Partito
della Rifondazione Comunista
X Congresso
TESI A
La nostra “rivoluzione in Occidente»: per la
rottura costituente, un'altra Europa
La nostra
rivoluzione in Occidente: la costruzione di un’altra Europa
All’altezza degli anni Trenta Antonio Gramsci ragionava sulla sconfitta
del movimento operaio nelle società occidentali, sulla necessità di
tradurre il problema della rivoluzione da Oriente a Occidente,
elaborando una teoria della “rivoluzione in Occidente” come processo
molecolare, come “guerra di posizione” e, dunque, come processo che fa
della lotta per l’egemonia un terreno decisivo nella modifica dei
rapporti di forza. Oggi lo spazio della “rivoluzione in Occidente”
coincide con la necessità di una rottura costituente: rottura di questa
Unione europea, costruzione di una altra Europa. Occorre costruire la
rottura, senza rinunciare alla contesa egemonica nello spazio europeo,
senza abdicare alla contesa per la definizione del “significante
Europa”. Il demos europeo non può che nascere nella costrizione del
conflitto e di una lotta di liberazione dalle politiche di austerità:
dall’intreccio tra una soggettivazione conflittuale e politica europea,
di una agenda europea dei conflitti e dei movimenti, con la difesa
popolare delle Costituzioni nate dalla Resistenza.
L’idea di Europa,
dunque, come oggetto di una lotta per l’egemonia: tra il neoliberismo
che ha distrutto la vecchia Europa del welfare e la democrazia reale, il
nuovo che può nascere dalla riapertura di un processo di
politicizzazione di massa. Se l’Europa è oggi lo spazio in cui tradure
nel presente la “rivoluzione in Occidente”, il nodo della costituzione
di una forza politica europea che modifichi gli attuali rapporti di
forza è ineludibile. Non si può parlare di una democratizzazione
dell’Europa senza la costituzione di un demos in una lotta di
liberazione dall’austerità e dalla governance dell’Ue neoliberista e dei
suoi dispositivi. Né si può sovrapporre il nodo del potere e dei poteri
– di cui i popoli europei sono progressivamente espropriati – con quello
del governo, a maggior ragione nell’epoca della fine del compromesso tra
capitalismo e democrazia determinata dal neoliberismo, carta
costituzionale di questa Ue e dei suoi piloti automatici. La sinistra
europea, come dimostra la Grecia, e la sinistra italiana hanno già
ampiamente sperimentato le conseguenze dell’essere sinistra di governo
senza “il potere di cambiare”.
Una forza politica europea che lavori
a modificare i rapporti di forza non può relegare il nodo della
efficacia nel mantra della sinistra di governo, ma deve riattivare quel
processo di politicizzazione di massa di cui lo spazio europeo – e in
particolar modo quello italiano – ha un disperato bisogno. Unire e
connettere le diverse forme del fare politica e del fare società oggi è
una sfida che non ammette scorciatoie politiciste o fintamente
innovative; ma il lavoro difficile di unire ciò che il neoliberismo ha
diviso è l’unica alternativa all’Europa della barbarie neoliberista.
La democratizzazione dello spazio europeo: una rottura costituente,
una questione di classe
Il processo di democratizzazione dello spazio
europeo non può in alcun modo darsi come processo di riforma per linee
interne dell’attuale architettura dell’Ue, fondata sul neoliberismo,
ossia sulla separazione tra capitale e democrazia. I trattati hanno
agito come dispositivo governamentale delle classi dominanti, rendendole
immuni dal problema del consenso. Oggi il problema del consenso si
ripresenta alla classi dominanti: lo chiamano populismo.
Il processo
di integrazione europea come area di libero scambio e di accumulazione
capitalistica rende necessaria una organizzazione del conflitto di
classe che guardi allo spazio continentale come terreno per costruire
una risposta all’altezza delle attuali forme di organizzazione del
capitale e per la riappropriazione della ricchezza sociale. La questione
democratica su scala europea si “accompagna con il problema della nuova
articolazione politica della lotta di classe” : nello spazio europeo “la
tradizionale divisione del lavoro tra partito, sindacato e movimenti
sociali è stata messa in discussione
dalle nuove forme dello sviluppo
capitalistico. A essere messa in discussione e sfidata non è solo la
rappresentanza politica del popolo, ma anche la forma specifica della
rappresentanza della classe operaia che ha sorretto lo sviluppo della
democrazia nell’epoca del fordismo e dello stato sociale (…) Questo
nesso tra democrazia e lotta di classe indica la necessità di combinare
la formazione di maggioranze e coalizioni sociali con il conflitto e con
le rotture che sono inevitabili per poter creare nuovi spazi per il
comune” (Mezzadra). La costruzione di pratiche transnazionali del
conflitto è, dunque, elemento decisivo della rottura costituente.
Autodeterminazione e confederalità democratica: contropoteri nello
spazio europeo
L’idea di un “ritorno alla sovranità nazionale” come
unica forma possibile di sovranità popolare non fa oggi i conti che la
trasformazione della forma-Stato prodotta dal neoliberismo, con il
livello transnazionale dei processi di produzione e accumulazione. Oggi
la forma affermativa e molecolare di un processo di radicale
trasformazione delle stato di cose presenti può darsi più nella
istituzione di contropoteri che nel farsi-Stato o super-Stato: nella
connessione di forme di autogoverno, città ribelli, nuove istituzioni
del comune, lotte, conflitti sociali. Come processo di
autodeterminazione di donne, uomini, popoli nello spazio europeo più che
come impossibile (e forse non auspicabile) ritorno a una sovranità per
linee nazionali.
Pensiamo che il confederalismo democratico e la
co-rappresentanza sperimentate nella lotta del popolo curdo possano
rappresentare oggi un punto di riferimento importante per pensare un
diverso rapporto tra orizzontalità e verticalità nella costruzione di
nuove istituzioni, di un nuovo processo di democratizzazione. Questo
ovviamente nulla toglie alla qualità strategica della difesa e della
piena attuazione delle Costituzioni nate dalla Resistenza. Fondamentale
nella costruzione di un’altra Europa è la rottura costituente del
dispositivo della frontiera. La logica del Frontex è costitutiva di
questa Unione europea così come l’attraversamento di donne e uomini
migranti è il vero processo di allargamento e rifondazione dell’Europa
(Balibar).
Per una agenda europea dei conflitti e dei movimenti
La ricostruzione di una agenda europea dei conflitti e dei movimenti
risulta quindi strategica Per altro verso, il rilancio del Partito della
sinistra europea dovrebbe passare attraverso una rinnovata capacità di
essere volano della costruzione di una agenda europea dei conflitti e
dei movimenti: un interlocutore per movimenti che si danno nella
dimensione europea STOP-TTIP a Blockupy, dallo sciopero transnazionale
alle esperienze di audit sul debito. Occorre, pur nella permanenza di
differenze sostanziali rispetto al ELP, aprire spazi di convergenza con
le diverse piattaforme per il Plan B, con la rete DIEM 25. In questo
senso ci pare positiva la proposta della organizzazione annuale di Forum
dell’alternativa sul modello del Foro di San Paolo. Riteniamo
fondamentale per la nostra iniziativa politica sul terreno europeo la
partecipazione alle mobilitazioni previste a Roma in occasione dei 60
anni dalla firma dei trattati, così come tutte le tappe di mobilitazione
in vista del G20 di Amburgo. La costruzione di un movimento di massa
contro le politiche di austerità, nella consapevolezza che nessun
ulteriore sacrificio può essere chiesto ai popoli europei in nome della
stabilità e della moneta unica: su questi assi possiamo lavorare a
rafforzare la costruzione di una alternativa all’attuale Unione europea.
Forenza Eleonora
Gesso Gabriele
Perillo Antonio
Voza
Pasquale
Zanetti Massimo