Partito
della Rifondazione Comunista
X Congresso
Intervento di Domenico Moro
La disobbedienza ai trattati non è realistica è necessario
superare l’euro
Uno dei maggiori limiti della sinistra
sta nel confondere l’europeismo con l’internazionalismo e pensare che il
superamento dell’euro sia deleterio o una proposta di destra. Alcuni di
questi limiti, sebbene in modo diverso, sono presenti anche nei due
documenti del X Congresso del Prc. La creazione di un “demos europeo”,
mediante una agenda europea dei conflitti e dei movimenti, come sostiene
il documento due, o la proposta di realizzare un movimento europeo
contro l’austerity e il neoliberismo, basato sulla disobbedienza ai
trattati, come sostiene il documento uno, non sono proposte realistiche.
Esse non tengono conto del contesto: l’integrazione valutaria europea.
L’euro è stato pensato con uno scopo preciso: bloccare ogni capacità di
risposta e di resistenza dei salariati alla riorganizzazione
dell’accumulazione capitalistica. La finalità ultima è semplice:
compensare il calo del tasso di profitto tagliando i salari e il welfare
e eliminando le imprese e le unità produttive in “eccesso”. Per queste
ragioni, il dibattito sull’euro attraversa entrambi i documenti, e, per
quanto riguarda il documento uno, alcuni suoi firmatari hanno deciso di
presentare la Tesi A, che propone il superamento dell’euro ed è
sostitutiva del capitolo V sull’Europa.
L’euro costringe al rispetto
dei Trattati
I meccanismi principali dell’integrazione europea sono
due. Il primo riguarda il trasferimento delle decisioni economiche dal
livello statale a organismi sovrastatali, come la Commissione europea,
il Consiglio europeo, che riunisce i primi ministri, e il Consiglio
dell’Unione Europea, che coordina i ministri europei. L’obiettivo non è
superare gli Stati, ma la “governabilità”, cioè bypassare i parlamenti e
le costituzioni statali, dove i meccanismi della democrazia parlamentare
creerebbero, pur nei limiti della democrazia rappresentativa borghese,
dei vincoli all’azione delle forze dal capitale.
Ma l’elemento
centrale dell’integrazione europea è l’euro stesso, perché essa
costituisce un meccanismo economico “oggettivo”, che si sottrae
apparentemente alle decisioni politiche, anche se ne è il frutto. Senza
l’euro i trattati, e quindi i vincoli al deficit e al debito pubblico,
avrebbero una forza coercitiva molto inferiore. In particolare, il
trasferimento alla Banca centrale europea realizza l’indipendenza della
banca centrale, l’altro pilastro, insieme alla “governabilità”, della
strategia neoliberista. L’alienazione del controllo della moneta rende
praticamente impossibile fare politiche espansive e resistere alla
compressione dei bilanci pubblici, e, di conseguenza ai tagli al
welfare. Inoltre, l’introduzione dell’euro, comportando l’adozione di
cambi fissi, ha sopravvalutato automaticamente i prezzi internazionali
delle merci della maggior parte dei Paesi europei e sottovalutato quelli
della Germania. Di conseguenza, mentre la Germania ha realizzato un
enorme surplus commerciale, gli altri Paesi hanno subito deficit
commerciali, fallimenti di molte imprese e contrazione dell’occupazione.
Ciò ha impedito a questi Paesi di contrastare e finanziare la crescita
del debito pubblico. Per reagire alla perdita di competitività si sono
ridotti i salari. A differenza di quanto si sostiene nel documento uno,
non si tratta di uscire dall’euro per poter attuare “svalutazioni
competitive” che porterebbero alla riduzione dei salari. Si tratta di
uscire dall’euro per correggere una sopravvalutazione che Italia,
Spagna, Portogallo, Grecia, Francia, ecc. scontano sin dall’adesione
all’euro e che da allora porta automaticamente alla riduzione salariale.
In sostanza l’euro ha trasformato le economie europee in mercati
interni depressi e orientati a scaricare all’estero l’eccesso di
capitali e di merci, alimentando così gli squilibri e la competizione,
anche militare, tra stati. Le nostre sono economie indotte già oggi (e
non dopo l’uscita dall’euro come pretendono gli estensori del documento
uno) a esportare e a realizzare ampi surplus del commercio estero. Come
è possibile in un quadro del genere disobbedire ai trattati? Chiunque
provasse a farlo verrebbe strangolato in un attimo, come esemplarmente
dimostra il caso greco, dove persino l’esito di un referendum è stato
contraddetto da un governo di sinistra, quello di Syriza, finito nel
tritacarne dei meccanismi automatici dell’euro.
Uscire dall’euro è
internazionalista e di sinistra
La conseguenza principale dell’euro è
stata l’allargamento dei divari economici tra i vari Paesi e all’interno
dei singoli stati, fomentando i contrasti tra lavoratori di Paesi
diversi e tra indigeni e immigrati. È stato l’euro ad aver riportato in
Europa, a settanta anni dalla fine della guerra, il nazionalismo e la
xenofobia a un livello di massa, allontanando i lavoratori dalla
politica o spingendoli dalla sinistra verso i partiti di estrema destra.
Per questa ragione non si sono sviluppati movimenti su scala europea.
Senza una rottura con l’euro non è possibile sviluppare alcun movimento
europeo né costruire alcun demos europeo, bensì è possibile solo una
sorta di guerra civile fra i subalterni, tra proletariati nazionali, tra
immigrati e indigeni. Al contrario, essere per l’uscita dall’euro vuol
dire essere contro quanto produce nazionalismo e xenofobia, all’interno,
e competizione tra stati all’esterno. Solo attorno al superamento
dell’euro si può ricostruire un vero internazionalismo europeo.
È un
sillogismo assurdo, come tutti i sillogismi, dire che, siccome l’estrema
destra è contro l’euro, allora essere contro l’euro è di destra. Si
tratta di un obiettivo solo apparentemente identico. Le ragioni e le
finalità sono radicalmente diverse. Mentre l’estrema destra si fa
portatrice di illusorie istanze di settori capitalistici perdenti, la
nostra uscita dall’euro è portatrice degli interessi dei salariati. Non
per ritornare alla sovranità nazionale, bensì alla sovranità democratica
e popolare. Qui, non si tratta di nazione, ma di società e di Stato.
Dobbiamo chiederci se continuare ad accettare organismi sovrastatali e
una unione monetaria, funzionali solo al capitale, oppure riaffermare le
competenze dei parlamenti e delle costituzioni, ritornando cioè a una
dimensione statuale dove è possibile opporsi ai processi capitalistici,
proprio perché situata a un livello maggiormente influenzabile dai
lavoratori. Solamente l’uscita dall’euro permette di ricreare condizioni
di lotta in cui uno dei contendenti, il lavoro salariato, non sia
perdente in partenza. Se un uomo armato di bastone ci aggredisce, la
nostra prima preoccupazione non sarà quella di togliergli quell’arma in
modo da ristabilire condizioni equilibrate di lotta?
Bisogna decidere
in primo luogo che fare
Uscire dall’euro è rischioso? Non dovevamo
entrare, ora uscire è impossibile? Si potrebbero citare autorevoli studi
economici che riportano a dimensioni realistiche quella sorta di biblica
invasione delle cavallette (inflazione al 30-40%, ecc.) che, secondo
alcuni seguirebbe l’uscita dall’euro. Limitiamoci a renderci conto, come
dimostrano gli ultimi dieci anni, che è folle continuare nella stessa
situazione, rimanendo immobili. Fantasticare su movimenti europei senza
un obiettivo programmatico vero, se non una illusoria disobbedienza, in
pratica vuol dire stare immobili, continuando, però, a esaurire le
energie nostre e dei lavoratori italiani e europei. Con le illusioni sul
“demos europeo” finiamo oggettivamente, anche senza volerlo, per coprire
a sinistra il Partito democratico e il Partito socialista europeo, i
fautori storici dell’integrazione economica e valutaria, nel mentre
pretendiamo di essergli alternativi. Con il rischio di diventare la
classica sentinella a guardia del bidone di benzina ormai vuoto. L’euro
non durerà a lungo, come le altre unioni monetarie sovrastatali della
storia, e come lasciano intendere le ultime dichiarazioni della Merkel,
sostenute anche da Prodi, a sostegno del progetto di Europa a più
velocità presentato recentemente da alcuni Paesi satelliti della
Germania. La domanda è se continueremo a cullarci nella illusione di
poter fare una Europa diversa all’interno dell’euro, lasciandoci
spolpare finché non sarà il capitale ad abbandonare l’euro, avendo
esaurito il suo scopo, oppure se decideremo di prendere posizione
chiaramente, riprendendo nelle nostre mani quell’iniziativa che da oltre
un decennio ci è stata sottratta.
Il nostro compito, oggi, non è
tanto ideare soluzioni tecniche, certo importanti, ma in primo luogo
definire un orientamento politico generale, che manca e senza il quale
non sapremmo neanche in quale direzione muoverci. Se mi devo spostare,
prima ancora di decidere se andarci in auto, treno o aereo, devo, prima
di tutto, sapere dove devo andare. Anzi, solo il sapere dove devo andare
mi consente di pensare, dopo, a come farlo. Anteporre la questione del
come al che fare è solo un altro modo per rifiutare di prendere una
decisione o per prenderne un’altra.
Domenico Moro