Comitato Politico Nazionale 17 - 18 settembre 2005

Relazione di Fausto Bertinotti

Le primarie dell’Unione

L'ordine dei problemi che siamo chiamati ad affrontare ci pone di fronte a un impegno veramente straordinario. Lo stiamo affrontando con una linea e una direzione precise. Penso che, se può risultare ancora presto disporre di una misura oggettiva della sua efficacia, possiamo, al contempo, affermare che essa si dimostra all’altezza della sfida che abbiamo di fronte. Due giorni fa ho presentato il profilo e le priorità programmatiche che, come candidato alle primarie dell’Unione, ho posto al confronto con gli altri candidati e con il popolo delle opposizioni. Non credo possa sfuggire ad alcuno come dentro quella impostazione si possa facilmente individuare un lungo lavoro di accumulazione che rispecchia le analisi fondamentali e le proposte che come partito siamo andati facendo in questi anni. Ma penso che questa accumulazione forte di idee, obiettivi, non riguardi solo noi ma interagisca con la ricerca fatta sul campo da soggetti collettivi, movimenti che, in questi anni, hanno animato il conflitto contro le politiche neoliberiste e la guerra. Oggi, tutti assieme, siamo a un passaggio decisivo, l’ispirazione al cambiamento incontra, oggi, una possibilità storica. Troviamo qui una conferma dell’impostazione con la quale stiamo affrontando questa fase così densa di possibilità ma anche di rischi: la capacità di immettere un elemento dinamico, ovvero la forza della partecipazione popolare come strumento fondamentale per cambiare l’agenda politica e rompere le gerarchie del quadro di riferimento statico dei rapporti di forza tradizionali. La sfida delle primarie non si capirebbe senza avere chiaro questo percorso. Incontriamo in queste prime settimane di impegno riscontri importanti. L’originalità della campagna di comunicazione che è stata promossa, a partire dai “post it” e da quel semplice “io voglio”, non è solo un’intelligente invenzione di chi ha ideato e promosso questa campagna, esprime al fondo un bisogno diffuso e profondo di essere ascoltati, di partecipare e divenire protagonisti di un movimento di rinnovamento. L’ascolto, l’interesse, il consenso che le nostre proposte incontrano in soggetti tra loro assai differenti per percorsi, linguaggi, modalità di iniziativa, dimostrano che si è messo in moto un processo vero e che, con queste primarie, la questione del programma è uscita dal gioco delle diplomazie tra i partiti e irrompe con la forza di una grande discussione di massa.

L’appuntamento delle elezioni tedesche

In Germania, siamo alla vigilia di una consultazione che può determinare un’occasione storica di cambiamento non solo per quella realtà ma per l’Europa intera. Come è stato per il referendum in Francia contro il trattato costituzionale, le elezioni tedesche possono rappresentare l’altro grande fatto dell’affermarsi di una nuova soggettività politica della sinistra di alternativa in Europa. Si dimostra anche da questa vicenda, il valore della modalità con la quale siamo andati costruendo il Partito della Sinistra Europea non come la fondazione di una “centrale” ma la costruzione plurale di un’articolazione di forze che, in un rapporto di internità con i movimenti, promuovono l’affermazione di nuove soggettività.

Legge elettorale e legge finanziaria

Non voglio trasmettere un ottimismo di maniera. Anzi, abbiamo la consapevolezza della difficoltà dell’impegno cui siamo di fronte e di quanto il percorso che abbiamo scelto sia impegnativo. Dentro questo percorso, l’appuntamento di Roma, il meeting del Palalottomatica, rappresenta un appuntamento assolutamente centrale cui tutto il partito, in tutte le sue articolazioni deve sentirsi impegnato con tutta ’ Lla dedizione e la generosità di cui siamo capaci. Siamo dentro una precipitazione della situazione politica. Questa avviene su due terreni paralleli: la legge elettorale e la legge finanziaria. Dobbiamo fino in fondo saper cogliere la connessione tra questi due fatti. Il governo è allo sbando, incapace di saper avanzare una proposta minimamente credibile per l’uscita dalla recessione e dall’impoverimento di massa provocato dalla sue politiche. Per questo, tenta di operare, nell’empireo della politica separata, una via di fuga per tentare di aggrapparsi a una scialuppa di salvataggio dalla sua dissoluzione. Per questo motivo di fondo, ritengo che dobbiamo impedire e impedirci una discussione di merito sulla legge elettorale, rifiutando a priori il “cavallo ruffiano” che viene proposto del ritorno al proporzionale. Questa discussione va rimandata all’indomani dell’avvio del nuovo corso politico seguente alla cacciata del governo delle destre. A quel punto, una discussione serrata sul sistema politico italiano e il suo rapporto con quanto è maturato nella società diverrebbe un fattore qualificante di innovazione e di riforma della politica e l’occasione per superare i guasti profondi provocati dal sistema elettorale maggioritario. Oggi questa discussione non c’entra nulla, farla vorrebbe dire prendere lucciole per lanterne. Le cose stanno in termini elementari: un ciclo politico, economico e sociale (il berlusconismo) si è imposto e si è svolto con questo sistema elettorale. Questo ciclo è miseramente fallito e non dobbiamo concedergli alibi o scorciatoie: con lo stesso sistema elettorale venga decretata la sua caduta! Un’operazione disperata, quella del governo Berlusconi per scappare alla sua caduta di credibilità e consenso e alle sue contraddizioni interne. Per sconfiggerla, però, non basta il semplice terreno del contrasto alla proposta di modifica elettorale. Occorre saper connettere il contrasto a quell’operazione con lo svilupparsi di una fortissima opposizione alla legge finanziaria. Sulla finanziaria, occorre lanciare con grande forza alcuni obiettivi qualificanti, magari limitati numericamente ma socialmente significativi e che intercettino il cuore della sofferenza sociale in cui il Paese si dibatte: il potere di acquisto di salari e pensioni, la restituzione del fiscal drag, il tema drammatico della casa, impedire i tagli alla sanità e così via. Questi obiettivi vanno connessi a una mobilitazione di massa per incidere concretamente e, se si aggravassero le contraddizioni interne alla maggioranza e si accelerasse il suo sfarinamento, ottenerne la caduta e il voto anticipato.

Indagare la crisi del capitalismo

Si è consumata l’era di Berlusconi. Ma essa non è una parentesi nella storia d’Italia né l’Italia è un’anomalia nel contesto europeo. Quello italiano è un caso dentro un quadro generale, quello del prevalere delle politiche neoliberiste. Per questo, riteniamo fondamentale ricostruire un’analisi della società italiana e dello stato del Paese. Vanno colti gli elementi strutturali attraverso i quali è nato e si è organizzato il capitalismo italiano dentro la divisione internazionale e vanno indagate le condizioni storiche e le alleanze sociali e politiche che ne hanno determinato la crisi e il declino. Vorremmo proporre l’organizzazione entro il prossimo febbraio di un convegno impegnativo sul capitalismo italiano che ricostruisca un punto di vista di classe e di sinistra, una lente che consenta di indagarne gli elementi di crisi e corrompimento (anche di quella che si ripropone come una irrisolta questione morale) a partire dal cuore, dai caratteri strutturali di questo capitalismo. Crisi del blocco sociale, de clino degli assi strategici dell’imprenditoria, con connesso impoverimento di ogni fattore di innovazione e ricerca, aggressività delle rendite finanziarie speculative, implodono nel cannibalismo in cui varie cordate (le scalate), incapaci anch’esse di progetto e di espansione, si contendono le spoglie dell’esistente E’ l’espressione di una crisi complessiva che si accentua. Analogamente, anche la guerra si dimostra non l’esercizio di una supremazia ma il tentativo disperato di superamento di una crisi profonda attraverso l’imposizione di una camicia di forza. Questa crisi investe pienamente la politica delle classi dirigenti. L’assenza di una visione strategica è l’elemento caratterizzante di questa crisi. Il neocentrismo, più che un vero tentativo di fuoriuscire da essa, appare una via di fuga. Nella versione più lungimirante, quella espressa recentemente da Mario Monti, sembra individuare la logica dei Trattati europei come l’unica via per superare la situazione esistente. Una sorta di coazione a ripetere, di una riproposizione stanca del motto “è morto il re, viva il re”. Come non vedere, infatti, che la crisi proviene proprio dal fallimento di quei trattati e dei contenuti che li animano? Altro capitolo da indagare è quello del rapporto tra Chiesa e Stato. Sembrava che, pur tra contraddizioni, il percorso postconciliare avesse segnato una strada. Oggi prevale una reazione integralista (basta vedere la reazione sdegnata alla questione di civiltà posta dal riconoscimento dei Pacs). Di fronte alla crisi, il ripiegamento verso culture di chiusura, addirittura verso forme che alludono allo Stato etico si affacciano preoccupanti.

L’alternativa di governo e l’alternativa di società

Siamo, quindi, di fronte a modificazioni rilevanti, a un grande sommovimento che ci chiede di alzare la testa, di guardare alla dimensione storica dei processi e non soltanto a quella contingente. Questa è la nostra aspirazione: la necessità e possibilità storica dell’alternativa. Necessità derivante dalle contraddizioni di fondo strutturali, del quadro internazionale e del caso italiano, della crisi, della recessione e del declino. Possibilità suscitata dall’irrompere di forze soggettive, portatrici di conflitti che per la forza della critica che propongono e la radicalità degli obiettivi che rivendicano, chiedono di uscire fuori da quel modello. Noi dobbiamo camminare su due gambe: l’alternativa di governo e l’alternativa di società. Senza questa connessione, che deve costituire l’ispirazione della nostra politica, saremmo condannati alla sconfitta. La discontinuità nelle scelte di governo che chiediamo va connessa a quel progetto generale di cambiamento e va fondata sulla valorizzazione di tutte le autonomie (dei poteri costituzionali, delle comunità locali, delle forme di partecipazione democratica, dei governi territoriali, delle organizzazioni dei lavoratori, dei movimenti, del partito e così via). Insomma, si ripresenta l’occasione storica della Riforma del Paese, di riforme strutturali che incidano direttamente non soltanto a valle del processo distributivo ma anche a monte, nelle grandi scelte strategiche sull’economia, la società, le relazioni sociali.

“Crescita e decrescita”

La Riforma che proponiamo non è pensabile fuori dal contesto europeo che è la dimensione necessaria per il cambiamento del paradigma dello sviluppo. Su questo tema si è sviluppata in questi mesi una discussione accesa, che Liberazione necessariamente ha ospitato. Non credo che questa sia stata sempre all’altezza della sfida che abbiamo di fronte. In alcuni casi, anzi, mi è sembrata datata, superata da almeno 30 anni. Diversa politica economica e sociale richiede necessariamente una riforma del mercato e del paradigma del Prodotto Interno Lordo, richiede, quindi, ‘assunzione di nuovi paradigmi. socialmente e ecologicamente sostenibili. Considero i termini di “crescita” e “decrescita”, termini del “diavolo”, ovvero termini presi in prestito dal nostro avversario. La modifica del paradigma che intendiamo perseguire richiede l’individuazione di scelte concrete: cosa e come produrre, dove orientare le scelte, quali le priorità da assumere, come selezionare gli investimenti e in quale direzione. Insomma, ritorna l’immagine difficile di “cambiare il motore con la macchina in movimento”.

Il movimento

Dobbiamo fare uno sforzo di analisi delle tendenze nel movimento, nel popolo, nelle forze politiche. Sul movimento, credo, vi sia una necessità di approfondimento anche attraverso una analisi specifica, nei vari territori, del suo stato. Io credo che dovremo avere un’idea articolata, né acritica, né incapace di vedere quanto si muove. Credo che dobbiamo attribuire grande importanza alla manifestazione contro la Bolkestein del 15 ottobre ma, al contempo, dobbiamo avere la capacità di mettere in relazione quella manifestazione con un movimento reale che parla delle lotte contro la privatizzazione dei servizi e il dumping sociale che quella direttiva consente. L’appuntamento del 29 settembre dello sciopero dei metalmeccanici è un’altra tappa fondamentale. Un momento di lotta che sta dentro un percorso, quello della Fiom, fondamentale sia nel contributo originale alla costruzione di una realtà plurale della sinistra di alternativa, sia nella specificità di una battaglia nel congresso della Cgil per l’affermazione di una sinistra sindacale che si qualifichi su contenuti forti e sul tema della democrazia. Ma dobbiamo anche avere la capacità di mettere a valore i risultati raggiunti. La legge Moratti ha subito uno stop decisivo che ne segna la sconfitta su un punto fondamentale: l’avvio della riforma delle scuole superiori e la canalizzazione in cui riprodurre una selezione di classe che riserva alle elites l’eccellenza dei circuiti internazionali dell’istruzione e alle masse popolare una formazione dequalificata e al servizio delle imprese e del mercato. C’è qui il risultato di un accumulo di energie e di forze che dal mondo della scuola, dal movimento plurale contro la legge Moratti, dalle Regioni e le autonomie locali, ha ottenuto un risultato fondamentale. Un risultato che fa emergere come non eravamo estremistici quando chiedevamo l’abrogazione della legge Moratti e come non lo siamo quando chiediamo l’abrogazione della Legge 30 e della Bossi Fini. Così, la nostra posizione non è isolata o estremistica nello sviluppo di esperienze ambiziose per un nuovo rapporto tra ambiente e innovazione. Parlo, per esempio, della vertenza per la ripubblicizzazione dell’acqua e i beni comuni da sottrarre al mercato. Attraversare l’ambiguità dei movimenti, può rappresentare una opportunità. Un esempio: l’Onu dei popoli e la marcia Perugia Assisi. Su questi appuntamenti si è sviluppata una polemica che ne ha colto gli elementi di ambiguità. Potevamo farcene scudo e non andare, rifiutare l’Onu dei Popoli dove veniva data a Prodi una vetrina, evidentemente sovradimensionata e a noi un piccolo spazio e sulla marcia potevamo scegliere l’appuntamento alternativo. Abbiamo scelto di attraversare quell’ambiguità senza mascherare o annacquare la radicalità della nostra posizione e, così, abbiamo potuto far emergere la sintonia della nostra posizione con il sentire della platea dell’Onu dei popoli e trovare una corrispondenza con il sentire profondo del popolo della marcia.

Il popolo della sinistra

Il popolo della sinistra è attraversato da questo sommovimento. Credo che le proposte che siamo andati avanzando, anche nell’impostazione programmatica per le primarie, corrisponda a un sentire generale che è maggioritario e che, proprio attraverso le forme di partecipazione attiva, dobbiamo far esprimere come il vento che modifica i rapporti di forza e spinge verso l’alternativa. Il nostro popolo, intendendo per nostro, il popolo della sinistra, anche al di là delle adesione a un partito, è in movimento. Il successo e l’interesse ai dibattiti politici, a partire da quelli delle grandi feste, come quella di Liberazione lo dimostrano. Il salto è evidente: lo scorso anno il tema era il se fare l’unità. Quest’anno il tema è il come, ovvero quale unità e quale programma.

Le forze politiche

Non dobbiamo sottovalutare la densità con la quale l’ipoteca neocentrista viene giocata nel quadro dei rapporti politici. Essa si presenta non con la priorità della costruzione di una soggettività politica specifica ma con l’aspirazione egemonica di orientare le politiche prevalenti dentro l’Unione. Dentro l’alleanza, si assiste a una polarizzazione: un’ipoteca neocentrista che si fa aggressiva in funzione di un’alternanza che lasci inalterato il cuore delle politiche precedenti, una forza di sinistra che fa valere in un confronto serrato le ragioni di una vera alternativa e trae energie dal processo di partecipazione popolare. In questa polarizzazione, le forze riformiste mostrano tutta la loro crisi strategica. Il caso più emblematico è forse quello francese, dove le forze riformiste avevano scommesso tutto sul trattato costituzionale e ora, spiazzate dal voto popolare, si trovano di fronte a un bivio. Come ha affermato Fabius, per i socialisti francesi, l’alternativa pende tra una deriva liberalsocialista e la possibilità di un nuovo ancoraggio a sinistra.

Una precipitazione di iniziativa politica

La scommessa, quindi, è a tutto campo e l’esito aperto. Per questi motivi, l’investimento sulle primarie diviene fondamentale. L’avvio è davvero incoraggiante. Viene forte un vento di partecipazione, una voglia di discussione da una sinistra diffusa. Il confronto programmatico vive, così, un allargamento importante e interessante: la richiesta del “cambio” è prevalente nel popolo, nei movimenti, nelle organizzazioni dei lavoratori, nelle associazioni democratiche. Parole d’ordine che prima potevano sembrare irrealistiche, quali la chiusura dei Cpt, vengono richieste a gran voce e sono maggioritarie. Ecco, qui c’è la possibilità di cogliere una grande occasione di lavoro politico: costruire una mappa dei contributi che vengono dall’esterno della politica e che entrano in relazione con contenuti di sinistra. Sta entrando in questa costruzione una nuova unità, una condivisione generale in cui nuova economia, diritti del lavoro, diritti sociali e della persona stanno assieme. Per fare un solo esempio: si trova la stessa intensità di consenso se si parla di redistribuzione del reddito, del riconoscimento delle unioni civili o della chiusura dei Cpt. La richiesta del cambiamento sfonda la sfera dell’economia e delle relazioni produttive e entra nei rapporti sociali, nelle sfere di relazione. Per questo, dobbiamo vivere come un impegno fondamentale la capacità di determinare una precipitazione di iniziativa politica per intervenire in questo scontro, irrompere in questo processo con la forza di una determinazione intensa. Insomma, dobbiamo scegliere se attivarci con tutto l’impegno necessario ad intercettare questa istanza di partecipazione e cambiamento oppure limitarci a guardarla da lontano, con l’aristocratico distacco di una politica che si fa separatezza. Questa attivazione, già adesso dal confronto delle primarie, può essere esaltata se l’autunno diviene il banco di prova di una iniziativa generale delle opposizioni: far cadere il colpo di mano elettorale e promuovere una grande offensiva sociale sulla finanziaria, una offensiva capace di demistificare il populismo delle mance che il governo disperatamente cercherà di proporre e, invece, ponga come fondamentale il tema della redistribuzione del reddito a partire da alcune precise rivendicazioni che sul terreno specifico della rivalutazione delle retribuzioni, dell’attacco sistematico alle rendite finanziarie, di interventi mirati sullo stato sociale si connetta alle lotte sindacali, dei movimenti, delle associazioni. Anche per questa via, l’Unione deve preannunciare e precostituire quello che intenderà fare da subito allorché il governo Berlusconi sarà definitivamente cacciato.

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