Partito della Rifondazione Comunista
X Congresso

Emendamento al punto 8

Sostituire il punto 8.2


Per un reddito di autodeterminazione, per una cittadinanza sociale europea.
«Come nasce il movimento storico sulla base della struttura», di questa struttura del capitalismo? L’attualizzazione di questa domanda gramsciana implica una rilettura delle attuali forme del dominio neoliberista nello spazio europeo. Parliamo, in primo luogo, di una dimensione tendenzialmente totalitaria del capitalismo, di una estensione e intensificazione della messa a profitto dell’umano, del sessuale, del relazionale, della cura: di uno sfruttamento biopolitico della forza-lavoro che si estende, anche in virtù dei processi di precarizzazione, al tempo di vita e non solo a quello di lavoro. Come ha scritto Cristina Morini, «l’implementazione dello sfruttamento delle capacità cognitive all’interno del nuovo paradigma di accumulazione» messa in atto nel «capitalismo cognitivo […] raffigura una delle nuove forme critiche della dominazione che innervano, complessivamente, il lavoro oggi. Da questo punto di vista, le analisi condotte sul capitalismo cognitivo non devono essere considerate antitetiche a quelle condotte sulle relazioni economiche e sui rapporti di sfruttamento in altri contesti produttivi. Esse possono piuttosto costituire un arricchimento e un’integrazione per una maggiore comprensione della realtà del lavoro vivo contemporaneo».
Gli attuali processi di femminilizzazione del lavoro si fondano sulla disponibilità (del tempo, del corpo, del lavoro, della vita): precarizzazione e femminilizzazione parlano cioè di un più pervasivo potere governamentale del capitale nel disporre delle vite. La femminilizzazione del lavoro, dunque, non come nuova libertà delle donne nel lavoro, ma come declinazione di una biopolitica che governa vite e corpi, di un neocapitalismo che mette a profitto lavoro e vita, corpo e mente, l’intera soggettività. Femminilizzazione, dunque, come “metafora” di processi di valorizzazione capitalistici che investono il lavoro di entrambi i generi, ma anche come nuovo modello di inclusione subordinata del lavoro delle donne Il lavoro di cura non riconosciuto, da un lato, e il relazionale messo a profitto, dall’altro, sono elementi che dovrebbero indurci a non avere come obiettivo una estensione onnivora del lavoro merce – per cui il riconoscimento del lavoro di cura passerebbe necessariamente, appunto, attraverso il suo divenire lavoro-merce –, bensì una più complessiva ridefinizione sociale del lavoro, diversi meccanismi di riconoscimento e definizione della cittadinanza, la liberazione del lavoro dalla subordinazione e dalla sua mercificazione.
Reclamare oggi un reddito di autodeterminazione, un reddito di base incondizionato, significa reclamare riconoscimento sociale per il lavoro di riproduzione sociale non retribuito, per scardinare la dicotomia tra lavoro produttivo e riproduttivo. È questa la proposta avanzata su scala europea dal movimento femminista e che sarà supportata dallo sciopero globale dell’8 marzo. Se la proposta di reddito di autodeterminazione può vivere come “utopia concreta”, la proposta di un reddito minimo su scala europea appare oggi una necessità ineludibile, se non solo come misura di lotta alla povertà, come configurato dalla risoluzione del Parlamento europeo del 20 ottobre 2010, come fondamento di una cittadinanza sociale che europea che riconosca il diritto a un esistenza dignitosa di tutte e tutti. Raccogliere la sfida della costruzione di una cittadinanza sociale europea, non come dispositivo di inclusione/esclusione, fuori dalla codificazione familista e lavorista dei welfare nazionali: ripensare il progetto europeo da un posizionamento femminista.

Forenza Eleonora
Gesso Gabriele
Perillo Antonio
Barbarossa Imma

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