Comitato Politico Nazionale
9 - 10 aprile 2005

Conclusioni di Fausto Bertinotti

Lavorare per la caduta del governo

La fine dell’era berlusconiana può determinare un aggravarsi della crisi. Per questo chiediamo la caduta del governo, nuove elezioni e l’apertura di un nuovo corso.
Non lo chiediamo per una conseguenza meccanica del risultato elettorale o per un astratto principio di governabilità, lo chiediamo per la condizione economica e sociale del Paese, perché questo governo rappresenta un ingombro alla possibilità di fuoriuscire dalla generalizzazione della precarietà, perché, in queste condizioni, anche l’appuntamento della prossima finanziaria rappresenterebbe un fattore esplosivo di ulteriore aggravamento della crisi.
Il problema, quindi, si ripresenta esattamente come lo abbiamo posto noi, lavorare per la caduta del governo, lavorare nello sviluppo dei movimenti, nella società per praticare questo obiettivo: cacciare Berlusconi e le destre per aprire un nuovo corso.
L’obiettivo della caduta del governo va perseguito dentro la questione più generale della costruzione dell’alternativa programmatica .
Il tema, quindi, è complesso e dobbiamo guardare con attenzione ai processi che si aprono.
Come abbiamo più volte detto, quel fenomeno definito “belusconismo” non è una parentesi della storia, chiusa la quale si può ricominciare come prima. Il “berlusconismo” è una narrazione di una certa Italia, il blocco sociale che ne è stato riferimento è qualcosa che sta nel profondo della società e delle pulsioni delle classi dirigenti di questo Paese.

Un nuovo blocco sociale

Quindi, nella crisi e nella implosione di quell’esperienza, il tema di fondo è la costruzione di un nuovo blocco sociale per far emerge una nuova classe dirigente.
La crisi è quindi aperta, il suo sbocco non scontato, ovvero non scontato il carattere che avrà il dopo Berlusconi. Sarebbe un errore grave dare per scontata un’ipoteca moderata, come sarebbe un errore pensare già acquisito il carattere di vero cambiamento .
Il punto di analisi che proponiamo è che il conflitto è aperto e l’esito del processo contrastato.
Come non vedere il terremoto che investe il Paese e che determina una scomposizione delle classi dirigenti ?
Dismettiamo armi intellettuali troppo elementari: è chiaro a tutti che ci riferiamo a un campo che non è il nostro. Ma come non vedere le contraddizioni in cui la borghesia italiana annaspa e che provoca ipotesi tra loro contrapposte ?
Mario Monti, che è senza dubbio una delle espressioni più raffinate della borghesia colta europea, ha espresso alcuni giudizi che ritengo significativi: “Sarei preoccupato di un governo nel quale una componente rilevante rigettasse il principio della prassi di una maggiore concorrenza.” Monti esprime la preoccupazione di parte della borghesia italiana ed europea, che è appunto quella che è presente, e in maniera non marginale, un’altra impostazione di politica economica e sociale.
Una sfida, quindi, tutta da giocare.

Il terremoto del voto

Questo voto non rafforza il sistema maggioritario, la sua filosofia non è la governabilità (può essere assicurata con differenti sistemi elettorali), è che, per vincere si compete al centro e che il taglio politico delle ali è questione determinante. La vittoria di Nichi scardina questo principio costitutivo del sistema maggioritario, ovvero la sua filosofia interna. Così come viene scardinato il principio, coerente con l’altro, che solo una componente moderata può guidare la coalizione.
La sfida, quindi, si sposta sull’Unione, la sua natura, il suo programma. Va colto il cambio di fase: prima, la questione centrale era cacciare Berlusconi. Potevi dire quello che volevi sul resto, ma quella era la cosa sovrastante.
Oggi se ne apre una nuova, che non cancella al questione di accelerare la caduta della governo, ma in cui la centralità diviene la fisionomia e il programma dell’Unione.
Questo è accaduto perché una linea ha avuto successo: la linea che ha scommesso sul rapporto tra unità e costruzione del programma partecipato.
Una prova controfattuale è sempre possibile. Se avesse prevalso un’altra linea, quella proposta dalle minoranze, cosa sarebbe accaduto ? Facciamo casi concreti.
In Piemonte, la più importante Federazione espresse un voto contrario all’intesa e nel Regionale l’accordo con l’Unione passò per pochi voti.
Se fossimo andati da soli, in contrapposzione alle altre forze dell’Unione, cosa sarebbe accaduto ? Come saremmo stati vissuti dal popolo delle sinistre e come saremmo stati osservati ?
Se le primarie sono di per sé corruttive e, quindi, le avessimo rifiutate, cosa sarebbe accaduto in Puglia ? O avremmo digerito un candidato moderato o avremmo messo Nichi in una corsa minoritaria. Come saremmo stati vissuti? Non avremmo impedito la messa in moto di quel fenomeno di partecipazione di massa che è stata la leva della vittoria elettorale ?
Uniti si vince, non è una espressione vera in qualsiasi contesto e condizione, ma questa è la fase che si è aperta e per questo, diversamente che 5 anni fa, abbiamo posto la ricerca di una convergenza programmatica dentro una cornice generale di tendenza all’unità.
Vorrei che ricapitolassimo in estrema sintesi le risultanti del voto:
Siamo entrati decisamente nella fase della fine dell’era berlusconiana;
Le forze dell’Unione conquistano la maggioranza reale del Paese, fatto senza precedenti e, all’interno di questa alleanza, le forze riformiste colgono un successo particolare;
La vittoria di Nichi Vendola rappresenta una sperimentazione politica di prima grandezza;
Il PRC colloca il suo risultato tra le precedenti regionali e le Europee.
Nella combinazione di questi fattori, il popolo delle sinistre ha vissuto la propria vittoria e c’è l’ha attribuita. Non si può prescindere da questo sentire comune.

Sfida unitaria e costruzione del programma

Non dobbiamo schivare i nostri problemi. Vanno individuate, selezionate, corrette tutte le nostre insufficienze.
Sono aperti problemi di insediamento, vanno superate le difficoltà che incontriamo nel voto amministrativo, in particolare quello del prevalere in tali competizioni dell’affidamento personale e del voto di scambio. C’è un problema, che alcuni compagni hanno spiegato con esempi concreti, della dispersione per i simboli simili.
Questi problemi vanno affrontati, ma dove e come ? Io credo, nel quadro di una iniziativa che accentui il lavoro sull’alternativa di società e dell’apertura del Partito nella direzione della costruzione della sinistra di alternativa.
C’è un problema politico che non va eluso: in tutta Europa, quando la competizione con le destre si fa stringente, le forze riformiste tendono a calamitare i consensi come un affidamento più sicuro.
Dobbiamo rassegnarci a questo esito ? Assolutamente, no !
Dobbiamo cogliere le nuove possibilità che si aprono. Il punto consiste oggi nel passaggio tra la fine di Berlusconi e la caratterizzazione dell’alternativa programmatica: questo deve essere il centro della nostra iniziativa con l’obiettivo di spezzare quella che abbiamo definito la “legge del pendolo”, quella che dice che le sinistre non riescano a mantenere le speranze accese quando dall’opposizione sono portate dalla spinta popolare al governo.
Come fare ?
Lo dico drasticamente per affermare la nettezza di una scelta: noi non dobbiamo regredire da questo processo unitario. Chiamarci fuori o dare l’impressione di una sottrazione sarebbe disastroso. Al contrario, dobbiamo giocare fino in fondo la carta della relazione tra il movimento e la costruzione del programma. Come in Puglia, una grande iniziativa di massa che faccia del programma partecipato il centro di una campagna generale nel Paese.
Il problema, quindi, è lo sviluppo della linea non la sua correzione.
L’Unione ha messo fine all’era berlusconiana. E’ un fatto storico. Risolve il problema dell’alternativa programmatica? Non, non lo risolve. Ma, senza quella scelta, il problema non potrebbe neanche essere posto.
Occorre rompere con la cultura politica che privilegia la propria caratterizzazione rispetto al corso politico. Ciò ti renderebbe estraneo al processo di cambiamento in tutta Europa
Non escludersi dal corso, ma incidere nel corso, questo è il problema e, in questa battaglia, rilanciare la sfida con i riformisti. Qui dentro, dentro questo corso, costruisci la tua autonomia e l’autonomia dei movimenti.

La ripresa delle lotte

Dentro questa impostazione, occorre sviluppare campagne impegnative.
Il rinnovo dei contratti ne costituisce un asse centrale per la politicità che caratterizzano queste vertenze. Il contratto dei lavoratori del Pubblico Impiego è in pratica la cartina di tornasole attorno alla quale si determina il cambiamento di impianto della legge finanziaria, il contratto dei metalmeccanici aggredisce proprio il cuore delle affermazioni di Monti sul mercato e la concorrenza come elementi sovraordinatori della politica economica.
Il governo delle Regioni e dei municipi rappresenta oggi un terreno eccezionale di iniziativa e di governo. Partiamo da due punti semplicissimi, quelli che venivano ricordati come impegni programmatici di tutta l’unione in Puglia: no ai ticket e salario sociale. Rilanciamo il potere locale come contrasto alla generalizzazione della precarietà, a partire dall’ostacolo alla legge 30.
C’è una circolarità che dobbiamo saper far vivere: lotte contrattuali, vertenze sociali e territoriali, ripresa e sviluppo del movimento per la pace, il ritiro delle truppe, i referendum del 12 e 13aprile. In questa ripresa generale, collochiamo anche una partecipazione importante al 25 Aprile al Primo Maggio, le manifestazioni, gli appuntamenti di movimento.
Senza questa circolarità e una ripresa generale è davvero difficile vincere anche le singole vertenze. Quando il padronato italiano dice ai lavoratori metalmeccanici: o il contratto o l’orario, non sta da solo, sta dentro una logica che pervade questa Europa (basti pensare alla direttiva sull’orario che si vuole far passare).
Ma anche qui, e anche questo è un fatto storico, per la prima volta emerge una critica europeista da sinistra e non confinata nel ghetto delle chiusure nazionaliste. Noi, con il Partito della Sinistra Europea, ne siamo protagonisti.
Si può aprire un nuovo e diverso cammino.
La democrazia partecipata come strumento di costruzione del programma è l’architrave che proponiamo come elemento decisivo di fase.
Dentro questo ambito il PRC può compiere un salto in avanti.

L’organizzazione del nostro lavoro

Sugli organigrammi proposti, aggiungo solo una cosa alla relazione fatta e che condivido pienamente.
Non ripeto le argomentazioni, vorrei solo invitare a una maggiore laicità sulle formule organizzative e a commisurare le parole con i comportamenti. Si propongono esperienze, queste esperienze si fanno e si correggono, se necessario, durante il percorso. C’è un Comitato Politico Nazionale eletto proporzionalmente così come la direzione, c’è un esecutivo, che deve mettere in operatività la linea scelta a maggioranza, costituito per funzioni in cui le minoranze hanno comunque una presenza. Si propone un funzionamento classico: organi deliberativi proporzionali, organi operativi di maggioranza con la presenza delle minoranze.
Rappresenta, come è stato detto, una scissione di maggioranza ? Se lo pensi, come fai, poi ad entrarci ?
E’ una deriva maggioritaria ? Se fosse così, allora sarebbe più coerente starne fuori.
Sarebbe meglio, per tutti lo dico, un invito alla sobrietà.

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