Partito
della Rifondazione Comunista
X Congresso
Intervento di Gabriele Gesso
Facciamo come... se fossimo in Italia
La dispersione di “massa” che ha portato le forze anticapitaliste ad
essere marginali dice della necessaria ristrutturazione del pensiero e
dell'agire di queste soggettività. Ormai ci ritroviamo a citare esempi
successi di altri in giro per l'Europa incitandoci di volta in volta a
fare come hanno fatto da qualche altra parte. Grecia, Spagna, Francia...
Ancora, desiderosi di uno spiraglio, confidiamo in un leader di turno
che dia nuovo slancio alle ragioni della sinistra. Tutto ciò ci
impedisce di accettare quello che ormai è evidente: non sono i
parlamenti e i governi, dentro le compatibilità neoliberiste, a poter
determinare la nascita di una nuova frontiera per il socialismo del XXI
secolo. No, non la sto prendendo alla larga, ritengo che queste poche
righe siano una premessa necessaria a motivare la ragione per cui non
penso che la nostra priorità in Italia sia tornare a tutti i costi in
Parlamento come invece scrive il compagno Scarpelli nelle prime righe
del suo contributo alla tribuna congressuale “[...]Riportare la voce di
Rifondazione Comunista e della Sinistra d’alternativa del nostro Paese
nel Parlamento Italiano [...]”. Sostengo infatti che la presenza nelle
istituzioni debba esse prodotta da un processo sociale e politico e non
da tentativi elettorali che di volta in volta si fanno. A me pare che
Rifondazione negli ultimi anni abbia impiegato troppo tempo in questi
tentativi, e troppo poco tempo alla definizione di un blocco di
relazioni sociali. Di più, spesso, le scelte elettorali sono state
controproducenti per il lavoro politico svolto.
Eppure pare che un
decennio circa di arretramento sul piano sociale e politico del Prc sia
frutto solo di responsabilità altrui, del fato o della sfortuna avversa
in un contesto troppo sfavorevole ai comunisti e alle comuniste. Mi
verrebbe da dire, almeno facciamo a metà! Facciamo che siamo in
Italia... e facciamo che il gruppo dirigente uscente abbia governato
questo partito per nove anni... e facciamo che qualcuno chiedesse conto
del bilancio di questi nove anni.
Io sono pronto a fare il mio.
Ramon Mantovani scrive rispetto a Napoli: “[...] il signor De
Magistris si candida a sindaco perché Italia dei Valori, Federazione
della sinistra, “Napoli è tua” e un fantomatico Partito del Sud,
decidono di essere alternativi al centrosinistra.” Beh mi aspettavo lo
stesso rigore che Ramon chiede ai compagni quando si analizzano alcuni
processi. Questa sua affermazione è approssimativa. La Federazione della
Sinistra a Napoli sostenne de Magistris perché il Partito Democratico
sconfessò il risultato delle primarie a cui noi partecipammo, sostenendo
su proposta di Sel (guarda un po' chi si rivede), il sig. Mancuso. E la
candidatura di de Magistris ci risolse il problema di non stare dalla
parte della ragione ancora una volta. Tanto per essere chiari, la parte
della ragione è quella che ci impone di non essere minoritari ed
evanescenti e che nel caso specifico ci avrebbe costretto a sostenere
Morcone, risultato della mediazione dentro il PD dopo gli imbrogli che
fecero saltare le primarie vinte da Cozzolino (e quella con Bassolino
non era solo un'assonanza). A pochi giorni dalle elezioni e incastrati
dentro le primarie che qualche compagno affetto da minoritarismo
sosteneva di dover evitare come la peste, la decisione di de Magistris
di candidarsi ci risolse un bel po' di problemi. Ma parliamo di un'era
politica fa.
Nel prosieguo della sua riflessione, Ramon teorizza che
anche l'esperienza di de Magistris, come diversamente non sarebbe potuto
essere, sia frutto di accordi verticistici. Aggiunge che la lista
“Napoli in comune a Sinistra” non sia altro che la lista unitaria della
sinistra fatta nel solco della linea della maggioranza uscente
(“[...]PRC, SEL, Pdci ed altri ancora formano una lista dal nome Napoli
in Comune-A Sinistra[...]). Questo punto merita un approfondimento,
visto che questa tesi è sostenuta anche dall'autorevole esponente della
segreteria e mio amico, Maurizio Acerbo. Tale approfondimento mi
consente anche di sciogliere un nodo congressuale rispetto alla priorità
dell'unità dei conflitti sull'unità dei gruppi dirigenti. Indubbiamente
il limite di Napoli in comune è quello di non essere riuscita ad andare
oltre le sigle dei partiti che poi l'hanno costituita. Di questi limiti,
di cui oggi paghiamo le conseguenze dal punto di vista politico e
amministrativo, dirò più avanti. Ora mi interessa soffermarmi sul
processo. Da segretario provinciale del Prc mi sono rifiutato di fare
qualsiasi tavolo tra le forze coinvolte nell'appello costituente di
Napoli in comune. Tutte gli incontri sono stati convocati nell'ambito di
un coordinamento degli aderenti che via via si veniva a formare. Abbiamo
provato a sperimentare forme di coinvolgimento su candidature, programma
e simbolo. Nonostante l'intendimento di dare vita ad una esperienza di
unità politica e sociale, molti, tra esperienze vicine ai sindacati
conflittuali, collettivi e movimenti cittadini, hanno preferito
impegnarsi in Dema, una delle due liste del Sindaco. Persino il gruppo
che faceva riferimento a Fassina, lamentando la presenza di Sel nel
percorso (sic!), decise di fare una lista autonoma. Ci dovremmo chiedere
come mai settori organizzati di movimenti sociali e collettivi non ci
abbiano ritenuto degli interlocutori. Le ragioni possono essere tante,
ma tra esse in testa c'è un avvenimento di qualche mese prima, nel
periodo delle elezioni regionali. Anche in quel caso la Federazione di
Napoli si impegnò in un percorso che provasse a costruire la coalizione
politica e sociale. “Maggio”, questo il nome che fu dato a quella
esperienza, costruì un'importante assemblea che ebbe il merito di
mettere a confronto realtà provenienti da storie e percorsi molto
diversi nell'ambito della costellazione della sinistra regionale, Sel
compresa. E molte tra quelle realtà erano pronte ad impegnarsi nella
sfida elettorale. Avremmo potuto candidare il primo passante per
riuscire nell'intento di tenere salda la coalizione e invece ci siamo
impiccati ad un accordo nazionale stipulato al tavolo “Noi ci Siamo”
(aggiungerei purtroppo), che sanciva un nuovo accordo di fase con SEL/SI
in base al quale ci si accontentava di un'alternatività formale al PD
dove era possibile. Il risultato, tra gli altri, è un candidato tifoso
delle grandi opere in Liguria e in Campania un candidato, segretario
regionale di Sel, sostenitore dell'accordo con il Pd in caso le primarie
fossero state vinte da Cozzolino (spesso ritornano). Un capolavoro!
“Maggio” si disperde, lo schema rassicurante dell'unità controllabile è
attivato, il risultato è sempre lo stesso: 2%. Altro che “non siamo mai
stati politicisti” e “non abbiamo mai sacrificato alcun contenuto
importante per costruire queste esperienze unitarie”, come scrive il
compagno Mantovani.
Beh forse un po' di credibilità l'abbiamo persa
in quella occasione e probabilmente ne abbiamo pagato il contraccolpo
alle amministrative. Oggi Napoli in comune è la dimostrazione che non è
sufficiente il risultato elettorale (è la lista di sinistra più votata
tra quelle presentate nelle grandi città nonostante la forte
attrattività della lista Dema) e che l'unità della sinistra senza base
sociale è poco più di un cartello elettorale. Il lavoro degli
istituzionali diventa più complicato e le spinte alla separazione tra
corpo eletto e lista di riferimento ne sono la fenomenologia più
diffusa. Per questo lavoriamo, consapevoli dei nostri limiti e delle
criticità, a ricomporre l'assemblea degli aderenti e a coinvolgere NiC
nella campagna metropolitana sull'utilizzo dell'avanzo di bilancio che
portiamo avanti con tanti settori sociali.
Più in generale questo
lavoro di analisi non si fa. Il gruppo dirigente nazionale, nell'ormai
consueta prassi di deresponsabilizzarsi, propone uguale a se stessa la
formula dell'unità, quasi come una preghiera. Immagino il dibattito dei
prossimi mesi con noi che inseguiamo Sinistra Italiana che insegue la
minoranza del Pd che esce dal partito che a sua volta aspetta di capire
se Renzi vince il congresso. Una “fiera dell'est” che adempie alla sua
funzione, quella di rendere soporifera la politica.
No, caro Ramon,
le cose non devono andare per forza cosi! Non c'è una sola strada da
perseguire. Non siamo costretti a scansare proiettili e raggiungere
trincee (tanto per citare qualche infelice metafora ferreriana sui
tentativi da fare per unire la sinistra). Fareste bene ad uscire dal
cantuccio delle verità supposte nel quale vi sentite rassicurati, perché
quelle verità ci hanno portato all'evanescenza.
Di Gabriele
Gesso,
segretario provinciale Prc Napoli