Partito
della Rifondazione Comunista
X Congresso
Intervento di Frank Ferlisi
Quest’anno abbiamo alcune importanti ricorrenze: il centenario della Rivoluzione d’Ottobre, e spero che il Partito riesca a organizzare un convegno a riguardo; l’ottantesimo della morte di Gramsci e si potrebbe ricordare con una relazione su Gramsci e quella che lui definì una <<rivoluzione contro il Capitale>> all’interno del convegno sull’Ottobre; il cinquantesimo dell’assassinio di Ernesto “Che” Guevara e mi permetto di suggerire ai GC di organizzare loro un ricordo del “guerrigliero eroico” invitando, con l’aiuto e i suggerimenti di Marco Consolo, esponenti della sinistra argentina, boliviana e cubana. Ci sarebbe anche il cinquecentenario della Riforma luterana, ma dubito che ce ne possiamo occupare. A Palermo, faremo una piccola iniziativa assieme ai Valdesi.
Queste iniziative di carattere storico non devono essere viste come semplici commemorazioni od occasioni per atteggiamenti nostalgici e consolatori. Lukàcs, nella sua “Ontologia dell’essere sociale” scrive che per Marx ha statuto scientifico non l’economia bensì la Storia. E anche il mio maestro in politica, Mario Mineo, mi diceva che per i marxisti è più importante la Storia che l’economia. E in effetti per i singoli come per i popoli e per i soggetti politici, passato presente e futuro sono inscindibili e se ci si rende schiavi solo del presente si rischia, come bene scrive Engels, <<… questo lottare e tendere al successo momentaneo senza preoccuparsi delle conseguenze che ne scaturiranno, questo sacrificare il futuro del movimento per il presente, può essere stimato onorevole, ma è e rimane opportunismo, …>>. Significa anche rinunciare, dopo attenta analisi degli eventi passati e delle contraddizioni presenti, a individuare possibili linee di tendenza e tentare di predeterminare gli eventi invece che subirli.
Cerco di essere chiaro. Lenin al IV Congresso del Comintern nel 1922, aveva capito che si stava aprendo una nuova fase storica ed esortò i congressisti con queste parole: <<Io penso che la cosa più importante per tutti noi […] è che […] dobbiamo studiare. Il compito più importante è lo studio. Per acquisire veramente l’organizzazione, la struttura, il metodo e il contenuto del lavoro rivoluzionario>>. Ma non fu capito. E i bolscevichi continuarono a pensare che bastasse una rapida azione rivoluzionaria e occupare lo Stato mentre i socialdemocratici, tutto sommato, pensavano la stessa cosa solo percorrendo una strada affatto diversa (le elezioni) dimostrando che avevano entrambi una concezione lassalliana dello Stato idea che Marx aveva criticato a fondo nella “Critica al programma di Gotha”. Quindi si apriva un periodo di crisi che avrebbe avuto il suo culmine nel crollo di Wall street del 1929. Per certi versi le crisi sono volute tanto è vero che, alla fine, scompare il vecchio Stato liberale sostituito o dal <<new deal>> o dal nazi-fascismo. La crisi, quindi, non solo era servito a concentrare nelle mani più forti capitali e impianti, a scoraggiare, con le buone o le cattive, gli operai a <<fare come in Russia>> ma a modificare in profondità la natura dello Stato. Il nazi-fascismo è quel mostro che stava, con le parole di Brecht, per dominare il mondo; <<i popoli lo spensero, ma non cantiamo vittoria troppo presto perché il ventre da cui nacque è ancora fecondo>>. E quello stesso ventre, all’inizio degli anni settanta, diede inizio a una offensiva senza precedenti dando vita a una crisi, voluta, pensata, pianificata e perseguita con ferocia diretta a distruggere le strutture organizzative del movimento operaio occidentale (europeo e nordamericano), sindacali e politiche. In tutte le sue varianti, socialdemocratiche e comuniste, staliniste o meno. Prima che Reagan licenziasse in tronco diecimila controllori di volo in sciopero, l’Afl – Cio contava milioni d’iscritti; oggi si aggirano sui cinquecentomila. Il socialismo reale è crollato e da capitalismo monopolistico di Stato siamo passati al capitalismo mondializzato che chiude impianti, li sposta, licenzia senza incontrare grandi ostacoli e abbatte i salari in tutto il mondo. E’ vero che con la mondializzazione, come scrive Samir Amin, si creano nuovi poli di sviluppo capitalistico che danno vita a nuove contraddizioni e conflitti, ma le verità, nuda e cruda, è che siamo stati sconfitti e che, tutt’oggi, siamo nel gorgo. E non riusciamo a uscirne anche perché come prima detto siamo a rimorchio degli eventi e schiavi dell’opportunismo. TUTTI! Non è che se al posto di Ferrero ci fosse stato, che so io … Sandokan avremmo settantamila iscritti, dieci deputati e cinque senatori. Grosso modo, mas o meno, saremmo nella stessa condizione. Ed è illusorio pensare che litigando come i polli di Renzo noi troveremo la linea giusta e trionferemo. Continueremo a stare nel gorgo. Dobbiamo salvare questo bene prezioso che è il Partito e avere un atteggiamento più unitario, meno diretto alla frammentazione col che non dico di azzerare le differenze, ma farle diventare base di un dibattito, di una ricerca tesa a costruire quella organizzazione rivoluzionaria che, a parole, tutti auspichiamo. Perché, care compagne e cari compagni, il socialismo non deve essere una specie di giudizio universale che chissà quando arriverà un giorno, magari non sul carro di Elia ma su un T34 sovietico condotto da Marx e Lenin, ma un Progetto da realizzare nel qui e nell’ora, perché solo il Socialismo, oggi, può, forse, salvarci dalla regressione di civiltà. Non si auspica il Socialismo; lo si costruisce con un Progetto rivoluzionario di transizione, un programma coerente con esso, col lavoro di massa, con l’organizzazione. Senza tutto ciò, continueremo a esistere come soggetto politico, ma marginale e ininfluente. Applicare pienamente la nostra Costituzione come prima fase della transizione? Mi sta bene, ma non è sufficiente. Dobbiamo subito costituire quella istituzione attraverso la quale i delegati operai decideranno il <<cosa, quanto, come produrre>>. Come scrivono Tronti e Mineo <<La classe operaia deve farsi Stato>> e NON il Partito. Inoltre –aggiunge Mineo- la classe deve farsi Stato ma anche mantenere una propria autonomia dallo Stato e l’istituzione deve avere meno caratteristiche parlamentari possibili. Altrimenti cadiamo nella concezione lassalliana dello Stato e ci dimentichiamo che lo Stato è pur sempre una sovrastruttura del modo di produzione. Come ignoreremmo la lezione che ci proviene dalla Storia dell’URSS. E per fare questo dobbiamo “volare alto, come le aquile e non all’altezza delle galline” parafrasando Lenin. Allora volare alto significa, per esempio, discutere di Europa ed euro. Che sono problemi grossi. Ci sono ragioni nell’uno e nell’altro schieramento; ci sono controindicazioni nell’una o nell’altra scelta. Io, personalmente sono per rompere con l’UE e con la sua moneta, una moneta creata ad hoc per creare deflazione che colpisce in primo luogo le masse lavoratrici, che ha scomposto e ricomposto le classi sociali su livelli più favorevoli alla borghesia. Altri compagni pongono altri problemi. Credo che concordiamo tutte e tutti sul fatto che se fossero le classi dominanti a gestire una rottura tipo brexit o l’unione deflagrasse a causa delle sue contraddizioni interne, sarebbe pericoloso per le lavoratrici e i lavoratori. Su questi livelli, quindi, la discussione fa bene e non è un caso che le due posizioni taglino trasversalmente i due documenti. Mi permetto di proporre di dare vita a un Foro de Sau Paulo europeo che riunisca periodicamente tutta la sinistra del vecchio continente, dagli Urali alle Azzorre, per confrontarci, discutere, magari, col tempo, trovare una linea di condotta unitaria. Un’internazionale europea della sinistra contro il capitalismo trasnazionale.
Ma ci vuole un’analisi storica e strutturale delle contraddizioni esistenti e vedo che, a mio parere, entrambi i documenti sottovalutano la portata dell’offensiva avversaria e della crisi economica. Anche oggi la borghesia tenta azzerare le capacità di manovra delle forze sindacali e politiche della classe operaia, di scomporre la nostra classe, di ricattarla, di gettarla nel baratro di una “guerra tra i poveri”, di modificare, al fine, la natura dello Stato. E cosa ha fatto Renzi tentando di modificare la nostra carta fondamentale? Iniziare gradualmente a modificare la natura dello Stato e l’Italicum, la “buona scuola”, il “jobs act”, etc altro non sono che questo. Per fortuna lo abbiamo fermato, ma il “ventre fecondo” è ancora in movimento, non si è fermato. E noi siamo ancora nel gorgo.
Allora cambiamo atteggiamento, lavoriamo insieme al fine di volare alto che ci consentirebbe di vedere meglio, di avere un quadro più ampio e, una volta individuato il punto debole dell’avversario, scendere in picchiata per fargli quanto più male possibile. E volando alto abbiamo maggiori probabilità di fare previsioni e di provare a piegare gli avvenimenti invece di essere al traino.
Mi permetto di fare un’altra proposta, al fine di riconnetterci al mondo del lavoro che vive in terribile solitudine sentendosi abbandonato da tutti. Iniziamo una campagna, che duri magari un paio di anni, contro la legge Fornero, forse la più odiata da tutti, da chi lavoro e da chi aspira a farlo. Prepariamola bene con materiale chiaro, esplicativo. Elaboriamo, se è nelle nostre possibilità, una proposta alternativa senza paura che sia radicale e che faccia comprendere cosa noi faremmo se governassimo il paese. Insomma sarebbe una buona propaganda e, se fatta ben, diventerebbe un’arma di pressione presso forze politiche e sindacali e aprirebbe un dibattito nell’opinione pubblica. Pensiamoci un po’ su.
Concludendo compagne e compagni, io sono certo che un giorno, non so dove non so come né quando –tra un mese, un anno, dieci, cento- il “vento tornerà a fischiare” come dicono i versi di una canzone a noi cara. Il nostro dovere è di attrezzarci per quel giorno. Il resto sono chiacchiere inutili. Altrimenti corriamo il rischio di non sentirlo nemmeno quel fischio.
W Rifondazione comunista!
W le compagne e i compagni di Rifondazione comunista!