Partito della Rifondazione Comunista
X Congresso

Intervento di Rino Malinconico

Le novità che parlano al nostro congresso

Ancora qualche mese fa poteva avere un qualche fondamento la critica a Rifondazione Comunista di ripetere inutilmente l’appello ad un percorso condiviso di costruzione della sinistra di alternativa. Sembrava davvero che non ci fossero interlocutori. E diverse compagne e compagni hanno insistito con particolare accanimento su quanto la proposta cadesse nel vuoto. Ebbene, queste ultime settimane potrebbero permetterci, forse, di venir fuori dall’angolo, dalla condizione, certamente poco entusiasmante per tutti, della voce che grida nel deserto.
È un fatto che in Sinistra Italiana sia avvenuta, anche al prezzo doloroso della scissione, una chiarificazione nettissima sulle prospettive politiche. La maggioranza di quella formazione ha precisato, nel congresso costitutivo di Rimini, le coordinate sulle quale intende procedere. E sono coordinate che convergono obiettivamente con la proposta che Rifondazione Comunista ha continuato a ripetere, precisandola in modo sempre più chiaro e organico, negli ultimi tre anni: la costruzione di una soggettività politica, unitaria e plurale, della sinistra antiliberista sulla base dei principi di cooperazione e solidarietà. Non si chiedono abiure a nessuno e a nessuno si chiede di sciogliersi; e si funziona con la regola di “una testa, un voto”. Quella che proponiamo è una soggettività che assuma su di sé le funzioni della rappresentanza istituzionale, a partire dalle prossime tornate elettorali sia amministrative che politiche, con un programma che rivendichi l’attuazione piena della Costituzione repubblicana e antifascista, a partire dai diritti sociali in essa proclamati. E che si ponga, perciò, in contrapposizione esplicita alla cultura politica della sinistra liberale, incarnata certo da Renzi, ma anche dai variegati settori che lo contestano all'interno del PD, e che stanno dando vita (probabilmente) ad un diverso partito, nostalgico del centro-sinistra e dell'Ulivo.
A tal proposito, è del tutto ovvio che, se una tale formazione nascerà, occorrerà farci i conti; e cioè, dal mio punto di vista, contrastare con una battaglia politica e culturale a tutto campo le illusioni che potrebbe produrre in un proletariato che da troppo tempo non conosce vittorie né sindacali né politiche. La proposta di ritorno all'Ulivo e al Centro-sinistra è, infatti, doppiamente illusoria: 1) perché nel 2017, con tante cose cambiate, davvero ha pochissimo senso riproporre un'esperienza nata in un altro contesto e addirittura in un'altra epoca; 2) perché nella cultura dell'Ulivo e del Centro-sinistra c'erano le stesse logiche che progressivamente si sono esplicitate come neoliberismo e che furono tradotte dai governi Prodi, Amato e D'Alema in privatizzazioni, in deregolamentazione degli istituti di salvaguardia del lavoro e in una sostanziale crescita del principio invasivo della concorrenza di tutti contro tutti. Renzi, insomma, è il figlio legittimo delle lenzuolate di Bersani e delle finanziarie di Prodi; e l'Italia che subisce oggi i diktat dell'Unione europea e della Germania è figlia legittima delle scelte complessive fatte anche dai governi di centro-sinistra. Per non parlare delle scellerate avventure guerriere concretizzatisi coi bombardamenti sulla ex Jugoslavia...
E però tutto questo andrà spiegato ai settori proletari. E tanto più avremo possibilità di contendere efficacemente il campo al liberalismo in versione sia renziana che d’alemiana, quanto più la soggettività della sinistra antiliberista comincerà autonomamente a camminare.
Alcune condizioni forse cominciano ad esserci per questo esito: non solo la scelta di distanziarsi dal PD compiuta da Sinistra Italiana, ma anche i richiami all’unità che vengono da altre piccole forze che si richiamano alla lotta di classe e alla cultura storica del movimento operaio; così come lo stesso progressivo organizzarsi in soggetto politico di DEMA, con de Magistris che interloquisce positivamente e costruttivamente non solo con noi ma anche con SI, che pure sulla carta appariva nei mesi scorsi culturalmente più distante dalle accentuazioni politiche del sindaco di Napoli (oltre che da Rifondazione comunista).
Insomma c'è qualcosa di nuovo intorno a noi. Basta? È sufficiente?
Non basta, ovviamente. E, in prospettiva, le dinamiche di ricomposizione delle formazioni politiche della sinistra antiliberista non sono neppure l'elemento decisivo. Perché una alternativa di società cominci davvero a camminare nella testa delle persone e nella pratica politica occorre che il movimento di convergenza delle piccole formazioni politiche venga accompagnato dalla ripresa e dalla generalizzazione della conflittualità sociale. Se non ci sono le lotte e non si estendono le pratiche di mutualità attiva e solidaristica, non faremo comunque molta strada.
Siamo perciò chiamati a lavorare sempre su due piani: da un lato, irrobustendo, con un percorso realistico e credibile, le tendenze all'unità che cominciano a manifestarsi sul piano delle formazioni politiche; dall'altro, contribuendo in tutti i modi allo sviluppo di una mutualità solidaristica, capace di combattere concretamente contro le regole del mercato, e soprattutto impegnandoci nella costruzione di lotte e vertenze: sull'ambiente, sul lavoro, sull’insieme dei diritti, a partire dal salario di cittadinanza, dalla riduzione d’orario a parità di salario, dal risanamento ambientale, dal potenziamento dei servizi sociali. Il tutto da sostenere con la tassazione delle grandi ricchezze e i tetti agli stipendi dei manager e dei dirigenti pubblici.
Sapendo però che c'è poi un terzo ambito di iniziativa, specificamente nostro, di noi comunisti di Rifondazione, che possiamo riproporre legittimamente la parola “comunismo” proprio per i conti fatti negli anni con l'insieme delle pratiche rivoluzionarie del Novecento, con il positivo e il negativo che quelle esperienze storiche hanno prodotto. Noi siamo portatori delle istanze di superamento del capitalismo: come uguaglianza sociale, libertà degli individui e fraternità delle relazioni civili. Questo nostro compito, che non è possibile delegare a nessun altro, si concretizza non solo nella propaganda di un obiettivo strategico, ma anche, e soprattutto, nella capacità di mettere a valore, nei singoli passaggi immediati, quello che di potenzialmente eversivo si annida nello stesso scontro col liberismo. Esemplificando: se si fa una lotta contro un inceneritore, c'è un livello antiliberista che è quello incentrato sull'obiettivo del riciclaggio e che mette in discussione il ciclo dei rifiuti costruito dalle logiche della concorrenza e del profitto immediato; e c'è però anche un livello propriamente anticapitalista, che si riferisce al ciclo delle merci per come sono costruite, usate e gettate nell'attuale dinamica di produzione e consumo, e che chiama in causa le logiche della produzione incentrata sulla valorizzazione degli investimenti invece che sulla soddisfazione dei bisogni e delle aspirazioni umane. Insomma ha senso che noi ci battiamo per irrobustire Rifondazione Comunista e contemporaneamente per costruire il soggetto unitario e plurale della sinistra antiliberista; ed ha senso soprattutto che questo nostro impegno lo facciamo vivere sul piano delle dinamiche sociali, puntando a convincere tanti altri che è possibile un modo di vivere diverso, con un'altra società e un'altra umanità.
Ma per fare questo abbiamo bisogno dell'apporto di tutti. I congressi di circolo ci diranno come, sullo specifico dei documenti congressuali, la pensino i compagni e le compagne. Io sostengo il primo documento, perché lo vedo ben più capace di metterci in sintonia con i compiti che abbiamo davanti. Ma indipendentemente da come sarà il conteggio finale, ritengo che Rifondazione Comunista, nei prossimi mesi e anni, avrà bisogno di tutti noi. Si sta aprendo finalmente uno spiraglio per camminare in avanti. Dobbiamo esserne consapevoli ed evitare paralisi autoreferenziali.

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