Comitato Politico Nazionale 26 - 27 novembre 2005

Documento Cannavò e altri

Di Salvatore Cannavò, Franco Turigliatto, Gigi Malabarba, Flavia D’Angeli

La fase politica è segnata da una generale offensiva delle forze moderate e reazionarie basata su tre piani tra loro connessi: l’offensiva reazionaria del governo, quella sociale di Confindustria, quella neocentrista che vede in campo non solo il “centro” politico ma anche le forze moderate dell’Unione. A questa fase si contrappongono movimenti e lotte, a volte parziali ma spesso di grande imponenza come la manifestazione degli studenti del 25 ottobre, lo sciopero della Val di Susa, la resistenza dei lavoratori dei trasporti, quella dei metalmeccanici, lo sciopero generale. Il compito fondamentale del Prc è lavorare alla ricomposizione di queste lotte per ottenere conquiste e vittorie sociali che diano fiducia e speranza. Pur non essendo sufficiente, l’autonomia dalla coalizione di centrosinistra e dalla prospettiva di governo è necessaria a questo obiettivo. Per questo proponiamo un cambio di linea politica e, su questa via, una ricostruzione del progetto di sinistra alternativa e una rinnovata unità all’interno del partito.

L’offensiva del governo
Tutti i sondaggi danno per sconfitto l’attuale governo alle prossime elezioni politiche. Questa sconfitta non è però scontata e comunque l’attuale maggioranza, a cominciare da Berlusconi, farà di tutto per impedire la propria disfatta. Il governo sta cercando lucidamente di recuperare il consenso tra i cosiddetti poteri forti, di costituire un apparato ideologico forte con il costante richiamo ai valori religiosi e identitari (vedi l’attacco alla 194) e allo stesso tempo applica un pragmatismo spregiudicato sia nella spartizione delle misure elettoralistiche al proprio interno (il proporzionale, la riforma federalistica, quella del Tfr, la polemica sull’aborto) che nel richiamo a provvedimenti popolari (bonus per i neonati o “una casa per tutti”). Nello stesso tempo prosegue una politica di depauperizzazione diffusa come dimostrano le misure della Finanziaria.
Il berlusconismo come filosofia capace di produrre la vittoria del 2001 non esiste più ma la sua decomposizione può provocare danni e contraccolpi sul piano sociale che finora non sono contrastati, soprattutto dalle forze dell’Unione, con l’energia che meritano.

E quella di Confindustria
L’offensiva sociale confindustriale fa il paio con quella governativa. Oggi l’associazione padronale si propone un duplice obiettivo: incassare tutto il possibile dall’attuale governo e condizionare al meglio il governo successivo. Se da un lato, quindi, si spiegano le lodi alla Finanziaria o la soddisfazione sul Tfr, dall’altro si giustificano le incessanti aperture all’Unione, soprattutto ai due partiti egemoni, Ds e Margherita, con cui esiste un fitto scambio di idee e programmi spesso anche intorno a tavole riccamente imbandite. L’obiettivo fondamentale di Confindustria è di far ripartire la concertazione alle proprie condizioni e sotto il segno a essa più favorevole: anche per questo è decisa a tener duro sul contratto del metalmeccanici, vero banco di prova dei rapporti di forza complessivi. In questo quadro va giudicata con molta preoccupazione l’attitudine dei sindacati confederali a riprendere il dialogo con l’associazione padronale – vedi la cena a tra Cgil, Cisl e Uil e Montezemolo – proprio mentre la vertenza dei metalmeccanici si inasprisce.

Il neocentrismo ulivista
In questa generale offensiva moderata si colloca la ripresa di attività del moderatismo interno all’Unione che prefigura una vera e propria offensiva neocentrista nel campo del centrosinistra. Si tratta di un’offensiva che vede protagonisti non solo di due principali partiti, Ds e Margherita, ma anche l’acclamato leader dell’Unione uscito rafforzato dallo svolgimento delle primarie. Questa offensiva si gioca su tutti i piani: nella politica internazionale, con il rinvio e l’ammorbidimento della parola d’ordine del ritiro dall’Iraq; nella politica sociale con l’approvazione della Bolkestein e il passo indietro fatto sulla legge 30; nelle politica dell’immigrazione con l’ipotesi dei “Cpt umanitari” e con il richiamo alle “quote controllate”; nella politica scolastica con l’approfondimento del “3+2” e l’avallo all’università azienda; nella politica fiscale con il rifiuto della patrimoniale; nella politica ambientale con l’appoggio pervicace, e antidemocratico, alla Tav in Val di Susa tra l’altro appoggiata anche da Cgil, Cisl e Uil. Del resto, l’accentuazione moderata e centrista dei partiti maggioritari dell’Unione è confermata anche dal progetto del Partito democratico che sancisce un’ulteriore involuzione della “sinistra” italiana e una sua completa annessione nel quadro di governabilità delle società capitalistiche come dimostrano le iniziative programmatiche di Ds e Margherita rivolte in primo luogo al padronato italiano.

L’effetto delle primarie
A questa involuzione una spinta decisiva è stata impressa dall’esito delle primarie. Il clamoroso successo di Prodi ha garantito al leader dell’Unione quella forza che ancora gli mancava per affermare il proprio disegno di stabilizzazione moderata dell’Unione e di rilancio del progetto ulivista tra i Ds e la Margherita. L’importante partecipazione di popolo, che pure si inscrive in una generale domanda di partecipazione della società italiana, si spiega in gran parte con il contenuto delle primarie stesse: realizzare la più ampia unità per battere Berlusconi. Rifondazione, avallando quella scelta, rischia oggi di venire marginalizzata nel rapporto di forza che si è creato nell’Unione anche in virtù di un risultato alle primarie che non ha operato quello “sfondamento” nell’elettorato di centrosinistra che pure si attendeva. I dubbi, le perplessità e le critiche avanzate a quello strumento, dunque, si sono rivelati esatti.

Una linea in difficoltà
Ma non è solo l’esito delle primarie a determinare l’attuale difficoltà. Pesa innanzitutto la natura delle forze politiche che dirigono di fatto la coalizione dell’Unione e che, lungi dall’essersi spostate a sinistra per effetto dei movimenti di massa, rappresentano oggi con molta determinazione gli interessi dei settori dominanti e puntano a un progetto di liberismo temperato al pari di tutte le forze del centrosinistra e della socialdemocrazia internazionali. Questo progetto è oggi reso più forte da un quadro internazionale in cui domina la “Grande coalizione” in Germania, in cui il partito socialista francese recupera – dopo il successo del “no” al referendum sulla Costituzione europea - un profilo moderato e in cui si assiste al fallimento dell’esperimento Lula in Brasile. Come anche le primarie hanno dimostrato, c’è un problema complessivo, e complesso, di rapporti di forza sfavorevoli da affrontare e contrastare: la forza d’urto dei movimenti globali non è stata finora in grado – e del resto non poteva – di modificare questo rapporto, in Italia e in Europa. L’accordo di governo con l’Unione rende oggi più difficile questo compito.
E’ questa situazione complessiva a rendere fragile la linea affermatasi allo scorso congresso che oggi esige un radicale ripensamento.

Serve un ripensamento
Sulla base di quanto indicato pensiamo che sia venuto il momento cambiare linea e di superare la falsa dicotomia tra un accordo di governo a tutti i costi o la rottura netta che, pur in presenza di una legge elettorale nuova, renderebbe possibile la vittoria delle destre. Per questo riproponiamo la linea avanzata allo scorso congresso che fa del programma e dell’autonomia di Rifondazione le coordinate principali. Con il resto dell’Unione il Prc può porsi l’obiettivo di un accordo politico-elettorale a condizione del soddisfacimento di alcune richieste basilari come l’abolizione della legge 30 e del pacchetto Treu, abolizione della Bossi-Fini e della Turco-Napolitano con la chiusura immediata dei Cpt, abolizione della legge Moratti, ritiro incondizionato dall’Iraq e dall’Afghanistan e da tutte le altre missioni militari all’estero, difesa “senza se e senza ma” della 194, rispetto della volontà popolare in lotta come nel caso della Val di Susa, rifiuto delle politiche “immorali” contro i migranti come nel caso delle ruspe bolognesi guidate da Sergio Cofferati. In caso contrario si può procedere solo a un accordo tecnico-elettorale.
In nessun caso è però prefigurabile un accordo di governo, con ministri del Prc nell’esecutivo.

Ricomporre il conflitto
A questa offensiva moderata non si risponde solo con la tecnica elettorale o con la politica di palazzo ma con il dispiegamento di un’offensiva sociale partendo dalle realtà di movimento che già oggi esistono. La grandiosa manifestazione degli studenti del 25 ottobre, la generale rivolta di popolo che si è verifica in Val di Susa, le manifestazioni importanti contro la Bolkestein, per il diritto alla Casa, per il lavoro e il salario, gli scioperi dei sindacati di base e quelli, per quanto timidi, di Cgil, Cisl e Uil, una vertenza metalmeccanica giunta nel suo vivo (a cominciare dall’importantissimo sciopero del 2 dicembre), dimostrano quanto sia possibile lavorare dal basso e nel vivo del conflitto per spostare in avanti i rapporti di forza sociali, ottenere risultati, modificare il quadro politico. Sulla 194, in particolare, servirebbe un’iniziativa di partito e di movimento che contrasti con forza il neointegralismo governativo e del Vaticano e che non consegni l’anticlericalismo, che rivendichiamo, ad altre forze politiche.
Oggi più di prima, nel momento in cui la linea di Rifondazione soffre l’internità alla coalizione unionista, è necessario un sovrappiù di impegno nei movimenti e nel conflitto sociale con l’obiettivo di una ricomposizione dei conflitti. Ricomposizione che non solo le difficoltà di fase ma che anche l’internità del Prc al quadro del centrosinistra – spesso controparte dei conflitti stessi come dimostra il caso piemontese o l’operato della giunta Cofferati a Bologna – rende di difficile realizzazione.
Ricomporre i conflitti e costruire un programma di lotte sociali che sia anche propedeutico al nostro programma è oggi la priorità delle priorità.

Un programma per traguardare l’esistente
Per alimentare questa dinamica serve oggi un programma di emergenza sociale che oltre all’abrogazione delle leggi di Berlusconi, avvii una stagione di lotte in nome del recupero del salario (con la scala mobile e il salario sociale), dell'intervento pubblico (a cominciare da un piano di nazionalizzazioni: banche, telecomunicazioni, trasporti, energia, tutti i settori vitali, i cosiddetti Beni comuni e dal rigetto delle privatizzazioni che pure caratterizzano l’attività di governo del centrosinistra nelle Regioni), della società sostenibile (ambiente, rifiuti, energia rinnovabile), dell'accesso ai servizi fondamentali (sanità, scuola, assistenza sociale, casa, informazione, nuove tecnologie), dell'uguaglianza dei diritti civili (unioni delle coppie di fatto, fecondazione assistita, no alle discriminazioni, diritti per i carcerati), del rifiuto dello scontro di civiltà (chiusura dei Cpt, diritto di voto ai migranti), del ripudio "senza se e senza ma" di qualsiasi guerra, con o senza l'Onu. Un programma che si proponga di traguardare l’esistente pur contenendo ipotesi di riforma dell’esistente stesso. Non si tratta di contrapporre un programma rivoluzionario a un programma riformista ma di cogliere gli obiettivi in grado di mettere in crisi il sistema esistente e quindi di superarlo favorendo le lotte e l’autorganizzazione sociale.

La sinistra alternativa
In questo contesto è chiaro che il progetto di sinistra alternativa di cui parliamo ormai da anni si colloca in questo quadro a partire da tre condizioni:
a) la sinistra alternativa è credibile se è alternativa alla sinistra liberale e quindi fuori dall’Unione altrimenti resta una sua variante; fuori dal governo altrimenti non costruisce niente.
b) la sinistra alternativa si realizza nel vivo del conflitto e non nella logica dell’assemblaggio dei ceti politici. L’apertura delle liste di Rifondazione deve guardare quindi alle esperienze di conflitto e di pratica alternative.
c) la sinistra alternativa non consiste nello scioglimento del Prc ma nella sua valorizzazione in un contesto plurale e unitario che punti in direzione della necessità dell’oggi, un di più di anticapitalismo;
A queste condizioni il Prc può avviare un’interlocuzione complessiva che permetta di realizzare quel coagulo di forze antiliberiste di cui si è avuta la percezione dalla Genova del luglio 2001 e poi nel vivo della battaglia referendaria sull’articolo 18. E si può realizzare una convergenza, nella piena autonomia dei soggetti interessati, in primis il Prc, che favorisca quel processo di ricomposizione dei conflitti e dei soggetti di lotta di cui sopra: il sale del processo di sinistra alternativa risiede in questo passaggio e non nell’accumulazione di peso elettorale per contrattare un rapporto di forza favorevole con il resto dei partiti dell’Unione. Questa ipotesi, che pure vive dentro e fuori il nostro partito, sembra infatti essere già stata battuta in partenza. Il nodo è quello del processo di ricomposizione sociale che si mette in moto su scala nazionale ed europea. Il richiamo alla Sinistra europea può essere utile solo se produce un meccanismo analogo su scala sopranazionale con l’allargamento a sinistra della sua composizione – essendo a destra lo spazio ormai occupato solo dalla socialdemocrazia o da forze comuniste nostalgiche e spesso nazionaliste – e con una dinamicità sociale di cui ancora non c’è traccia. Il caso delle banlieus francesi e la proclamazione dello stato di emergenza in Francia hanno rappresentato un’occasione mancata per la Sinistra europea sia di far sentire la propria voce che di far percepire la propria utilità politica.

Il partito che vogliamo
La costruzione della sinistra alternativa non fa venire meno la necessità del partito. I fatti politici degli ultimi mesi continuano a dimostrare la vitalità e la centralità del Prc. La sua internità, per quanto spesso insufficiente, alle lotte e ai conflitti in corso dicono chiaramente quanto Rifondazione sia uno strumento prezioso per la lotta di classe in Italia e per la costruzione di una soggettività politica anticapitalista. Questa potenzialità, ovviamente, può essere minata da una scelta di compromesso sociale e di inserimento nel quadro delle compatibilità capitaliste. Anche per questo riteniamo urgente una correzione della linea politica e un recupero delle ragioni di fondo del partito: l’estraneità al bipolarismo italiano, il vincolo alle ragioni e agli interessi del moderno proletariato – sempre più precario, migrante, sessuato – la riattualizzazione di un progetto socialista. Queste potenzialità sono possibili solo in un quadro di vita interna democratica, rispettosa delle differenze e capace di incentivarne l’unità.

respinto con 12 voti a favore

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