direttamente e naturalmente gli interessi di tutti i ceti non parassitari.

Quel che si va profilando, invece, e che i risultati elettorali rendono ancora più stringente, anche quale conseguenza di impegni già assunti, è la riconferma di una linea spregiudicata di maggioranza che, anche per effetto di altre scelte sul piano interno ed internazionale, potrebbe far ritrovare il partito in un cul de sac, con margini di ritorno sempre più assottigliati, se non addirittura in un rovesciamento di collocazione nello scontro di classe.

Questo è gravissimo, soprattutto per l’assenza di “protezioni” di fronte ai rischi e alle conseguenze che verranno e che si scaricheranno pesantemente sul partito, con ripercussioni drammatiche sul proprio corpo militante.

Si impone, ora, prima che sia tardi, un impegno prioritario, oltre le opzioni pluralistiche, di tutti i compagni che di questo hanno coscienza per far fronte alla gravità della situazione, anche come risposta in positivo a irresponsabili tendenze verso “separazioni” che indeboliscono ancora di più e rendono meno agibile il “luogo” della Rifondazione Comunista, agevolandone nei fatti, volenti o nolenti, quella liquidazione che i nuovi equilibri capitalistici perseguono come obiettivo fra i principali.

E’ obbligo pregiudiziale salvaguardare il Prc come strumento di classe, rafforzarlo e immunizzarlo dalle conseguenze delle strettoie governiste, mantenere aperti e visibili il carattere e il suo orientamento alternativo al capitalismo; orientamento che rappresenta l’elemento fondante di una presenza effettivamente comunista.

Sono obiettivi perseguibili a condizione che, da subito, ad ogni livello, si operi nel corpo reale del partito, facendo tornare centrale nei territori il valore della militanza; in particolare si operi per ridurre i danni che cadranno sulla realtà del partito e sul suo radicamento e perché, dal basso, insieme alla coscienza di dove sono state portate realmente le cose, crescano progressivamente le condizioni per una nuova “direzione politica” che rovesci la linea dell’attuale maggioranza e che coaguli la propria forza lungo l’impegno e la pratica per farsi strumento e garanzia di: riconferma e difesa intransigente dell’autonomia del partito e del suo indispensabile radicamento nella realtà sociale, in sintonia con le istanze di lotta che muovono dal basso, a garanzia del loro orientamento verso sbocchi che determinino un nuovo quadro politico, dove la sinistra sia determinante ai livelli governativi e, nel loro contesto, il Prc risulti avanguardia nel far avanzare il processo di alternativa alla società capitalistica; contrasto deciso della verticalizzazione, che il coinvolgimento governativo esporrà a risultare ancora più spinta, fino a livelli di vera e propria sovrapposizione alle istanze del partito, per fare fronte alla quale non è sufficiente una unità formale e verticale nella gestione; rilancio del partito, primariamente della sua unità, e rivitalizzazione della sua vita interna, difesa e condizioni di vera agibilità politica ed organizzativa del suo pluralismo interno, quale garanzia di rilancio del confronto sia rispetto agli orientamenti strategici sia rispetto alla indispensabile ed oggettiva verifica dei risultati di linea dell’attuale Direzione Politica;
rilancio dell’impegno elaborativo che parta anzitutto dalla realtà di militanza nei circoli, quale necessario sostanziamento, articolazione e soprattutto superamento del genericismo e dell’arretratezza del programma dell’Unione. Questo anche per corrispondere, attraverso una pressione che dal basso faccia leva sulla mobilitazione e il rilancio della partecipazione, alle aspettative che, a livello elettorale, hanno individuato nel Prc garanzie per un effettivo rispetto di quegli impegni che il centrosinistra ha posto come alternativa al governo delle destre; in particolare aspetti programmatici qualificanti, quali la cancellazione e l’inversione netta di orientamento in merito, ad esempio, alla Legge 30, alla Legge Moratti, alla Bossi-Fini, alle controriforme istituzionali, al ritiro delle truppe dall’Iraq; radicamento sociale nei territori, dove l’impegno per rilanciare concretamente l’indirizzo della partecipazione popolare determinante si faccia aspetto che qualifica l’azione per far maturare, dal basso, indirizzi che facciano avanzare la tensione verso l’alternativa di società, si pongano come elementi di sostanziamento della democrazia e di difesa della sua agibilità, risultino un effettivo ed efficace antidoto contro il pericolo delle spinte populistiche; spinte che, come ha dimostrato il “recupero” elettorale di Berlusconi, mettono in luce una strategia, dalle intenzioni eversive, che passa proprio attraverso i territori, ovviamente sostenuta dall’influenza clerico-fascista, con l’apporto non secondario del centrismo moderato.

Guido Benni
Pasquale D’Angelo
Antonello Manocchio
Claudia Rancati
Marco Trapassi
Respinto a maggioranza con 6 voti favorevoli

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