Contributo Conferenza d'Organizzazione 2015
Emendamenti Circolo di Bruxelles
Nel capitolo D.5 “la democrazia nel partito”, emendare , togliendo le ultime 3 righe dasolo cosi’ si puo praticare fino alla fine del paragrafo.” con:
“visti i tentativi fallimentari di gestione unitaria del Partito dopo il congresso di Chianciano, proponiamo lo scioglimento di tutte le areee del Partito e l’eliminazione del diritto di frazione dal nostro statuto, tornando alla formaulazione statutaria originale del Partito della Rifondazione Comunista.
Nel capitolo D.6 “le giovani generazioni, la crisi e il rilancio dei giovani comunisti”, emendare, togliendo le seguenti righe:
“non a caso sono i giovani e le giovani sopratutto che si ribellanoe riempono le piazze di madrid, del cairo, di honk kong e di new yorkdi tunisi, quelli che animano i conflitti sociali, in italia ed in tutta europa”
Aggiungere punto C.3): La contraddizione Capitale-Lavoro oggi. Relazioni coi movimenti e sindacalismo di classe.
Nel contesto sopra descritto le mobilitazioni contro il governo Renzi della seconda metà del 2014, hanno visto crescere la conflittualità sociale nel paese, attraverso un rinnovato protagonismo di lavoratori e precari, sempre più vessati dagli effetti della crisi e dalle politiche neoliberiste, che erodono salari e diritti.
Il leit motiv su cui sembra intenzionato a muoversi Confindustria, sostenuta a livello legislativo dal governo Renzi, è quello del ricatto basato sulla disoccupazione di massa, soprattutto a livello giovanile, per isitituzionalizzare lavoro schiavistico e sottopagato. E’ in questa ottica che il modello Farinetti di Eataly e quello dell’Expo hanno imposto nell’agenda parlamentare il lavoro “volontario” (leggi gratuito) e la precarietà permanente del DL Poletti o della Youth Garantee.
Il Jobs act, il decreto “Sblocca Italia” e “La buona scuola” rappresentano quindi tre dei pilastri con cui il governo Renzi e le classi dominanti intendono smantellare definitivamente le tutele dei lavoratori ed ogni residuo dell’impianto costituzionale su cui poggia ancora il nostro paese, precarizzando completamente i rapporti di lavoro, introducendo queste nuove forme di sfruttamento e di ricattabilità dei lavoratori, privatizzando e svendendo ai mercati ed agli interessi finanziari istruzione, sanità, servizi pubblici locali. Una gigantesca opera di schiacciamento del salario sociale complessivo a disposizione dei lavoratori salariati.
I comunisti pertanto devono sostenere le mobilitazioni attuali, non soltanto in un’ottica solidaristica, ma con una proposta strategica che ruoti attorno all’idea, dopo decenni di aumento della produttività a tutto vantaggio del capitale, di una riduzione generalizzata dell’orario lavorativo a parità di salario (e di condizioni) e della ripubblicizzazione dei settori strategici, a partire da quelli in crisi o che delocalizzano (vedi acciaierie di Terni, trasporto pubblico con l’Irisbus, ecc...). Bisogna cercare di connettere queste battaglie al tema del controllo pubblico sull’economia e sulle risorse. Questione riproposta con differenti formulazioni dal dibattito sui “Beni Comuni” che si è acceso con la vittoria al Referendum per l’Acqua Pubblica e con la resistenza del movimento NO TAV, con la richiesta sempre più diffusa di una partecipazione attiva dei “cittadini” nelle decisioni strategiche. Per non essere alla coda dell’inevitabile carattere interclassista di alcuni di questi temi, occorrerebbe declinare questa richiesta di “partecipazione attiva” in un movimento per il controllo pubblico e collettivo (ossia, “popolare”) sul quanto e come spendere il denaro pubblico, come e a quale scopo utilizzare le risorse pubbliche, come e per cosa produrre.
L’attacco che il governo Renzi sta conducendo contro il mondo del lavoro, infatti, non può essere affrontato all’interno degli steccati delle singole vertenze ma, è necessaria quella ricomposizione di classe che permetta di superare la frammentazione e l’atomizzazione dei lavoratori, di cui il capitale si serve per renderli più deboli e ricattabili. Questo può essere fatto quindi cercando il difficile connubio tra dimensione di massa e prospettiva politica delle lotte.
Da questo punto di vista, rilanciare il tema di una reale rappresentanza dei lavoratori e della democrazia nei luoghi di lavoro è fondamentale. Da qui, infatti, è possibile cominciare a ritrovare un senso di solidarietà tra i lavoratori, che con coscienza superi gli argomenti corporativi del padronato, che da un lato generano egoismi tra lavorativi e dall’altro intendono legare lavoratori e padroni in un impossibile patto tra produttori.
All’interno di questo quadro, emerge con forza la necessità che i comunisti svolgano, all’interno del sindacato un ruolo di avanguardia, spingendo verso una radicalizzazione ed una generalizzazione del conflitto. Per farlo occorre dare seguito a quanto approvato nell’ultimo congresso del PRC, lavorando per far funzionare le cellule comuniste già presenti nei luoghi di lavoro e per crearne di nuove e rilanciando luoghi di confronto politico tra tutte le compagne ed i compagni attivi nei luoghi di lavoro come la “conferenza dei lavoratori comunisti”. Al tempo stesso, però, è evidente che le stesse cellule comuniste non potrebbero avere un ruolo di avanguardia senza una chiara linea e un indirizzo sindacale del partito e senza una coerente proposta di fase.
La mobilitazione dei movimenti per lo sciopero sociale, col dialogo sia con gli scioperi dei sindacati di base che con la vertenza della FIOM, lo sciopero generale di dicembre che ha mostrato come la CGIL abbia ancora una forte capacità di mobilitare i lavoratori, rappresentano dei segnali di notevole importanza.
Di fronte a questi segnali il PRC ed i comunisti tutti non possono semplicemente seguire gli eventi, accontentandosi di una presenza puramente testimoniale nelle vertenze, rincorrendo, di volta in volta, le emergenze. Occorre mobilitare tutti i nostri quadri operai e sindacali, le RSU, i circoli e le cellule sui luoghi di lavoro, i compagni impegnati nelle vertenze, affinché facciano da pungolo alle rispettive strutture sindacali nella direzione di imprimere alla piattaforma dello sciopero generale della Cgil elementi di conflitto rispetto alle politiche del governo ed allo stesso esecutivo. Fare in modo che la piattaforma dello sciopero generale vada oltre le modeste proposte avanzate dalla Cgil con la manifestazione del 25 ottobre è nostro compito. Un’unità delle lotte contrapposta all’unità delle burocrazie che sappia produrre coordinamenti di RSU-RSA e rappresentanze precarie, comitati di lotta unitari e campagne di resistenza sui luoghi di lavoro trasversali alle sigle sindacali conflittuali. Una piattaforma di lotta contro le politiche padronali che ricomponga le aspirazioni e gli interessi immediati di tutto il lavoro flessibile e la generazione precaria, i moderni settori salariati altrimenti frammentate e deboli di fronte all’aggressività padronale.
D’altra parte per essere realmente “anticapitalista”, oltre che “antiliberista”, una coalizione della sinistra di alternativa deve definirsi strettamente, pur con una necessaria duttilità tattica, attorno alla centralità di un punto di vista di classe (su lavoro, salario, diritti e welfare) “indisponibile” alle compatibilità capitalistiche tanto politiche che sindacali (quindi fissando punti discriminanti e non trattabili con qualsiasi ipotesi di governo e in qualsiasi accordo con Confindustria). Una battaglia che sul piano sindacale si snoda contro ogni patto sociale neo-corporativo tra vertici dei sindacati confederali e padronato (come gli accordi del 28 giugno 2011 e o il Testo Unico sulla Rappresentanza) e che faccia il paio con quella sul terreno politico e istituzionale contro il presidenzialismo e la blindatura della democrazia da parte dei governi filo-BCE.