Premessa

 

Di seguito pubblichiamo gli Atti della II Assemblea Nazionale delle lavoratrici e dei lavoratori del PRC, svoltasi il 27 e 28 gennaio 2001 a Treviso.

Nonostante il notevole ritardo, riteniamo doverosa ed utile la pubblicazione; doverosa perchè è bene che ogni nostra iniziativa che comporta lavoro, coinvolgimento dei compagni, riflessioni, etc. “lasci traccia”; utile perchè le prossime scadenze (congresso CGIL, congresso PRC, dibattito-confronto nella sinistra) vedono al centro la riflessione sul lavoro e le nostre analisi e proposte possono certamente contribuire.

Da Treviso emergono poi impegni importanti anche sul piano organizzativo per il PRC, si pensi alla definizione della “Consulta del Lavoro” o alle riflessioni sulla presenza nei luoghi di lavoro, che entrano appieno nella preparazione del prossimo Congresso.

Da ultimo chiediamo scusa per i “tagli” apportati ad alcuni interventi, dovuti a problemi di registrazione; la “pulitura” e lo “sbobinamento” dei testi sono stati realizzati a nostra cura, cercando di mantenere il senso degli interventi realizzati.

Alla redazione degli Atti dell’Assemblea Nazionale di Treviso hanno collaborato: Giorgio Bertuzzi, Cinzia Catenacci, Marco Gelmini e Francesca Vuotto.

 

 

 

 

Roma, luglio 2001-07-11 Il Dip Lavoro PRC

Stefano Zuccherini, Responsabile nazionale Lavoro

 

Care compagne e cari compagni,

giunge a conclusione, con questi due giorni di dibattito, il percorso della nostra Conferenza delle lavoratrici e dei lavoratori. Abbiamo scelto una modalità di lavoro che ci consentisse di affrontare per grandi filoni la discussione sulle condizioni di lavoro, favorendo una discussione aperta, presentando un documento della Direzione Nazionale che fosse la sintesi di spunti di analisi, di indicazioni di lavoro, di elementi della nostra piattaforma sociale, elementi di una battaglia politica del partito e di una riflessione, su cui permangono punti di vista diversi, assolutamente legittimi ed anche, come sapete, un documento alternativo..

Nonostante i tempi ristretti è stato straordinario l’impegno delle strutture del partito e delle compagne e dei compagni nel costruire iniziative che ragionassero sulle realtà locali individuando le forme specifiche della precarietà e della insicurezza sociale che questa determina intrecciando gli elementi di analisi, gli spunti per la definizione di una nostra piattaforma, con i soggetti reali e i loro bisogni rafforzando, anche così, le condizioni per la ricostruzione del movimento di lotta.

Numerosi sono stati i contributi dei singoli, compagne e compagni e gli arricchimenti al documento che ha avviato i nostri lavori, dati dai coordinamenti nazionali e dalle conferenze territoriali.

Abbiamo incontrato in questi mesi storie di lavoro, di precarietà, di flessibilità, di emarginazione, di disoccupazione; storie di militanza politica e sociale. Abbiamo anche costruito iniziative importanti di sostegno alle lotte. Ovunque il peso della precarietà, della flessibilità è divenuto intollerabile nelle fabbriche, negli uffici, nei servizi, siano o no destinati alla vendita.

Quella condizione di precarietà toglie ogni speranza di cambiamento, di costruzione di un progetto di vita.

Un nostro giovane compagno lavoratore interinale alla Ducati, si iscrive al NIDIL, diviene delegato RSU, contribuisce ad aprire una vertenza per impedire lo smembramento dell’attività produttiva, raggiungendo un’intesa che appare positiva sulla tenuta dei reparti produttivi e sull’occupazione. Quel giovane nostro compagno non è stato riassunto né alla Ducati, né all’agenzia del lavoro interinale. Come si pensa che una generazione possa avere interesse alla politica se le è impedito persino il diritto di associarsi per tutelare la propria condizione e se di fronte ad un sopruso non c’è nessuna reazione significativa, nemmeno del sindacato a cui è iscritto. E ciò accade a Bologna, città dalle antiche radici democratiche.

La condizione di precarietà determina le condizioni di lavoro e la vita, la precarietà e l’insicurezza ti impediscono la percezione stessa della tua condizione sociale.

E’ maturata a Roma una interessante esperienza: la “Camera del lavoro e del non lavoro”, che con fatica cerca almeno di dare tutela legale alla precarietà. Ha definito una piattaforma incentrata sui diritti e su alcuni aspetti salariali.

E’ possibile che giganteschi sindacati non si pongano un semplice problema: la condizione di flessibilità e precarietà deve essere retribuita di più del lavoro determinato. So bene che non si pongono questo livello minimo di confronto, perché si metterebbe in discussione la linea di assoluta assenza di rivendicazioni significative salariali e normative.

Assumiamo in questa conferenza l’obiettivo di essere tra le forze che avviano simili esperienze di lavoro concreto sulla precarietà. Diamoci l’obiettivo di realizzare l’apertura di “Camere del lavoro e non lavoro” almeno nei capoluoghi regionali, per rispondere alla domanda che investe il partito se si può oggi ripartire dal lavoro e dalle sue condizioni per ridare concretezza alle nostre rivendicazioni.

A ben vedere è la ricerca che attraversa larga parte del movimento operaio nel mondo su come si debba costruire nel processo di lavoro una nuova rappresentanza politica e questa esperienza può contribuire ad individuare le forme con cui è possibile praticare una risposta.

C’è nel nostro paese un processo sempre più marcato per affermare compiutamente il modello sociale degli U.S.A. dove il 30% dei lavoratori percepisce un salario che non consente l’uscita dalla povertà.

Ma lì in quel paese, parte significativa del sindacato americano, è riuscita a saldare le rivendicazioni dei lavoratori con le proteste dei settori ambientalisti a Seattle, che ricorre spesso nei nostri interventi, è interessante sentire il segretario dell’ALFCIO. rivendicare un nuovo internazionalismo perché non si può mettere in competizione il lavoratore americano dell’industria automobilistica con lo sfruttamento dei minori che è regola, delle multinazionali, in tanti paesi.

E’ preoccupante invece che i sindacati europei, grande parte della sinistra moderata, accettino come ineluttabile questa condizione e siano sempre silenti e spesso consenzienti.

Se l’AFL-CIO è stato invece capace di avviare un cambiamento profondo ridefinendo nettamente il ruolo del sindacato, con una prevalenza esplicita nel loro antiglobalismo è possibile e necessario che questo processo si avvii anche nel sindacato italiano.

Ringraziamo il rappresentante dell’ALFCIO per aver accettato il nostro invito come occasione di conoscenza e approfondimento di quella realtà.

Così come abbiamo invitato una rappresentanza dei lavoratori della Zastava come soggetto di resistenza alla guerra, alla distruzione della fabbrica, per la ricostruzione della rappresentanza dei lavoratori; sottoposti come sono ad una forte repressione in fabbrica, tanto da non essere presenti per la vigilanza che devono effettuare nel loro luogo di lavoro e ci hanno inviato un messaggio.

A loro va la solidarietà della nostra conferenza e l’aiuto concreto di tanti militanti del nostro partito e di numerose RSU, di strutture sindacali. 1300 adozioni a distanza di bambini di quei lavoratori sono state realizzate ed avete visto la presenza dei compagni che continuano nella loro opera di solidarietà anche qui alla nostra conferenza.

Aumentano nel mondo i salariati in senso stretto e forme di lavoro autonomo divengono lavoro subordinato a tutti gli effetti. La globalizzazione si allarga, distrugge culture, sistemi economici, inventa nuovi settori, tenta di divenire una totalità rendendo mondiale il suo modo di produzione e attraverso questa via espropria processi democratici, forme di società civile e accentra poteri decisionali deprivando anche gli Stati di parte della loro capacità di intervento sulle questioni nazionali.

Questa globalizzazione produce ovunque povertà, disuguaglianza, sfruttamento, oppressione, umiliazione: 1 miliardo di disoccupati nel mondo, 500 milioni di lavoratori con un salario al di sotto della soglia di povertà e spesso della sopravvivenza; 50 milioni di disoccupati nel mondo capitalistico occidentale.

Abbiamo chiamato questa la rivoluzione-restauratrice del capitalismo e molte compagne e compagni hanno dissentito dall’uso di questo termine.

Ma non è una rivoluzione quella che instaura un nuovo sistema di rapporti e distrugge il precedente sistema di organizzazione sociale? E restauratrice se riporta il lavoro nella condizione servile e distrugge le forme dell’autogoverno della società civile?

Del resto, credo, che nel definire la guerra nel cuore dell’Europa come “guerra costituente” di nuove gerarchie tra paesi, tra sistemi economici e sociali, indicavamo proprio gli effetti micidiali dell’uranio impoverito da una parte e gli effetti politici, sociali ed economici dall’altro.

Nel nostro paese le forze del lavoro subordinato hanno subito profondi processi di devastazione nelle loro condizioni materiali. Un lungo periodo di passivizzazione, di espropriazione ha distrutto tanta parte del sapere critico nei luoghi di lavoro e nella società; così i lavoratori non sono più in grado di conoscere le condizioni e il meccanismo del proprio sfruttamento impediti nell’azione di definire le condizioni di lavoro: così l’impresa diviene modello generale.

Non era ineluttabile si poteva, ci si può, ci si deve opporre!

Siamo stati minacciati di annientamento, come partito, per avere detto che nella società italiana, nelle sue concrete condizioni, è evidente che i ceti dominanti di destra hanno vinto e con essi le loro politiche.

Ma la realtà è sempre più sovversiva delle minacce.

In questi anni le politiche del governo, sostenuto dal sistema di relazioni concertativo tra sindacato e imprese, ha accelerato, i processi di espropriazione, di frantumazione e divisione del lavoro subordinato privilegiando la logica del profitto, della finanziarizzazione, della rendita e, con essa, della visione parassitaria della proprietà senza capacità di innovazione e nella totale assenza di politiche di redistribuzione della ricchezza.

In questi mesi si è però avviato un disgelo nel panorama sociale e fatti concreti indicano le potenzialità di una ripresa della lotta contro la precarietà e la insicurezza sociale e costituiscono le basi per un processo, certo lungo e non facile, di ricomposizione del lavoro; si è riscoperto il valore del “no”, del negare la propria collettiva subordinazione al processo produttivo.

Possono essere lette così la grande partecipazione allo sciopero per il rinnovo del contratto della FIAT, la lotta dei precari delle Poste per rivendicare la stabilizzazione del loro lavoro attraverso una impegnativa mobilitazione con una tenda in piazza per un mese ed il sostegno dato alla lotta da parte di lavoratori formalmente autonomi dell’appalto delle poste, senza lavoro da 8 mesi, per la ristrutturazione e l’esternalizzazione di questa azienda pubblica! E così le lavoratrici ed i lavoratori della Mc Donald a Firenze, Catania, Milano che hanno posto con la lotta la questione del loro lavoro ed il movimento degli LSU che ha proseguito la battaglia per la stabilizzazione del loro rapporto di lavoro.

Così come non era scontato che le lavoratrici e i lavoratori della ZANUSSI respingessero la flessibilità per i nuovi assunti.

Movimenti, in tutto il mondo, si battono contro la globalizzazione e i suoi effetti. In queste ore a Porto Alegre a Davos, e fanno seguito alle manifestazioni di Praga, Amsterdam, Seattle e precedono il G8 di Genova.

Noi, come Partito, abbiamo cercato di attraversare tutti questi movimenti cercando di coniugare avanguardie, movimenti particolari, con la critica radicale alla società capitalistica, tentando di saldare natura e sviluppo qualitativo.

Proprio nel momento in cui la sicurezza alimentare diviene uno dei punti più evidenti e drammatici e la categoria dell’alienazione rivela molte condizioni: quella dei lavoratori, quella delle donne, quella dei consumatori.

Oggi che l’agricoltura, come reparto all’aperto del ciclo produttivo, diviene da sistema di accumulazione precapitalistico, punto alto dello sviluppo capitalistico dove si misurano le più potenti multinazionali del mondo e che la stessa brevettabilità dei viventi apre nuovi campi di mercificazione, torna più che mai attuale l’intuizione di Marx “il vero limite della produzione capitalistica è il capitale stesso”.

Noi dobbiamo assumere definitivamente che la contraddizione tra crescita e ambiente è giunta ad un punto della rapina su questo ultimo che rischia di non essere più reversibile.

Si può trarre un insegnamento dalle vicende dello stabilimento siderurgico di Genova dove si è chiuso il ciclo continuo. Una proposta politica di garanzia occupazionale assunta dalla parte pubblica, riesce a coniugare la salvaguardia del lavoro e del reddito con le esigenze di tutela e risanamento ambientale e della condizione di vita delle famiglie. Del resto nella Ruhr tedesca un intervento pubblico riesce a tutelare il lavoro, a modificare il modello di sviluppo. Ma per fare questo ci vuole un intervento pubblico in economia, una redistribuzione della ricchezza, occorre fermare il processo di privatizzazione che con furia sta attivando il governo.

Privatizzazioni che hanno disperso patrimoni che potevano indirizzare e correggere il modello di sviluppo. Non si può tollerare, anche per un’aggiornata politica industriale, che nel sistema delle comunicazioni la questione di chi immette informazioni, di cosa si immette, non interessi chi dovrebbe governare i processi, e dai quali ci si può almeno aspettare che correggano gli effetti perversi della logica dell’impresa. Invece l’unico interesse è la costituzione di un terzo polo; per questo si è svenduta Telecom e, nonostante gli utili giganteschi, si è consentito il ricorso alla CIGS, al doppio regime contrattuale (che i lavoratori hanno bocciato!), alla sostituzione di lavoratori contrattualmente definiti con atipici che oggi divengono la norma.

Così, con la privatizzazione e il cambio degli indirizzi, anche il settore degli appalti telefonici entra in un’ulteriore drammatica crisi, con costi occupazionali altissimi.

Lo stesso ragionamento si può avanzare per l’ENEL e la sua privatizzazione.Oggi sono centinaia le richieste di privati per la costruzione di nuove centrali e di termovalorizzatori.

Eppure le vicende accadute recentemente in California, i black-out per il fallimento delle aziende privatizzate e per la mancanza di programmazione, indicano clamorosamente la necessità di uno spazio di un intervento pubblico in economia.

Invece ENEL ripropone nuove centrali a carbone, dismette MW e ne vuole altri più inquinanti, né è chiaro se necessari.

Per un lungo periodo abbiamo pensato che i costi ambientali di una certa modalità industrialista fossero accettabili per lo sviluppo che necessitava di una crescita quantitativa.

Sono convinto che oggi dobbiamo schierarci apertamente per uno sviluppo qualitativo, assumendo la contraddizione tra ambiente e crescita come critica radicale alla società capitalistica.

Non è stato facile, per me, arrivare a questa convinzione, ma a me pare che solo il pensiero comunista possa riconnettere il processo di rapina dell’ambiente con le condizioni di lavoro, i rapporti gerarchici, la pervasività della produzione e delle merci e prospettare un progetto di liberazione.

Oggi più che in altri tempi, il modo di produzione capitalistico invade tutte le sfere della vita ed il tempo è quantificato secondo le esigenze della produzione e il quotidiano non si sottrae alla gestione e al controllo all’alienazione così la vita viene subita: mangiare, vestirsi, riposarsi, sono atti della produzione di accumulazione.

Mi è capitato di vedere in una vetrina un monopattino, un attrezzo che nell’infanzia molti di noi costruivano come momento di divertimento e apprendimento del fare. Ma quel monopattino era della B.M.W. e costava quanto percepisce un pensionato al minimo in un mese. Così un divertimento da ragazzini passato di generazione in generazione entra nel meccanismo di accumulazione e, oggi, indica la gerarchia sociale, l’ordine della ricchezza, la pervasività del capitale.

Del resto non si dice industria del tempo libero? Così il tempo viene gerarchizzato secondo le esigenze della produzione e solo lo sciopero e l’azione politica possono rompere la linearità del tempo e la sua frammentazione per riprendere la vita come propria opera.

Per questo continuo e dobbiamo continuare le nostre battaglie per la riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario; una poderosa riduzione dell’orario di lavoro che ridistribuisca lavoro e liberi dal lavoro.

Secondo Keynes, lo ha detto nel 1930, sarebbero state sufficienti 3 ore di lavoro giornaliero per soddisfare le esigenze umane.

Come sanno le compagne e i compagni, noi ci abbiamo provato nella discussione, nel paese, tra i lavoratori, per ridare un senso alto alla politica ed una capacità di intervento positivo sulle condizioni di lavoro, proponendo la legge per la riduzione dell’orario di lavoro.

E’ bene ricordare ciò che è avvenuto: ci hanno detto che era materia di contrattazione e che non si poteva intervenire per via legislativa.

La contrattazione ha aumentato gli orari di fatto come dimostra l’aumento contrattuale dell’orario per i camionisti.

Ci hanno detto che le imprese avrebbero diminuito gli investimenti.

La riduzione di orario non c’è stata e il tasso degli investimenti nel paese è il più basso d’Europa.

Ci hanno detto che la riduzione di orario avrebbe impedito gli investimenti nel Mezzogiorno.

La riduzione di orario non c’è stata e il livello degli investimenti nel Mezzogiorno è allo stesso livello degli anni ’50.

Come negli anni ’50 l’unica possibilità concreta per sottrarsi al lavoro nero, alla disoccupazione è l’emigrazione: una nuova generazione deportata nel centro-nord, perché non si favorisce con una politica di investimenti il lavoro buono, contrattualmente definito, né si investe nella tutela dell’ambiente, né si progetta lo sviluppo autonomo nelle regioni del Mezzogiorno e l’unica politica che si declina è quella delle grandi opere pubbliche quasi sempre inutili. Si può dire che sembrano esserci forze che pensano alla ricostruzione del “partito unico della divisione dell’appalto”.

Dal 1980 al 1999, dati ufficiali, la quota di reddito che và al lavoro è calata di 16 punti in percentuale che sono andati ad aumentare la rendita, e prima di tutto, i profitti.

Economisti di estrazione liberale hanno efficacemente sostenuto che “questa è un’insana economia” che mette in discussione l’efficienza stessa di un sistema economico nel quale il lavoro pesa sempre meno dando l’indicazione dell’assoluta necessità di una politica economica che sostenga un aumento dei salari. Ad esempio, uno che si definisce vetero-marxista sostiene che è scomparso il sapere su come avviene la formazione del capitale e si è impedito, con le politiche attuali, lo sviluppo delle forze produttive: cioè si sono convertite in catene dei salariati. E lo stesso aggiungeva oggi: la politica attuale è conservatrice nella produzione e compassionevole nella distribuzione come George Bush.

Oggi siamo al puro salario di sussistenza. Una parte di lavoro semplicemente non viene pagato; non solo nelle modalità che tutti conosciamo delle buste paga esatte e del salario dimezzato; dei lavoratori a partecipazione d’utile, dei baristi artigiani; delle partite IVA che nascondono vero lavoro subordinato, oppure nelle forme delle cooperative spurie dove con la figura giuridica del socio-lavoratore si nasconde sfruttamento, negazione dei diritti e la divisione del lavoro è così ferrea che spesso è più opprimente di quella operata da privati e non consente nemmeno la possibilità di una vertenza in quanto socio. Ritengo che la cooperazione, come forma di autogestione della produzione e di alcuni servizi, sia una modalità da rilanciare anche come elemento di resistenza alla globalizzazione e come elemento di nuova civiltà sociale, ma bisogna riscoprirne il senso profondo della sua necessità sociale.

Oggi siamo in presenza, troppo spesso, di imprese capitalistiche, che sotto la forma di cooperativa, praticano un vero e proprio caporalato e credo necessario rafforzare l’iniziativa per una legge che separi le figure lavorative, i diritti e la possibilità di tutelare la propria condizione di lavoro. O come nel lavoro in agricoltura dove il caporale di mano d’opera da figura dei rapporti feudali in agricoltura irrompe in questa modernità, organizza il trasporto, offre servizi avvalendosi di sindacati gialli, divenendo un sistema di gestione delle relazioni nel mercato del lavoro favorito dalla scomparsa del ruolo pubblico e dall’estendersi del lavoro interinale e dall’assenza di un servizio di trasporto pubblico in quelle ore. Nella raccolta delle fragole nel Metapontino, caporali hanno messo all’asta la forza lavoro, a chi pagava di più venivano inviati i lavoratori!

Come del resto la multinazionale Electrolux che mette all’asta le quote produttive tra i suoi stabilimenti lì dove più è forte la disponibilità di sottoscrivere intese che aumentino flessibilità, ritmi e diminuisca il salario.

Non solo in queste forme di lavoro il salario è di sussistenza, ma nel lavoro contrattualmente definito, cioè nei non marginali al modo di produzione.

Il segretario della Fiom in un’intervista spiega che le rivendicazioni salariali della piattaforme contrattuale del settore recuperano quanto eroso dall’inflazione solo ai più alti livelli, dal 5° in avanti, attuando una qualche forma di redistribuzione. Per gli altri le richieste salariali non consentono nemmeno il recupero dell’inflazione; appunto: salario di sussistenza!

E’ lecito chiedersi, non solo per le nostre convinzioni, ma per il contenuto di queste dichiarazioni, perché si finge di credere che i lavoratori siano retribuiti per il loro lavoro complessivo? E perché le richieste contrattuali non sono misurate sulla realtà che viene denunciata?

Ma trattandosi di una piattaforma, non del risultato di un’intesa, è altrettanto lecito, e credo necessario, che si rivendichi da parte di quei lavoratori, che discuteranno la piattaforma del CCNL, la possibilità di modificare i contenuti delle stesse richieste sul salario, gli orari, le modalità della organizzazione del lavoro; e questa rivendicazione di condizione minima di intervento sulle proprie condizioni noi, come partito, dovremmo sostenere.

Ma per salario non intendo solo il salario diretto ma il complesso di quello che viene definito salario differito, il T.F.R., il suo utilizzo, la costruzione di una pensione dignitosa alla fine di una vita di lavoro.

Si avvierà, in questi prossimi mesi, la verifica sull’accordo del sistema pensionistico oggi in vigore e già sento un brivido per quando vedremo sindacati-padroni-governo allo stesso tavolo e penseremo: ed ora? Cosa taglieranno? Quanti anni in più di lavoro quotidiano, quanti altri contributi settimanali necessari per la pensione, quanto tempo in più di lavoro? E’ bene ricordare che vengono denunciati, per difetto, 50.000 miliardi di evasione contributiva e che la pressione sul sistema pensionistico per l’abbassamento delle sue coperture è quotidiana ed il sindacato va al confronto senza una piattaforma, senza una pur minima mobilitazione, senza un mandato.

Rifondazione Comunista ha avanzato delle proposte utili per sostenere un sistema pensionistico pubblico, basato sulla universalità e solidarietà.

Le compagne, i compagni, conoscono le nostre proposte, ne ripropongo solo una: la garanzia che ogni anno di contribuzione, indipendentemente dal valore dei contributi, produca un minimo non solo come risposta alla precarietà e flessibilità ma per affermare un sistema che unisca le forze del lavoro e le generazioni.

Così come la proposta che abbiamo avanzato di istituzione del salario sociale parla di una modalità di lotta al precariato,alla disoccupazione, come elemento utile per sottrarre al ricatto del lavoro nero, del sottosalario, un’intera generazione e si pone come concreta lotta alla disoccupazione, al ricorso all’emigrazione, come unica possibilità di costruirsi un progetto di vita.

Questo non risolve i problemi del Mezzogiorno ma contribuisce a riproporre la questione meridionale come gigantesca questione nazionale irrisolta.

Facciamo questo proprio nel momento in cui un pensiero di destra discute degli assetti dello Stato e delle sue articolazioni, proponendo il federalismo come fine dell’uguaglianza sostanziale e formale e la rivisitazione della prima parte della costituzione per cancellare i fondamenti antifascisti basati sulla resistenza; si vuole porre al centro il mercato e l’impresa cancellando il lavoro come condizione su cui misurare il grado di civiltà del paese.

La destra ha già avanzato la sua proposta neo-corporativa: le organizzazioni del movimento operaio sono un residuo del ’900 e con esse sono residui anche gli strumenti che hanno consentito di rendere concreta l’idea di uguaglianza e così il CCNL non ha più ragione di essere.

Il CCNL resterebbe per coloro che ne godono già, per i neo assunti si propone invece un contratto individuale cioè la riproposizione della “job-valutation”.

La destra si pone nel suo programma il problema del sindacato e della sua funzione nella società e ne ha delineato i connotati.

Le risposte ad un attacco così virulento alla condizione di lavoro e alla funzione di agente contrattuale sono state così flebili da non essere udite, e per alcuni della CISL addirittura segnali con cui confrontarsi.

E’ forse il caso di dire che il sindacato ha scientificamente rinunciato ad essere un’autorità salariale.

Le cifre e le condizioni materiali stanno lì a dimostrarlo ed io credo si tratti semplicemente di dire cosa succede nella condizione di lavoro per accertarsene.

Pure in presenza di una economia che va bene non c’è una rivendicazione generale significativa su salario, occupazione, riduzione dell’orario di lavoro, difesa dello stato sociale e sistema pensionistico. La disoccupazione resta strutturale ed il differenziale tra Italia e media dei paesi europei della U.E. resta invariato.

Le uniche forme di nuova occupazione sono interinali, precarie, flessibili e l’ISTAT per dimostrare una mobilità sociale, che pure c’è nei processi di accaparramento dei profitti e delle rendite, indica come borghesia urbana, lavoratori indipendenti nell’industria, nei servizi, nel commercio definendo “borghesi” forme di rapporto di lavoro che, sono vere e proprie nuove “schiavitù industriali”.

Del resto le lavoratrici e i lavoratori della Zanussi che si sono opposti al formarsi indefinito di queste modalità di precariato sono oggi sotto la vendetta di classe della Elettrolux che annuncia 600 esuberi o altrimenti, per non essere licenziati, richiede un aumento della produttività, in postazioni di lavoro spesso con tempi di esecuzione sotto al minuto, del 20%. Altrimenti la produzione di frigoriferi può essere spostata in Spagna o in Ungheria.

Quella vicenda ci parla invece di una possibilità di reagire, di non essere subordinati al volere delle imprese.

Lì è stato respinto l’accordo definito da FIM e UILM sul “job on call” difendendo le condizioni di lavoro e normative dei nuovi assunti e nello stesso tempo dei lavoratori esistenti, sapendo che un abbassamento dei diritti, quando si determina, trascina tutti al punto più basso.

Quella vicenda parla anche della necessità, dell’urgenza di ricostruire una rappresentanza democratica di tutti i lavoratori.

Se l’80% dei delegati R.S.U. firma un’intesa che viene giudicata intollerabile dai lavoratori e la respingono è il segno che quella è la rappresentanza delle singole Organizzazioni sindacali e delle proprie relazioni industriali e non un elemento di rappresentanza delle istanze e dei bisogni dei lavoratori!

Il 14 febbraio delegati R.S.U. hanno indetto un presidio davanti al Parlamento per chiedere la definizione della “Legge sulla rappresentanza” e sui poteri di contrattazione dei lavoratori.

E’ evidente che i tempi per l’approvazione non ci sono più, ma ritengo che noi dobbiamo sostenere l’iniziativa e farla vivere nella campagna elettorale come rivendicazione della apertura degli spazi di rappresentanza e di democrazia.

Il Gramsci dell’Ordine Nuovo diceva: facciamo un’inchiesta studiamo la fabbrica capitalistica come terreno nazionale dell’autogoverno operaio e individuava nei consigli di fabbrica un elemento di società civile che toglieva spazi allo Stato come controllore e organizzatore del mondo di produzione, chiedendo di fare l’inchiesta per indagare come terreno nazionale nella fabbrica capitalistica quella forma di autogoverno operaio.

So bene che non è più sufficiente ma è certamente necessario riprendere la discussione sull’autonomia di classe e le forme di rappresentanza sociale se si vuole ricostruire un avanzato ed un duraturo movimento di lotta facendo divenire l’Inchiesta strumento quotidiano del nostro lavoro.

In molte delle nostre conferenze il punto sul sindacato e dei comunisti nel sindacato ha fatto molto discutere; compagne e compagni ed anche grandi federazioni hanno avanzato su questo punto ipotesi diverse da quella presentata nel documento. Io credo, però, che la questione vada riproposta nella nostra discussione di oggi così come l’avevamo definita nella Direzione Nazionale.

Abbiamo posto la necessità di un cambiamento del rapporto partito-sindacato.

Quando poniamo la questione del rovesciamento legge contrattazione non parliamo della nostra influenza nel Parlamento.

Parliamo della nostra concreta pratica sociale.

Di come ci radichiamo nei luoghi di lavoro.

Parliamo del legame del nostro partito con la sorte e le condizioni dei lavoratori.

Di come si agita la rivendicazione di una legge per ricostruire una soggettività, nuove rigidità, un nuovo sistema universalistico dei diritti, contribuendo alla ricostruzione del movimento di lotta e di come si costruisce una nuova confederalità nei mutamenti avvenuti nelle forze del lavoro subordinato.

E parliamo di come il lavoro, le sue condizioni, la ricostruzione della soggettività siano un nostro elemento di programma politico.

E di come questa sia un fatto da cui non si può prescindere nella Rifondazione perché i rapporti sociali che si determinano nel modo di produzione influenzano di sé la società, le sue gerarchie e i poteri.

E credo dovremmo contribuire, da questa conferenza, a costruire un partito, determinante nel processo di cambiamento, che è parte della ricostruzione del sapere critico.

Non si può non condividere che quando il sindacato confederale dichiara che la guerra è una contingente necessità conclude il suo percorso di soggetto che sviluppa elementi di libertà e diviene soggetto determinato da fattori esterni ed anche un acceleratore della disgregazione della civiltà del lavoro.

Del resto da quel passaggio drammatico compagne e compagni nella CGIL hanno avviato la discussione che ha portato alla costituzione di “Lavoro e Società - Cambiare rotta” con l’obiettivo di ricostruire una capacità di intervento nelle condizioni di lavoro e di ridefinire il sindacato generale nella società italiana.

Lo spostamento del congresso in CGIL segnala non solo un vuoto democratico tra iscritti, forze del lavoro ed il maggior sindacato del paese; ma parla della collocazione definita dalla maggioranza della CGIL nel quadro politico.

Il suo essere interna alle vicende che attraversano i D.S. e la loro ricollocazione politica ad elezioni avvenute; interna e parte attiva delle vicende di quel partito.

Noi dobbiamo, per quanto ci compete, sostenere attivamente lo sforzo e la battaglia delle compagne e dei compagni nella CGIL perché possano prodursi le condizioni di una dialettica interna tra strutture e non solo maggioranza-minoranza.

Un segnale forte in questo senso è venuto sulle questioni che riguardano la definizione di una intesa tra confederazioni e padronato per la liberalizzazione del lavoro a tempo determinato che avrebbe raggirato contenuti dell’art.18 dello statuto dei lavoratori.

Camere del Lavoro, categorie, hanno ottenuto che la CGIL dichiarasse la sua indisponibilità a sottoscrivere quell’intesa che era già stata annunciata dal Ministero dell’Industria come elemento di flessibilità in uscita dal lavoro, pavoneggiandosi che, solo il centro sinistra, poteva portare in dote elettorale, attraverso la concertazione, un risultato simile.

E’ stato un fatto importante ma ciò non vuole dire che le altre confederazioni non sottoscriveranno quell’intesa.

Riproponendo la pratica degli accordi separati che hanno anche essi valore per tutte e tutti.

Noi dobbiamo investire in questo processo che si è aperto nella CGIL, avendo ben chiaro che le forze e le dislocazioni, anche nella sinistra sindacale, dopo le elezioni possono subire un cambiamento.

Ma nello stesso tempo dobbiamo indagare i processi reali e verificare ciò che oggi è già avvenuto nel lavoro e nelle forme di organizzazione del sindacato.

Nella Scuola un sindacato “piccolo” ma con una proposta forte, “ridefinire la scuola pubblica come luogo di costruzione dell’uguaglianza”, riesce a mobilitare gli insegnanti e rimettere in discussione l’accordo sottoscritto facendone avanzare, se pure ancora in misura insufficiente, i contenuti.

Nelle elezioni delle R.S.U. della scuola, sempre quel sindacato, ottiene, dove si presenta, un risultato straordinario e le richieste di sottoporre a referendum l’intesa di dicembre, a me appaiono più che legittime.

Si è rimessa in discussione, nel concreto, l’influenza dei singoli sindacati nel settore ripronendo questioni che interessano gli assetti della società e ritengo che questo sia un elemento della ricostruzione del sindacato generale.

Così nei Trasporti è in atto un processo, certo contraddittorio, di unificazione di esperienze del sindacalismo di base, a fronte di una scomposizione e frammentazione del settore esposto a processi di privatizzazione sempre più marcati che mettono in discussione non solo le condizioni di lavoro e la occupazione ma lo stesso sistema dei trasporti pubblici.

E se i maggiori sindacati chiedono l’intervento della legislazione per impedire lo sciopero e con esso il libero organizzarsi e formarsi delle organizzazioni sindacali tentando di impedire così lo sviluppo di una resistenza e del esprimersi di un punto di vista critico sulle politiche e sugli accordi sottoscritti nel settore, ritengo legittimo porre al Partito nella discussione quali siano le forme dell’autonomo organizzarsi dei lavoratori che rispondano più profondamente alla necessità di riproporre, nella società, la struttura del sistema dei trasporti collettivi, convenzionali e non convenzionali, come una battaglia per un diverso modello qualitativo di sviluppo.

Sul piano dei diritti, della loro rivendicazione, della loro estensione stiamo lavorando per costituire un “Ufficio-diritti” che dia, da una parte consulenza, orientamenti, dall’altra lavori per individuare le concrete possibilità di un allargamento ai diritti e nei diritti a quei soggetti che oggi ne sono esclusi.

Si tratta, oggi, nell’attuale condizione, di ricostruire una serie di rigidità nel lavoro come elemento indispensabile per una ricomposizione, come precondizione perché possa acquistare credibilità la ripresa del movimento di lotta. A partire dal diritto alla salute e alla sicurezza nei luoghi di lavoro.

La vita stessa è una variabile dipendente dal profitto e il milione di infortuni sul lavoro e i 1200 morti all’anno, indicano la necessità di ricostruire un modello operaio sulla salute.

Si ha un bel dire della legge 626, ma quando chi è responsabile dei rischi insiti nella organizzazione del lavoro, nel processo produttivo, il padrone è anche chi deve garantire la tutela degli stessi rischi, è come mettere la volpe a guardia delle galline.

Il 10 febbraio a Firenze terremo una iniziativa specifica sulle questioni della sicurezza nei luoghi di lavoro.

La settimana scorsa a Livorno abbiamo rafforzato le condizioni e i percorsi della costruzione di una nostra teoria. Con questa nostra conferenza rafforziamo la nostra pratica sociale. Dobbiamo ripartire dal lavoro, dalla lotta alla precarietà, anche inventando nuove forme di costituzione dei nostri circoli di luogo di lavoro, ricostruendo cicli produttivi, ricollegando singoli luoghi di lavoro e territorio. Dandoci l’obiettivo che entro l’anno ogni Federazione costituisca almeno un nuovo circolo di luogo di lavoro.

Ed è importante che i nostri lavori si svolgano a ridosso delle elezioni politiche ed anche della possibilità di un mutamento del quadro politico.

Si può così definire un senso alto della politica che risponda ai bisogni materiali di donne e uomini e chieda l’espressione della soggettività collettiva.

Dobbiamo far vivere nel nostro programma per le elezioni e nella campagna elettorale quei bisogni e la necessità della trasformazione. Così rivendichiamo il nostro diritto a cambiare il mondo.

 

 

 

Giulio Badiale, Circolo ENEL La Spezia

 

Care compagne, cari compagni,

Oggi viviamo in una situazione di forte difficoltà, grandi e complesse trasformazioni nella società hanno cancellato conquiste, diritti assunti con forza e tenacia dai lavoratori, cittadini e pensionato, spinti da n desiderio di reale cambiamento.

E' in questo contesto che si tiene la Conferenza Nazionale delle Lavoratrici e dei Lavoratori del nostro Partito.

Politiche antisociali e neo liberiste hanno creato un quadro drammatico nel nostro Paese, sempre più aperta è la forbice che vede un nord produrre ricchezza ed un sud assistenzialista, produttivo solo in minima parte, dove la latitanza dello stato ha fatto si che mafia e camorra assumessero il potere nelle istituzioni con politiche di corruzione e clientelarismo.

Come non pensare, compagni, alla globalizzazione, parola cardine della nostra epoca; in tutti i compagni deve essere chiaro il rapporto che esiste tra le nostre lotte e la globalizzazione, nel senso che le nostre azioni nelle fabbriche, nella sanità, nei trasporti, nella scuola sono contro processi di globalizzazione, contro che fa vivere un miliardo e mezzo di persone con meno di un dollaro al giorno, decide la sorte dei popoli, elimina le sovranità nazionali, ogni regola di difesa delle persone, dell'ambiente, e distrugge la nostra democrazia.

E' lotta contro un sistema di rapporti non solo economici, ma umani, culturali che penetrano in ogni settore dalla produzione alla politica.

Guai a pensare che contro la globalizzazione non vi è niente da fare, che lo stato finirà, che il lavoro dovrà divenire ancora più precari e flessibile.

Com'è possibile far credere oggi che lo sviluppo, il progresso, il lavoro, la democrazia sono valori che possono crescere ed essere solo con l'avvento della rivoluzione capitalista, cioè la globalizzazione.

La verità è che dove è rafforzato il capitalismo sono aumentati gli squilibri sociali, diminuite le garanzie democratiche, sono in espansione aree di grande disoccupazione.

Il capitalismo globale ha proceduto privando l'organizzazione di classe e dell'antagonismo con l'allargamento del tempo e dello spazio di disponibilità nel lavoro.

Se è lecito pensare che nelle fabbriche e nei luoghi di lavoro le nuove tecnologie producono disoccupazione in massa, ci troviamo di fronte a un fenomeno nuovo che chiede alle forze politiche sindacali forme di lotta con nuove strategie rispetto al passato producendo iniziative sul versante della diminuzione dell'orario di lavoro, cioè riproporre con forza il raggiungimento del diritto alle 35 ore di lavoro, come tempo da spendere nella produzione.

In tutto il Partito deve crescere la convinzione che i luoghi di lavoro sono i capisaldi irrinunciabili della nostra azione politica, aggregare i lavoratori per dimostrare che quando la volontà è univoca, veramente si risolvono i problemi.

Lo sforzo che stiamo facendo per costruire un nuovo partito comunista di massa, dotandolo di una nuova organizzazione, deve necessariamente partire dai luoghi di lavoro, dove veramente si verifica lo scontro politico con immediatezza, sui problemi legato alla precarietà, all'ambiente, alla sicurezza: troppi sono gli infortuni, troppo spesso mortali, che fanno del nostro paese uno dei paesi con il più alto tasso d'infortuni.

Dobbiamo ritornare ad essere incisivi con azioni di lotta cariche di contenuti, chiamando, con stimoli di solidarietà, i cittadini per invertire la tendenza che è in atto, ripristinare la solidarietà tra occupati e disoccupati, perché i lavoro ritorni ad essere quello che sancisce la nostra costituzione: un diritto inalienabile,

Da queste considerazioni parte un'analisi critica severa e dura e lancia proposte dal basso per dare più forza la nostro Partito. Così la questione del salario sociale, oltre che giusta, serve per rilanciare la lotta con strati di popolazione che vive nel precario, giovani, disoccupati di lunga durata necessitano do una diversa modalità d'intervento pubblico a sostegno del lavoro e del reddito da lavoro dipendente ad anche solidarietà di classe tra lavoro e non lavoro.

Insomma compagni, dobbiamo parlare di socialismo, non possiamo flettere alle lusinghe della borghesia ad alla filosofia del pensiero debole dei D.S., dei cespugli tipo Margherita, Girasole ecc.

Come si può, e si deve, parlare dell'ambiente e tralasciare i disastri prodotti dalle guerre all'uranio impoverito, al cosiddetto morbo della mucca pazza, ai disastri ecologici che ormai troppo spesso nascono in ogni parte del mondo.

Non va dunque disperso l'enorme patrimonio politico ed ideologico che abbiamo, un bagaglio non solo culturale che ci portiamo dentro.

Dobbiamo ritrovare il gusto della politica attiva, rilanciare l'idea dell'alternativa di sinistra come vera ed unica prospettiva di cambiamento.

La fase attuale mette in evidenza la crisi del sindacato che ha perso la funzione storica della lotta di classe che garantiva diritti e bisogni dei lavoratori.

Che ne è di quel sindacato capace di portare nelle piazze dei Paese milioni di lavoratori, di pensionati di cittadini tutti? Di quel sindacato capace di contrastare, con azioni concrete, le politiche errate di certi governi? Nulla è rimasto di tutto ciò, anzi l'omologarsi passivamente all'azione di governo, gestendo i passaggi dal pubblico al privato, ha fatto perdere la fiducia, i consensi.

Fondamentale rimane la CGIL, la nostra presenza all'interno dell'area che deve essere alternativa, con azioni di confronto costante sulla linea assunta dalla maggioranza; tenere alto il dibattito fra i lavoratori affinché si arrivi all'assemblea congressuale (purtroppo slittata alla primavera del 2002) ad una svolta radicale, spostando concretamente l'azione sul versante di una nuova stagione di lotta che sappia rompere la concertazione.

Nostro inderogabile compito è sicuramente quello di avere, negli organi elettivi del sindacato, più compagni possibile, perché solo la nostra attenta presenza può rappresentare l'inizio di una vera modifica nell'azione sindacale.

Tutto ciò non significa che per forza di cose dobbiamo tutti aderire alla CGIL, noi siamo e rimaniamo l'unico Partito che ha interesse all'acquisizione dell'autonomia per una crescita della società civile; come Partito Comunista di massa siamo estremamente interessati ad un esperimento che attiene alla sinistra sindacale ed alla sua riuscita come investimento politico: Questo è il nostro rapporto con il movimento sindacale. Mobilitarsi dal punto di vista politico, incalzare il sindacato, sono parole d'ordine che intrecciandosi tra di loro potranno dar vita a quel Partito Comunista di massa al quale molti guardano con speranza.

All'interno di questo quadro generale la nostra federazione si è mossa in maniera adeguata, compiendo un'analisi seria sulla situazione complessiva della nostra provincia.

Non a caso abbiamo costruito collettivamente una proposta, frutto delle conoscenze nelle varie realtà, mettendola a disposizione di tutti coloro che intendono lavorare per fare uscire dalla crisi la nostra provincia, ponendo l'autonomia del nostro Partito, che non può delegare la propria politica all'impegno dei compagni amministratori.

Il nostro progetto si basa sulla presa di coscienza e dell'iniziativa sulla questione più grave: il lavoro nero e precario.

Dobbiamo costruire un fronte ampio perché il lavoro ritorni ad essere svolto all'interno di regole certe e che torni ad essere veramente tutelato.

La svolta può avvenire solamente se esiste la volontà, la capacità di contrastare le situazioni irregolari: flessibilità precarizzazione, sicurezza nei luoghi di lavoro.

l'entrata in campo delle privatizzazioni ha investito anche la nostra provincia che si è sviluppata all'insegna del totale intervento dello Stato.

Oggi, con l'entrata in campo dei privati che operano solo ed esclusivamente con interesse speculativi, si rischia di distruggere il patrimonio di professionalità acquisito in tanti anni di duro lavoro. Noi ci ribelliamo a queste logiche, la nostra provincia non diventerà un affare per persone che mirano solo ad interessi di parte tralasciando tutto il resto. Continueremo a mantenere le nostre posizioni in tutela del posto di lavoro.

Nello stesso tempo continueremo a fare progetti e proposte per i 22.000 disoccupati, i 13.000 precari, gli 800 LSU della nostra provincia.

Noi continueremo ad essere al loro fianco, come a quello dei più deboli, perché fa parte di noi, è nel nostro DNA.

La nostra presenza incalzante ha trovato riscontro nella manifestazione del 23 novembre 1999, che ha visto la presenza del compagno Fausto Bertinotti sfilare con noi per le strade della città e che ha avviato un percorso che ha visto impegnati, nell'anno 2000, tutti i compagni della federazione; 32 sono le iniziative che abbiamo fatto: presidi, convegni, manifestazioni, che hanno cercato di legare il mondo del lavoro alla cultura. Per ricordarne alcune, penso all'occupazione dell'ASL per protestare contro i mali della sanità, per non far svendere un bene così importante e per affermare i diritti dei LSU che operano in essa; penso alla protesta a fianco dei compagni ferrovieri che chiedevano migliori condizioni di lavoro(che proprio in questi giorni, a dimostrazione della lunghezza di alcuni processi, sta dando i primi frutti), alle prese di posizione continue, in tutte le sedi, a fianco dei cittadini della V circoscrizione, che protestavano contro l'invivibilità dei loro quartieri.

Voglio ricordarvi, cari compagni, che siamo arrivati a manifestare clamorosamente di fronte alla prefettura (consapevoli che in quel momento era necessari un gesto clamoroso per attirare l'attenzione), lo slogan era: "avete preso tutto, volete anche questo?"

Abbiamo per primi organizzato un convegno sulla questione ACAM, per discutere con gli amministratori, i cittadini, i lavoratori, del futuro dell'azienda, affinché essa rimanga di proprietà pubblica, noi non ci staremo mai a condividere e a portare avanti processi di privatizzazione; la nostra proposta è quella di lasciare l'ACAM di proprietà pubblica, trasformandola in un'azienda che si occupa di molte cose, dall'energia elettrica alle fonti idriche, al trasporto e alla distribuzione di gas e di acqua, alla difesa dell'ambiente, alla gestione ecologica dei rifiuti, all'informatica e alla tematica, insomma un'azienda che sia un vanto della città, ma che sia di proprietà dei cittadini. In tutti i settori abbiamo cercato di essere incisivi e puntuali, cito solo l'esempio dell'Enel: dall'apertura dei cantieri per la ristrutturazione della centrale, abbiamo intuito che entrava l'illegalità nella gestione degli appalti, siamo arrivati ad inoltrare un esposto alla Procura della Repubblica pur di difendere gli interessi dei lavoratori.

Ripartire quindi dal lavoro come diritto di cittadinanza può significare rimuovere i paletti dello stato di bisogno e restituire alle donne, agli uomini e soprattutto alle nuove generazioni un progetto, la dotazione minima per un altro e diverso modello di sviluppo.

Come avete ascoltato, non abbiamo fato solo della politica parlata, ma abbiamo molto da fare oltre che molto da dire, da criticare e autocriticarci.

Il mio non è che un avvio di una discussione di cose vere e concrete che abbiamo fatto insieme.

Si può fare di più? Certamente.

Nella Federazione Spezzina esiste la possibilità di costruire 10 nuovi circoli nei posti di lavoro; non è un desiderio o una battuta, ma è possibile e necessario.

Nessuno vuole attendere la costruzione di questi nuovi circoli per discutere da subito la costruzione di un coordinamento provinciale di tutti i posti di lavoro.

Lancio un'iniziativa concreta: dobbiamo decidere uno sciopero contro i padroni; è tanto che lo diciamo, ma fino ad oggi non siamo riusciti a farla, dobbiamo insistere perché è necessario ritrovare le motivazioni ed il gusto della lotta contro i padroni.

E' lì che nasce il vero scontro di classe e, come ben sappiamo, noi ne rappresentiamo una: la classe lavoratrice.

 

 

Walter Zoccolan - RSU Zanussi - Porcia (PN)

 

Sono un delegato della Zanussi di Pordenone. Come avete potuto leggere da Liberazione e da altri giornali, la vicenda Zanussi l'anno scorso ha tenuto un po' la scena, durante l'estate, per quanto riguarda la vicenda del contratto integrativo.

L'anno scorso ci sono stati parecchi grandi gruppi che hanno affrontato la contrattazione integrativa, una di questi è stata la Zanussi. La particolarità della nostra vicenda è stata la richiesta aziendale di introdurre un nuovo istituto contrattuale: il cosiddetto "lavoro a chiamata", che se fosse stato accettato avrebbe fatto rientrare dalla finestra ciò che era appena stato buttato fuori dalla porta con il referendum sui licenziamenti. Vale la pena soffermarsi su ciò, perché probabilmente questo nuovo istituto contrattuale verrà riproposto, magari in altra sede. Il lavoro a chiamata prevedeva l'obbligo dell'azienda di assumere un lavoratore a tempo indeterminato, di assicurare 500 ore di lavoro e poi di confinarlo a casa in attesa che l'azienda avesse dei volumi aggiuntivi di affari. Naturalmente, il tempo in cui questo lavoratore stava a casa veniva collocato in aspettativa e quindi senza nessun salario aggiuntivo se non un misero riconoscimento che si aggira intorno alle 500.000 lire all'anno. Quindi questo lavoratore avrebbe potuto restare a "bagnomaria" per tutta la vita lavorando solo 500 ore all'anno e non potendo andare a lavorare altrove, perché comunque doveva rimanere a casa ad aspettare la chiamata alla Zanussi (tanto è vero che un giornale locale ebbe la brillante idea di chiamare questo lavoratore "l'operaio squillo").

Cisl e Uil, naturalmente, hanno aderito alla proposta aziendale, lasciando la sola Fiom a difendere lo spirito della piattaforma votata dai lavoratori, questo sì l'unico strumento democratico che era stato approvato dai lavoratori e che non prevedeva, naturalmente, il lavoro a chiamata. La scelta coraggiosa della Fiom di rifiutare l'accordo (e la scelta coraggiosa anche di noi comunisti) ha puntato, non a salvare l'unità del sindacato - tra le organizzazioni -, ma a ricercare una reale unità tra i lavoratori. Al referendum che è stato fatto, che è seguito alla ratifica dell'accordo fatta da Cisl e Uil, votò circa il 90% dei lavoratori. Votarono per la prima volta un numero consistente di lavoratori, una percentuale molto alta di impiegati e di giovani (nel gruppo, su 13.000 dipendenti ci sono 4.000 giovani). L'esito fu un no all'accordo da parte dell'80% dei lavoratori. Nonostante la guerra scatenata contro il "soviet" della Zanussi (così lo definì il nostro capo del personale), i lavoratori hanno sonoramente bocciato l'accordo, costruendo così le condizioni per un integrativo più avanzato e rispettoso delle garanzie. L'integrativo che oggi è vigente, se pur non riconosce grossi aumenti salariali, comunque garantisce tutte le condizioni normative che c'erano prima. Morale: quando il sindacato interpreta correttamente le legittime aspettative dei lavoratori, si possono fare accordi dignitosi e portare a casa anche risultati positivi! Questa vicenda insegna anche che le cosiddette "relazioni industriali avanzate" (Zanussi si è sempre vantata di avere un sistema di relazioni - e anche il sindacato si è vantato - che comunque tenevano insieme le esigenze aziendali e le garanzie dei lavoratori), hanno permesso in questi giorni di far condannare, dall'organismo di garanzia che c'è in Zanussi, i delegati che avevano proclamato lo sciopero a Porcia. Se esse non sono supportate dalla volontà di mobilitare i lavoratori si trasformano in un gabbia. Tant'è vero che il problema oggi si ripropone, con la richiesta da parte di Zanussi di ristrutturare il gruppo e che prevede la soppressione di alcuni stabilimenti e un recupero di produttività intorno al 30 %, ciò significa che un lavoratore su tre sparisce, oppure aumenta la produzione del 30% con gli stessi lavoratori: se non viene accettato questo accordo, ci sono 406 lettere di licenziamento pronte a partire, per stabilimenti che hanno goduto della generosità dello Stato. Questo è il meccanismo, la partecipazione, se non si riescono a praticare anche le forme classiche di confronto. Anche in questo caso, come si vede, la partecipazione rischia di addormentare quelle forme di lotta che consentirebbero di individuare invece proposte alternative, e ce ne sono. Il conflitto viene sterilizzato spostandolo in sedi arbitrali e sottratto al confronto dei lavoratori, e l'iniziativa di lotta viene sostituita da un confronto sul piano puramente normativo, producendo una situazione in cui i padroni partono vincenti ed ai lavoratori viene lasciata la sola possibilità di scegliere tra un aumento di produttività, a loro carico, o il licenziamento. La ricetta per rovesciare queste pratiche sindacali la conosciamo da tempo, è quella di far riappropriare il sindacato di una rappresentanza che sia quella dovuta ai lavoratori. I comunisti hanno ricette da proporre al sindacato che sono sempre state "sbeffeggiate". Non dobbiamo demordere, dobbiamo in ogni organismo sindacale orientarci su pochi semplici obiettivi. Il primo è evidenziare il fallimento delle politiche concertative. Come hanno potuto dimostrare anche autorevoli quotidiani che noi diciamo della borghesia (Corriere della Sera, per esempio) i salari reali dei lavoratori hanno perso in questi ultimi anni il 5%; dal 65 ad oggi (ricordava il compagno Bertinotti in una delle sue ultime trasmissioni) noi, da paese tra i più avanzati dal punto di vista del riconoscimento salariale, siamo gli ultimi in Europa, quindi qualcosa non funziona nel sistema concertativo. Il secondo è produrre (e qua io chiedo un impegno del gruppo parlamentare, anche se so che siamo a fine legislatura, e che probabilmente il problema si riprodurrà nella prossima legislatura) una pressione affinché venga approvata la legge sulla rappresentanza, che se anche non corrisponde ai canoni che volevamo noi, comunque è un elemento di tutela e di garanzia per i delegati, per il sindacato di base. Il terzo obiettivo che dobbiamo individuare è quello di proporre una svolta sul terreno della strategia sindacale. Il congresso della CGIL (ma non solo il congresso della CGIL) ci offre una delle più ghiotte occasioni: sappiamo benissimo che oggi si sta costituendo un'area più vasta rispetto a quella di Alternativa Sindacale di quattro anni fa, è bene che anche nei vari direttivi si cominci a praticare più di prima lo scontro politico , e non sempre la convergenza ai fini di salvaguardare l'organizzazione.

Un'ultima cosa: siamo in grado noi compagni della federazione di Pordenone di accogliere l'invito del compagno Zuccherini: il mese prossimo si costituirà il circolo aziendale della Zanussi di Porcia e abbiamo intenzione, su suggerimento del dott. Castro, responsabile dell'azienda alle relazione sindacali, di chiamarlo il "Soviet" e di proporre la prima tessera proprio al dott. Castro.

 

 

 

Giampietro Pino - COBAS scuola

"Comprimere i salari, flessibilizzare e precarizzare al massimo la forza lavoro, privatizzare tutto ciò che è pubblico, espropriare il mondo del lavoro dipendente dei suoi più efficaci strumenti di lotta, moltiplicare le occasioni e le modalità di estrazione di plusvalore di accumulazione del profitto, è questa la linea generale delle forze capitaliste in Italia, in Europa, nel mondo. Cambiano le forme, le articolazioni sociali dei rapporti di produzione e di sfruttamento, ma resta confermata e diviene sempre più pervasiva la contraddizione di fondo della nostra epoca: lo scontro tra capitale e lavoro."

Con queste parole, che sono tratte da un documento introduttivo alla prossima assemblea nazionale, esprimiamo il nostro pensiero di fondo sulla situazione. Certamente una situazione attuale non particolarmente brillante per il mondo del lavoro; se pensiamo soltanto a quelle cifre che sono state sciorinate sul Corriere della Sera: in 20 anni l'incidenza del salario sulla ricchezza nazionale è passata dal 56,4% al 40 %, mentre invece i profitti sono passati dal 21,3% al 28,6% e le rendite dal 22,5 al 31,3. Inoltre il 7% degli italiani detiene il 44 % della ricchezza e dall' 89 al 97 i salari sono diminuiti dell'8,7%. Quindi sicuramente per i salariati, o per chi neanche il salario riesce ad avere, i tempi sono molto grami.

Per quel che riguarda il settore in cui io lavoro e l'organizzazione politico-sindacale e culturale che io rappresento, vale a dire i COBAS scuola (quel piccolo sindacato che ha avuto successi straordinari, all'interno delle ultime elezioni delle RSU) devo sottolineare come un elemento importante nella rottura della pace sociale coatta, che è stata imposta sul corpo generale del lavoro subordinato, sicuramente sia avvenuta dalla scuola durante il 2000.

Credo che sia stato l'unico comparto, insieme a quello della Telecom, che è riuscito a disapplicare una parte notevole del contratto nazionale, quello che doveva stabilire forme di gerarchizzazione della forza lavoro e che avrebbe quindi costituito le gambe materiali su cui far marciare i processi di aziendalizzazione della scuola pubblica e di mercificazione della cultura. Questo processo è stato bloccato, per lo meno è stata messa una grossa remora al suo procedere inarrestabile, proprio dalla lotta dei COBAS della scuola. Questa lotta che è andata avanti attraverso 4 scioperi generali, in una categoria che in passato aveva quasi dimenticato questo strumento di lotta, (pensiamo che CGIL CISL UIL SNALS non facevano uno sciopero generale dal 1986). Ecco quindi che la capacità, non solo di essere all'interno degli obiettivi e dei bisogni sentiti dalla categoria, ma anche di fronteggiare il livello alto dello scontro, che è quello del processo di aziendalizzazione, è riuscita a mettere in campo una forza senza precedenti ed è riuscita anche ad avere delle parole unificanti che in qualche modo hanno cominciato ad andare oltre lo stesso settore della scuola. Pensiamo per esempio alla parola d'ordine del "salario europeo", che è una parola d'ordine che in qualche modo comincia ad entrare non solo nelle piattaforme degli altri COBAS, ma nelle fasce sempre più larghe di lavoratori e lavoratrici che, dopo aver pagato i costi di Maastricht, vogliono in qualche modo garantirsi dalla falcidia quotidiana che l'espropriazione di ricchezza nei loro confronti da parte del capitale ha prodotto. Ovviamente non si tratta soltanto di questa parola d'ordine, nello stesso tempo bisogna pensare a costruire, a livello più generale, partendo dalla nostra battaglia nella scuola, (ma non siamo sicuramente insensibili a quello che avviene all'esterno, nel mondo del lavoro), un fronte di lotta comune dei lavoratori e delle lavoratrici contro quello che si prevede per il futuro. Pensiamo, per esempio, alla questione delle pensioni, alla questione delle liquidazioni, che qualcuno, anche all'interno della stessa CGIL, ha ventilato possibile oggetto di scambio da quel pre-accordo sulla flessibilità firmato e poi messo momentaneamente in mora da CGIL CISL e UIL. Dico momentaneamente in mora perché la controattualizzazione, cioè il riversare all'interno dei singoli contratti l'esaltazione e la generalizzazione del lavoro a tempo determinato, non mi sembra una soluzione che vada a fugare la pericolosità di questi accordi. D'altra parte, che la flessibilità sia uno strumento principe di regolazione del mercato del lavoro, di rottura della rigidità della forza lavoro, di scompaginazione dell'unità di classe, lo vediamo ad esempio all'interno della scuola: i precari sono ormai aumentati a circa 150.000 unità. Se la logica del padrone è una logica facilmente comprensibile, bisogna vedere qual è la logica del Governo e dello Stato: la flessibilità, da applicare anche all'interno del settore pubblico. Pensiamo per esempio a quello che è stato il carteggio tra il Ministro delle Finanze Visco e il Ragioniere Generale dello Stato Monorchio in cui si diceva "...perché dobbiamo mettere in ruolo questi precari anche se hanno superato il concorso, conviene molto di più (e questo è stato scritto "papale papale") avere forza lavoro che costa molto meno, ciò comporta sicuramente un risparmio per le spese dello stato".

Credo che il salario, la flessibilità, il salario differito, vale a dire le pensioni e la vicenda delle liquidazioni, che è stata inserita all'interno di una trattativa generale di cui non si vedono ancora i confini e gli esiti, sicuramente sono un terreno di battaglia. L'altro terreno sono i diritti. Ci troviamo a dover contrastare l'influenza, non solo della controparte ma anche dei sindacati confederali e dello SNALS nella nostra categoria (credo che la cosa sia uguale dappertutto), attraverso una legge come quella delle RSU, che nel comparto pubblico garantiva la proporzionalità delle elezioni, ma ha sottratto la possibilità del diritto di assemblea nelle scuole dove poter andare a presentare le liste. Dall'altra parte continua la questione delle RSU nel settore privato, dove compagni dei COBAS, che sono il primo o il secondo sindacato in tutta una serie di aziende, non riescono ad avere questo riconoscimento. Allora, visto che c'è una diversità di posizioni tra la sinistra sindacale CGIL e Cofferati, perché non si fa una battaglia concreta per dire cominciamo a rinunciare alle rendite di posizione, a questa "tangente" imposta nelle elezioni delle RSU nel settore privato. L'altro elemento, la questione del diritto di sciopero, abbiamo avuto la 146, abbiamo avuto ad aprile il peggioramento della 146; su questo non c'è stato assolutamente nulla da eccepire da parte delle confederazioni sindacali. Noi ci muoviamo in un ottica che non è soltanto quella della scuola, siamo dentro la confederazione COBAS, stiamo arrivando all'unificazione con il SINCOBAS, lanciamo la parola d'ordine di tutti i COBAS in un unica organizzazione. Non vogliamo convincere nessuno, quelli che vogliono stare nella CGIL , stiano, visto che la questione dirimente tra la sinistra antagonista nelle sue varie forme e la sinistra moderata è stata la questione della guerra. Neanche sulla questione della guerra la CGIL è riuscita a costruire uno sciopero generale (e neanche la sinistra CGIL), solo i COBAS hanno fatto questo, credo che si sia scavato un solco.

 

 

 

Frigo, RSU Lanerossi - Vicenza

 

Sono un ex delegato CISL, poi epurato perché avevo idee che non collimavano con quelle che venivano date dalle direttive principali. Abbiamo fatto, con altri compagni, una fatica immensa ad iscriverci alla CGIL e pensiamo che la lotta vada fatta all'interno della CGIL. Abbiamo incontrato ostacoli enormi, in un'azienda come la Marzotto in cui i sindacati erano notoriamente, sicuramente non di sinistra. Però siamo entrati abbiamo fatto una lotta all'interno abbiamo creato una contrapposizione perché noi pensiamo che la Marzotto sia la Fiat del tessile. Le scelte che fa la Marzotto in campo economico e politico, sono scelte che poi a pioggia vanno a ricadere sulle miriadi di piccole e medie imprese. Se la Marzotto intraprende un processo di localizzazione, di globalizzazione spinta, è chiaro che poi anche l'idraulico di Valdagno si sentirà autorizzato a fare questo processo. Noi pensiamo che la lotta vada fatta anche all'interno del sindacato perché anche noi abbiamo dei dirigenti in Marzotto, che definiscono "devianze" certe opinioni politiche; noi le definiamo scelte politiche per cui ci battiamo, per cui c'è un programma all'interno della sinistra della CGIL, che noi condividiamo, e per cui continueremo a lottare, per avere sempre più compagni all'interno che andranno a scardinare quei boiardi che hanno comandato il sindacato fino a adesso.

Penso che dal punto di vista globale l'ultimo decennio vede un bilancio sociale ed economico spaventosamente negativo per i lavoratori.

Uno degli elementi fondamentali che ci permettono di affermare ciò senza alcun dubbio e senza alcun indugio (altrimenti noi che facciamo sindacato saremmo in malafede), è, per primo, il salario. Il bilancio della Marzotto è in continua espansione eppure noi, che siamo in corso di contrattazione aziendale, non riusciamo a portare a casa "un soldino". Abbiamo fatto cinque anni di accordo aziendale e si è verificato un episodio scandaloso: una divisione della Marzotto che conta 10.000 dipendenti in tutto il mondo, ha dovuto (per effetto di meccanismi perversi previsti dal famigerato accordo di concertazione del 23 luglio '93) restituire dei soldi all'azienda.

Siamo passati in questi anni, grazie soprattutto a questa politica esasperatamente concertativa, di sconfitta in sconfitta: la giornata lavorativa senza limiti di orario, carichi di lavoro sempre più intensi e non adeguatamente retribuiti, il terzo e il persino il quarto turno (compreso il lavoro festivo, nel comparto tessile). Ci sono casi come quello dello stabilimento di Praia Mare, in provincia di Cosenza, dove hanno dovuto rinunciare al premio di produzione per poter fare delle assunzioni con contratto d'area che pure concede delle defiscalizzazioni all'azienda!

Alla Marzotto abbiamo, in questo momento, circa il 10 % di lavoro interinale, un vero e proprio caporalato del terzo millennio, che garantisce ai padroni la flessibilità. Per il problema dell'utilizzo degli impianti, abbiamo fatto una battaglia ferrea; i sindacati hanno firmato un accordo di premio aziendale che aveva soprattutto lo scopo di non permettere alle RSU di gestire gli orari di lavoro all'interno degli stabilimenti. Abbiamo fatto sciopero contro questa cosa, con i lavoratori in piazza e siamo riusciti, unico stabilimento del gruppo, a non dare l'utilizzo degli impianti.

Il lavoro notturno delle donne, e, per ultimo, le 60.000 lire di aumento lordo in quattro anni dell'ultimo contratto nazionale, ci hanno detto che sono conquiste negli interessi dei lavoratori. All'epoca abbiamo fatto riunioni e assemblee in cui ci hanno imposto di chiedere più diritti a scapito dei soldi oggi, se dobbiamo fare un bilancio, siamo senza soldi e senza diritti.

Io credo che ci siano delle priorità su cui noi dobbiamo impegnarci per arginare e frenare sensibilmente l'offensiva liberista, e sono essenzialmente tre: il salario e un'equa ridistribuzione della ricchezza, il diritto del lavoro che deve essere ampliato, e, soprattutto, la sicurezza sul posto di lavoro. Dobbiamo porre dei limiti sostanziali alla delocalizzazione sfrenata ed al concetto di globalizzazione liberista e capitalista.

Se deve essere globalizzazione, deve essere globalizzazione anche dei diritti politici e sindacali prima che economici.

Dopo ulteriore ed approfondita analisi del panorama politico ed economico in cui siamo costretti a muoverci e agire, è necessario ribadire quali sono i punti fermi del progetto politico di una sinistra vera e protagonista in questo paese. A causa soprattutto dell'immobilismo e della sudditanza, ci auguriamo disinteressata, all'economia e al mercato, una certa parte della sinistra si sta inevitabilmente sempre più spostando a destra.

E' necessaria una forte contrapposizione alla globalizzazione liberista, che ha prodotto solo disastri sociali per la maggioranza della popolazione mondiale, occorre ridurre l'orario di lavoro per legge con l'introduzione delle 35 ore, a parità di salario, e quindi migliorare sostanzialmente la qualità di vita dei lavoratori e dare sviluppo e occupazione al paese. Lavorare tutti, lavorare meno e vivere meglio, dicono i francesi! Occorre superare l'accordo del 23 luglio '93, è fondamentale come lotta politico sindacale, per recuperare sui punti più importanti: l'incremento dei salari legato all'inflazione programmata (che ha portato 60.000 di aumento in contratto nazionale) e la contrattazione aziendale, superando i vincoli retributivi legati alla strategia del profitto d'impresa (fin che ci sono questi vincoli non ci saranno mai soldi per i lavoratori).

Bisogna combattere con forza l'idea imperante della precarizzazione del posto di lavoro, estendendo e sviluppando il concetto di lavoro a tempo indeterminato, con nuove tutele contro il licenziamento. ed assunzione. Bisogna poi consolidare lo stato sociale, rinnovando la politica sociale, estendendo e incrementando sensibilmente la spesa sociale, parificandola alla media europea, a favore soprattutto delle classi sociali meno abbienti, tenendo conto delle nuove povertà, che ci sono anche qui nel nord-est. Dove trovare le risorse? Basta aumentare di un punto percentuale la tassazione sui redditi superiori ai 50 milioni annui, porre il tetto massimo alle pensioni di anzianità a 6.000.000 mensili (ci sono in Italia 450.000 persone che prendono più di 10.000.000 di pensione al mese) per liberare subito dai 15 ai 20 mila miliardi da destinare alla spesa sociale.

Per ultima una riflessione di carattere politico: tutti si preoccupano dell'accordo che c'è fra Berlusconi e Bossi, io mi preoccupo dell'accordo che c'è tra Berlusconi e D'Alema.

 

 

 

 

 

Donatella Duranti - Arsenale Militare Taranto

 

Compagne e compagni, io vengo da una città conosciuta in particolare per la privatizzazione dell'Ilva, e quindi per Padron Riva, per lo smantellamento della Belleli, e per la sua altissima percentuale di disoccupazione. Però Taranto è anche la città dei due muri, la città sede della più grande base navale del nostro paese e, nei prossimi anni, della più grande base navale NATO dell'Europa. E' una città stretta tra due muri, che ha avuto un ruolo enorme durante la guerra dei Balcani.

Io sono una comunista che la', in quell'arsenale, in quella base navale lavora. Non ho oggi incarichi sindacali, li ho avuti nel passato, sono stata delegata della CGIL. Essere in quella realtà, mi ha costretto a confrontarmi non solo con le questioni del lavoro, ma anche con le questioni della guerra, in particolare l'anno scorso. In più, tenete presente, compagni, che Taranto è uno degli 11 porti militari a rischio nucleare, per cui la realtà dell'arsenale della base navale ci costringe, come comunisti, a confrontarci con qualcosa che va al di la' della questione del lavoro. Anche se oggi le questioni del lavoro diventano questioni stringenti perché l'arsenale della Marina Militare, tutto il sistema Difesa a Taranto, sono sottoposti a un processo di ristrutturazione abbastanza serio.

Un processo di ristrutturazione che, come ha ammesso il Ministro della Difesa rispondendo a una interrogazione parlamentare della nostra compagna, Maria Celeste Nardini, è un processo che ha come colonna portante, per recuperare l'economicità degli stabilimenti della Marina Militare, l'esternalizzazione delle attività, questo in risposta agli indirizzi politici per il riassetto generale del comparto della difesa.

E' una ristrutturazione che ha alla sua base la riduzione del personale, entro il 2002 Taranto e il suo arsenale vedrà tagliati circa 500 posti di lavoro, ed ha alla base un investimento maggiore per l'ammodernamento militare. E' una ristrutturazione che è finalizzata, non tanto e soltanto ad un recupero di economicità ma, come dice l'ammiraglio Tombolini, che il responsabile del comando delle forze di altura, è una ristrutturazione che trova la sua ragione di essere nella necessità di dotarsi di forze prontamente impiegabili, tenendo conto che sono forze altamente flessibili, e quindi, uno strumento politico importante.

Compagni, non so se questa cosa vi ricorda qualcosa, a me ricorda gli obiettivi politici che si è data la NATO e gli USA innanzitutto, mi ricorda il nuovo modello di difesa del nostro paese, mi ricorda la trasformazione del concetto strategico della NATO e quindi immediatamente mi ricorda la tragedia della guerra nei Balcani.

Credo che sia interessante confrontarsi oggi con le questioni poste dalla ristrutturazione di un arsenale militare, perché ci costringe anche a confrontarci con le questioni della guerra. Noi comunisti e comuniste all'interno dell'arsenale in questi mesi abbiamo tentato di coniugare le due cose, di far comprendere ai lavoratori e alle lavoratrici qual era la posta in gioco. Per fare questo abbiamo investito sul territorio, per cui i circoli di Rifondazione della città di Taranto hanno lavorato, sia rispetto alle questioni della guerra nei Balcani, che alle questioni dell'uranio impoverito. Abbiamo lavorato insieme al consigliere comunale, quindi all'interno delle istituzioni, abbiamo tentato di fare un lavoro anche all'interno dell'arsenale, un lavoro che non è stato facile perché la nostra non è solo una battaglia che richiede un impegno politico e sindacale, ma ci richiede anche un impegno culturale.

Anche all'interno dell'arsenale, come in tutti i posti di lavoro della pubblica amministrazione che oggi cominciano ad avere a che fare con le ristrutturazioni anche massicce, con le riorganizzazioni, è passata la cultura del "privato è meglio", de "il lavoratore pubblico è un parassita", per cui le organizzazioni sindacali confederali e la politica della concertazione hanno messo in campo gli strumenti tipici. Hanno messo in campo la competitività fra i lavoratori proprio per operare attraverso questo un controllo delle reazioni dei lavoratori, quindi un controllo anche delle lotte, hanno messo in campo tutta una serie di elementi per cui oggi i lavoratori sono confusi ricercano strade e soluzioni individualistiche, si ritrovano ad avere come interlocutrici organizzazioni sindacali che hanno già deciso sulla base della condivisione degli stessi interessi della controparte, per cui il Ministro della Difesa ha posto un obiettivo, un percorso. Le organizzazioni sindacali di livello nazionale, ma anche territoriali, hanno condiviso gli stessi interessi, per cui hanno determinato insieme obiettivi e percorsi e hanno marginalizzato le RSU, quindi il soggetto sindacale organizzato del posto di lavoro, ma insieme a questo hanno escluso dal processo di ristrutturazione i lavoratori. Quindi non è facile, soprattutto in un ambiente come quello militare in cui sono in gioco anche altre cose, lavorare da comunisti e da comuniste, però noi abbiamo provato a farlo, abbiamo provato, scegliendo un interlocutore privilegiato. Io non sono tra le compagne che si appassionano alla discussione "CGIL si, CGIL no" - COBAS si, COBAS no"; io credo che a volte rischiamo di non farci capire dai lavoratori, credo che spesso anche i lavoratori e le lavoratrici che guardano a noi come a una forza politica che riapre le speranze che può costruire un progetto strategico che li riguarda direttamente, che riguarda le loro condizioni di vita e di lavoro, forse in alcuni momenti non ci capisce.

Noi, in arsenale, abbiamo tentato un esperimento, abbiamo tentato un iniziativa e un'azione in ambito nuovo; le RSU dell'arsenale sono molto giovani, sono nate due anni fa ed al loro interno hanno delegati che arrivano da diverse esperienze, e quindi portavoci e rappresentanti di un modo di fare sindacato, però hanno anche dei delegati nuovi, dei giovani delegati che, sicuramente, pagano la loro inesperienza.

Sicuramente le RSU sono oggi fortemente sotto tutela da parte dei sindacati territoriali e nazionali, però possono avere, secondo me, grosse potenzialità. Per questo abbiamo cercato di sperimentare un lavoro nuovo: scegliere le RSU come terreno di confronto come ambito che ci potesse immediatamente mettere in contatto con gli altri lavoratori proponendo a tutti i delegati delle RSU delle piattaforme minime degli obiettivi comuni da perseguire. Abbiamo fatto leva sulla massiccia aspettativa da parte dei lavoratori verso questo nuovo soggetto sindacale: più del 90% ha votato per le RSU e credo che, più o meno, sia avvenuto così un po' dappertutto nel pubblico impiego. Nel lavoro avviato ci siamo resi conto che ci sono regole del gioco che ci ingabbiano, e ingabbiano in particolare le RSU, questo soggetto organizzato che potrebbe diventare, proprio perché parte dei luoghi di lavoro, e proprio perché eletto democraticamente da tutti i lavoratori, la cellula di un percorso nuovo un nuovo modello di sindacato. Ci siamo resi conto che è necessaria una nuova legge sulla rappresentanza e sulla democrazia nei luoghi di lavoro. E' necessario che i comunisti e le comuniste fuori e dentro i luoghi di lavoro si organizzino, uscendo però da limiti e vincoli che ci siamo posti tentando di navigare in un mare che, soprattutto nel pubblico impiego, è un po' pericoloso. Penso che sia necessario soprattutto confrontarsi all'interno dei luoghi di lavoro, quindi scegliendo un interlocutore privilegiato che in questo momento non possono che essere le RSU.

Vorrei finire con un appello, ho un desiderio che è quello di costruire un momento pubblico, nella mia città, sulla questione della militarizzazione a partire dalla ristrutturazione dell'arsenale, che determinerà perdita di posti di lavoro ed ulteriore militarizzazione del territorio. Un'altra cosa credo sia indispensabile ed è un coordinamento tra i comunisti e le comuniste che lavorano e vivono nei territori come il mio, nei porti militari, quelli a rischio militare, quelli dai quali sono partite le navi per la guerra nei Balcani.

 

 

 

Aurelio Macciò - Responsabile Lavoro PRC - Genova

 

La situazione così articolata e complessa descritta nei vari interventi sin qui svolti, ci richiede di ragionare più a fondo, dentro e anche oltre i limiti della nostra stessa struttura organizzata. Ad es. occorre riconoscere che sono 5 anni che non riusciamo a svolgere la Conferenza dei Lavoratori e delle Lavoratrici; occorre che questa conferenza ragioni su modalità e forme di costituzione della Consulta Nazionale dei Lavoratori e delle Lavoratici, e di come questa struttura debba relazionarsi con gli altri organismi del partito e non come un inutile abbellimento. Si deve ragionare più a fondo su uno dei temi posti dal documento base di questa conferenza, cioè come ricostruire il protagonismo dei lavoratori nella società e sui posti di lavoro. Credo sia richiesto un ben più corposo sforzo di analisi sugli elementi di mutamento dei rapporti di forza tra le classi, sulla quantità e sulla qualità di questo mutamento. Per la quantità, basta fare riferimento all'articolo, più volte citato, del supplemento economico del Corriere della Sera del lunedì, che descrive come tra il 1980 e oggi il rapporto tra i salari e gli altri redditi, profitti e rendite sia passato da un rapporto che era quasi di 60/40 a 40/60 nel '99, quindi un completo rovesciamento. Per la qualità basti vedere le nuove forme della precarietà, della flessibilità che permeano e regolano i rapporti di lavoro per cui la maggior parte delle assunzioni sono ormai di lavoro atipico, part-time, a tempo determinato.

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Della disoccupazione che resta peraltro la più alta rispetto all'insieme del nord, che ha queste caratteristiche, quindi permeata di flessibilità e precarietà, insieme al delinearsi anche di una nuova leva di classe operaia, anche per effetto dei benefici previsti previdenziali sulla legge sull'amianto anche in settori più tradizionali: dalla siderurgia alla cantieristica al comparto dell'elettromeccanica, ma anche nella grande distribuzione commerciale e nel porto

Il porto che credo il vero tempio della flessibilità e della privatizzazione, con l'aumento di infortuni, anche mortali, in questi anni, in cui il lavoro a chiamata è un'ovvietà secolare, ma in cui questa modalità e il ciclo della flessibilità era un tempo autogestito dalle compagnie operaie portuali e che oggi è stato sconvolto dalla privatizzazione e dagli effetti della globalizzazione.

A Genova abbiamo e avremo due grandi questioni di rilievo nazionale e anche internazionale: le acciaierie di Cornegliano e il G8 a Genova a luglio.

Sulle acciaierie la nostra federazione ha da sempre lavorato a difendere congiuntamente ambiente e occupazione, cosa semplice a dirsi, ma assolutamente difficile ad articolare nella realtà effettiva. Noi abbiamo recentemente distribuito lo stesso volantino nel quartiere, nel ponente cittadino come nella fabbrica dell'Ilva, ritenendo irricevibile la domanda se sia più importante il salute e l'ambiente o più importante il lavoro e l'occupazione.

Quella di Cornegliano è una storia lunga emblematica della contraddizione ambiente lavoro ulteriormente complicata dalla vicenda delle dismissioni delle partecipazioni statali e della consegna a Emilio Riva di gran parte del patrimonio della siderurgia nazionale; mi riferisco quindi solo agli ultimi eventi, al prodursi dei quali credo di poter dire abbiamo concorso anche noi: cioè all'intesa siglata il 10 gennaio a Roma tra i diversi soggetti firmatari degli accordi di programma (ad esclusione della Regione governata dalla Destra e del Ministro Bordon) che crediamo vada nella direzione auspicata dell'applicazione dell'accordo di programma. E' già iniziata la chiusura della cookeria cioè l'impianto assolutamente più inquinante, con la progressiva riduzione dell'inquinamento da benzene e benzopirene a Cornigliano (secondo autorevoli studi dell'istituto dei tumori) insieme alla contestualità delle misure di sostegno a tutela dell'occupazione e reddito per i lavoratori coinvolti, che saranno collocati in cassa integrazione con l'attuazione di progetti di lavoro di pubblica utilità da parte di Comune e Provincia di Genova, e ovviamente una ricollocazione immediata dopo il pronunciamento sulla valutazione di impatto ambientale che dovrà essere definita entro il mese di febbraio. Per la prima volta crediamo impegni certi date precise percorsi certi di garanzia e di tutela per i lavoratori. In questi giorni la Regione, Biasotti e la destra crediamo siano assolutamente in difficoltà, loro che avevano puntato alla divisione e alla contrapposizione tra abitanti e operai per un meschino calcolo elettorale, e per interessi di lobby imprenditoriale di altro tipo cioè legata ai terminalisti e agli operatori portuali. Crediamo che sia grave che anche una parte del centrosinistra, Bordon, i verdi ecc., si trovi in sintonia con queste posizioni irresponsabili. Occorre rivendicare con forza che i progetti industriali siano non solo compatibili con l'ambiente, ma anche con gli obiettivi occupazionali previsti e occorre rifiutare eventuali manovre aziendali unilaterali che non salvaguardino i livelli occupazionali.

Il 20, 21 e 22 luglio prossimi, si terrà a Genova il summit del G8, cioè la riunione delle 7 potenze economiche mondiali a cui si è aggiunta la Russia. E' probabile che a luglio il presidente del consiglio italiano sia lo stesso di quando fu svolto il precedente g7, in Italia nel 94. I leader di questi paesi non vengono a Genova per dibattere quale sia la strada migliore per fare una qualsiasi cosa, dentro i confini delle loro nazioni, bensì stabiliscono programmi destinati ad incidere sulle condizioni di vita di tutti i popoli del pianeta. Il g8 si arroga il diritto di decidere per tutti, espropriando nei fatti il ruolo che dovrebbe essere delle nazioni Unite. Il G8 e le istituzioni da esso controllate, il WTO il Fondo Monetario Internazionale, la Banca Mondiale non sono solo i registi di tutte quelle politiche neo liberiste che hanno destabilizzato le economie dei paesi del sud del mondo, ma noi crediamo siano strettamente connesse alle politiche neo liberiste della flessibilità e della precarietà dei lavoratori nei paesi ad economia industriale.

In vista dell'appuntamento di luglio si è costituita a Genova la rete contro il G8, organismo largo che ha nel suo programma la proposta di un percorso, quindi non solo le manifestazioni, ma un percorso di approfondimento con scadenze verso quell'appuntamento, oltre che l'organizzazione di manifestazioni di massa con l'intenzione di bloccare, pacificamente ma con determinazione, il G8 e rendere visibile il dissenso. Ci stiamo lavorando anche sul piano istituzionale, sensibilizzando in particolare al Comune di Genova sui problemi dell'accoglienza di migliaia di giovani e non giovani che verranno a Genova in quei giorni. Abbiamo lavorato affinché il Comune di Genova come istituzione aderisse con una propria delegazione al forum sociale di Porta Legra che si apre in questi giorni. Ma noi pensiamo che sia determinante (nessun altro credo possa farlo al nostro posto) che nelle manifestazioni di luglio, negli appuntamenti nei percorsi verso quella scadenza ci siano non soltanto cittadini globalizzati indifferenziati o le pure importanti presenze di cultura del pacifismo e dell'ambientalismo, ma che sia determinante la presenza più forte possibile di pezzi del movimento operaio organizzato, a partire da Genova ma non solo, e con un lavoro che coinvolga delegati RSU, sinistra sindacale della CGIL e non solo, attivando canali nazionali e internazionali a livello europeo ed extraeuropeo. La nostra Federazione si è assunta l'impegno di essere presente nelle articolazioni del movimento e di concorrere al suo ampliamento in direzione del mondo del lavoro e delle classi popolari presenti sul territorio.

Concludo con un appello: gli avvenimenti occorsi recentemente a Ventimiglia e a Nizza credo che ci impongano la massima attenzione, il massimo impegno affinché vengano garantiti e assicurati spazi di agibilità politica e la difesa delle libertà democratiche, chiediamo quindi il più largo coinvolgimento a partire dalla conferenza dei lavoratori e un raccordo tra il centro nazionale, la federazione di Genova, il Comitato Regionale della Liguria per il coordinamento delle iniziative di mobilitazione sul G8 da qui al prossimo luglio.

 

 

 

Franco Grisolia - Direzione Nazionale PRC

Come molti compagne e compagne certamente sanno, perché l'avete visto nella cartellina, con altri compagni ho ritenuto di intervenire in questo dibattito con un contributo critico, non perché non ritenga che molte delle cose contenute nel documento e nella relazione, in particolare sul terreno analitico, non abbiano la loro validità ma perché credo che manchi la risposta politica complessiva giusta rispetto al problema di una ipotesi di costruzione strategica del nostro lavoro nella classe e in funzione degli obiettivi che dovremo porci nella prossima fase.

Un primo punto di partenza è per me di ritenere che non si può pensare, sarebbe bizzarro per dei comunisti, al nostro intervento nei luoghi di lavoro in termini sindacali (o puramente sindacali), economicistici o con la vecchia formula "tradeunionistici". Tutto si tiene in politica per dei comunisti, che significa in primo luogo cercare di costruirsi nella classe, e non ci può essere uno iato tra la politica complessiva del partito e il sul lavoro di costruzione sui luoghi di lavoro, nelle aziende. Da questo punto di vista ricordo che questa è una verità che determina la storia della lotta di classe, in generale e nel nostro paese. Se noi pensiamo (molti di noi hanno ormai una certa età, purtroppo ci sono meno giovani di quanti ce n'erano alcuni decenni fa) agli anni 70 credo che, a bilancio, non si possa certo dire che il padronato vinse quella grande stagione di lotta per sua propria forza. A mio giudizio quella grande stagione di lotta fu bloccata dalle scelte politiche dal compromesso storico che immediatamente si trasformò nella linea dell'Eur, cioè nell'uso della direzione del movimento sindacale in funzione di contenimento e blocco delle lotte. Così fu negli anni 80: penso all'83, la grande manifestazione e mobilitazione per la questione del primo giorno di malattia e i primi tagli della scala mobile, in cui la decisione di andare ad evitare lo scontro politico, come disse il ministro del lavoro di allora, fu una decisione politica delle direzioni del movimento operaio; penso alla deriva successiva e continua del Partito Comunista e alle conseguenze che ha avuto rispetto alla politica del DS, e non a caso la scelta più importante che è stata fatta negli anni 90 dai gruppi del grande capitale rispetto all'appoggio al centro-sinistra. Non era ovviamente una scelta ideologica ma è stata la scelta funzionale a garantire gli elementi migliori di pace sociale rispetto alle potenzialità di lotta che pure si sono espresse, nel 92, nel 94 e via dicendo, in funzione degli interessi dell'offensiva padronale contro il movimento dei lavoratori.

Se non leghiamo queste questioni credo che non facciamo una buona discussione, una buona costruzione della nostra strategia nel movimento dei lavoratori. Faccio solo un esempio che mi sembra importante: a bilancio di fine legislatura, e a bilancio di un periodo trascorso dalla precedente conferenza dei lavoratori che è stato parecchio tempo fa, mi pare proprio in quella stagione, noi ci trovammo in una collocazione che ci portò per es. ad appoggiare misure come la finanziaria o il "pacchetto Treu". La flessibilità selvaggia, non è stato un elemento importante, certo non centrale, perché non siamo la direzione del movimento dei lavoratori e non è stato un elemento centrale per impedire a quei settori di classe che cercavano su questi terreni di dare un a risposta di avere una sponda politica, di avere un punto di riferimento che sul piano politico complessivo dicesse noi siamo contro la flessibilità. Questo non nel 99, 2000, 2001, ma nel 96, 97 quando quelle leggi stavano andando e passando in Parlamento con l'accordo del sindacato. Da questo punto di vista, credo che il problema della nostra collocazione strategica, se cioè noi siamo e vogliamo costruirci come un partito antagonista rispetto al quadro politico esistente, e quindi anche alle forze del centrosinista, alla sinistra moderata, che non implica il rifiuto di alcuni momenti di fronte unico, se è possibile , su questioni concrete; non è una questione esterna alla nostra costruzione nei luoghi di lavoro e a un progetto e una discussione di una conferenza come questa ne è l'elemento centrale. Credo che senza sciogliere questo nodo, anche le risposte successive sono mute e per quanto giuste siano alcune di esse, richiamo di ritrovarci senza quella spinta strategica che ci permette di portarle compiutamente avanti e fino in fondo.

Passando alle proposte, io credo che in questo quadro e con questa concezione, un asse centrale che dovrebbe formare la nostra scelta oggi, dovrebbe essere quello di cercare di porre il terreno di unificazione del mondo del lavoro. Abbiamo avanzato diversi obiettivi, più o meno validi, nel corso degli ultimi anni: sull'orario, sul salario e via dicendo; mi pare che non siamo riusciti a cogliere, come credo sia necessario, la parcellizzazione del mondo del lavoro che è stata creata e in particolare accentuata da questa offensiva padronale neo liberale in questi anni, un punto e un asse di riferimento che possa costituire l'asse di intervento strategico sul terreno rivendicativo generale dei comunisti nel movimento del lavoro. Credo che dovremmo porre il problema di una vertenza generale. Di fronte a elementi di ripresa tendenziali significativi (la scuola, i metalmeccanici..) il nostro compito è di cercare di individuare il modo perché questo non si disperda, e costruire una battaglia, non di breve periodo, intorno a questa concezione. Insomma credo che dovremmo unificare le rivendicazioni sulle 35 ore, sul recupero salariale significativo (a partire dalle esperienze e dalle indicazioni che ci daranno il movimento degli insegnanti dei suoi settori più d'avanguardia), la lotta per un vero salario sociale, che non va confuso con il lavoro minimo che è un'altra cosa, e la lotta contro tutte le flessibilità e per l'abolizione del pacchetto Treu, intorno a un concetto di vertenza generale. Io credo che questo sia l'asse di ragionamento da cui partire anche per le questioni più propriamente sindacali; il punto centrale non è continuare la discussone su dove stare ma come stare e con che progetto. Come stare è un primo punto e il secondo è il progetto, perché se è logico e legittimo che non si possa risolvere oggi il problema della presenza dei comunisti in varie strutture sindacali, il problema è che proposta noi facciamo, non ai comunisti, ma ai lavoratori su questo terreno, in un paese in cui c'è la divisione sindacale (non siamo negli Stati uniti o in Gran Bretagna dove c'è sostanzialmente un sindacato). Insomma il problema è di porre ai lavoratori la rifondazione di un sindacato di classe unitario a partire dal basso, stando ognuno dove siamo, ma facendo questa battaglia. Il limite che ha la CGIL oggi è di non avere questa concezione di fare battaglia per cercare di cacciare la burocrazia fuori dal movimento operaio, componendo dal basso, attraverso comitati strutture e attraverso le RSU (e lì potremmo fare un lungo lavoro) un problema di rifondazione dal basso di una nuova confederazione sindacale.

Concludo dicendo che la logica di tutto questo è che una forza politica comunista con questi assi può e deve intervenire nei luoghi di lavoro e nel sindacato, con la vertenza generale come indicazione centrale, ma con un profilo più ampio che rimanda alle questioni generali. Oggi pensare che una proposta comunista possa essere quella di vedere come punto di riferimento un'ipotesi redistributiva, tanto peggio avendo come riferimento una sinistra plurale francese, sarebbe il modo per non porci come comunisti che cercano di costruire un'alternativa anticapitalistica. Eppure la realtà oggi dimostra che senza questo progetto non c'è alternativa reale. Il buon senso minimale che poteva agire in un'epoca storica diversa, l'epoca del boom post-bellico oggi non esiste. Fare una battaglia con un progetto anticapitalistico che non escluda la lotta per le rivendicazioni immediate e giorno per giorno e quella per la vertenza generale che è un livello intermedio, é l'asse e l'esigenza che i comunisti devono dare; Su questo io avrei voluto, e vorrei ancora, che in un quadro di dibattito complessivo questa conferenza dei lavoratori e delle lavoratrici desse una svolta, e questo è il senso delle proposte che ho cercato di esprimere qui.

 

 

Antonio Amoruso - Segretario Circolo PRC Postal Market - Milano

 

Vi porto il saluto delle compagne della Postal Market, che lavorano anche di sabato e sono attentissime a questo dibattito. Abbiamo discusso tra di noi del documento e di questa conferenza, ed è stata la prima volta che con le compagne della Postal Market parlavamo di politica, perché il circolo della Postal Market (come avete letto sul giornale) è da poco costituto (da circa un anno), e quindi è stato un primo e interessante momento di discussione tra circa trenta lavoratrici, di cui tredici si sono iscritte a Rifondazione, che hanno sopportato la cassa integrazione di punizione perché hanno rifiutato il comando padronale di modificare il proprio orario di lavoro. In un periodo in cui tanto, nei nostri documenti, parliamo di una lotta contro la flessibilizzazione e il precariato, è necessario capire che quando ci sono degli accordi sindacali che regolamentano un po' tutto ma che vanno a cozzare con quello che sono le esigenze dei lavoratori, dei soggetti in carne ed ossa, a cui quegli accordi devono poi essere applicati, si rischia di trovare delle difficoltà perché essi vanno a modificare la sostanza, quello che nel documento nazionale si definiscono le condizioni dei lavoratori e delle lavoratrici nella realtà odierna. A Milano si è costituito un altro circolo nella grande distribuzione e nelle imprese di pulizia, categoria in cui da anni non si rinnova un contratto nazionale e in cui la flessibilizzazione, la precarizzazione le condizioni di lavoro delle donne, i ricatti a cui sono sottoposti le donne, e non solo lo donne, in questa categoria sono il patrimonio delle cose che noi diciamo e scriviamo nei documenti. Allora l'esigenza che abbiamo avuto alla Postal Market di metterci insieme e di ragionare in termini politici e quindi di costruire un luogo comune per discutere ed affrontare le questioni non squisitamente sindacali, è presente in queste altre realtà in cui si è costituito a Milano un circolo: nelle imprese di pulizie, nella motorizzazione, tutte realtà piccole che stanno a dimostrare come è necessario non rivolgersi soltanto a temi di caratteri generali, ma ripartire da quelle che sono le condizioni dei lavoratori per fare fronte e dare risposta a quelli che riteniamo essere oggi i problemi concreti dovuti alla troppa flessibilizzazione del mercato. Le esternalizzazioni non ci sono soltanto nelle grandi fabbriche, non ci sono soltanto nelle fabbriche metalmeccaniche ma anche ad es., nella realtà milanese, nel Comune di Milano, che sta esternalizzando una serie di attività e di servizi che molto hanno a che fare con i problemi che abbiamo noi nella nostra realtà lavorativa. Non a caso si parla per il Comune di Milano di applicare il contratto del commercio perché probabilmente è quello che, anche sui temi dell'apprendistato , dei contratti a termine, della flessibilizzazione dà mano lunga ai padroni per sviluppare le loro politiche selvagge nei confronti del mondo del lavoro. A proposito, così come Berlusconi promette da una parte in spot pubblicitari lavoro, anche il mio padrone dice in altri spot pubblicitari che dà lavoro e dall'altra parte chiede un ulteriore anno di cassa integrazione dopo aver rilevato, anche con i soldi pubblici, un'azienda di 700 persone. Questo la dice lunga sulla situazione di certe realtà lavorative cosiddette forti rispetto ad alcune realtà polverizzate, ad es. le imprese di pulizia su cui c'è poca attenzione, perché molti sono le compagne e i compagni che noi dovremmo, in una sinistra plurale, cercare di coinvolgere nel rimettere insieme l'organizzazione di questi lavoratori precari che hanno delle condizioni soggettive e oggettive di difficoltà rispetto alla partecipazione della vita del partito. Credo che la questione di come si sta dentro il partito, di come si organizzano i compagni e le compagne che hanno un lavoro precarizzato sia uno degli aspetti fondamentali, e in questo ci riconosciamo nel documento nazionale, ed anche nella relazione che a Milano è stata fatta all'attivo di preparazione di questa conferenza, documento che abbiamo apprezzato per il senso e il significato che la relazione poneva al dibattito delle compagne e dei compagni in quell'attivo, che era partecipato, non soltanto da un punto di vista numerico ma rispetto all'attenzione che i temi posti all'attenzione dei compagni erano specifici e concreti. Il dibattito alla federazione milanese è andato un passo avanti rispetto alcune situazioni, a come il Partito deve attrezzarsi per cercare di riorganizzare la battaglia politica dentro il sindacato, nella società in generale. Non a caso la questione della Postal Market è un problema emblematico, anche dal mio punto di vista, come militante del partito, perché pone come le donne come i tempi come le questione che c'erano dentro la relazione di questo documento poi di fatto riusciamo a dare risposte concrete all'organizzazione al dibattito politico alla partecipazione alla vita del partito. Credo che allora superare le contraddizioni, superare anche divergenze che ci sono state su singoli aspetti sia uno dei punti importanti di questo dibattito che abbiamo sviluppato anche a Milano facendo un passo avanti significativo. Ribadire da parte nostra che c'è l'esigenza di organizzare dei luoghi di lavoro comunisti sia dentro che fuori il sindacato (ma questo non è un problema se stare dentro se stare fuori); stabilire anche come si organizza il sindacato, perché l'esperienza della Postal Market porta a chiedere questo come si organizza l'attività dentro il sindacato, come la sinistra sindacale si organizza come ci si attrezza al dibattito politico e come, secondo me è necessario che il partito organizzi anche momenti di coordinamento di questi lavoratori a livello nazionale e a livello locale. Crediamo questo sia importante per non disgregare ciò che è già troppo disgregato nelle attività lavorative. Voglio anche sottolineare che, mentre condividiamo in generale il documento presentato alla discussione, c'è un punto critico sottolineato dalla Federazione di Milano in un documento che è stato votato a stragrande maggioranza con solo 5 contrari.

Per quanto riguarda la questione sindacale al centro del dibattito del nostro attivo, va rivista l' impostazione del documento nazionale dove afferma il definitivo esaurimento degli spazi all'interno dei trasporti, e più in generale dei servizi pubblici per la modifica delle politica del sindacato confederale. Se il nostro obiettivo primo è quello del radicamento, non possiamo non tenere conto che la CGIL per i comunisti rappresenta il terreno più praticabile per estendere la propria influenza e contendere alla sinistra moderata proprio su quello che è il più importante insediamento sociale." Questo era il punto che abbiamo discusso anche nel nostro attivo, che è importante perché è collegato a tutto il ragionamento che viene fatto nel documento ed è per questo che invitiamo i compagni a leggere il documento e la relazione fatta nella federazione milanese.

 

 

G.Paolo Patta - Segreteria Nazionale CGIL

 

Vi ringrazio per l'invito a partecipare ai vostri lavori, che è stato particolarmente gradito. Nel tempo assegnatomi cercherò di fare il punto su una situazione particolarmente critica della vita della CGIL. Come sapete, la maggioranza con un atto autoritario ha stabilito lo slittamento del congresso dell'organizzazione. Un atto che non abbiamo condiviso, sia nel metodo, perché riteniamo grave una violazione dello statuto, sia nel merito. La scelta politica, perché di questo si tratta, di spostare il congresso al prossimo anno, significa porre la CGIL in una situazione difficile nel rapporto con il mondo della politica e dei partiti. In maniera particolare, con la crisi che molti intravedono dopo le elezioni del partito maggiore della sinistra, che si appresterebbe a realizzare il proprio congresso. Appare evidente a tutti che lo svolgimento del congresso della CGIL a valle di queste scadenze rischia di trasformare il congresso della CGIL in una vena politica esattamente parallela alle vicende del partito dei Democratici di Sinistra, in un momento in cui, qualora dovesse malauguratamente vincere la destra, avremmo bisogno invece di tutta la forza di un sindacato confederale per reagire alle proposte che Berlusconi ha già avanzato e lanciato nella propria campagna elettorale.

Rischiamo di aggiungere crisi a crisi. Sia per un fatto formale, che per noi è anche di sostanza, sia per un fatto politico, abbiamo combattuto questa scelta. Noi riteniamo che questa organizzazione, anche per affrontare il prossimo futuro che non si presenta facile per i lavoratori, abbia bisogno innanzitutto di fare un bilancio degli anni '90, del proprio ruolo, della propria collocazione, delle proprie parole d'ordine. Per questo abbiamo realizzato un documento, come Lavoro e Società, che autonomamente abbiamo già consegnato alla discussione congressuale della CGIL stessa e che traccia alcune linee fondamentali di bilancio. Linee di bilancio che peraltro non sono più solo nostre, perché, come si è visto, cominciano a emergere delle critiche a quanto successo negli anni '90 anche in settori più moderati, democratici e persino liberali della società non solo italiana.

Emergono ormai tutti i nodi della globalizzazione, non esiste più nessuno che esalti acriticamente il libero mercato come capace addirittura di creare situazioni di eguaglianza tra i paesi del mondo, fra i ricchi e i poveri del mondo. Anzi, la denuncia delle diseguaglianze ormai è forte, della miseria di larga parte della popolazione mondiale, degli squilibri che si sono creati tra gli stati. Come è forte la denuncia degli squilibri che si sono creati all'interno degli stati più forti, che hanno diretto la globalizzazione stessa: la situazione degli Stati Uniti ormai è a tutti evidente, un paese in cui i lavoratori sono fortemente indebitati, 70 milioni di cittadini esclusi dal sistema sanitario, l'1% della popolazione che detiene il 40 % circa delle ricchezze, retribuzioni dei lavoratori ferme a 20 anni fa, diseguaglianze profonde di razze, apartheid ecc. Una situazione che può precipitare anche in una crisi grave.

Sappiamo che la globalizzazione non ha significato più democrazia, conosciamo il peso delle multinazionali nel mondo, che è cresciuto, capace di condizionare gli stati in maniera molto forte e senza precedenti storici; sappiamo dello svuotamento dell'ONU, sappiamo della sostituzione dei consessi mondiali attraverso il G8, attraverso il consesso di nazioni molto forti e molto più limitate. Nello stesso tempo sappiamo che il proseguire della globalizzazione liberale a livello mondiale, porterà una forte destabilizzazione al mercato sociale, così come viene definita l'Europa, e che l'obiettivo fondamentale dei prossimi anni è lo smantellamento dello stato sociale europeo. Stato sociale che, a parole, tutti difendiamo in Italia come modello di riferimento e che vorremmo portare avanti anche con processi di democratizzazione dei processi unitari europei, togliendoli alle burocrazie finanziarie e a un' élite ristretta di burocrati o di membri degli esecutivi nazionali; e però nello stesso tempo vorremmo conciliarli con i trattati di Maastricht, con un impianto liberista, con un impianto che vorrebbe privatizzare largamente servizi sociali, interventi nell'economia dello Stato ecc. Contraddizione che attraversa le organizzazioni politico sindacali italiane maggiori, ed in particolare la CGIL. Non è un caso che con questo impianto abbiamo pagato, in questi anni, nel nostro paese, dei forti prezzi sociali.

Ormai non siamo più gli unici, quindi posso essere breve su questa parte, a dire a che in questi anni '90 si è creato uno squilibrio anche in Italia, come negli Stati Uniti, anche se di segno quantitativamente diverso, tra redditi da lavoro dipendente e profitti. Non siamo gli unici ormai a dire che questi profitti non sono trasformati in investimenti, non sono serviti a riequilibrare la situazione tra il nord e il sud dell'Italia. Non siamo gli unici a dire che 900 mila miliardi italiani sono in giro a partecipare alla globalizzazione liberale nelle varie piazze finanziarie, e che pertanto riduzioni e sacrifici dei lavoratori hanno significato soltanto distribuzione ineguale della ricchezza di questo paese e meno opportunità di sviluppo ed emancipazione per larga fetta della cittadinanza. Questo io ritengo sia un bilancio importante, e noi riteniamo che una responsabilità grossa l'abbia l'organizzazione confederale dei lavoratori, in maniera particolare quando decise di liquidare la scala mobile e di sostituirla con l'impianto del 23 luglio. Impianto che come sapete non appartiene al passato, ma è ancora vivo, e in questi momenti di effimera ripresa crea addirittura effetti peggiori, perché come è noto hanno inchiodato i lavoratori al recupero (forse) dell'inflazione, ma abbiamo dei dati che contestano questa affermazione, mentre l'aumento della produzione della ricchezza non va per niente a chi la produce, a chi partecipa alla produzione, cioè ai lavoratori.

In fase di ripresa, chi pagherà ancora il prezzo nei prossimi anni saranno i pensionati e i lavoratori e per questo, quindi, che quando proponiamo un bilancio guardiamo al futuro, e diciamo ai lavoratori italiani guardate che se continuiamo con questo impianto, non solo non avere certezze contrattuali, ma addirittura peggiorerete la vostra situazione.

L'adesione al trattato di Maastricht l'abbiamo pagata non solo sui redditi ma rischiamo di pagarla con una frammentazione senza precedenti della situazione italiana come anche di altri paesi europei.

Abbiamo dei fronti che si stanno aprendo, che vinca o meno Berlusconi, e che sono ancora più gravi, forse, della emergenza retributiva che stiamo affrontando: mi riferisco al fatto che in questo paese verranno messi in discussione radicalmente i diritti di cittadinanza dei lavoratori, dei cittadini, dei pensionati; intendo dire che stanno avanzando delle riforme, compresa quella costituzionale approvata dal centro-sinistra in prima lettura alla Camera e al Senato, per la quale anche sui diritti del lavoro, sui diritti della salute, sui diritti dell'istruzione, rischiamo di avere la moltiplicazione degli Storace dei Formigoni in Italia con una legittimazione addirittura costituzionale.

Significa che per avere una sanità uguale dovremo lottare di nuovo, una sanità per la quale non saranno previsti neanche le prestazioni di base come adesso, ma che verranno definite regione per regione, magari attraverso l'ausilio delle assicurazioni private e coi fondi integrativi a base regionale; ci saranno delle regioni che pretenderanno di legiferare sul lavoro, riaprendo la possibilità di licenziare i lavoratori senza giusta causa, come proposero i radicali.

Questo si aggiungerà, nel caso dovesse vincere Berlusconi, a una destrutturazione ancora più forte dal punto di vista del contratto del lavoro, ad una ripresa della disoccupazione, ad una negazione del contratto come forma di rapporto fra padrone e lavoratore; una situazione quindi gravissima, ed è su questo che negli anni '90 la CGIL non è stata in grado di rispondere ai settori più deboli del paese. Una confederazione si giustifica innanzitutto perché capace di affrontare le questioni dello stato sociale e la difesa dei più deboli, come nella storia della CGIL.

Io non credo che sia più accettabile, lo dico per tutta la sinistra, lo dico in maniera particolare per il sindacato, un disinteresse, che invece noto non essere presente nella relazione ai vostri lavori, per quanto riguarda i più deboli in modo particolare i giovani, le donne e il meridione (e molte volte è lo stesso soggetto che somma in sé tutti questi aspetti). Non è tollerabile; va aperta una discussione di riforma e di riequilibro dello stato sociale per non abbandonare soltanto alla famiglia il sostegno dei giovani e dei disoccupati in momenti difficili della propria vita; occorre riaprire un riequilibrio sulle spese dello stato sociale, pensando a un riequilibrio con le spese europee per riaprire capitoli che in Italia non sono mai stati affrontati, e che invece nelle vostre relazioni hanno uno spazio significativo e importante e che devono aprire una prospettiva di riforme e una capacità della sinistra di riparlare ai giovani, cosa che da anni non riusciamo più a fare, come agli strati più emarginati.

E da ultimo, anche se è il primo punto, noi vorremmo far delle domande a tutta la CGIL, ai lavoratori, poi anche al gruppo dirigente: cari compagni in questi giorni la Yugoslavia, i Balcani, sono ritornati al centro dell'attenzione, e sempre per fatti drammatici. La denuncia sulle bombe ad uranio impoverito (e non solo impoverito) che sono state usate, pongono una domanda, ma cari compagni che parlavate di "guerra umanitaria", voi che siete nati contro la guerra (la CGIL viene da quel tipo di storia) come siete riusciti ad unire i due termini "guerra" con "umanitaria" quando uno dei due nega assolutamente qualsiasi rapporto con l'altro?

In conclusione vi ringrazio dell'invito alla vostra Cnferenza. I compagni della CGIL iscritti a Rifondazione Comunista sono parte essenziale del progetto "Lavoro e Società". Noi andiamo un po' contro corrente, cerchiamo di essere uniti con molte opinioni diverse anche sul piano politico. Non sappiamo e non abbiamo la certezza se riusciremo in questa impresa, quindi come è noto e come sapete, noi rivendichiamo, per riuscire in questa impresa e non per uno sfizio, l'autonomia; però sappiamo che non basta l'autonomia. Abbiamo bisogno anche di aiuto, e l'aiuto dei compagni di Rifondazione Comunista per noi è essenziale, per riuscire in questa impresa, ed è per questo che mi permetto di chiudere dicendo che le vicende che abbiamo intrapreso sono anche e molto nelle vostre mani.

 

 

 

Maddalena Salerno - Responsabile Lavoro PRC Sardegna

Compagne e compagni, se è vero che uno degli obiettivi fondamentali che si pone oggi, questa nostra conferenza, è quello della ripresa del conflitto e della ricomposizione della classe, non possiamo non affrontare due questioni per noi rilevanti in questa direzione: la questione della ricomposizione di genere e la questione meridionale. Io prendo atto positivamente che alcune proposte contenute nel documento, e poste anche dalla relazione del compagno Zuccherini, sono segnate dal pensiero e dall'elaborazione delle donne. Penso alla riduzione del tempo di lavoro, al salto di qualità che abbiamo fatto nell'elaborazione e nella proposta, estendendo il concetto della riduzione dell'orario di lavoro all'estensione del tempo di vita, al miglioramento della qualità della vita dei lavoratori e delle lavoratrici; ma vedo, qui oggi ancora troppe poche compagne. Eppure la vera novità intervenuta nel mercato del lavoro negli ultimi decenni è stato l'irrompere massiccio in esso delle donne. Eppure le contraddizioni dell'espandersi del capitalismo colpiscono in modo particolare le donne in termini di accettazione di precarietà e flessibilità, di nuovo sfruttamento, ed emarginazione sociale. Non è possibile porsi oggi l'obiettivo della ricomposizione della classe senza il coinvolgimento delle donne, delle lavoratrici, la cui storia e condizione obbliga anche noi a ripensare profondamente tutti i problemi del mercato del lavoro, delle politiche per l'occupazione, dei contenuti e dei fini dello sviluppo. Il decremento del tasso di natalità, la scelta consapevole, non esclusiva, della maternità, l'avanzamento culturale crescente, la domanda formativa ricca e differenziata, la presenza della forza lavoro femminile nel mercato del lavoro come componente stabile e primaria pone la necessità di inevitabili processi di redistribuzione e di ridefinizione del lavoro e dei loro mutamenti sostanziali nella qualità del lavoro, nei tempi di lavoro e di vita. L'esperienza sociale della doppia presenza, in un contesto di rigidità dei ruoli richiede una revisione profonda del nesso lavori, tempi, organizzazione della società, del rapporto famiglia - lavoro - stato per una elevazione e una più ricca espressività, dentro e fuori il lavoro, delle donne e degli uomini.

Occorre un nuovo modello sociale e nuove relazione tra economia e vita, tra Stato e società alternative alle logiche di mercato e della globalizzazione.

Ritengo, compagne e compagni, che uno sforzo maggiore vada fatto in alcune direzioni precise, a partire dalla politica economica nazionale e dalla questione meridionale.

La critica del primato del mercato e dell'impresa capitalistica, la rivendicazione di un governo pubblico dell'economia e della piena occupazione, le proposte che noi avanziamo non sono ancora compiute a definire un progetto politico alternativo di costruzione di un diverso modello sociale e di sviluppo.

Credo vi sia oggi la necessità di una più approfondita analisi del processo di trasformazione del capitalismo e dei suoi comportamenti nel sociale e nell'economia e delle sue ricadute nelle condizioni di lavoro e di vita delle classi più deboli.

E' necessario riuscire a collegare la nostra lotta per creare lavoro e per liberare il lavoro con proposte capaci di trasformare la struttura della nostra economia, e quindi quale politica industriale, quale ruolo dell'agricoltura e del terziario, quale uso delle risorse, quale stato sociale, quale rapporto tra ricerca scientifica e ricaduta socioeconomica, quale rapporto scuola - formazione professionale - lavoro, quale uso del territorio e dell'ambiente e su quest'ultima questione ho apprezzato molto il passaggio qualificante del compagno Zuccherini nella sua relazione.

E anche sulla questione meridionale ,compagne e compagni, lo diceva poco fa anche il compagno Patta, uno sforzo in più va fatto. Un progetto politico di rinnovamento profondo della società e dello Stato, quale noi avanziamo, non può non assumere la questione meridionale e la sua soluzione come grande questione politica e democratica, come fattore strategico per la costruzione di una società alternativa.

Se noi pensiamo a quella che è la storia dell'intervento pubblico nel mezzogiorno e a quello che esso ha prodotto, in termini di permanere di marginalità economica, di espansione della disoccupazione di massa, di dissesto ambientale e territoriale, di assetti civili e sociali, di condizioni materiali di vita dei cittadini, non possiamo non giungere alla conclusione che la marginalizzazione dell'economia del sud è stata ed è funzionale al modello di capitalismo italiano.

La stessa esperienza dei nuovi strumenti della programmazione negoziata, dei contratti d'area, dei patti territoriali, nati e concentrati nel meridione, il decentrarsi al sud da parte di gruppi industriali del nord, di attività economiche marginali, capaci però di realizzare alti profitti con la precarizzazione, la flessibilità , i bassi costi della manodopera, mantenendo però al nord le funzioni strategiche più qualificanti e pregiate del ciclo produttivo, sono emblematiche della strategia del capitalismo italiano.

Sono sufficienti, mi chiedo, dinanzi a questo quadro dinanzi ad un tasso di disoccupazione del 21%, che significa anche che il 61% dei disoccupati italiani vive nel meridione, le proposte che noi avanziamo, possiamo, compagni andare oltre il salario sociale, che è una proposta che io condivido perché è giusto considerare l'aspetto dell'emergenza della liberazione del bisogno e dal ricatto, ma è necessario e giusto rimuovere quei fattori che provocano l'esclusione sociale e politica dei giovani meridionali garantendo loro il diritto al lavoro.

La nostra parola d'ordine, prioritaria, deve diventare quindi piena occupazione nel mezzogiorno. E' necessario dunque uno sforzo maggiore per definire una nostra proposta che indichi per il meridione trasferimenti reali di risorse, servizi, infrastrutturazione, per creare le condizioni di uno sviluppo equilibrato e diffuso che rilanci la costituzione di un'agenzia per lo sviluppo e l'occupazione nel mezzogiorno. Ma la questione meridionale assume una valenza fondamentale anche per quanto riguarda un altro punto fondamentale, affrontato dal documento preparatorio della nostra conferenza, e cioè quello dell'individuazione della costruzione, dell'organizzazione del soggetto antagonista del soggetto della trasformazione, e quindi del problema della ricomposizione e della riunificazione del conflitto.

Abbiamo detto della frammentazione sociale e della scomposizione della classe lavoratrice, delle solitudini, della mancanza di socialità e di solidarietà, delle nuove forme di sfruttamento. Credo che il meridione rappresenti bene la situazione descritta, la sua complessità e quindi le difficoltà di individuare e capire il conflitto, a leggerlo ed organizzarlo per costruire una controffensiva unitaria capace di modificare l'attuale realtà sociale e politica. Ritrovare quei collanti identitari, nella molteplicità delle condizioni di lavoro e di non lavoro, di contratto di collocazione territoriale e settoriale, di genere in un contesto nazionale unitario è un compito difficile ed ambizioso che richiede più forti capacità di analisi e di proposta, ma è un percorso necessario per costruire il nuovo Partito Comunista di massa.

Il compagno Zuccherini nella sua relazione ha citato Gramsci, anche per quanto riguarda la questione meridionale, noi dobbiamo ripartire da Gramsci, dalla sua intuizione di individuare la natura storico politica della questione meridionale e di porla al centro dell'elaborazione strategica del pensiero comunista, dei suoi programmi e delle sue battaglie, non solo per il riscatto del sud, ma come fatto fondamentale per la costruzione di uno stato democratico e di una società alternativa.

 

 

 

Giorgio Pellegrinelli - Lavoratore IBM - Torino

 

Chiedo scusa all'assemblea e anche ai compagni di Torino, perché avendo il compito di riassumere una discussione che ha visto almeno 25 interventi, una dozzina di documenti preparati collettivamente, è un po' complicato, non riuscirò sicuramente a rendere conto del dibattito e delle proposizioni che lì sono emerse.

Noi a Torino e in generale nel Piemonte, ci siamo concentrati su due questioni, una evidente, la Fiat, alla luce del patto General Motors, e la seconda è la questione della precarietà.

Abbiamo utilizzato la vicenda Fiat e le conseguenze probabili dell'accordo con la General Motors per affrontare (e abbiamo verificato che questo ha valenza generale per molte altre situazioni) il problema delle modifiche degli assetti industriali che sta da una parte nella scelta di finanziarizzazione, a scapito della logica industriale, di uscita dall'alto, di cessione di quello che era il prodotto qualificato all'interno della realtà torinese e piemontese in senso più lato; questo non è nient'altro che la ragione per cui ci ritroviamo a vedere modalità a cui abbiamo assistito anche negli ultlimi anni, ma che vengono accentuati negli ultimi mesi e giorni, di modalità di dismissioni, di terziarizzazioni, con tutte le conseguenze, sul piano occupazionale da in lato, i bilanci occupazionali del gruppo li sapete, perché anche Liberazione ne ha parlato, e soprattutto il peggioramento delle condizioni di lavoro.

Per non rifare un'analisi, che al limite attraverso i documenti che i compagni hanno prodotto, potete rileggervi più con calma, io vorrei riassumere semplicemente il succo politico di questa nostra discussione. Succo politico che dice: per affrontare questi processi, parlavamo di Fiat ma il ragionamento vale per la Pirelli, vale anche per aziende della siderurgia, come ricordavano i compagni stamattina, noi dobbiamo sicuramente attivare i processi di resistenza, questi sono quelli immediati, la risposta immediata, ma soprattutto e questo è un grosso problema perché va in controtendenza, dobbiamo rilanciare il ruolo pubblico nell'economia. Non siamo in grado di salvaguardare neppure l'esistente, e sicuramente non siamo in grado di qualificare le produzioni, senza un intervento, una ripresa del ruolo "dirigistico", dirigente nei processi di ristrutturazione industriale, di cessione dei grandi gruppi ecc.

Per finirla con uno slogan, però credo che sia uno dei compiti che noi dobbiamo assumere in questa conferenza, noi, senza un progetto di politica industriale, non reggiamo neanche la difesa delle condizioni materiali quotidiane. Questa questione riguarda tutto il settore auto, riguarda le telecomunicazioni, che a Torino viviamo anche attraverso i processi Telecom, riguarda la Seat. Riguarda processi industriali in senso stretto, sia processo che in senso largo possiamo attribuire a un'economia più o meno nuova ma in cui i meccanismi di finanziarizzazione e di esportazione dall'Italia sono presenti con tutte le ricadute sul mondo dei lavoratori.

La seconda questione che abbiamo affrontato è quella della precarietà. L'abbiamo affrontata e anche documentata, nel senso che anche sui banchi fuori potete trovare le due inchieste fatte nella zona Settimo, essenzialmente in fabbriche dell'area chimica e invece fatte all'interno del gruppo Fiat, inchieste che hanno prodotto anche dal punto di vista dei numeri uno specchio della realtà, e hanno fotografato anche bene qual è il livello di precarietà che vivono i lavoratori. Precarietà che è quella degli insediamenti, degli spostamenti, delle localizzazioni a cui accennavo prima, ma è anche precarizzazione delle condizioni di lavoro, attacco quotidiano alle condizioni di lavoro, dai ritmi, alla sanità, alla salute agli infortuni e alla stessa condizione salariale, e infine precarietà del mercato del lavoro che è quella che probabilmente di più associamo a questo concetto di precarietà.

Sulla prima parte, quella chiamiamola di deindustrializzazione, ho accennato, una nota devo fare perché il dibattito l'ha messa in luce con molta forza, è che questi processi di rimozione degli stessi insediamenti produttivi e lavorativi non tocca solo più le industrie, ci siamo abituati purtroppo nel privato da anni, ormai è venuta a maturazione, con effetti assolutamente drammatici, il compagno della Telecom che verrà dopo, probabilmente lo spiegherà sicuramente meglio di me, un processo analogo se non peggiore per certi versi, forse dovuto all'impreparazione di quelle fette di lavoratori in quei settori, in tutto il comparto pubblico; pensiamo a tutte le privatizzazioni, quelle delle aziende energetiche, quelle dei trasporti ecc. Quindi è un ragionamento che implica, che vale anche per tutti questi settori a cui noi dobbiamo rispondere. Abbiamo, per battere questa che noi abbiamo chiamato precarietà, soprattutto sulla questione delle condizioni di lavoro, abbiamo bisogno di una ripresa del controllo della prestazione, dalla rivendicazione salariale, alle garanzie sulla salute dei lavoratori, alla battaglia contro il peggioramento degli orari e all'intensificazione dei ritmi. Quindi, contrattazione come modo concreto per riprovare a controllare come si sta nelle fabbriche, come si sta negli uffici, come si sta nei posti di lavoro. Questo immediatamente, e anche qui molto schematicamente , perché credo che il tempo corra troppo velocemente, dobbiamo riaprire la battaglia sul ruolo delle RSU. Non possiamo permetterci di mollare su questo obiettivo, perché non esiste contrattazione reale se le RSU, se i rappresentanti sindacali non sono solo democraticamente eletti ma hanno anche potere di contrattazione sui posti di lavoro. Per finire anche qui con uno slogan, un punto fermo da porre all'attenzione della conferenza, ci sembra che se non si fa politica a livello alto, le politiche industriali, non si riescono a difendere le condizioni materiali. Questo è un altro elemento, perché molto spesso anche al nostro interno siamo divisi tra le grandi opzioni, che cosa fare, e poi la bassa macelleria della contrattazione quotidiana. Io credo che questo il dibattito metteva in luce un po', almeno a Torino, dobbiamo riavvicinare questi due termini del problema.

Mercato del lavoro, credo sia assolutamente inutile descrivere per l'ennesima volta una situazione che produce disastri da tutti i punti di vista, dal punto di vista della forza, della capacità di resistenza della divisione all'interno della classe ecc., probabilmente anche in commissione potremo sviluppare queste cose. Anche su questo, le gambe su cui ci sembra che il dibattito, almeno nella nostra situazione, abbia indicato ipotesi di lavoro sono due: uno la contrattazione, riunificare dentro la fabbrica, con le rivendicazioni concrete, col salario uguale per tutti, coi diritti uguali per tutti riportare a unità quello che la forma legislativa, i mille contratti hanno diversificato. L'altra cosa, e questa la sottolineo, i compagni chiedono una forte iniziativa legislativa del Partito, una forte campagna generale del Partito per provare a far tornare indietro, al limite anche con iniziativa referendaria, ovviamente da valutare se può vincere, per riportare un po' indietro e eliminare le forme di lavoro precario.

L'ultima questione é quella sindacale. In nostro dibattito evidenzia che non regge la disciplina, non può esistere qualcuno che dica si fa così, come non può reggere, non possiamo non rispondere alle critiche generali di una parte consistente di nostri compagni che nel SINCOBAS nel RDB dei trasporti ci dicono che la linea confederale non regge, anche perché in larga sintonia con la nostra analisi sulla incapacità della concertazione di portare risultati. Ci segnalano questo problema anche le rivolte vere e proprie trasversali, non di appartenenza sindacale dei lavoratori della Telecom o dei lavoratori della scuola per citarne alcuni. A questo punto, sempre per parlare di noi, e non delegare a nessun altro un mestiere che dobbiamo fare noi, il nostro Partito crediamo debba aver un doppio scatto: da una parte, e veniva riproposto stamattina, la definizione di una piattaforma contro la concertazione, una piattaforma che non solo identifichi, e l'abbiamo in larga parte fatto, quali sono le necessità per andare contro il processo di globalizzazione e liberalizzazione, ma soprattutto traduca questo in termini sindacali, in termini che siano concretamente praticabili. E qui un'annotazione, chiamiamola di metodo: abbiamo la necessità anche di identificare i luoghi in cui la linea sindacale del Partito viene costruita, non per prevaricare gli organismi statutari, ma noi abbiamo bisogno di identificare sia quando si tratta di questioni di rilevanza generale, le piattaforme confederali, ma anche quando si parla di grandi gruppi, delle singole fabbriche dov'è che si costruisce la linea sindacale, perché molto spesso i compagni si sentono in qualche modo o incapaci di partecipare o addirittura in altri momenti travalicati da situazioni più forti.

Per finire, ed è l'ultima cosa, assieme alla piattaforma noi dobbiamo dare un'indicazione ai compagni, ma anche un patto tra di noi un patto tra i compagni che militano nelle diverse organizzazioni sindacali per assumere la capacità di esercitare la rottura quando la linea sindacale delle organizzazioni in cui stiamo non è in grado da una parte di collocarsi in quel progetto che collettivamente identifichiamo, ma soprattutto quando non è in grado di rispondere ai bisogni dei lavoratori e alle indicazioni che i lavoratori ci danno. Quindi da questo punto di vista il Partito deve anche assumere gli obiettivi ma anche dire ai suoi compagni molto brutalmente che bisogna praticare la rottura e l'unità dal basso anche delle diverse sigle sindacali su obiettivi in cui i lavoratori si identificano. La disaffezione al sindacato sta, non solo nella linea sindacale generale, ma soprattutto nell'incapacità di rispondere ai processi reali. Ai comunisti sta il compito di essere capaci di indicare non solo il progetto ma anche la praticabilità, ogni giorno nella contrattazione, nell'attività sindacale di ogni giorno, nella quotidianità la possibilità di praticare l'alternativa. Io credo che questo sia uno degli interrogativi, dei problemi più grossi che ha questa conferenza.

 

 

 

Emilio Carbone - Segretario Circolo Telecom Roma

 

Salto i preamboli per motivi di tempo.

Nel PRC, fino a oggi, si è parlato dell'information technology con termini dottrinali ed intellettuali, se pur giusti, ma che hanno contribuito a mantenere le percezione del problema, nell'immaginario collettivo legata solamente al business. Le telecomunicazioni hanno invece, per strutture e finalità una collocazione centrale negli interessi del paese e ne rappresentano uno dei massimi fattori della sicurezza nazionale, perché non esiste alcuna soluzione di continuità tra militare e civile. Purtroppo l'inesatta e discontinua informazione erogata al popolo elettore, non ha di certo aiutato a creare una coscienza, anche nel Partito e si fa più fatica a colmare la differenza di culture in merito, che ad affrontare decisioni politiche. Così quando è passata la valorizzazione economica della Stet - Telecom Italia, per agevolarne la privatizzazione, tale svolta epocale è sembrata a tutti solo una delle tante operazioni finanziarie che quest'Italia cinica e borghese ci ha ormai abituato a constatare. Anche noi abbiamo in parte contribuito a mantenere questo stato di cose, perché abbiamo effettuato un'opposizione che ha preso atto del processo, ma che non ha tentato, viceversa, di cambiare la percezione che tale operazione stava assumendo a livello mass-mediatico. Ci siamo rinchiusi in una difesa ad oltranza di principi sacrosanti, quali l'occupazione, ma senza tentare un'operazione di controinformazione a 360 gradi. A cosa sono servite materialmente la consulta del lavoro sulla nuova forma di organizzazione contrattuale denominata telelavoro, oppure sugli effetti della World Trade Organization, se non siamo riusciti a legare pubblicamente le analisi con dei concetti forti come l'affermare che uno dei massimi obiettivi del capitalismo è quello del controllo dei nodi di comunicazione, anche dei cosiddetti paesi alleati. Non sarà un caso se Francia e Germania mantengono il controllo del 51% delle azioni dei TLC, oppure gli States pongono tale settore al primo posto delle risorse strategiche nazionali. Se invece di effettuare dichiarazioni di principio avessimo affondato su questi temi, probabilmente i nostri esorcismi avrebbero avuto ben altro effetto. Quando parliamo di pensiero unico, di linguaggio universale mass-mediaticamente controllato in video e in audio, oppure contenuto in un software, è chiaro che in quel messaggio, nel microchip, sono racchiuse la politica liberista con le sue forme di organizzazione: i cicli di lavoro uomo-macchina che incrementano la flessibilità, le interazioni che generano a volte scelte indotte, variando i consumi e orientamento politico, il sottocontrollo delle comunicazioni fuori da qualsiasi ordinamento costituzionale o legge che dir si voglia, compreso lo statuto dei lavoratori. Nel nostro Partito si è parlato di cercare un'alternativa di società, ma tralasciando la lotta su queste tematiche e sottolineandone solo l'aspetto più abbordabile, l'effetto è sotto gli occhi di tutti cioè la tragedia del lavoro flessibilizzato, esternalizzato, sottopagato, senza garanzie. Per sciogliere il cosiddetto nodo sindacale che è pur sempre un obiettivo non più rinviabile, avremmo dovuto indicare la paese le strategie generali ed un piano industriale del settore alternativo a quello delle due composizioni governative neoliberiste. Per dirla in altre parole, è più facile attaccare politicamente il ragionier Colaninno perché rientra nell'immaginario comune del padrone cattivo e cinico, piuttosto che indagare il rapporto esistente tra le banche, i fondi internazionali, i poteri forti, è li la nostra inchiesta. Perché tangentopoli non ha toccato mai il comparto? Vi siete mai chiesti perché le commesse TLC nella pubblica amministrazione hanno visto la predominanza dell'americana EDS sulla nostra Finsiel; l'Olivetti - Telecom è stata conquistata dalla scatola cinese denominata Tecnost. Il reparto fotonica di Daltella è stato prima venduto alla Pirelli e poi rivenduto ai neozelandesi. L'Italtel è scomparsa dal core business di Telecom Italia per entrare sotto il controllo della Cisco, il progetto satellitare Iridium ha cessato di esistere. A quanto ammonta la perdita dell'autonomia progettuale del lavoro dopo questa lenta erosione del mercato, e la progressiva sostituzione della filiera produttiva italiana con quella anglosassone? Quando mai daremo delle risposte, se i compagni e le compagne, invece di unirsi, organizzarsi e analizzare tali processi, si dividono continuamente nei mille rivoli intellettuali che caratterizzano la galassia di sinistra? La competizione, per fare un paragone biologico è interspecifica tra confederali e destra, ed intraspecifica all'interno di ogni gruppo per l'egemonia e, a volte l'autoreferenzialità. Le discussioni, i programmi e a volte le delegazioni, anche nel nostro partito, sono viziate dall' appartenenza e si richiama spesso la linea del partito per stabilire chi è erede di qualsiasi possibilità di successo e chi invece, semplicemente apparendo, ottiene il mandato; ma il progetto dov'è? Ricordiamoci che il ruolo del sindacato è quello di impedire la concorrenza al ribasso delle forze lavoro; la nostra esperienza, come Circolo TLC, evidenzia invece la possibilità di vincere, stanno per essere reintegrati infatti i cassaintegrati portati fuori dal ciclo produttivo dagli accordi del 28 marzo del 2000, firmati da CGIL, CISL e UIL dinanzi al ministero del lavoro. Il lavoro congiunto del nostro Circolo con i sindacati extraconfederali ha di fatto sconfitto questa politica. Lavoro congiunto ma non subordinato, sottolineamo che sulla base della nostra radicalità abbiamo costruito un'azione congiunta con i circoli del lavoro dei DS e dei Socialisti Democratici, che ha spostato di fatto a sinistra l'asse

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Antonio Santorelli – FIAT - AVIO Pomigliano D'Arco

 

Vengo da una realtà che è il mezzogiorno del nostro paese che ha contraddizioni simili ma nello stesso tempo dissimili rispetto al nord est del nostro Paese, a questo territorio a questa zona del paese. E lavoro in una fabbrica che è la Fiat Avio di Pomigliano D'Arco, ex Alfaromeo avio, azienda di finmeccanica privatizzata da qualche anno da Fiat.

Ebbene, cari compagni, noi ci troviamo in una situazione, soprattutto nel pomiglianese, particolare sul sindacato vorrei capire un po' meglio quale posizione vera assume il nostro Partito; perché io milito nella FIOM CGIL e chiaramente faccio parte dell'area programmatica dei comunisti della CGIL. Vorrei capire realmente il nostro Partito quali intenzioni ha, perché molto onestamente dalla relazione del compagno Zuccherini ho compreso ben poco. Il dato di fatto è questo: c'è realmente da parte nostra da battagliare innanzitutto all'interno dell'organizzazione, poi in un secondo momento contro il padrone Fiat. E non è un caso, lo stiamo riscontrando perché se è vero com'è vero che alla Zanussi è accaduto che i lavoratori hanno saputo dire e affermare la propria dignità dicendo no ad un cattivissimo accordo, anche in Fiat Avio a Pomigliano sulla questione della flessibilità, l'80% dei lavoratori della fabbrica ha detto no ad un accordo; ad un accordo che introduceva i 18 e i 21 turni, il lavoro interinale e chi più ne ha più ne metta, e nello stesso tempo non riconoscendo, dal punto di vista salariale, che 35.000 lire mensili, compreso il sabato lavorativo. Abbiamo fatto, alcuni di noi nella CGIL, tra i lavoratori, una battaglia vera, concreta, in assemblea e l'abbiamo spuntata. Il punto è che la Fiat è passata in modo unilaterale, stiamo facendo praticamente la flessibilità; però io mi pongo e pongo al nostro Partito e a tutti i compagni questa questione: se FIM FIOM e UILM per la Zanussi rimettono al centro la contrattazione e quindi si dice che quell'accordo i lavoratori l'hanno bocciato e si rispetta la volontà dei lavoratori, perchè nel mezzogiorno questo non avviene, in Campania questo non avviene? Non avviene perché abbiamo le organizzazioni sindacali confederali che praticamente, soprattutto Fiat Auto di Pomigliano e la stessa azienda mia e l'Alenia, il polo industriale di Pomigliano D'Arco, stanno assumendo e i collocatori ormai sono divenuti FIM FIOM e UILM! Si pone anche un'altra questione, se è vero che noi dobbiamo far crescere il Partito nei luoghi di lavoro, è anche vero che è difficilissimo avvicinare i compagni del mezzogiorno che praticamente hanno il problema dell'occupazione per i propri figli. Diventa difficile nel momento in cui i delegati sindacali, soprattutto DS, ormai fanno ciò faceva alcuni anni fa la Democrazia Cristiana ed il Partito Socialista a Napoli come qua nel Veneto; praticamente è difficile riuscire a trovare un punto di intesa con i lavoratori e rimettere al centro obiettivi che sono nostri e che riguardano la vita quotidiana sul posto di lavoro e all'interno della società. Allora se accade tutto questo c'è realmente da ripensare a come, in che termini e in che modo il nostro Partito risolve la questione del sindacato, perché anche per la nostra conferenza delle lavoratrici e dei lavoratori, punto fondamentale e dirimente diviene la questione del sindacato. E' arrivato il momento in cui il nostro Partito deve decidere da che parte stare! Non è possibile imporre ai compagni che stanno nelle organizzazioni extraconfederali di confluire nella CGIL. Però decidiamolo, lo decida il Partito che è arrivato il momento di mettere al centro un nuovo soggetto sociale di classe un sindacato generale di classe, noi abbiamo bisogno di questo, non penso solo nel mezzogiorno, ma nell'intero Paese; perché guardate, quello che accade a Pomigliano io penso che accada anche in altre regioni, il nostro Partito può essere punto fondamentale per la risoluzione dei problemi e degli obiettivi che hanno i lavoratori. Non è un caso che il nostro Partito ha messo al centro in tre mesi la questione del salario sociale, ed a Napoli è riuscito a coinvolgere centinaia di giovani, di disoccupati che poi praticamente, alla fine, non riusciamo a tenere insieme perché, volenti o nolenti, la nostra è un'organizzazione, è un partito ancora piccolo che non riesce a svolgere questo ruolo organizzativo. Allora bisogna ricostruire, ma ricostruire soprattutto la coscienze, e secondo me punto fondamentale per la ricostruzione delle coscienze è ancora, anche se stiamo ormai in una fabbrica che è post-fordista, la fabbrica. La contraddizione tra capitale e lavoro soprattutto in fabbrica la si vive sulla propria pelle, ed è vero quello che diceva all'inizio della sua relazione Zuccherini, che il modello americano porta povertà, che il modello americano praticamente distrugge la dignità delle singole persone e del singolo lavoratore. Soprattutto nel mezzogiorno questo è visibile perché, cari compagni, se è vero che qua c'è una realtà che va verso precarizzazione e verso la flessibilità totale, è anche vero che ciò avviene nel mezzogiorno, però con il fatto che praticamente qui in una famiglia ci sono due o più redditi, mentre a Pomigliano e nell'intero mezzogiorno, avere un lavoro, avere l'onore di avere un lavoro è una questione fondamentale per poter creare un minimo di futuro. Con l'introduzione del lavoro interinale, del lavoro a tempo determinato questo non è più possibile. Quello che chiedo al nostro Partito e che per es., se che noi crediamo fino in fondo che bisogna combattere e sradicare la filosofia della precarizzazione, dobbiamo ammettere che abbiamo fatto un'errata valutazione nell'accettare il pacchetto Treu. E' il pacchetto Treu che ha introdotto nel nostro paese precarietà, flessibilità e chi più ne ha più ne metta. Questa è la verità che noi abbiamo davanti, partiamo da questi errori per poter rilanciare il nostro Partito, la nostra organizzazione, e mettere al centro del Partito il concetto di classe, il concetto di egemonia della classe operaia.

 

 

Sergio Bellavita - Coordinamento nazionale RSU

 

Io credo innanzitutto che questa giornata sia importantissima, per quello che riguarda i momenti di discussione che all'interno del Partito riusciamo a trovare sulla questione sindacale, e in generale sulla questione lavoro, rispetto alla centralità che ancora oggi diamo a questa questione.

In realtà sarebbe stato utile allungare i tempi della discussione perché credo che siano molti i compagni e le compagne che volevano intervenire in questa sede.

Detto questo, ho sentito interventi che rilanciavano la necessità della ricostruzione, della costruzione o dell'obiettivo, anche con scadenze a breve periodo, per la ricostruzione di un sindacato di classe. Io credo che un sindacato di classe non si ricostruisca per una parola d'ordine lanciata. Io credo che rimpossessarci, ricostruire o costruire, al di là di alcune valutazioni diverse, un sindacato di classe debba essere un processo al quale il Partito deve tendere, l'obiettivo è la ricostruzione di un sindacato di classe, che è lo strumento dei lavoratori e delle lavoratrici per riprendersi tempo e salario, come dice la conferenza. Ma questo presuppone anche dei passaggi indispensabili che il nostro Partito deve dare rispetto le collocazioni dei singoli militanti all'interno delle varie organizzazioni sindacali, perché lo sappiamo, questo è il dato, Rifondazione Comunista, i compagni e le compagne sono collocati in organizzazioni sindacali diverse. Questa differenza di collocazione non può essere comunque un ostacolo su iniziative concrete, nelle mobilitazioni. Ricordo a tutti che il 1° maggio scorso c'è stata una grande manifestazione organizzata, guardacaso da quei delegati e quelle delegate della CGIL che non volevano, non hanno voluto regalare il 1° maggio al Papa, e hanno lavorato insieme alle organizzazioni sindacali del sindacalismo di base, alle forze sane del sindacalismo di classe, per organizzare, insieme a noi ed al variegato mondo dell'associazionismo, quella giornata, quella manifestazione. Credo che questo sia un po' il modello al quale dobbiamo tendere, quello di mettere insieme una sinistra sindacale esterna e interna ai sindacati confederali, perché questo è un dato di fatto del Partito. Dobbiamo fare poi anche un minimo di bilancio su quello che è oggi il percorso, su come noi ci muoviamo all'interno delle organizzazioni sindacali, quindi sulle diverse collocazioni, su qual è il ruolo oggi dei comunisti in CGIL, e nelle altre organizzazioni sindacali, e su quanto questa presenza possa poi ritrovare momenti unitari.

Per quanto riguarda la CGIL, io penso che si possa senz'altro dire che la costruzione una sinistra sindacale ampia è un obettivo positivo che va sostenuto. Questo tuttavia non ci impedisce di vedere i limiti di quell'aggregazione che si sta formando, ed il rischio pericolosissimo che quell'aggregazione diventi autoreferenziale, tagliando ogni ponte e legame con i delegati e le delegate, che sono coloro che poi faranno il congresso in CGIL, coloro che andranno nei luoghi di lavoro a parlare con il soggetto del congresso, che non sono le burocrazie sindacali, ma i lavoratori e le lavoratrici. E' questo credo l'impegno che dobbiamo chiedere come Partito ai compagni ed alle compagne che hanno responsabilità dirigenti nella CGIL, l'impegno a costruire momenti di discussione e di decisione anche e soprattutto con la partecipazione dei delegati e delle delegate. Non è possibile pensare di organizzare un'area, di affrontare una battaglia in CGIL recidendo quei legami con chi ancora nel mondo delle RSU fa iniziative e mobilitazioni. In questo senso va l'iniziativa che, come coordinamento nazionale RSU, abbiamo lanciato per i 14 febbraio, lo ricordava il compagno Zuccherini nella relazione introduttiva, di cui abbiamo apprezzato anche la sensibilità rispetto a questa iniziativa di mobilitazione. Noi la legge sulla rappresentanza la vogliamo, non abbiamo perso ogni speranza, non in questa legislatura evidentemente, ma chidiamo di avere la legge sulla rappresentanza alle forze politiche, e ci chiediamo anche il perché questo governo è stato capace in sei giorni di approvare una legge che taglia pesantemente il diritto di sciopero, mentre in sei anni non è stato capace di approvare la legge per la rappresentanza sindacale! Per questo saremo davanti a Montecitorio, per ricordare a lorsignori che questa legge va approvata, e che, come Partito, dobbiamo assumere, per la prossima campagna elettorale, questo tema che può essere un discrimine anche con le altre forze del centrosinistra. La questione della democrazia nei posti di lavoro per noi è prioritaria. Proprio in questo senso, organizzeremo la tavola rotonda, nella Sala della Provincia di Roma, per avere un confronto con i sindacalisti e le forze politiche che su questo tema si vogliono confrontare. Come si può vedere, il mondo delle RSU, nonostante una fase di arretramento pesante, qualche iniziativa riesce ancora a metterla in piedi, quindi non è che il lavoro materiale sia finito, insieme al lavoro materiale sono scomparsi anche i delegati e le delegate. Certo è che se al lavoro dei delegati e delle delegate in condizioni difficilissime, senza grandi strumenti, motivato più che altro da passioni e da ideali, perché è questo poi quello che ci spinge, si dovesse unire il lavoro anche di quei compagni e di quelle compagne che hanno cariche sindacali nella più grossa organizzazione sindacale nel nostro paese, che hanno gli strumenti, che hanno la possibilità di organizzare molto più di quanto l'abbiamo noi, forse la sinistra sindacale in questo Paese sarebbe qualcosa di più efficace e non sarebbe stata così debole nel contrapporsi a una maggioranza della CGIL che al di fuori dello statuto ha deciso che il congresso, la discussione, non si deve fare.

 

 

 

NatalinoTrinchero – Ex operaio FIAT

 

Vorrei partire da una considerazione, quella che nella mia vita, attività, impegno sociale e politico, ho fatto molta esperienza sindacale, dalle categorie dell'industria ai trasporti. Ora sono impegnato nell'amministrazione comunale in un piccolo Comune della provincia di Torino. Credo che ripensare un sindacato che faccia dell'autonomia il suo modo d'essere (autonomia dai padroni, dai governi, dai partiti) sia il punto centrale perché oggi non registriamo a nessun livello questa autonomia, né nei confronti dei padroni, né nei confronti dei governi, né nei confronti dei partiti. Certamente c'è poi una carenza di progetto nell'organizzazione sindacale, complessiva; sempre di più andiamo a discutere su piattaforme presentate dalle nostre controparti, da padroni da governi ecc. e noi cerchiamo, con queste organizzazioni sindacali, di limitare i danni. Ritengo anche importante che la contrattazione riparta dai livelli aziendali, dai luoghi di lavoro, partendo dall'analisi dell'organizzazione del lavoro, con piattaforme che tendano ad avere il salario come elemento centrale in questa fase, ma anche affrontando la condizione di lavoro che si registra all'interno di stabilimenti e nei luoghi di lavoro. Ritengo però anche importante che il livello di contrattazione non si limiti al luogo di lavoro, recuperando un ruolo del sindacato sui bisogni della gente e sui problemi di carattere territoriale. Dico questo proprio per l'esperienza che sto facendo: i problemi della gente hanno dimensioni intercomunale, quindi occorre ripensare anche a un sindacato sul territorio, intercategoriale. Faccio alcuni esempi: sanità - ASL, consorzi, assistenza, trasporti, nuove leggi regionali che parlano di aree intercomunali per rilanciare il trasporto pubblico, lo stesso per la casa e per il lavoro. Propongo questo avendo fatto anche un'esperienza negli anni tra il 75 e l'80, dove categorie del pubblico impiego e dell'industria si confrontavano perché insieme potevano portare avanti processi di riforma: ricordo l'equo canone, la riforma sanitaria (che poi l'abbiamo lasciata gestire dai baroni della medicina). Ritengo che quelle siano state esperienze importantissime che proiettavano il sindacato dal luogo di lavoro verso il territorio, e su questo, credo ci debba essere un grande ruolo del nostro Partito, con le stesse caratteristiche cioè con dimensioni e organizzazioni a livello intercomunale, per affrontare questi problemi. Non è un singolo circolo che riesce ad avere la forza per affrontare problemi di questa natura, naturalmente coinvolgendo la popolazione interessata.

Un'ultimo tema: la questione della previdenza. Si devono trovare le 200.000 lire per elevare i minimi da 720.000 a un milione, denunciando con forza il fatto che ci siano pensioni di 75 milioni al mese. Il nostro Partito non deve fare omissioni su questo. Credo sia altrettanto ingiusto che mentre gli si toglie la contingenza ai lavoratori, la contingenza continua ad esserci per i parlamentari, continua ad esserci per i generali, i magistrati ecc. Sulla storia di 1.300.000 lire al mese di aumento (l'ultimo avuto dai parlamentari) senza averne discusso, perché è automatico, in quanto sono collegati alle dinamiche dei magistrati ecc., credo che questa cosa, e non è questione di fare demagogia, sia una questione morale, si debba avere un maggiore impegno.

 

 

 

Lino Romanelli - Telecom Bari

 

Il Partito si interroga sulla condizione dei lavoratori, e ciò mi fa enormemente piacere. Si interroga a Treviso, e chi è venuto a tenere la conferenza provinciale a Bari dei lavoratori, sa e conosce il mio disappunto sul fatto che sia proprio a Treviso: non perché vogliamo discriminare Treviso, ma riteniamo che un'analisi più profonda sulle condizioni dei lavoratori e sulla precarietà e sul lavoro interinale e sulla disoccupazione, il Partito avrebbe dovuto farla lì dove sono più accentuati questi fenomeni, per cui la prossima vi prego, facciamola giù, non a Bari per forza, ma in un qualsiasi punto del mezzogiorno, anche per dare un minimo di sostegno, da parte di questo Partito, un minimo di solidarietà a questi lavoratori che vivono queste condizioni. Questa è la prima questione.

Contro la flessibilità e il lavoro interinale ci interroghiamo e dimentichiamo un fatto importante: poniamo la questione sindacale al centro della discussione e la questione sindacale è per il Partito divenuta una questione importante, prioritaria. Sentiamo i compagni della CGIL che ci dicono che è giusto contro flessibilità, precarietà, disoccupazione. Io sono un ex CGIL, milito nei Cobas TLC e pretendo da questo Partito pari dignità, fossi l'unico, fossi il solo iscritto a questo partito e ai Cobas TLC, pretendo pari dignità tra me e i compagni che militano dentro la CGIL. Dico questo perché i compagni della CGIL vivono una condizione di privilegio rispetto alle condizioni generali dei sindacati autorganizzati. I sindacati autorganizzati non vengono mai riconosciuti, non possono usufruire dei permessi sindacali, non possono svolgere assemblee durante l'orario di lavoro, quello che fanno e i risultati che ottengono li devono esclusivamente al lavoro nel tempo libero che è dedicato alle strutture sindacali ed alle rivendicazioni dei diritti dei lavoratori, mentre la CGIL (non i compagni di Rifondazione Comunista che militano dentro la CGIL) nel suo complesso, il meccanismo fatto di funzionari, firma gli accordi! La Telecom è un'azienda che ha chiuso con 5.050 miliardi di utili netti, compagni, la CGIL ha messo la firma sulla cassa integrazione e sulla mobilità dei lavoratori che hanno prodotto quei 5.050 miliardi e questo è un moto di indignazione che ho io dentro, perché viene qui il compagno Patta che vive con le strutture della CGIL, fa il funzionario in CGIL, viene qui e si prende la stretta di mano di Bertinotti. E quando nella relazione introduttiva del compagno Zuccherini sento dire che i Cobas sono un piccolo sindacato, io veramente sono indignato. Pari dignità, compagni, pari dignità, perché quello che noi riusciamo ad ottenere, militando nelle nostre strutture, va centuplicato rispetto alle potenzialità che hanno quei compagni che militano nella CGIL. I Cobas e il sindacato autorganizzato sono riusciti a vincere un art. 28 sulla cassa integrazione e sulla mobilità in Telecom. Perché sono riusciti a fare questo? Perché abbiamo mobilitato i lavoratori, utilizzando il tempo libero e siamo riusciti a portare 5.000 persone sotto il Ministero della Sanità! Salvi ha dovuto fare retromarcia. Però i compagni continuano a firmare accordi contro la volontà dei lavoratori. Qui è stato ricordato e apprezzo la relazione del compagno Zuccherini che ha ricordato nella relazione introduttiva che i lavoratori della Telecom hanno rigettato il loro contratto integrativo. Perché l'hanno rigettato? L'hanno rigettato perché è basato su una piattaforma fatta da confindustria che la CGIL ha firmato; ci vogliamo rendere conto di queste cose? Confindustria ha presentato la piattaforma! Non il sindacato! Su questo hanno ragionato e poi hanno raggiunto l'accordo. Ora attraverso la rete mediatica che ci è concessa, il potere informatico è anche questo, noi siamo riusciti a far sapere ai compagni prima che andassero a fare le assemblee, cos'era successo negli altri posti, perché c'è anche il fatto che non ci dicono tutta la verità! Quando noi rigettiamo gli accordi ci dicono guardate in Puglia avete votato no, però a Roma, Torino, Milano è stato votato si, prendetevela con gli altri colleghi. Questa volta non è stato così, il 75% dei lavoratori ha detto no a questo contratto! CGIL, CISL e UIL hanno fatto alcune piccole modifiche e ci hanno riproposto il contratto, che introduce il doppio regime salariale. Doppio regime salariale che non è di 100 - 200 mila lire, il contratto collettivo delle telecomunicazioni prevede per il nuovo assunto, rispetto il vecchio assunto, un milione in meno, un milione, compagni! Colaninno ha già dichiarato 30.000 esuberi, dove gli sceglierà questi 30.000 esuberi? Tra i nuovi assunti? E poi è davvero curioso, compagni, vi ricordate quando noi appoggiavamo il Governo Prodi attraverso la maggioranza? Il PRC è vero ha fatto un errore approvando il pacchetto Treu, però è stato anche capace di mettere tali e tanti paletti per poterlo rendere quasi inapplicabile; quando è stata fatta questa operazione, quando è stata presentata la legge sulle 35 ore in Parlamento, vi ricordate la CGIL che moto di reazione ebbe? Vi ricordate quale furono le parole della CGIL? Dissero voi ci rubate il mestiere, questo non è compito di un partito politico, noi vogliamo fare la contrattazione con il padrone; è davvero curioso che le stesse persone che dicevano che rubavamo il mestiere al sindacato, oggi ci vengono a chiedere che in un congresso sindacale noi non ci possiamo tirare indietro, li dobbiamo appoggiare, dobbiamo cercare di continuare a far vivere le loro strutture.

Compagni, la CGIL è una delle più grosse agenzie di lavoro interinale, non è più l'organizzazione che tutela e difende gli interessi dei lavoratori, è diventato il padrone in questa circostanza. E se è vero che il lavoro salariato è lo sfruttamento dell'uomo sull'uomo, se è vera questa cosa, il sindacato sfrutta i lavoratori sia come iscritti che come lavoratori.

 

 

Zaccaria - Cobas scuola

Siamo un gruppo di lavoratori dei Cobas scuola, iscritti a Rifondazione Comunista. Siamo sostanzialmente d'accordo con il documento di presentazione della conferenza, anche per i suo respiro ampio di cui avevamo effettivamente bisogno. Dobbiamo però toccare uno degli argomenti da noi ritenuto uno dei nodi fondamentali per riaprire il conflitto nel mondo del lavoro: la questione del sindacato. Molti di noi sono stati iscritti alla CGIL fino al 1987, era un'iscrizione critica, ma in fondo avevamo anche un punta di orgoglio per l'appartenenza ad un sindacato che le lotte le aveva fatte sul serio. Appunto le aveva fatte, ormai era un bel pezzo che questo non accadeva più, e tanto meno nella scuola. Quindi l'uscita dalla CGIL fu interpretata da noi come una vera e propria liberazione. I Cobas nell'87 erano riusciti a mettere insieme tutti gli spezzoni di movimento dentro la scuola e con lotte molto dure, pagate a caro prezzo in termini di tempo e di denaro, riuscirono a piegare il governo di allora, a mandare via il ministro Falcucci e a cambiare la manovra economica del Governo, con interventi a favore di precari (il precariato da noi esiste sempre), decreto Fanfani, e migliorando le retribuzioni dei lavoratori della scuola. In tutto ciò il sindacato era rimasto al palo, cioè era rimasto fermo, non aveva fatto nulla, anzi... La CGIL scuola subì un'emorragia di iscritti e i Cobas ne uscirono rafforzati. I sindacati confederali anziché andare al confronto, reagirono spingendo i vari governi, che si susseguirono, a una risposta repressiva: la legge 146 del 1990 è una legge contro il diritto di sciopero nel pubblico impiego (quella che si vuole adesso applicare anche al settore privato) e che commina sanzioni e multe a chi sciopera e scioperava. Personalmente sono andato sotto processo amministrativo tre volte per aver fatto sciopero. I sindacati confederali hanno contrattato la "razionalizzazione" del sistema scolastico che ha chiuso migliaia di scuole, che ha tagliato i servizi e ha fatto perdere migliaia di posti di lavoro (e chi li perde sono i famosi precari); hanno appoggiato governi che fino adesso con le varie finanziarie hanno tagliato, nel corso degli anni, 200.000 posti di lavoro, hanno fatto risparmiare dalla scuola qualcosa come 100.000 miliardi; hanno permesso il ricorso a dismisura del precariato, i precari sono oggi circa 150.000 con salario in continuo calo, forse molti non lo sanno, ma il salario medio annuo di un precario della scuola, anche se lavora da 15 anni, è sceso da 20 milioni annui del 1994 a 12-14 milioni annui adesso. Quindi adesso ci ritroviamo con il lavoro a tempo determinato, per i più fortunati 6 - 8 mesi, ma molto meno per la maggior parte, a tempo parziale (obbligato non scelto), a chiamata (come le supplenza di qualche giorno o di qualche settimana), a prestazione d'opera, assunti e pagati ad ore; sotto forma di assunzioni che da decenni sono presenti nella scuola e che ora sono state tranquillamente esportate nel settore privato (vedi il "job on call" alla Zanussi). I sindacati confederali hanno introdotto, fra lavoratori che fanno lo stesso lavoro, salari differenziati, premi che dividono la categoria, fino ad arrivare al salario individualizzato per premiare la cosiddetta professionalità (o forse è meglio dire la cosiddetta fedeltà). Che dire poi, nel nostro caso, della riforma dei cicli e dell'autonomia scolastica, che trasforma le scuole in Aziende con tanto di manifesti pubblicitari come al supermercato, e i soggetti sociali (perché per noi gli studenti sono soggetti sociali quindi in grado di intendere e volere rispetto i quali noi operiamo negli anni della trasformazione) vengono trasformati in clienti e quindi andranno nella scuola (o al supermercato) che li tratta meglio. I diritti sindacali, i diritti di assemblea, di trattativa che con un atto di imperio il ministro Berlinguer, su spinta della CGIL in particolare, ci ha tolto; di tutto ciò ed altro ancora il sindacato confederale è fino in fondo responsabile. Elementi simili si ritrovano in molti altri settori del pubblico impiego, dove spesso il sindacato confederale ha assunto anche atteggiamenti clientelari al di là della buone volontà di quei compagni che fanno il possibile e l'impossibile per arginare la deriva corporativa del sindacato confederale. In Rifondazione Comunista è un nodo irrisolto questo problema del sindacalismo confederale e del sindacalismo di base. Quello confederale è un sindacato di vertice, governato da una burocrazia, da sindacalisti di mestiere, che a forza di distacchi e separazioni dal lavoro, non comprende o non è interessato alle esigenze dei lavoratori, anche perché qualche volta gli toccherebbe tornare a lavorare! Un invito a tutti: chiudiamo con il sindacalismo come mestiere: ha fatto troppi danni, è stato troppo realista, ci sono stati troppi distaccati, per troppi anni dalle realtà produttive. E' una scelta che costa ma va fatta. Dieci anni fa Rifondazione Comunista e il PCI si sono divisi, è costato a quei compagni che hanno fatto la divisione, è costata moltissimo in termini di recupero e in termini di sedi, costi reali, materiali di ogni giorno. Ebbene Rifondazione Comunista dopo 10 anni è una realtà ben presente nel mondo del lavoro, ben presente nella politica di ogni giorno, ma ha fatto questo salto, e tutti i compagni che sono stati dentro sanno perfettamente che tipo di sofferenza c'è stata. Per creare il conflitto il sindacato confederale è il primo filtro da abbattere letteralmente (parlo per il pubblico impiego) tra lavoratori e controparte; spesso anzi nel pubblico impiego il sindacato confederale è controparte! In una situazione come quella delineata, in una CGIL per la quale la prospettiva non è il conflitto ma la concertazione, la riduzione al silenzio dei lavoratori e in ultima analisi l'accettazione della loro sconfitta, Qual'è il ruolo di Alternativa Sindacale o della sinistra CGIL? Noi Cobas della scuola ci siamo spesso trovati d'accordo sull'analisi e sui contenuti; abbiamo anche fatto manifestazioni insieme, sulla critica alle controriforme o sulla critica ai contratti, ma proprio l'esistenza stessa di Alternativa Sindacale legittima e rafforza la CGIL, dandole una falsa immagine "di sinistra" che la CGIL non ha. Ormai, da più di un decennio, gli unici ad aver creato conflitto nella scuola sono stati i Cobas che sono riusciti tra mille difficoltà ad organizzare il lavoratori, a porre obiettivi ugualitari e di "vera sinistra", portando allo sciopero quasi tutta la categoria e "facendo saltare" il ministro Berlinguer (il secondo in dieci anni) ponendo obiettivi di controtendenza come l'assunzione dei precari, aumenti uguali per tutti, il salario europeo per tutti i lavoratori (quindi non solo per noi insegnanti), difesa della scuola pubblica. Alle manifestazioni nazionali i Cobas portano in piazza decine di migliaia di persone Alternativa Sindacale viene con noi, e ne siamo felici, ma ne porta solo un paio di centinaia. Eppure, nonostante la volontà dei lavoratori, il sindacato, in particolare la CGIL, continua a volere gli aumenti differenziati (vedi l'ultimo incontro del 17 gennaio). In questo settore e in generale in molte alte parti del pubblico impiego, l'alternativa alla CGIL c'è. Bisogna lavorare per uscire in massa dal sindacato confederale e per ricomporre l'unità delle categorie nel settore del pubblico impiego sotto un'altra formazione sindacale, utilizzando l'esperienza che il sindacalismo di base ha svolto in questi anni nei posti di lavoro. C'è bisogno di quest'uscita, la CGIL del pubblico impiego ha concluso la sua esperienza storica ed è ora di cambiare.

 

 

Elettra Deiana - Direzione Nazionale PRC

 

Speravo che questo fosse un gruppo di lavoro più specifico sulla questione sociale e sulla questione sindacale mentre è una specie di proseguimento molto generale sulla discussione che c'è stata precedentemente. Tuttavia, visto che è una delle occasioni che si danno per introdurre temi che a me stanno molto a cuore, li introduco qui. Innanzitutto vorrei riprendere un aspetto che c'era nel documento votato dalla Direzione Nazionale e che il compagno Zuccherini non ha ripreso e che invece a me sta molto a cuore e dà l'idea di una strategia di cui ci dobbiamo dotare che abbia al centro l'idea, la sperimentazione, il progetto di una nuova confederalità del mondo del lavoro. Credo che occorra riprendere questo punto del documento nazionale e porlo come sfida ma anche come elemento di metodo per il dibattito che ci riguarda sulle diverse opzioni sindacali. Perché io credo che noi restiamo impiccati se continuiamo a discutere della grande questione sindacale come tifoserie di squadre diverse. E' terribile, io nell'87 ero a Milano, insegnavo nella scuola, feci tutta la lotta dei Cobas, con la tessera della CGIL in tasca che continuo ad avere, ho una grandissima simpatia politica per l'esperienza dei Cobas e anche per il generoso tentativo di mantenere e di sviluppare un'iniziativa sindacale nella scuola. Ho molta antipatia per l'ideologia dei Cobas, e qui ne ho sentiti di interventi, questo spirito di appartenenza sindacale che è terribile, è quanto di peggio possa esserci all'interno di un'assemblea come questa che dovrebbe avere il lavoro, la ricerca di quello che oggi ci fa fare un passo avanti in una esperienza di sindacato extraconfederale, sindacato di base, e quello che ci permette di non rompere i legami, perché la questione della battaglia e l'attenzione a quello che avviene nella confederazione CGIL non è quanto di cattiveria questa confederazione ha accumulato nel tempo; non possiamo venire qui noi di Rifondazione Comunista a dirci quanto la CGIL ha tradito, ha venduto, ha svenduto. Il punto è di rilanciare una nuova confederalità, misurando concretamente le varie esperienze sindacali, ricostruendo un punto di vista di classe, perché di questo si tratta, parliamoci chiaro! Allora il problema è che c'è un'opposizione a questo! I compagni contrari, quelli, gli ideologi dei Cobas o delle esperienze alternative, dovrebbero dirci perché, quali non frutti questo porta, cioè la discussione su che fare, la discussione sulle pratiche, la discussione sui punti avanti che si fanno, altrimenti è ideologia pura che non ci serve assolutamente a nulla, è ideologia su cui possiamo scaricare la nostra frustrazione, il nostro disincanto, la nostra rabbia, ma non ci aiuta a costruire niente all'interno del mondo del lavoro a ci abitua a pratiche distruttive che anziché mettere in gioco le risorse che nelle varie esperienze sindacali accumuliamo, ce le distruggiamo con questa rissosità interna.

Io invito il compagno Zuccherini, non c'è il compagno Bertinotti farà la replica domani, a riprendere con forza questo ragionamento sulla nuova confederalità, perché quello è il quadro strategico dentro cui dobbiamo misurare quello che facciamo concretamente nelle difficili esperienze sindacali, di base o confederali in cui in questo momento noi siamo impegnati. In questa nuova confederalità, e riprendo qui una cosa che ha detto il compagno degli Stati Uniti (ALF-CIO), uno dei punti discriminanti che noi dobbiamo avere come pura preoccupazione e progetto strategico è la rappresentanza del mondo del lavoro femminile! Anche qui, insomma, guardiamoci intorno, un consesso quasi tutto di uomini a parte una minoranza di compagne, nonostante l'invito che c'era stato a una conferenza in cui maggiormente avesse visibilità la parte femminile del lavoro dipendente, con uno sforzo soggettivo, perché anche qui, cari compagni, gli automatismi non premiano minoranze e parti deboli del mondo del lavoro, gli automatismi premiano quelli che sono più forti, gli organizzati. Nella rappresentanza sindacale, come in quella politica la parte più forte è quella maschile, perché è autorizzata storicamente a prendere in mano il destino di tutti e tutte, ma il destino di tutte non lo prendono, perché voi parlate del mondo del lavoro a partire da voi, quindi a partire da un'ottica, da un'esperienza da un modo di concepire le cose, quindi anche la questione sociale, del tutto maschile. Voi calate l'amnesia storica che c'è stata storicamente nel movimento operaio sulla parte del doppio lavoro, del lavoro di riproduzione sociale in ambito domestico, calate il velo su che cosa il doppio lavoro significhi nell'esperienza umana di una proletaria di fabbrica, di una disoccupata, di una inoccupata, di una subordinata. Il lavoro vivo il lavoro umano per voi non esiste, per voi esiste solo la vostra esperienza umana di lavoro, importantissimo ovviamente perché gli uomini valgono quanto le donne. Allora la questione della rappresentanza sindacale è innanzitutto per noi il progetto, fare emergere, rendere visibile tutto il lavoro e oggi mai come oggi il lavoro è femminile, femminile nei corpi e femminile come metafora, perché tutte le belle analisi che fate sul capitale passa colpendo i punti deboli della forza lavoro e le donne sono punto debole per le ragioni del doppio lavoro, della doppia mente, del doppio pensiero che impedisce loro di fissarsi su un punto e di costruire lì la propria forza di contrattazione come invece fanno i maschi. Allora noi dobbiamo avere questa centralità della questione sociale come questione di genere, oltre che di classe altrimenti siamo ottocenteschi. Questa questione qui che sono state, ovviamente per il patriarcato che ha dominato il movimento operaio nel '900 sono state dimenticate. Allora torniamo a Marx, come ci invita a fare il segretario. Tornare a Marx significa dire che la donna sta al maschio, queste sono parole di Marx, come il proletario sta al padrone, lo diceva in maniera un po' datata, ma è un elemento di verità assoluta su cui noi oggi dovremmo ricominciare a discutere, a ragionare, se vogliamo affrontare la questione sociale, la questione della rappresentanza sindacale all'altezza dei tempi, sia perché il mercato del lavoro è femminile in maniera ormai storico strutturale, non posso dilungarmi su questo, e perché la femminilizzazione è la metafora della condizione generale del lavoro precario, flessibile, interinale, il lavoro che nella parte debole, cioè nella parte femminile trova il punto di maggiore attacco, è una condizione generale, immigrati giovani, lavoratori deemancipati, e quindi è un grande terreno di inchiesta di costruzione di progetti e di linea politica e di impianto del Partito nei luoghi di lavoro.

 

 

 

OsvaldoBarba – Circolo Poste Napoli

 

Quando ci siamo prenotati per questi lavori siamo caduti tutti quanti, volutamente o no, in un gioco al massacro che pienamente fa merito alla tradizione di questa Regione, riportando a quello che Shakespeare rappresentava nella malsana battaglia tra Capuleti e Montecchi. Noi ci stiamo dividendo tra "sindacalisti autonomi" e "sindacalisti confederali". Allora ci presentiamo subito. Chi vi parla fa parte di un'organizzazione confederale, la CGIL, però è un iscritto a Rifondazione Comunista, però è uno che come il compagno della Telecom s'è svegliato, anzi non siamo andati proprio a dormire per venire qua e dire la propria relativamente ai problemi da riportare domani sui nostri luoghi di lavoro, nei nostri circoli. Quello che volevo dire era che, fino ad un minuto fa, e spero vivamente di dare anch'io un contributo per superare questa dimensione, noi probabilmente correvamo il rischio, e corriamo il rischio davanti un dibattito che però non parte da questo gruppo di lavoro ma parte da tempo memorabile, su che cosa sia più degno per un iscritto a Rifondazione Comunista che decida di fare sindacato. Se è più degno iscriversi ai Cobas a FLMU alla CGIL, e nessuno di noi si pone il problema che c'è da anni, da quando io frequento queste assise, che ci sono persone convinte, che si battono fino all'inverosimile, anche adesso che sono in pensione, perché questo problema si possa risolvere a prescindere dalle proprie posizioni, con una legge definita e chiare sulle rappresentanze sindacali unitarie di base, perché quello è ciò verso cui noi dobbiamo spingere! Poi troveremo sempre la differenza di iscrizione che nasce in nature, in articolazioni; io posso citare mille motivi per cui sono iscritto alla CGIL, ma non dirò mai al compagno che mi ha anticipato iscriviti a questa organizzazione perché probabilmente sono le mie motivazioni, sono le motivazioni che fanno in modo che io faccio la mia battaglia all'interno del mio luogo di lavoro, ma sono le motivazioni che hanno fatto si che io dialogo col compagno di Rifondazione Comunista che è anche di un'altra organizzazione. E' la battaglia grazie alla quale cerco di spostare anche in aziende con meno di quindici dipendenti la possibilità di fare rappresentanza sindacale a prescindere dalle sigle. E' la battaglia con la quale cerco di aprire il fronte dell'immigrazione, perché purtroppo i sindacati non confederali in questo fronte non riescono ad entrare. E' la battaglia con la quale entro e cerco di entrare fortemente anche coi compagni che non fanno sindacalismo confederale, in realtà dove è presente la camorra. E solo un sindacato che può dirsi articolato in un certo modo poi può aprire il treno a tutte le organizzazioni sindacali che entrano dentro (venite a fare sindacato a S. Giuseppe Vesuviano, dove gli imprenditori sono camorristi! Se non avete, purtroppo, un certo tipo di rappresentanza...). Perché noi parliamo di realtà di altro tipo, io voglio che vieni anche tu, io voglio che si rappresentino tutti quanti, ma la discussione qui nel Partito della Rifondazione Comunista deve essere come creare le possibilità per tutti di fare sindacato. Una è una legge sulle rappresentanze sindacali unitarie, sottoscriviamo tutti quanti la richiesta di fare il Sit-in della partecipazione, a prescindere dalle nostre appartenenze. Un'altra può essere aprire a tutto il mondo del lavoro la possibilità di votare i propri rappresentanti, a prescindere dalla presenza e dai numeri, perché questo diventa un vincolo che le aziende cominciano a dare ai lavoratori: noi teniamo le unità lavorative sotto le quindici perché il sindacato non entri, qualunque tipo di sindacato non entri. Discutiamo di questo, mettiamo questo sulla piattaforma unificante, poi ci dividiamo fra "guelfi e ghibellini", fra "bianchi e neri", qualcuno mi dirà che è più degno di me, anche giustamente me lo saprà dire, ma io voglio tornare sul mio luogo di lavoro dicendo il Partito della Rifondazione Comunista da la possibilità ai suoi militanti di fare sindacato libero e di classe.

 

 

Gianluca Liviabella - Trasporti

 

Mi sembra che la verve non è mancata nell'intervento precedente. E' stato un intervento "carico carico", e a me è piaciuto. Devo dirti bravo perché io dalla CNL dei trasporti, un sindacato di base avrei fatto lo stesso discorso, mi sembra che non ci dobbiamo fare la guerra, bensì costruire. Questa è la cosa principale, poi sul come ricostruire un sindacato dei lavoratori. Oggi il sindacato più grande è quello dei non iscritti, e manca un sindacato dei lavoratori. Quel compagno statunitense che ha parlato oggi, diceva proprio questo: 75 sindacati per i 13% di iscritti totali. Io non credo che sia la soluzione al problema. Allora o i lavoratori ne hanno bisogno là, perché se avessero un po' di bisogno credo che si organizzerebbero in qualche modo, oppure sono tutti matti, oppure sono tutti illusi di essere capitalisti, l'America è in grado di fare anche questo. Comunque veniamo a noi. Il problema, caro compagno della CGIL che hai "strillato" e hai "strillato" bene, è far capire a quelli che non sono di Rifondazione Comunista e che comunque sono lavoratori che la CGIL li sta tutelando, questo è il problema. Io ti dico una cosa: il nostro sindacato cresce da solo. Come rappresentante sindacale della CNL trasporti e iscritto a Rifondazione Comunista, porto avanti una battaglia comunista per i lavoratori, e non so cosa votano i lavoratori, si iscrivono al nostro sindacato. Il sindacato ha lavorato e sta lavorando ancora duramente, senza permessi sindacali, senza distacchi con permessi non retribuiti alle riunioni a cui l'azienda ci chiama. L'azienda ci chiama alle riunioni e noi ci andiamo con permessi non retribuiti, paghiamo per andare a parlare con l'azienda, mentre i nostri colleghi e qualche compagno nella CGIL ci va gratuitamente a caccia.

Mettiamola come ci pare, se noi vogliamo presentare un sindacato del genere, lo possiamo fare, e avremo i nostri risultati; se vogliamo presentare un sindacato che si impegna, che ricomincia dalla base, dai problemi dei lavoratori ad affrontare i loro problemi, allora è un altro discorso. Il problema che avete della camorra non è il mio, perché tu forse rischi la vita, ma il problema che ho io con la camorra a Perugia è ben altra cosa. Io non voglio parlare del caso personale però vengono portate altre tre o quattro persone (facendo ricadere la colpa su di me) a fare i turni dalla mattina alle 7 alla sera alle 9, questa è la cosa più bella che c'è che è tra noi che non vuole tempo e salario. 73.000 lorde per lavorare dalla mattina alle 7 alla sera alle 9, tempo e salario, flessibilità...

Per ricostruire un sindacato vero bisogna fare tutti un "mea culpa", non arroccandoci sulle posizioni ideologiche e sindacali; io sono pronta al confronto, ad aprire il confronto con tutti per ricostruire un sindacato, e i compagni dell'Umbria lo sanno perché noi abbiamo aperto la lotta per l'azienda unica di trasporto pubblica in Umbria, faremo sciopero, e parlando insieme faremo anche un volantino unico, lavoreremo insieme a quella parte di CGIL se vuole. Non siamo chiusi però siamo liberi, il nostro slogan è questo: sempre liberi, sempre.

 

 

 

Aurelio Speranza – CNL Trasporti

 

Noi stiamo riuscendo a facilitare il compito a chi ormai crede di aver vinto la secolare il secolare scontro tra capitale e lavoro e dice io oggi ho vinto e i lavoratori, i compagni e le compagne che stanno tra i lavoratori, sono occupati in altre faccende e pertanto non si stanno effettivamente riorganizzando nel conflitto tra le classi. Ho detto queste cose per un semplice motivo: io sto nel sindacalismo di base perché credo nella base e nel movimento di base. E' una scelta non ideologica, di costrizione, fatta in anni tremendi pesanti che hanno portato lo scontro sui posti di lavoro fino al punto che oggi vediamo i nostri figli (io ne ho una di 21 anni) che si affacciano al mondo del lavoro e trovano per la prima volta dal dopoguerra ad oggi una situazione di retroguardia; trovano un mondo del lavoro ed una società che abbiamo preparato in cui devono lavorare di più e a metà stipendio rispetto ai loro genitori. Trovano un mondo del lavoro in cui il ricatto mafioso e camorristico è costante tutti i giorni sul posto di lavoro e viene esercitato non soltanto dal padrone ma dai suoi preposti, viene esercitato costantemente anche dagli stessi lavoratori, anziani nei confronti dei lavoratori giovani, perché non c'è più la cultura dell'unità sul posto di lavoro, non c'è la cultura del sindacalismo in quanto confederalità e solidarietà di classe, forse perché stiamo troppo bene, non lo so. Il problema è un altro, non dobbiamo porre una questione sullo scontro tra questa o quella sigla sindacale; io ho avuto anche modo, rispondendo a un articolo che aveva scritto Augusto Rocchi della camera del lavoro di Milano, di dire la mia sul fatto che la CGIL aveva avuto un grosso successo nel settore dei trasporti e particolarmente nel settore della scuola dove il 90% dei compagni di Rifondazione Comunista sono iscritti alla CGIL, che è quello il punto di riferimento a cui il mondo del lavoro deve guardare. Ho avuto modo di dire che non è questo che noi dobbiamo chiedere a questa assemblea. Ho avuto modo di dire che la libertà di coscienza, di classe, deve condurre il lavoratori ad avere una piena autonomia di scelta organizzativa fino a che non c'è una ricomposizione della classe. Ma fino a che non c'è questo, ciò che noi dobbiamo chiedere in questa sede è che ci sia il nostro partito, che deve essere il punto di riferimento dei lavoratori e delle lavoratrici nei posti di lavoro sempre e comunque! Questo è l'elemento principale e secondo me dobbiamo discutere se lo stiamo facendo. Non lo so, mi auguro che lo stiamo facendo, io dò il mio contributo compagni. Una cosa è certa, che noi abbiamo verificato, per quanto riguarda il mondo del lavoro, una politica non coerente del nostro Partito sulle grandi tematiche, sulle grandi scelte del mondo del lavoro. E questa è stata una questione dettata anche dal nostro impegno politico, direttamente all'interno degli Enti Locali, delle Amministrazioni, abbiamo trovato, abbiamo verificato nella Scuola in altri settori, nei Trasporti, dei comportamenti diversificati, proprio perché non c'era un indirizzo politico su queste questioni del mondo del lavoro. Se riusciamo, dobbiamo far sì che ognuno di noi lavori a una ricomposizione sindacale. Io ho fatto la mia esperienza in CGIL tanti anni fa, sono sempre un sindacalista di base, ma se noi non mettiamo con chiarezza al centro della questione sindacale, non di sigla, che qualsiasi elemento rivendicativo, qualsiasi piattaforma, qualsiasi accordo raggiunto, se non ha il parere vincolante dei lavoratori e delle lavoratrici nei posti di lavoro, se non sono quelli che devono decidere della loro vita sul posto di lavoro, se non arriviamo a focalizzare questo elemento, allora altro che ideologie, altro che questioni burocratiche! All'interno di questo o di quel sindacato, la scelta deve essere dei delegati, e nessuno, neanche il nostro Partito, ha fatto un elemento di scontro "fino alla fine"; la questione della rappresentanza, è passata ad un'altra legislatura, e noi non abbiamo ancora una legge democratica sui posti di lavoro, e abbiamo anche una grossa discrasia, che penalizza i lavoratori e le lavoratrici, nel settore pubblico. Abbiamo comunque una legge che ha acconsentito un esigibilità, anche se non è la nostra legge, anche se non è il nostro modello sindacale, ma comunque ha dato la possibilità ai lavoratori e alle lavoratrici di eleggere, di esigere un loro momento contrattuale anche se non c'è piena libertà democratica per le espressioni delle RSU. Nel settore privato non è così, nel settore privato il padrone si sceglie l'interlocutore sindacale e anche quando abbiamo fabbriche che hanno mille dipendenti e fanno scioperi di 900 lavoratori e lavoratrici che scioperano e danno mandato a un sindacato che si chiama "la buccia di banana", bene questo sindacato in quella fabbrica dove 900 lavoratori gli danno il mandato, la delega, non può esercitare pienamente il proprio ruolo. Questo significa che noi non vogliamo cercare di ricreare, molecola per molecola, cellula per cellula, un grosso movimento di base.

 

 

Raoul Mordenti - Responsabile Lavoro PRC Roma

 

Anch'io credo che a volte noi non ci ascoltiamo: cioè anche i passi avanti che facciamo, se non sono recepiti, percepiti vengono ignorati e non ci aiutano a costruire, quasi che ci capiti di mettere la propria cassetta già pronta e fare nel dibattito pezzi di repertorio. Intendiamoci, può esserci consenso o dissenso sulla proposta che ci viene fatta, su quello per es. che ci ha adesso riassunto Stefano Zuccherini nella sua relazione introduttiva o sul documento nazionale, però ecco ci sia consenso o dissenso sull'oggi, non sulla situazione di qualche anno fa! Io credo che la piattaforma che è stata proposta a questa conferenza contenga delle novità: a Roma le abbiamo chiamate "passo in avanti". Su queste novità dobbiamo misurarci, col consenso o dissenso; da parte mia c'è un consenso pieno, ma senza fare andare indietro le lancette del nostro dibattito politico. In che cosa consiste questo passo in avanti? Provo a dirlo così come l'abbiamo capito noi: ci diamo come obiettivo politico, la costruzione di una nuova confederalità, di un sindacato di classe; è una novità questa, ieri non c'era, oggi c'è, ha ragione la compagna Dejana a dire che questo è un punto che noi dobbiamo assumere perché è una novità proposta da questa conferenza. Secondo: non affidiamo questo obiettivo alla mistica e neanche a scorciatoie di tipo organizzativo ma collochiamo questo obiettivo dentro un processo politico reale, un "movimento reale che abolisce lo stato di cose precedenti" c'è scritto sulle nostre tessere. Un processo reale che quindi sblocca, disincaglia, che dovrebbe riuscire a sbloccare e disincagliare l'antica "querelle" di tipo "CGIL si, CGIL no" (datatissimo e purtroppo anche qua risuonato), perché paralizzante, regressivo, perché proietta sull'altro i limiti nostri, perché carica con un gesto simbolico nell'altro i limiti. Che cos'è invece questo processo materiale, materialistico, politico? Io di nuovo l'ho capito così, noi a Roma l'abbiamo capito così: ci devono essere delle cose, dei fatti politici e degli elementi di linea politica su cui i comunisti si muovono, il partito si muove e dunque anche i sindacalisti comunisti si muovono e si riconoscono. Questo vuol dire che a un nostro compagno non gli possiamo, non gli dobbiamo, è sterile inutile, controproducente, chiedergli che tessere hai?... ma come stai ancora lì?... non hai ancora capito che lì c'è la nuova confederalità già fatta?... Ma invece gli dobbiamo chiedere che stai facendo tu, oggi, lì, nel posto dove ti trovi? Lotte, segnali, ma su punti che abbiamo cominciato a individuare: i salari, il tempo, i diritti sindacali per tutti, le RSU su cui noi diciamo una cosa, anzi andiamo a manifestazioni, ad iniziative parlamentari a farne tema di campagna elettorale, il diritto di sciopero, i diritti ed altri se ne potrebbero aggiungere. Allora perché questa strada è obbligata, perché non ci sono scorciatoie? Io provo a dire questo: perché la dislocazione diversa delle nostre compagne e dei nostri compagni nelle organizzazioni sindacali, allude a un problema di nuovo materiale di prima grandezza, cioè allude alla scomposizione sociale della classe, alla sua disarticolazione, al fatto che è stata investita dai processi di destrutturalizzazione che abbiamo conosciuto e analizzato, e sono processi profondi di rottura, di precarizzazione, di perdita di identità. Il problema della disarticolazione sindacale, dunque, allude a un processo materiale che noi abbiamo chiamato lavoro neo servile, nel senso che toglie l'erba sotto i piedi all'operazione sindacale in sé, perché quel lavoro probabilmente non è più neanche in vendita, perché è lavoro gratuito a livello di sussistenza, perché è lavoro pervasivo illimitato, non limitato né nel tempo né nelle modalità, e di nuovo la centralità del diritto, perché è lavoro concreto, e per questo ridiventa utile per tutto il movimento il paradigma femminile e femminista di quel lavoro cioè di quel pezzo del movimento operaio che ha vissuto tradizionalmente, secolarmente questo tipo di dipendenza pervasiva, gratuita, neo servile, schiavistica, chiamatela come volete. Questo determina il quadro materiale, il drammatico quadro materiale della nuova confederalità; e potrebbe darsi, quando discuteremo e stiamo discutendo le forme concrete di sperimentazione, mi riferisco per es. alle esperienze citate delle "Camere del lavoro e del non lavoro", che per organizzare questo lavoro neo servile disgregato, disarticolato, noi ritroviamo forme ottocentesche della nostra storia: dobbiamo riscoprire le "leghe territoriali", dobbiamo riscoprire un rapporto fra diritto e conflitto, che non è quello a cui siamo stati abituati nel corso del secolo. E allora, caro compagno della RDB, non è il caso di attaccarsi alla definizione "piccolo sindacato", perché questo credo fosse un complimento, cioè voleva dire un sindacato come Cobas della scuola pur non avendo distacchi sindacali, pur non avendo diritti sindacali, neanche le assemblee hanno addirittura un risultato elettorale, quindi non credo che ci dobbiamo attaccare a queste cose. Discutiamo di politica, ma veramente tu credi che il nuovo sindacato confederale già c'è e si chiama RDB? E allora, è o non è un problema che queste esperienze siano soprattutto nel pubblico impiego? La disarticolazione che vediamo anche nel nostro dibattito, fra i compagni ad es. metalmeccanici della Lombardia, Milano, le cose che abbiamo sentito della Fiat e il pubblico impiego, non vuol dire nulla rispetto alla confederalità? E ancora, dico di più , siccome qua ti parlo non come un delegato che ci ha portato il saluto della RDB, ma da un iscritto alla mia federazione con cui non sono riuscito ad avere in sede di federazione un momento di dibattito, io voglio saper che fai tu, dentro la tua esperienza sindacale, perché ad es. il settarismo che crea problemi di ricomposizione anche del mondo extraconfederale di cui il tuo sindacato è a volte protagonista, questo settarismo non è un segno della scarsa organicità alla classe se viene visto materialisticamente politicamente? Voglio dire noi abbiamo messo giustamente nella cartellina una bella relazione, un'inchiesta ecc., ma caro compagno, in quella presentazione pubblica di quella ricerca, che noi giustamente abbiamo messo nella cartellina, voi avete invitato il PDS, avete invitato i Verdi, avete invitato il compagno Garavini, ma non avete invitato Rifondazione Comunista, e io allora interpreto anche questo settarismo come una difficoltà nostra, cioè come un problema che io come partito mi pongo, di una ricomposizione verso la nuova confederalità. Allora l'elemento decisivo diventa l'autonomia del partito. L'autonomia del partito non è in contraddizione con l'autonomia del sindacato, ma appunto allude a un sistema di rapporti tra autonomie che si confrontano e si misurano. E quindi, nell'esperienza della scuola per es., l'autonomia del partito è servita o no a fare da sponda ed a permettere di sviluppare e stimolare l'esperienza dei Cobas? Io dico di si. Nell'esperienza della Telecom il partito è stato o no autonomo dal quadro politico concertativo? Lo è stato fino in fondo, e lo è stato nei suoi livelli istituzionali e nei sui livelli di circolo, permettendo anche una ricomposizione. E così io credo anche nei trasporti, di nuovo noi abbiamo espresso una novità: l'indicazione di votare no ad un contratto io credo non ci sia stata nella nostra storia in precedenza. L'abbiamo fatto, io credo abbiamo fatto bene perché l'autonomia del nostro partito ci spingeva a considerare da respingere un contratto che fra l'altro prevedeva l'aumento dell'orario di lavoro e regimi differenziati per i nuovi e vecchi assunti. Quindi l'elemento concreto dell'autonomia del partito secondo me è il punto che mette al servizio della nuova unità confederale a livello sindacale quel po' di unità di classe che noi rappresentiamo a livello politico.

 

 

 

Rocco Papandrea - Segretario PRC Piemonte

 

Credo che la situazione negli ultimi anni sia grave e preoccupante perché parliamo pochissimo di lotte. Se notate, facciamo una conferenza dei lavoratori e per es. tutto il dibattito di oggi pomeriggio, non parla di lotte, non parla di esperienze concrete che i lavoratori stanno facendo! Questo è il segnale più chiaro che abbiamo tanti sindacati, ma non abbiamo "il sindacato", cioè l'assenza di una pratica sindacale in questo paese è drammatica. Andiamo a guardare le esperienze, perché non è che siamo privi: abbiamo sentito la Zanussi stamattina, abbiamo esperienze tipo quella dell'Olivetti o dell'OP Computer che si è conclusa senza il licenziamento dei lavoratori, insperatamente, in Piemonte abbiamo altre esperienze. Credo che sarebbe utile che i lavoratori portassero esperienze anche di lotte al precariato che vengono fatte; ci sono varie aziende che riescono a consolidare i contratti a termini, che riescono addirittura ad imporre assunzioni di lavoratori interinali, però sono poca cosa, sono sfrangiati e, oltre a questo, spesso le esperienze che noi portiamo avanti, penso a quella importantissima della Zanussi sono esperienze in qui stoppiamo l'iniziativa altrui, blocchiamo l'iniziativa degli altri, blocchiamo l'iniziativa dei confederali, impediamo che accordi "ancora più di merda" si facciano. Il problema, se vogliamo porre una nuova confederalità, sta anche nel fare delle esperienze positive, non può essere solo astratto, e io credo che è difficile andare a una soluzione, ma la rottura di questo quadro non è detto che sia generale, può essere puntiforme, può avvenire qua e là, però la vera sfida che abbiamo, noi come comunisti, è quello di cominciare a costruire delle vertenze, dei momenti di mobilitazione in controtendenza. Un po' quello che hanno fatto nella scuola, perché la scuola è una piccola e significativa esperienza in questa direzione: si è rotto il quadro che le rivendicazioni salariali devono stare dentro i tetti, è eccezionale, è unica, perché si discute delle piattaforme in generale, ma non si parla, non sentiamo dire che si rompe il quadro della concertazione, lo denunciamo ma non riusciamo a trovare un quadro di rottura di quel terreno. Dovremo indagare attentamente intorno a questo, riflettere, su come costruire esperienze che possono essere alcune generali o forse diciamo particolari. Intorno a vertenze difensive, siamo riusciti anche a creare sensibilità e a far si che ci sia una opinione pubblica che si sensibilizza, che ci capisce, che ci comprende, che ci appoggia, molto meno sul terreno offensivo, sul terreno che rompe questo quadro. Dobbiamo porci il problema che se in qualche azienda, in qualche luogo di lavoro, i lavoratori avessero la forza di rivendicare fortemente salari, e lo diciamo che bisogna dire salario, ma se ci fosse qualcuno che ha il coraggio di dire "voglio un aumento di 400.000 lire al mese per tutti", dobbiamo riuscire a costruirgli un tessuto di solidarietà, perché quelli rischiano di andare al macello, perché un conto è dirle le cose, un altro conto è, soprattutto nel privato, andarle a conquistare, perché uno deve porsi, secondo me, in questo modo. La questione sindacale è questa, la questione sindacale non è prevalentemente di fare l'opposizione dentro la CGIL e l'opposizione fuori dalla CGIL alle politiche confederali, ma è di costruire una pratica sindacale diversa, e su questo io credo che siamo tutti drammaticamente indietro. In CGIL uno dei limiti principali degli ultimi anni è di aver fatto opposizione e non di aver costruito una pratica alternativa, cioè di non aver tentato, là dove si è maggioranza di rompere il quadro della concertazione, e io credo che chiediamo ai compagni che fanno battaglia nella CGIL di porsi questo problema, io voglio che se i nostri compagni vincono in alcune situazioni devono porsi concretamente il tentativo di costruire un'altra pratica sindacale, costi quello che costi, fino in fondo. Ma non è che fuori della CGIL si sia diversi: fuori si criticano gli altri quando firmano accordi, non si ha la capacità di costruire un percorso diverso. Se ci poniamo questo problema ci rendiamo conto come il problema dell'unità dei lavoratori che fanno quell'esperienza e della solidarietà è un problema assolutamente urgente, cioè non si possono vincere le lotte, soprattutto in questo contesto in Italia, se non c'è un quadro, un tessuto unitario forte, una unità dei lavoratori. Credo che abbiamo tra i nostri compagni e tra le esperienze della sinistra, dentro e fuori della CGIL, un drammatico settarismo: non si parlano! Quelli che hanno rotto con la CGIL spesso li sentiamo denunciare fortemente i compagni nella CGIL quasi come fossero non quelli più vicini con cui condurre una battaglia, l'abbiamo sentito prima, ma quelli che danno una copertura alla CGIL! Credo che ci sia un'ottica assurda; ma nello stesso tempo molti compagni della sinistra nella CGIL sono più disposti a fare pratiche unitarie con la Uil e con altri pezzi impresentabili di sindacato che non a sfidare anche la loro confederazione nel fare esperienze unitarie! In Piemonte per fortuna alla SKF abbiamo avuto un'esperienza in cui il ruolo del partito, dei suoi militanti, è stato fondamentale perché ci sono i militanti di Rifondazione in CGIL e ci sono in ALP, che è una organizzazione autonoma, ma abbiamo fatto esperienze di unità, questo va cercato, va costruito, al partito va chiesto questo. Al partito non si può chiedere di dividere di frammentare ulteriormente il quadro dei lavoratori, ma di ricostruire un quadro di unità; questo è il nostro compito, e, ripeto, anche cercando di superare i settarismi che ci sono. Pongo un problema che abbiamo tutti nell'attuale situazione: credo che l'ulteriore aspetto da indagare fortemente è la lotta alla precarietà. Non si può più fare con quelli che la precarietà non la vivono, con quelli che sono in qualche forma ancora garantiti. Il vero problema che abbiamo è di una capacità di organizzare i precari, i lavoratori semestrali, i lavoratori interinali nella lotta alla loro condizione; un altro terreno di riflessione fondamentale se volgiamo porci il problema della nuova confederalità!

 

 

 

Pietro Mirabelli – Cantierista “alta velocità”

 

Sono Pietro Mirabelli, vengo da Crotone e lavoro a Firenze. Faccio un lavoro totalmente diverso, voi lavorate sulla terra o in aria, io lavoro sotto terra: minatore. Faccio l'emigrante come mestiere, è 25 anni che giro per il mondo ed il Governo Italiano non mi ha mai dato un posto di lavoro vicino a casa. Anche padre ha fatto il minatore per tanti anni, perché all'epoca, molto più di noi, c'era la fame; oggi c'è la fame, ma nessuno lo nota. Noi pensiamo di essere signori, ma in realtà non siamo signori, facciamo la fame peggio del 1950, con gli stipendi fino a 3 - 4 milioni non ce la facciamo a vivere, quindi qualcosa c'è. Mio padre all'epoca si batté per non lavorare il sabato; ebbene io nell'anno 2001 faccio il minatore, lavoro sottoterra, dove si lavora il sabato e la domenica, con una turnazione 6 - 1, 6 - 2, 6 - 3 (poi spiego cosa vuol dire) ed una media di 42 ore e mezzo a settimana, che diventano 43 e mezza alla fine della settimana! Un lavoro penso uno tra i più faticosi, senza nulla togliere agli altri...

Non faccio il sindacalista, sono un delegato alla sicurezza RLS-RSU della CGIL e sto facendo "la guerra" a questa CGIL, da un anno. Ci lamentiamo per questo tipo di orari 6-1, 6-2, 6-3 42 ore e mezzo di media, e la CGIL diceva che voleva farne 36, o 35 per questo tipo di lavoro, oggi noi ne facciamo 48 alla settimana.

6-1 cosa vuol dire: 6 giorni di lavoro, 6 e riposi un giorno, in galleria, 8 ore al giorno, che diventano 9 perché il cambio si dà al fronte: si parte si arriva al fronte dopo 20 minuti. Volevo portare la solidarietà a quel signore di S. Giuseppe vesuviano, che ha fatto un discorso che mi ha fatto venire i brividi: io sono calabrese e non dico più nulla. Pensa un po' da che parte arriviamo, che Stato abbiamo. 50 anni io non ho contribuito sempre ad abbattere la Democrazia Cristiana, però da quando ho cominciato a capire qualche cosa mi sono schierato a sinistra, da comunista a DS e adesso per Rifondazione Comunista. Però il Governo Italiano che cosa ha fatto per il sud Italia? L'ha tenuto sempre come serbatoio di voti, dove c'è la mafia, dove c'è la camorra ecc. Oggi noi non abbiamo raccolto nulla. Oggi noi dovremmo appianare questo fosso ma è troppo profondo per tutto quello che è successo negli anni precedenti.

Il 6-2 è 6 giorni di lavoro e due giorni di riposo, il 6-3 sei più tre di riposo. Per arrivare a casa dai miei ci sono 1000 chilometri; quando riesco ad andare a casa i tre giorni, perché con due giorni faccio il giro del tavolo, con uno arrivo alla stazione, con tre riesco ad andare a casa. Ci siamo lamentati con questa CGIL, con la segreteria regionale e provinciale di Firenze, che i compagni di Firenze: è da un anno che lottiamo. Abbiamo chiesto aiuto al Cardinale Silvano Piovanelli di Firenze, lui si è sostituito al sindacato, la CGIL, ci sono qui dei compagni che possono testimoniarlo, lui è arrivato a portarci la sua solidarietà. Invece alla CGIL in quel giorni del 27 di marzo del 1995, venne la grossa idea: fare questo ciclo continuo in galleria; ma se non lo si sopporta neanche nelle fabbriche! Pensa un po' nella galleria! Nessuno ha detto no, chi è che va a dire no, i disperati che vengono dal sud? Quando ti fanno firmare la lettera di assunzione non puoi dire no, come fai a dire no? Io sono senza lavoro, te ne metto due di firme, anche se mi fai fare 7-0, 7-0, 7-0, sono costretto a firmare! Ecco dov'è il peccato: la CGIL qui ha sbagliato tanto. Io vorrei tanto uscire e andare più a sinistra, ma che treno prendo? Scendere da una macchina su una bicicletta si può ancora andare, ma scendere per andare a piedi, come faccio? Qui mi ci vuole una grossa forza di volontà, anche all'interno della sinistra sindacale. Comunque credo abbiate capito cosa vuol dire lavorare sei giorni per otto ore in galleria. La nostra impresa è un consorzio l'impresa più grande e più potente d'Italia, il padrone è quel signore che lavorava alla Fiat prima: Romiti. Noi facciamo gli zingari, perché quando abbiamo finito qui, dobbiamo andare da un'altra parte, sempre con contratto a termine! Però la lotta noi ce l'abbiamo nel sangue, costi quel che costi l'importante è che sia per una causa giusta, che non sia vana. Per ritrovare lavoro bisogna poi chiedere di nuovo all'Azienda o al capo che c'era con te prima oppure che ne so? Io non posso chiedere a nessuno! La lotta che voglio fare con Rifondazione Comunista è quella dei lavori usuranti, di cui noi non facciamo parte: si vede che noi non respiriamo nè polvere, nè fumo che stiamo bene! Figuriamoci se uno a 65 anni, che non ha i contributi, può andare a scavare in galleria! Allora io chiedo a Rifondazione Comunista e credo che questa sia l'occasione giusta, di continuare la lotta sui lavori usuranti per i lavoratori che lavorano nel sottosuolo. Spero che questa lotta vada a termine nel più breve tempo possibile.

 

 

 

Galvani

 

Mi sembra che siamo arrivati a un punto in cui bisogna anche fare un minimo di verifica delle scelte che si sono fatte negli anni dal Partito sulla questione del lavoro e sulla questione del sindacato. Credo che elementi di risentimento che oggi si verificano più del passato evidentemente hanno delle ragioni di fondo che dipendono probabilmente dal fatto che, in un momento molto particolare, il Partito ha fatto come il funambolo, ha scelto di stare da tutte due le parti, ed era il caso del referendum sull'articolo 19. Ora, ve lo ricordate tutti, abbiamo raccolto tutti le firme, personalmente le ho raccolte nel mio impianto, le ho raccolte naturalmente per eliminare sia la lettera A che la lettera B, perché pensavo che il Partito Comunista, per la costruzione del sindacato di classe, intendesse affidare l'organizzazione del sindacato ai lavoratori. Solo da lì si può partire, non è che lo si può affidare a Tizio perché è simpatico, a Caio perché ha gli occhi azzurri, non è possibile, si parte da li e avevamo la possibilità di dare questo potere ai lavoratori e invece ci siamo messi in mezzo: abbiamo sostenuto entrambi i quesiti referendari e ci siamo trovati con un referendum che è stato approvato e cioè quello che eliminava soltanto la lettera B, l'altro referendum è stato bocciato per una manciata di voti sulla quale si poteva anche vedere perché è per lo meno sospetta la cosa. La distinzione non è di poco conto perché l'art. 19 comincia dicendo che "in tutti i luoghi di lavoro, i lavoratori possono costituire le rappresentanze democraticamente elette" e fin li sembrerebbe una cosa fatta bene, anzi sembrerebbe essere lo strumento in mano ai lavoratori, in realtà non è così, parché i sindacati, tutti i sindacati, l'organizzazione ci mette il cappello sopra, e dice non il lavoratore qualsiasi che si organizza e la sua rappresentanza, nel suo impianto, ma può venire soltanto nell'ambito di chi, delle "confederazioni maggiormente rappresentative" (una volta, quella che è stata eliminata), oppure quello che firmano i contratti; ma una volta quelli che firmavano il contratto che gli metteva sotto il padrone, si chiamavano sindacati gialli, e oggi molti contratti peggiorativi che vengono addirittura bocciati nei referendum dai lavoratori, vengono approvati dalle organizzazioni sindacali! E' questo il vero problema, che oggi ci "impalla" e non sappiamo come risolvere, come rifondare questo sindacato di cui tutti ci sentiamo orfani. Personalmente non mi sento orfano, perché da quando lavoro, nel mio impianto sono sempre stato eletto delegato, e ancora adesso, che svolgo anche una funzione di rappresentanza nazionale, per la mia categoria, non vi dico di quale sindacato, questa cosa per me è fondamentale, perché credo che quello di cui noi abbiamo bisogno è esattamente questo, che è la cosa più semplice di questo mondo, però una critica su questo bisogna farcela, perché il partito quella volta, non solo mi mandava negli impianti a raccogliere le firme e ci andavo volentieri perché lo sostenevamo quel referendum ,ma mi mandava anche in piazza e negli altri luoghi di lavoro per raccogliere le firme per eliminare anche l'altro, quello della lettera A, che ci ha fregato tutti quanti perché, dovete sapere, che quella cosa ha bloccato i processi di organizzazione dal basso, anzi quella roba lì ha favorito la politica della concertazione perché in moltissimi luoghi di lavoro se non lo decidono le confederazioni di eleggere le RSU, e queste non vengono elette, è inutile che ci prendiamo in giro. Allora io ho avuto la fortuna per lo meno di appartenere ad una categoria fortunata per certi aspetti perché una rappresentanza per lo meno ce la siamo sempre data, quando non ce l'hanno data ce la siamo presa, e quando non ci hanno voluto più nel sindacato ci hanno buttato fuori, questo è avvenuto concretamente. Io credo che quello fu un discrimine molto grave per il Partito perché non dobbiamo chiedere di scegliere quale organizzazione è più bella dell'altra. Secondo me il primo errore che ho sentito in questa assise è stato quello del compagno Patta, che ha tutta la mia stima, perché è un compagno che conosco da 20 anni, però è venuto qui a dire delle cose, ve le ricordate tutti perché il suo intervento a me è stato molto chiaro, ed è evidente che anche altri poi hanno sbagliato. Al Partito noi non dobbiamo chiedere l'impegno per la legge sulla rappresentanza perché il sindacato di classe non ci viene dato per diritto divino, viene dalla capacità dei lavoratori di unificarsi nei luoghi di lavoro, perché è lì che si verifica la maggiore contraddizione del capitalismo, se non abbiamo cambiato idea, perché io lì la verifico e la constato, ed è chiaro che è lì che noi dovremo quindi avere la capacità di dare gli strumenti per organizzarsi, ai lavoratori, perché se aspettiamo che ce li dia Tizio, Caio o Sempronio, che si chiami nella maniera che più vi piace, e non vi chiedo nemmeno se vi piace quella sigla, tenetevela, ma fate anche qualche conto perché se poi nella CGIL, come accade oggi ci sono più socialisti che comunisti, anche lì una constatazione bisognerà farla, perché a meno che i lavoratori non hanno cambiato pelle, è evidente che qualche problema si pone. Volevo semplicemente dare questo contributo: nella Federmeccanica è stata approvata all'unanimità e dice che abbiamo sbagliato in quel referendum, dovevamo dare un'indicazione più chiara se volevamo creare lo condizioni per non avere oggi il rimpianto del sindacato che non c'è! Anche quelli della CGIL non mi pare che siano così soddisfatti di come sono andate le cose, e allora bisogna dirsi come uscire da questa situazione, e dirlo in maniera chiara, perché qui ci hanno fregato come ci fregano quasi sempre in tutti i contratti, prima dai e poi ti daremo e quando viene il momento di prendere non si prende mai! La legge sulla rappresentanza doveva essere la conseguenza di quel referendum, sono sei anni che l'aspettiamo, non è più possibile aspettare. Io credo quindi che vada sostenuto quell'aspetto fondamentale, perché altrimenti il sindacato di classe che tutti quanti noi citiamo come unico elemento di organizzazione per i lavoratori non verrà mai.

 

 

Paolo Baruzzi - Responsabile Lavoro PRC Emilia Romagna

 

Non è facile in pochi minuti portare un contributo. Sono francamente un po' amareggiato per una certa parte di dibattito, perché credo che rischiamo di perdere un'occasione per definire che fare da oggi in poi rispetto ai problemi che abbiamo di fronte. Mi pare che molti interventi sono stati rivolti un po' al passato, a quello che è successo; io credo che oggi abbiamo un compito importante che sarebbe di iniziare da questa conferenza a definire alcune linee su come andare avanti.

Voglio fare due premesse molto schematiche: una è che parto dal presupposto che tutto il Partito come tale non abbia mai pensato di non dare pari dignità a tutte le organizzazioni sindacali, siano esse confederali o di base, e soprattutto quelle che mirano ad essere confederali partendo da esperienze diverse. Però, dato che esiste anche questo problema, una discriminante dovremo metterla: un comunista non può essere iscritto a un sindacato di destra, l'UGL o giù di lì; almeno questa discriminante credo che ci debba essere.

L'altra questione è che, pur essendo impegnato negli ultimi anni più sul versante del partito, io continuo ad essere iscritto anche alla CGIL della quale, come credo tutti i compagni che militano nella CGIL, dò un giudizio profondamente critico.

Detto questo, io vorrei soffermarmi su un paio di questioni. Parto da un esempio anch'io condivido e pensavo che fosse un valore, quello contenuto nella relazione di Stefano, questa mattina quando parlava di un "piccolo sindacato" per dire che quel sindacato lì autorganizzato aveva prodotto un grande evento, e questo va riconosciuto perché le verità non stanno sempre e comunque solo da una parte, che era lo sciopero di un anno fa, del febbraio scorso, che ha permesso la partecipazione a quello sciopero anche ai militanti ed agli iscritti alla CGIL, anche nelle regioni tradizionalmente di sinistra. In Emilia Romagna, da dove io provengo, l'adesione allo sciopero è stata superiore al 50%, quella partecipazione ha permesso di riaprire un confronto e di andare avanti e di ottenere dei primi risultati anche se ancora insufficienti. Dall'altra parte noi vediamo un limite generale perché non siamo comunque riusciti complessivamente a ridare fiducia all'idea che insieme si può; questo lo riferisco alle elezioni, al rinnovo delle RSU, cioè io mi chiedo quanti delegati, questo è il punto vero, quanti compagni vicini o iscritti a Rifondazione Comunista nella CGIL, nei Cobas si sono assunti la responsabilità di candidarsi nelle RSU, se diciamo che quello deve essere un nuovo punto di partenza. Ho fatto la verifica nella mia provincia, alla fine tra Alternativa Sindacale, oggi Lavoro e Società, e Cobas forse 7 compagni tutti vicini a Rifondazione Comunista si sono candidati e sono stati eletti, ma solo 7 su una platea di 150 - 200 delegati sindacali da eleggere! Questo è il problema vero che abbiamo e bisogna che noi cominciamo a discutere di questo, bisogna che cominciamo a discutere del fatto che molte volte, perché è vero, noi andiamo a vedere la base sociale nostra, i comunisti di Rifondazione Comunista iscritti al Partito, lavoratori dipendenti e quelli che sono iscritti a un sindacato, in alcune realtà sono iscritti al 90% alla CGIL. Il dato drammatico è che la maggioranza dei lavoratori non sono iscritti a nessun sindacato; c'è una platea da conquistare alla politica e al sindacalismo che è fuori dalle attuali organizzazioni, questo deve essere il punto. Ai compagni che criticano anche legittimamente la CGIL, c'è libertà di scelta, ci mancherebbe altro in un Partito come il nostro di impedire o di porre un veto a un compagno che sceglie un'altra organizzazione che non sia la CGIL o viceversa, non è questo il punto. Quello che però il partito dovrebbe chiedere è che chi decide di uscire dalla militanza in un organizzazione si dovrebbe impegnare per costruire qualcosa di diverso, questo è il punto vero. L'altro punto vero è che c'è bisogno di una forte spinta confederale; allora il Partito si deve impegnare su questo versante ma anche fuori, a portare anche a sintesi e unità alcuni movimenti e organizzazioni sindacali di base, perché la confederalità non può essere solo dichiarata, la confederalità è un fatto da praticare, si è confederali nella misura in cui c'è una rappresentanza in un'organizzazione che è la più diffusa possibile e non soltanto concentrata in alcuni settori, anche questo è una sfida: se questo è un aspetto del documento e lo sforzo di alcuni compagni a lavorare in una certa direzione ben venga perché questo è uno sforzo importante. Vorrei però dire che non possiamo sottovalutare il fatto che l'80 - 90 % degli iscritti a Rifondazione ha la tessera della CGIL in tasca; io credo che ci sia anche una ragione, io non credo che questi compagni, questi comunisti abbiano venduto l'anima, non ci sono solo compagni dell'apparato sindacale che vivono dell'apparato, ci sono compagni che lavorano in fabbrica, nell'ufficio e che hanno deciso di impegnarsi per produrre una rottura, "cambiare rotta" all'interno di quel sindacato, per creare condizioni diverse. Noi dobbiamo produrre come Partito, dobbiamo chiedere ai comunisti, tenendo conto e valorizzando le scelte che loro hanno fatto, un impegno concreto. Nelle organizzazioni in cui stanno, sapendo che noi, nell'organizzazione più grande e di massa che c'è in questo Paese, se vogliamo anche fare crescere un idea di partito di classe, di sindacato di classe, dobbiamo impegnarci se non altro "a termine" in occasione del prossimo congresso. Noi abbiamo degli obiettivi delle parole d'ordine a livello nazionale importanti, valide ma che poi non camminano anche perché non c'è il sufficiente impegno nostro della periferia, perché è inutile criticare sempre chi c'è sopra di noi. C'è un problema se noi andiamo a vedere gli accordi in RSU dove ci sono dentro anche i comunisti... se li avesse fatti qualcun altro diremmo che hanno fatto delle "robe turche" in quelle aziende, quindi c'è un problema di un dibattito che deve partire dalla conferenza di Treviso di questi due giorni, ma che deve tornare nei circoli, nelle Federazioni, per decidere che cosa fare come partito.

 

 

Rosa Rinaldi - Direttivo Nazionale CGIL

 

Vorrei iniziare il mio intervento, ringraziando Elettra Deiana, per il ragionamento che ci ha proposto, e che tenta di spostare in avanti il nostro confronto. Elettra ha messo in evidenza un tema sul quale facciamo fatica a tornare, e che ha a che fare con la rappresentanza, con il potere della rappresentanza, con le donne e gli uomini, ma e soprattutto di come si descrive il lavoro e di quale sia quello di cui ci occupiamo.

Ci ha richiamati tutti, ed io sono d’accordo, a ricercare punti di azione, e di iniziativa comuni alle compagne e ai compagni di Rifondazione comunista impegnati nel sindacato, altrimenti non regge una discussione tesa ad individuare i nemici o gli utili sciocchi dentro le organizzazioni sindacali, perché è evidente che ognuno difenderebbe come sta accadendo le proprie appartenenze sindacali, anche per chi come me è impegnata in una battaglia politica dentro la CGIL, utile a costruire le condizioni per un cambiamento di rotta delle politiche confederali.

Quindi, utilizziamo al meglio, questa occasione, per fare una discussione efficace per il partito al fine di costruire un profilo politico, con il nostro contributo sulle questioni del lavoro.

Ritornando, quindi, alla rappresentanza, vorrei partire dal fatto che per quanto riguarda i settori pubblici, in virtù di un accordo, sul quale pure ho dichiarato e mostrato delle riserve, si è ottenuta l’elezione delle rappresentanze sindacali unitarie, e, purtroppo questo non è servito a fare da apripista per una legge generale sulla rappresentanza sindacale, tant’è vero che il Parlamento non ha legiferato, nonostante un referendum e nonostante i disegni di legge depositati, ma anche, il sindacato non ha costruito l’iniziativa necessaria all’ottenimento della legge.

Nella nostra categoria, quindi, si sono tenute circa un anno e mezzo fa, le elezioni in tutti i posti di lavoro, dal più piccolo comune, al grande ministero, dagli ambulatori agli ospedali, e nonostante un motivato pessimismo (io lo ero) sulla partecipazione al voto è accaduto che più del settanta per cento delle lavoratrici e dei lavoratori partecipasse al voto, a testimoniare la forte richiesta di auto rappresentare la propria condizione di lavoro, volendo decidere per chi votare e da chi farsi rappresentare. Anche in questa occasione, si è verificata in modo speculare e contraria, una forte partecipazione al voto per le RSU, ed una astensione alle elezioni europee arrivata a percentuali elevatissime, così come, permane la separazione tra voto politico elettorale e voto per la rappresentanza sociale.

Credo, però, che il partito abbia sottovalutato, le elezioni delle RSU, c’è stata disattenzione circa il fatto che si trattasse di un’occasione per promuovere e far crescere una nuova leva sindacale nel Paese, per quanto riguarda i settori pubblici, infatti molti eletti sono giovani e alla prima esperienza sindacale. Io credo che valga la pena di lavorarci, di promuovere occasioni di incontro tra le militanti e i militanti di rifondazione eletti nelle RSU.

La crisi a cui faceva riferimento Zuccherini, nella sua relazione, io credo sia ancora più profonda, e che non sia circoscrivibile solo alla subordinazione alle logiche di CGIL CISL e UIL delle RSU, ma piuttosto al fatto che l’assenza di una strategia generale sindacale, l’assenza anche di processi di identità intorno ai valori della solidarietà, la continua precarizzazione dei rapporti di lavoro, porta le stesse RSU in alcuni casi a firmare accordi capestro per coloro che dovranno essere assunti, prevedendo salari e diritti diseguali, come è accaduto nel caso dell’azienda di Roma AMA.

Questo ci parla di quanto danno si sia prodotto, e di come l’assenza di un ruolo, direi pedagogico e culturale del sindacato, possa comportare subordinazione ed “egoismi” nella difesa, per come è possibile, della propria condizione.

Da qui, anche, nasce per me l’esigenza di rifondare un’idea ed un progetto di nuova confederalità, che peraltro fa parte del documento congressuale che come “LavoroSaocietà-CambiareRotta” abbiamo presentato nella grande assemblea di Milano.

Perché non pensare nel lavoro di inchiesta che fa il Partito, di indagare la condizione di delegato oggi, magari tra i nuovi eletti nelle RSU del pubblico impiego e della scuola, capire quale sia oggi la percezione che i delegati hanno del sindacato, e quali le condizioni in cui svolgono il loro ruolo di rappresentanza, quale sia il grado di autonomia, se sia aumentato o meno il tasso di democrazia e di partecipazione alle scelte delle lavoratrici e dei lavoratori. Un’inchiesta utile a comprendere, anche, perché la scelta di aderire ad un sindacato confederale, o ad uno autonomo non sempre corrisponde alla scelta elettorale, cosa genera la frattura tra rappresentanza sociale e rappresentanza politica. Io credo che anche questo possa avere a che fare con un lavoro comune da fare nel partito, non c’è proprio bisogno di dividerci, almeno in questa sede, ma va avviata una ricerca comune, altrimenti, come diceva bene il compagno Papandrea, il rischio è di fare un lungo elenco di sindacati, ed ognuno è teso a difendere il proprio, ma alla fine verifichiamo che non c’è lotta, cioè non c’è sindacato.

Credo, quindi, che potremmo tentare di individuare un terreno di lavoro comune nella consulta del lavoro del partito, così come ci veniva proposto, partendo da questo luogo di condivisione, e dalla sua autonomia per costruire il progetto del partito sul lavoro. Obiettivi di lavoro comune, per esempio potrebbe essere affrontare la questione della precarietà del lavoro, dalle cosiddette diverse tipologie di lavoro, da come si declina oggi il ciclo produttivo in relazione alla frammentazione e alle esternalizzazioni, e di come queste questioni oggi propongono alla discussione e all’iniziativa: un’analisi sulla rappresentanza nei posti di lavoro, laddove ad uguale lavoro vengono applicati diversi tipi di contratto, e dentro lo stesso sito produttivo o di servizio convivono una miriade di contratti tra loro differenti. Ancora, che cosa significa, l’esternalizzazione di servizi nei settori pubblici verso le cooperative ed il terzo settore, da un punto di vista sia del lavoro che della trasformazione delle funzioni pubbliche delle pubbliche amministrazioni e dei servizi pubblici.

In conclusione, mi piacerebbe, poter dire che la ricomposizione del ciclo produttivo e del ciclo di lavoro, del salario , dei tempi e della riduzione dell’orario di lavoro, l’opposizione alla precarizzazione e alla flessibilizzazione selvaggia del lavoro, possano essere i terreni su cui costruire iniziativa e battaglia politica comune alle compagne e ai compagni di Rifondazione Comunista impegnati nel sindacato.

 

 

Stefano Buscaroli - Imola

 

Questa mattina ho potuto ascoltare Zuccherini quando ha fatto il suo intervento che condivido, anche se devo dire che ho una perplessità in riferimento alle cooperative. Io vengo da Imola che è il regno della cooperazione che andrà indagata, perché poi non è che è tutto bello e felice, anzi; i vertici sono "manageriali", tendono allo sfruttamento, i soci lavoratori qualora si fanno male, tendono a dire che è accaduto accidentalmente piuttosto che sul posto di lavoro (essendo soci lavoratori pensano di rimetterci anche loro). Imola era un'isola felice, o meglio, in termini occupazionali siamo praticamente in assenza di disoccupazione per quanto riguarda i maschi, la percentuale si alza di molto per quanto riguarda le donne.

Abbiamo cooperative che sono anche sessiste, in quanto abbiamo cooperative con fatturato di 800 miliardi, a livello di multinazionale, che ha 4 impiegate in amministrazione. Le donne non le vuole assolutamente nel processo produttivo perché potrebbero avere figli. Mi chiedo se questo è il modello a cui ci vogliamo ispirare. Se parliamo di cooperazione con lo spirito di quando è nata, sono d'accordo, perché era tutt'altro spirito. Per come è tutt'oggi a Imola, no, sono estremamente contrario a questo. Imola ha una particolarità, è da pochi anni che si vedono extracomunitari. Dove sono impiegati sono visti bene nei giorni feriali, ma nei giorni festivi è meglio metterli negli armadietti, secondo la mentalità che vige ha Imola, perché questo sta passando, nonostante ci siano Giunte di centrosinistra. Dicevo prima che Imola era un'isola felice; non lo è più, in quanto sono arrivati gli "squali" del profitto e stanno cannibalizzando Imola nelle sue aziende, dove abbiamo un gruppo in cui lo stesso padrone ha aperto in India: costa meno, non c'è la 626 per la sicurezza; quando un prodotto, compreso il trasporto in Europa, ha il 30 % di profitto netto viene da pensare, perciò la cooperazione bisognerebbe indagarla.

Il sindacato: nota dolente! Sono un ex iscritto al sindacato e uscito dal sindacato CGIL. Parlo della realtà di Bologna e dei trasporti; adesso in molti stanno guardando con interesse ai sindacati autonomi. E poi adesso leggo una cosina che è una proposta, se può andare bene una cosa del genere:

"Con questo processo avviato" (intendo il processo di globalizzazione, leggo degli spezzoni) "non vi è la tendenza ad alzare il livello normativo e di diritto di questi paesi asiatici, addirittura, come vediamo, i diritti si stanno azzerando dove esistono, in Europa, con lo spettro che gli investitori aprano in oriente. E' tempo di iniziare l'aggressione alle libertà della Confindustria, che non conosce limiti nell'aggredire i lavoratori nei loro diritti già conquistati con lotte, con una destra che spinge ed una pseudo sinistra succube e drogata dal nuovo mercato globale. A fronte di questo sarebbe opportuno prevedere una norma europea, vincolante, che un prodotto, qualora entri nella Comunità europea e/o viceversa, debba essere venduto ad un prezzo non superiore al 20%, o altra percentuale da determinare, del costo del paese dove è stato prodotto o assemblato, verificato da apposita commissione europea, risicando fortemente il profitto, non potendo contare sul cambio di valuta o plusvalenza del prodotto nei paesi ricchi, al fine di incentivare le produzioni locali continentali ad un consumo dei propri generi e ad un utilizzo dei propri prodotti di prima necessità, avendo un occhio di riguardo per i paese poveri, per non affossarli ma per farli crescere con gli scambi commerciali vigenti. Questa blanda e non certo dettagliata ipotesi porterebbe ad una attenzione particolare a ciò che si utilizza per gli alimenti essendo gli stessi di consumo dei produttori e sicuramente un aumento occupazionale derivante dall'apertura degli impianti nei paesi di origine degli investitori, visto il maggior guadagno raggiungibile; diversamente gli investitori fuori dall'area della Comunità Europea, dovrebbero privilegiare prodotti ad uso del paese ospitante creando la condizione che l'imprenditore si sposta come prima, ma non lascia senza lavoro dipendenti in un paese perché sono meno sfruttabili di altri; d'altra parte, eventualmente, un impianto di un'azienda potrebbe essere cedibile o appetibile ad altri che vogliano investire e subentrare, dal momento che ogni paese dovrebbe avere aziende analoghe ed omologhe. Nel quadro ipotetico prospettato la sindacalizzazione sarebbe totale, i paesi crescerebbero tutelati e la concorrenza della new economy fra aree continentali non renderebbe più necessaria la migrazione delle popolazioni più poveri verso i paesi ricchi, ma si darebbe alla propria nazione la possibilità di espandersi, offrendo possibilità lavorative e non sfruttative, con investitori anche stranieri vista l'appetibilità si alcuni settori inesplorati".

Stefano Capilli – Operaio Filanto

 

Sono un tesserato e volevo semplicemente portare il mio contributo al dibattito di questa sera, su un'esperienza personale. Sono un cassaintegrato del calzaturificio più grande d'Europa: la Filanto. Due anni fa lavoravo e vivevo i miei sogni e i miei progetti in una tranquilla località nel Sud della nostra bella Italia, in provincia di Lecce. La fabbrica produceva e produce scarpe di media e bassa qualità per vasti mercati, occupando circa 3.000 dipendenti che avevano un salario dignitoso e prospettive di lavoro stabili. Ho cominciato a lavorare nel '92 e già da allora sentivo parlare di delocalizzare la produzione, in sostanza si trattava di questo: siccome il costo del lavoro in Italia è troppo alto, siccome bisogna competere in un contesto mondiale, bisogna produrre in paesi dove la manodopera costa pochissimo per sfruttare al meglio la differenza tra costo di produzione e prezzo di vendita. Produrre all'estero e licenziare in Italia, produrre a basso costo per avere più profitti, questa è la globalizzazione. In fabbrica, da quando è nata, non ci avevano mai messo piede i sindacati confederali, chi voleva in qualche modo difendere le istanze dei lavoratori veniva licenziato in tronco. Giusta causa, giustificato motivo: ha "rotto le scatole", a casa! Dopo 50 anni di assolutismo padronale, nel '98 l'azienda apre le porte al sindacato: ma che bravi, che bello, avremo il sindacato, saremo protetti meglio, si potrà lavorare senza quel regime di terrore che da anni ci costringe a sottostare ad ogni tipo di angheria; che bravi, che bello! In effetti con il sindacato le condizioni di mille lavoratori e più sono migliorate, non devono più sopportare ricatti o angherie sul posto di lavoro, semplicemente perché per loro il posto di lavoro non c'è più, sono stati collocati in cassa integrazione. Ma i sindacati non devono proteggere i lavoratori e i posti di lavoro? Oppure il loro compito è distruggere i posti di lavoro facendo la volontà del padrone? Fin da ragazzo ho sempre pensato che la risposta più plausibile fosse la prima, cioè che il sindacato stesse dalla parte dei lavoratori, sono diventato grande e sulla mia pelle ho scoperto che sbagliavo. Sbagliavo perché, nel rapporto di lavoro, la parte debole, quella da difendere, per alcuni sindacati, è il padrone.

La cosiddetta concertazione adottata da qualche anno non ha fatto altro in realtà che difendere i poveri padroni contro lo strapotere e gli interessi dei lavoratori, altrimenti non si spiegherebbe perché l'azienda, dopo aver collocato 1.000 lavoratori in cassa integrazione, ha ricevuto prontamente dallo Stato i finanziamenti della ristrutturazione, del resto mai seriamente avviata, mentre agli operai sei mesi già maturati di cassa integrazione non sono stati ancora liquidati, anzi, corre l'obbligo di sottolineare che a tutt'oggi ancora deve essere firmato presso il ministero il decreto che ne permette il pagamento. L'azienda ha preso i soldi per ristrutturare e non ristruttura e io ho perso il lavoro, dovrei anche pagare il mutuo alla banca e se a lor signori non dispiace vorrei anche non morire di fame. Chi è il debole? Non se ne può più, basta! La concertazione: dare i soldi ai padroni mentre i lavoratori muoiono di fame. Non la voglio più la concertazione e i sindacati che la praticano. Con la concertazione abbiamo perduto diritti conquistati con decenni di lotte e le condizioni dei lavoratori oggi sono peggiori di 20 anni fa. Tutto questo grazie a sindacati lontani dai lavoratori e dai loro problemi, ma troppo interessati alle poltrone e a non dispiacere ai padroni, ma intanto però dispiacciono ai lavoratori, disoccupati, giovani, donne, pensionati, immigrati e tutti quelli che in questi anni hanno subito ogni forma di umiliazione. Se il sindacato confederale non è in grado di tutelarci si faccia da parte, non serve, se invece vuol tornare a fianco dei lavoratori, faccia delle scelte precise e rompa con l'abominio della concertazione. Basta con la politica del ribasso, i diritti dei lavoratori non devono essere negati, cosa che avviene nei contratti atipici, lavori a tempo determinato e con paghe ridicole. Il salario reale, rispetto a dieci anni fa, è diminuito, si cerca la competizione sfrenata sui posti di lavoro, bisogna produrre di più e al più basso prezzo e sempre con meno personale. Mi chiedo a chi venderanno i padroni i loro prodotti, ai disoccupati di lungo periodo? Ai molti mendicanti che sempre di più affollano le nostre città, o ai cassaintegrati, o ai lavoratori dell'est europeo o dell'Africa, il cui reddito basta solo a procurare cibo?

Tutto questo via vai di merce è proprio necessario? Se possibile, possiamo fermarci un attimo? Conta solo il profitto? E gli uomini? Perché l'aumento della produttività deve andare al solo vantaggio del padrone? Perché non si lavora tutti e di meno? che fine ha fatto la proposta di abbassare a 35 ore l'orario di lavoro settimanale? Bisogna lavorare per dieci ore al giorno e più, con paghe basse e in pochi e tutti gli altri a spasso! Crescono solo i profitti delle imprese.

Mi sono stancato di questa politica del ribasso: meno lavoratori, meno diritti, paghe basse, io vorrei una politica, e questo dovrà essere il nostro impegno, dell'alto: più diritti al lavoratori, più diritti ai disoccupati, più diritti agli immigrati (e noi che siamo italiani sappiamo cosa vuol dire essere emigranti), paghe più alte, più rispetto per la natura. Se per realizzare tutto questo si dovrà iniziare una nuova stagione di lotte ben venga, perché non si può più tollerare oltre. Bisogna agire subito, prima che sia troppo tardi, per cambiare lo stato delle cose e dare meno ai padroni e più ai lavoratori, per avere più giustizia e perché sia garantita a tutti una vita più dignitosa.

 

 

 

Beppe Castronovo – San Paolo IMI, Torino

 

Vengo da Torino, sono un lavoratore del San Paolo IMI, bancario, ricchissimo, in confronto a quelli che mi hanno preceduto. Ricchissimo ma che è diventato un po' più povero ultimamente. Ci hanno dato l'ultimo aumento del contratto nazionale dividendo la quattordicesima e il premio, spalmandolo su tredici mensilità, per cui il salario mensile è aumentato, per cui possiamo risparmiare di più. Ma a parte le stupidaggini, quello che voglio dire è che sono molto contento che il partito abbia deciso di fare la Conferenza delle lavoratrici e dei lavoratori, perché penso che sia ormai tempo di cominciare a discutere fra di noi, e discutere (perché mi sembra che nella prima parte della riunione, più che discutere si litigasse) cercando ognuno gli argomenti migliori a seconda della situazione. Io vi posso dire brevemente, in un minuto, la mia storia personale perché se no non si capiscono le cose. Molte volte ciascuno di noi ha in mente delle cose e pensa che siano conosciute anche dagli altri, in realtà le esperienze sono diverse. Io sono stato dirigente nazionale della FISA - CGIL, nel senso che ero nel Direttivo Nazionale. Sono entrato in occasione dell'ultimo congresso e sono stato quello che nella mia azienda, a Torino, ha preso il maggior numero di voti dagli iscritti alla CGIL; non sono stato comunque ritenuto degno di entrare a far parte della rappresentanza sindacale aziendale della FISAC - CGIL. Da noi le RSU non esistono proprio, la nostra categoria insieme a quella degli assicurativi, credo sia l'unica in Italia che non abbia mai votato o che non sia in procinto di votare le RSU; esistono solo le RSA elette dai sindacati firmatari dei contratti nazionali. Ho praticato le cose che noi qui stiamo dicendo da almeno un po' di tempo, quella che si dice "sovversione", oppure non rispettare gli ordini; l'ho praticata prima in relazione all'accordo interconfederale del luglio del '93, come tanti, l'ho praticata poi in relazione alle vicende contrattuali della mia categoria. Sono stato deferito tre volte alla commissione di garanzia del Piemonte, insieme ad altri compagni, onorevoli anche loro, non siamo stati mai dichiarati espulsi, ma a un certo punto ce ne siamo andati. Ce ne siamo andati dopo aver fatto tutte le battaglie possibili e immaginabili all'interno della nostra categoria, in relazione alle vicende del rinnovo del contratto nazionale, praticando, per come era possibile, la disobbedienza rispetto gli ordini che arrivavano dall'alto, ragionando con i lavoratori, facendo bocciare quegli accordi, ovviamente laddove eravamo presenti noi, avendo il conforto di un gruppetto di compagni dentro al San Paolo IMI ma anche in qualche altra azienda, sempre a Torino, e poco altro; avendo dall'altra parte come interlocutori, vale a dire come compagni che venivano a presentare nelle assemblee dei lavoratori, la bontà del contratto che era stato firmato, "burocrati sindacali", così come si dice oggi. Se volete abbiamo prodotto un piccolo dossier dove c'è scritto come sono modificate anche le condizioni di lavoro dei bancari e degli assicurativi in questi anni; siamo una categoria tanto diversa delle altre: contratti di formazione lavoro, tempi determinati, part-time, flessibilità, assunzioni con tempo determinato al di fuori e di più rispetto a quelle che sono le normative di legge, contratti che non vengono approvati, o se vengono approvati, vengono approvati alla fine di un periodo di consultazione, che vede la consultazione di circa il 30% degli aventi diritto al voto, con un voto favorevole del 60% (come il presidente degli Stati Uniti d'America che viene eletto dal 18% degli americani). Da noi è successo questo, un contratto epocale approvato dal 18% dei lavoratori; va bene! Allora il problema per me non è di litigare con chi decide di stare ancora nella CGIL, ognuno ovviamente prende la decisione che ritiene più opportuna sulla base di quelle che sono le sue possibilità concrete di lavorare nel suo posto di lavoro, nella sua azienda, con i suoi compagni di lavoro. Il problema non è qui. Sono abbastanza d'accordo con quello che ha detto Rocco Papandrea nel suo intervento, però i comportamenti congruenti con le nostre analisi che Rocco Papandrea diceva e non è ovviamente una cosa negativa, che qualora si vincesse il congresso dobbiamo pretendere da quei compagni che vincessero il congresso, dei comportamenti in termini di attività sindacale, quindi di contrattazione. Ma io andrei anche un po' più in là; Rosy Rinaldi ha detto una cosa estremamente giusta, molte delle cose che ha detto non le condivido, ma questa sì, le organizzazioni sindacali svolgono, soprattutto le grandi organizzazioni sindacali, e in particolare la CGIL, svolgono, nel bene e nel male, un ruolo propedeutico. E' qui il punto, si può stare in organizzazioni sindacali che svolgono oggettivamente un ruolo propedeutico negativo nei confronti della classe, oppure no? Uno può dire ci sto, perché spero di poter cambiare quel ruolo e spero di poterlo modificare, bene. Allora il punto è questo: il nostro partito, perché qui siamo in questa sede di questo discutiamo, può definire dei metodi e dei luoghi di analisi e di discussione nelle quali si prendano delle decisioni operative che in qualche modo indichino la via per i compagni comunisti nei luoghi di lavoro? Io penso che debba farlo, ma credo anche che se uno sta in un'organizzazione sindacale, ci deve stare sulla base di un semplicissimo argomento: io sto in quell'organizzazione sindacale lì perché lì riesco a praticare quegli obiettivi e a fare di quelle cose che abbiamo deciso tutti insieme, battaglia comune per la definizione di pratiche di lotta che quegli obiettivi cerchino di portare a casa. Se io sto in un'organizzazione sindacale e quelle robe lì non le faccio, mi chiedo a che cosa serva.

 

 

 

Zampini

 

Ciao a tutti, compagni, sono di Cremona. Ritengo che questa conferenza sia veramente un primo passo per aprire una discussione, mi auguro sempre più approfondita tra i compagni, e mi auguro che il prossimo appuntamento non sia di qui a due anni perché, come mi sembra di capire, gli argomenti sono urgenti. Volevo cogliere prima di tutto l'invito della compagna Dejana e fare qualche riflessione anche sull'aspetto sociale del nostro fare sindacato e del nostro fare politica. Viviamo ormai in un situazione in cui la globalizzazione ha portato non solo disoccupazione e precarietà, ma dobbiamo sforzarci di mettere insieme i diversi elementi che questa situazione crea. Sempre di più, e a classi sempre più basse, meno professionalizzate, viene richiesto di riconoscersi nella filosofia dell'azienda in cui si lavora, cioè quello che una volta era chiamata "qualità totale" è diventata la filosofia dei posti di lavoro, pubblici o privati che siano; provate ad aggiungete a questo l'elemento della flessibilità e della precarietà, in questo caso uno più uno fa tre, non fa due, perché quel lavoratore flessibile, che gli piaccia o no, deve bene o male riconoscersi nella filosofia dell'azienda ed è costretto a praticare le scelte, purtroppo spesso non condivisibili e spesso dettate anche dai contratti nazionali che portano sempre più a una meritocrazia portata all'eccesso che divide i lavoratori! Per cui si fanno le pagelle e in base a quello puoi ottenere i passaggi di carriera, e se non sei simpatico al capo o al padrone puoi schiattare, puoi essere anche innovativo e bravissimo, ma resti lì, e soprattutto, se sei precario, devi tacere, e possibilmente non avere tessere sindacali in tasca. Ecco io credo che questo è solo un piccolo spaccato della situazione in cui viviamo. Una situazione in cui io credo che abbiamo delle responsabilità, limitate come partito, perché, bene o male, le abbiamo subite queste situazioni, abbiamo grandi responsabilità come soggetti sindacali: è dal tempo dell'Eur che stiamo perdendo per strada pezzi di diritti, e poi ci si trova a dover rivendicare questi diritti che si perdono ogni giorno, sempre più faticosamente.

Io non sono più della CGIL, lo sono stata nel passato, e ho provato a cambiare dall'interno. Non riuscendoci, ho deciso che il mio tempo andava speso diversamente e sono uscita dalla CGIL. Però credo che oggi, se questo processo di unificazione della sinistra della CGIL veramente ha un senso , dobbiamo aspettarci da questi compagni degli atteggiamenti conseguenti, che questa unificazione che deve avvenire non sia semplicemente una forza che si sprigiona all'interno della CGIL, e che magari serve per determinare equilibri di sedie e di poltrone, ma che invece porti all'esterno la differenza che questi compagni vogliono esprimere!. Voglio farvi qualche piccolo esempio della mia realtà locale: Cremona è una città governata da una giunta di centrosinistra, ha recentemente privatizzato l'Azienda Energetica, e da Azienda Speciale è diventata S.p.A. e così, ancora più recentemente questa S.p.A. ha scorporato il settore trasporti. C'è una fortissima connivenza, una lobby, tra il Consiglio d'Amministrazione di questa Azienda, che è ancora a maggioranza pubblica, quindi nominata dalla giunta di centrosinistra, con CGIL e CISL (UIL rappresenta ben poco). L'Azienda e CGIL e CISL hanno deciso che nel settore trasporti non si dovevano fare le elezioni, perché si era in una fase di transizione e di trasformazione. Questi lavoratori sono arrivati alla nuova situazione di dipendenza senza una rappresentanza sindacale, con dei rappresentanti eletti a furor di popolo durante un'assemblea che aveva sconfessato le precedenti RSU. Però purtroppo non sono state tutte "rose e fiori" perché CGIL, CISL e UIL si sono disinteressati del passaggio da un'Azienda all'altra; questi lavoratori hanno perso di netto tutta la contrattazione precedente, l'accordo integrativo precedente, 20 anni di lotta, semplicemente perché la nuova azienda non ha voluto riconoscerli e semplicemente perché CGIL, CISL e UIL non l'hanno nemmeno chiesto, dichiarando morto e sepolto, il contratto integrativo, prima ancora di proporre alla controparte di metterci mano. Arriveremo allo sciopero? Ci sarà mercoledì, lo sciopero, il primo sciopero dei trasporti a Cremona penso dopo 20 anni indetto dalle Organizzazioni Sindacali di Base e siamo ancora qui ad aspettare un cenno di solidarietà da parte della CGIL e dalla CISL (che pure non arriva e non arriverà) e siamo ancora qui a lottare per il riconoscimento di quel diritto. Compagni noi non potevamo indire le elezioni delle RSU, perché il Sindacato di Base non può, non è firmatario del contratto e quindi non può indire le elezioni delle RSU. Non possiamo nemmeno partecipare alle trattative, sempre perché non siamo firmatari del contratto, e rappresentiamo il 70% dei lavoratori dei trasporti. Io credo che noi abbiamo bisogno prima di tutto di un partito che non si schiera con chi sta nella CGIL o con chi sta fuori dalla CGIL, ma che individua degli obiettivi da perseguire e che impegni i compagni, ovunque essi siano a praticare coerentemente quegli obiettivi, perché in tutta questa storia c'è anche purtroppo l'intervento di compagni di rifondazione della sinistra CGIL, rispetto i quali, come diceva il compagno intervenuto prima di me, spesso ci siamo trovati in contrapposizione, e questa contrapposizione ha bloccato l'attività della Federazione, creando dei conflitti e delle difficoltà di comunicazione. Noi abbiamo bisogno di un partito che sia sopra le parti, che non individui nella CGIL o nelle organizzazioni extraconfederali il punto di riferimento: il sindacato è dei lavoratori, non è la cinghia di trasmissione di nessun partito. Abbiamo bisogno di maturare, come militanti politici, di imparare a fare lavoro d'inchiesta, di imparare a parlare con i lavoratori precari e flessibili, come facciamo a raggiungerli? come facciamo a sindacalizzarli? Io volevo chiederlo stamattina al compagno del sindacato americano, ma non in tono polemico, ma volevo chiederlo proprio per sapere come si fa, perché sono i lavoratori più ricattabili e più difficili da difendere, come pure quelli delle cooperative, e soprattutto abbiamo bisogno di una legge. Un compagno prima di me ha sventolato questo emendamento, è stato approvato all'unanimità dalla Federazione di Crema e di Cremona, non credo sia necessario darne lettura e lo affido al banco della presidenza, certa che pur nella limitatezza dei numeri di Rifondazione, i nostri compagni parlamentari ne faranno buon uso.

 

 

Loredana Fraleone - Segreteria Nazionale PRC

 

Compagni, io sono quasi costretta ad intervenire, perché ho sentito parlare molto della scuola, delle elezioni delle RSU, della mobilitazione, del movimento degli insegnanti. In realtà credo che su questo sia invece necessario piuttosto che alludere all'uno o all'altro aspetto di questa vicenda che ha attraversato la scuola da più di un anno a questa parte per, magari, arrivare a delle conclusioni che possono supportare determinate posizioni, credo che sarebbe interessante semplicemente fare un'analisi di quella che è stata ed è una vertenza ancora presente all'interno delle scuole. La lettura di questa vertenza ci può veramente aiutare per i ragionamenti che stiamo facendo qui, questa sera e per indicazioni che possiamo trarre anche rispetto a quei difficilissimi problemi con i quali ci stiamo misurando. Sono tra quelli che non considera la scelta di un'organizzazione sindacale rispetto ad un'altra come una scelta di carattere ideologico; credo che assolutamente oramai questo sia una modalità assolutamente superata, i lavoratori oggi, i compagni comunisti, i lavoratori genericamente di sinistra, si collocano all'interno delle organizzazioni sindacali per le ragioni più diverse: perché in quel determinato posto di lavoro c'è quell'organizzazione sindacale e non ce ne sono altre, o perché là è più efficace, o perché risponde magari, in quella determinata situazione a delle esigenze; del resto anche alcune cose che sono state qua dette lo hanno ampiamente dimostrato. Io vorrei invece andare ad una semplicissima rivisitazione di quella che è stata la vertenza della scuola. L'obiettivo, la filosofia di un governo liberista, di un governo cosiddetto di centrosinistra in realtà non ha fatto altro che introdurre riforme che volevano spostare sistematicamente risorse dalla scuola pubblica alla scuola privata, e con una serie di provvedimenti che a caduta vanno dal bilancio dello Stato ai bilanci dei piccoli comuni, .......... in questa direzione. Quindi questa vertenza che è nata da un problema di risorse destinate soprattutto alle retribuzioni, si è caricata immediatamente di una valenza politica di carattere generale e di carattere straordinario. Di carattere straordinario perché ha parlato da subito del problema della ridistribuzione della ricchezza all'interno di questo paese, ha parlato subito di un riferimento alle retribuzioni europee come un traguardo che non doveva essere soltanto dei lavoratori della scuola, ma dei lavoratori italiani in generale; ed è chiaro che al di là di quello che può essere uno slogan c'era una contestazione rispetto alla questione della ridistribuzione della ricchezza. Ma questa vertenza si è arricchita man mano anche di quella insofferenza, di quella insoddisfazione, di quella drammaticità che tutti noi lavoratori della scuola abbiamo ormai sulla pelle rispetto al fatto che dare in testa alla scuola pubblica equivale a dare in testa a chi ci lavora dentro, così come avviene in tutto il settore pubblico, non solo all'interno della scuola, anche se nella scuola ha avuto una violenza, una virulenza particolare negli ultimi tempi, ha significato in realtà lo smantellamento di uno dei diritti fondamentali di questo paese. Questa vertenza si è arricchita quindi di questi elementi e devo dire che va dato senz'altro merito, un grandissimo merito (ha fatto bene al rilevarlo Stefano nella sua relazione introduttiva) ai COBAS ed alle organizzazioni di base della scuola di aver saputo intercettare questo tipo di malessere. C'è da dire che però quella vertenza è stata molto più ricca ed è andata molto più in là rispetto alle stesse sigle che l'hanno in qualche modo organizzata e l'hanno in qualche modo anche suscitata, provocata. Perché è andata al di là? Perché noi abbiamo avuto tutta una fase, ed è qui la riflessione che dobbiamo fare, l'interesse che dobbiamo mettere su questa vertenza, che ha preceduto ad es. il grande sciopero del 17 febbraio dello scorso anno che vedeva un collegarsi orizzontalmente, da scuola a scuola, da territorio a territorio, vedeva l'autorganizzazione dei lavoratori della scuola, all'interno dei propri postai di lavoro, approfittando anche dei nuovi strumenti di comunicazione, approfittando anche di quella comunicazione telematica che lo stesso Ministero della Pubblica Istruzione ha introdotto all'interno delle scuole. Questa vertenza non ha coinvolto soltanto gli insegnanti, attenzione, ha coinvolto tutti i lavoratori della scuola, anche il personale cosiddetto ATA (cioè il personale che lavora nelle segreterie o gli ausiliari) ha avuto questo tipo di connotazione trasversale, orizzontale , di base, che è partito dal basso, e va dato senz'altro merito ai Cobas di aver capito, di aver intercettato, di essere riusciti a dare la possibilità di espressione, nella forma di lotta dello sciopero e della grande manifestazione del 17 febbraio a questa realtà così ricca e così innovativa, anche dal punto di vista sindacale. L'esperienza di autorganizzazione all'interno delle scuole, della creazione di comitati di coordinamenti territoriali, è un'esperienza dalla quale bisogna forse trarre qualche indicazione. Questa vertenza non si è conclusa il 17 febbraio; questa vertenza è stata portata avanti anche in questo anno, e in questo anno (e qui mi dispiace che nessuno l'abbia ricordato) è stata capace di prodursi, rispetto ai due scioperi fatti e manifestazioni a ridosso praticamente a distanza di un'unica settimana; questa vertenza è stata capace di coinvolgere tutta la categoria, ancora una volta unitariamente e di strappare un risultato anche in quello schifo di accordo che è stato siglato dalle organizzazioni sindacali confederali. Tuttavia anche in quello schifo di accordo c'è un risultato positivo, perché è il primo accordo che comunque sfonda rispetto al tetto dell'inflazione programmata. Che cosa vuol dire questo? Che noi siamo soddisfatti e che ci fermiamo li? NO. Io credo che questa è una vertenza, deve riprendere il suo percorso, il suo cammino. Adesso non ho il tempo di dire che le RSU nella scuola non sono una gran bella cosa, perché nella scuola esistono degli organismi di autogoverno, esistono delle forme di partecipazione che vanno ben al di la di quelle che possono essere le istanze sindacali, ma questo è un discorso troppo grosso che non si può fare qui. Le elezioni delle RSU hanno ampiamente dimostrato questo fatto, perché c'è stato lo straordinari successo delle lista dei Cobas, ma c'è stato anche un successo della CGIL scuola, qui bisogna dirlo che io mi rifiuto di leggere i termini di ricollocazione, di coloro che hanno votato per quelle liste nelle RSU per la CGIL, la ricollocazione di quelli che erano gli obiettivi della CGIL scuola (così come qualcuno ha tentato di fare). In realtà non è stato così moltissimi delegati della CGIL scuola sono stati eletti su piattaforme che erano più o meno, o grossomodo quelle che ricalcavano le stesse istanze che portavano avanti i compagni che sono stati eletti all'interno delle liste Cobas, e non solo nella CGIL scuola, anche in altre organizzazioni sindacali, anche in alcuni casi la CISL, anche in altri casi persino la Uil o altre organizzazioni sindacali. Allora qui si tratta appunto, condivido molti il discorso che faceva prima Raoul rispetto alla necessità di vedere come possiamo fare noi come partito per cercare di ricomporre il più possibile questo soggetto disperso e disgregato. Un segnale importantissimo viene da un'iniziativa guarda caso fatta dalle RSU di Milano, RSU di eletti in diverse liste CGIL scuola, Cobas e quant'altro, rispetto alla questione dell'abbattimento, dell'abolizione del tempo pieno e del tempo prolungato nella futura scuola con il riordino dei cicli. Il fatto che ci sia stato un appello firmato da questi lavoratori unitariamente ci dà un'indicazione preziosa , che è l'indicazione rispetto alla quale noi come partito dobbiamo lavorare. Credo che sarebbe anche necessario approfondire un po' la riflessione su quali debbono essere, all'interno dei luoghi di lavoro, il ruolo dei nostri circoli aziendali. Sento parlare di circoli aziendali in aumento, va benissimo, ci credo molto in questa nostra collocazione all'interno dei posti di lavoro ma abbiamo una necessità anche di definire il loro ruolo. Credo che questa definizione si incrocia con le cose che qui noi stiamo dicendo.

 

 

 

Alessandro Sabbiucciu - Assessore al lavoro Provincia di Venezia

 

A me pare che quello che abbiamo di fronte è davvero un compito grande, perché ciò che è in gioco oggi è la sovranità dei lavoratori su loro stessi, è la sovranità nostra su di noi, è la sovranità degli stati nazionali, è la sovranità degli enti locali rispetto a processi che sono potentissimi e che si definiscono rispetto a tre diversi organi di comando: l'impero per la politica, un coacervo di soggetti G7, Fondo Monetario Internazionale, Banca Mondiali WTO per l'economia, il Pentagono e la Nato per le coperture militari di cui questi soggetti hanno bisogno. Dentro a questa potenza che è schierata e sotto le macerie, le rovine del Muro di Berlino, la sinistra liberale e il gruppo dirigente della CGIL, dal mio punto di vista, hanno deciso, hanno assunto politicamente e culturalmente il fatto che non può che andare così e hanno deciso di adattare i propri comportamenti al fatto che non può andare che così, e questa cosa li riduce in un futuro senza speranza, ma riduce anche noi in un futuro con una difficile speranza. Io penso che se l'orizzonte è questo, se c'è un minimo di verità nella potenza che l'avversario nostro è in grado oggi di mettere in campo, credo che l'unica cosa che il PRC non debba fare, non debba essere costretto da noi a fare, è quella di trasformarsi in una sorta di tifoso allo stadio per decidere se stare con la Lazio o con la Roma, se sta con i compagni della CGIL o se sta con i compagni dei Cobas o delle RDB. La mia storia personale è nella CGIL; ho cominciato facendo l'operaio comune in Manifattura Tabacchi nel 1977 a Venezia. Nel 1993 abbiamo raccolto 10.000 firme tra le lavoratrici e i lavoratori veneziani e abbiamo fatto l'unico congresso straordinario nella storia della CGIL promosso dal basso; abbiamo sbaraccato il gruppo dirigente per cinque anni fin che non ho fatto l'ultimo decisivo frontale con Sergio Cofferati nel novembre del 98. Ho fatto il segretario generale in quella Camera del lavoro. E la mia storia è lì e c'è anche il mio cuore e le cose che penso oggi della mia organizzazione mi fanno male, come credo che facciano male a molte compagne e a molti compagni che continuano una battaglia lì dentro. Credo che ognuno di noi abbia delle difficoltà nell'operare in un moloc che fa comunque cinque milioni e dispari di iscritti e con tutte le nefandezze che mette in fila, becca comunque il 35 % dei voti nelle elezioni libere e democratiche nella scuola. Non esiste, compagni, un motore immobile che per folgorazione decide che da domani mattina si fa la scissione in CGIL, perché queste sono logiche di ceto politico, ci sono processi politici che vanno messi in campo e necessitano di fatica perché la ricomposizione dei dispersi del lavoro, come la ricomposizione dei dispersi del sindacato avviene attraverso processi politici, rispetto ai quali anche noi marchiamo dei ritardi rispetto a scelte e decisioni che avevamo messo in campo anche con l'ultimo congresso. Ma insomma, negli anni '50 non c'erano i collocamenti attraverso le parrocchie? Negli anni '50 non c'erano le repressioni? Alla fine dell'800 stavano meglio i nostri bisnonni o non c'erano le repressioni e la violenza brutale dei padroni delle ferriere? Eppure c'è stato un lavoro paziente che è passato dalle Società del Mutuo Soccorso, alla costruzione delle Camere del Lavoro, alla costruzione delle Organizzazioni Sindacali: un lavoro paziente, minoritario ma di costruzione, non di rivendicazione astratta di un cosa che non è nelle cose possibili oggi. Penso che per ogni comunista ci siano due strumenti fondamentali, guardate, strumenti, non fini ultimi della creazione e questi strumenti sono, a me hanno insegnato così fin da piccolo, il partito e il sindacato. Quindi è ineludibile, per ognuno di noi, sia che stiamo nei Cobas, nelle RDB o nella CGIL, se ci diciamo e vogliamo essere comunisti, pensare progettualmente alla costruzione del sindacato generale di classe; questo è ineludibile e non c'è nulla oggi di più lontano da questo della CGIL di Sergio Cofferati. Questo per me è fuori discussione, ma sostenere questo implica un lavoro paziente. Credo che abbiamo messo un primo mattone; questa Conferenza chiude un processo di costruzione, le assemblee, deve aprirne un altro: se pensiamo alla Conferenza, anche a questa, come un "momento carismatico" che ci consenta di gestire i processi, commettiamo un errore; dobbiamo dare uno sbocco e uno sbocco organizzativo lo dobbiamo costruire e decidere. Credo che costituire la Consulta Nazionale del Lavoro sia un punto nel quale Rifondazione mette a disposizione dei compagni della CGIL, dei Cobas, delle RDB e di quant'altro c'è nell'universo della rappresentanza sindacale, un luogo fisico nel quale misurarsi. Questa Consulta va replicata a livelli territoriali e questi luoghi fisici devono diventare i luoghi nei quali i compagni, indipendentemente da dove si trovano a lavorare, costruiscono le proprie piattaforme unitarie e ognuno nei propri luoghi si impegna a portarle avanti. Contemporaneamente il partito costruisca le Camere dei Lavori, perché la ricomprensione dei dispersi non avviene rincorrendoli come leprotti, avviene solo se consegnamo luoghi e piattaforme politiche, perché questa conferenza non diventa anche con l'obiettivo delle elezioni il "la" per costruire provincia per provincia, prima delle elezioni, delle conferenze programmatiche del PRC all'interno delle quali mettiamo quattro obiettivi. Allora costruiamole queste piattaforme, perché queste piattaforme costruiscano il terreno che può consentirci di battere lo smottamento culturale che ha pervaso anche il gruppo dirigente della CGIL. Su una cosa, Rosy, non sono d'accordo: quando mi dici si però ci sono le privatizzazioni, cioè tutta una serie di partite. Queste cose però il gruppo dirigente della CGIL non le ha osteggiate; ciò che oggi è in campo rispetto ai nostri territori è anche qui una perdita di sovranità. L'Unione Europea ha deciso di derubricare l'acqua da diritto a bisogno, e siccome è un bisogno individuale, te lo paghi, significherà la privatizzazione degli acquedotti, la grande multinazionale francese la "Societè des Eaux" che si prepara ad acquistare tre quarti degli acquedotti in Italia. E allora non stiamo qui a dividerci tra tifosi e costruiamo invece queste piattaforme territoriali nell'ambito delle quali il terreno comune tra chi è collocato diversamente può produrre sintesi unitaria e conflitto sociale. Non siamo noi a decidere che lì, in quel momento, nasce i conflitto, il conflitto nasce da sé. Noi però dobbiamo avere la capacità di fare in modo che questi conflitti che nascono, e qui oggi abbiamo sentito che ci sono conflitti in giro per questo pianeta, li facciano diventare fatto politico generale e modificazione generale dei rapporti di forza sciale. Questo dobbiamo fare, dopo di che il sindacato generale di classe arriva.

 

 

 

Cecchini - Assessore al lavoro - Regione Marche

 

Il compagno che mi ha preceduto ha detto tante cose che condivido quindi andrò proprio alla sintesi, aggiungendo un ragionamento a quello che lui diceva. In questo momento il nostro partito mette al centro dell'iniziativa politica la questione del tempo e del salario, benissimo; è una questione però che deve assumere tutto il partito. Lo dico perché la discussione di oggi, i toni sindacali che si sono sentiti dimostrano tanta passione, tanti problemi che abbiamo, ma anche la necessità che il partito faccia poi la sintesi, cioè ognuno faccia il comunista nella sede sindacale che ritiene più opportuna, ma è necessario che, come nella scuola abbiamo saputo combattere una battaglia con il riferimento sempre chiaro a qual era la posizione del partito, il gruppo parlamentare e il partito in senso lato, anche qui conduciamo una battaglia sempre molto chiara; voglio dire che il partito lo metto dentro tutto e ci metto dentro anche i compagni e le compagne che stanno nelle istituzioni. Vi voglio portare l'esperienza che stiamo facendo nella Regione Marche: io sono assessore al lavoro da otto mesi, ci sarò fino a quando i compagni riterranno che questo lavoro sia utile. Stiamo cercando di usare questa collocazione di governo per fare delle cose che segnino la presenza di Rifondazione Comunista. Sugli LSU stiamo lavorando per stabilizzarli in tutti i modi e in tutte le maniere, costringendo gli Enti locali, e pagando come regione il 50% in più, stiamo lavorando perché i precari degli enti di diritto allo studio siano resi stabili. Stiamo tentando di utilizzare una legge che facemmo nel '97 sulla riduzione dell'orario di lavoro e abbiamo un'esperienza significativa in una azienda dove 137 lavoratori hanno l'orario a 35 ore, pagato con la riduzione dalla Regione. Esempi piccoli, ovviamente, ma abbiamo bisogno di utilizzare tutte le nostre forze: ad es. noi da luglio di quest'anno siamo sede utile per le vertenze sindacali perché la legislazione è cambiata. Fare ciò non in modo burocratico ci consente di fare tanta iniziativa politica, ma anche di declinare le cose che voi avete detto sul sindacato; faccio degli esempi: molto spesso abbiamo avuto ottimi rapporti con i lavoratori e pessimi rapporti con le confederazioni, tanto da arrivare alla crisi di giunta sulla questione Telecom, perché avevamo riunito e lavorato con i lavoratori e sull'accordo del 28 marzo che penalizzava i lavoratori ma anche le Marche e questo è diventata questione di giunta perché i confederali hanno ritenuto che non potevamo lavorare contro un accordo firmato nazionalmente. Oppure, sulle ditte appaltatrici ex Telecom; il fatto che dobbiamo controfirmare e dare parere motivato e non lo stiamo dando perché l'accordo sindacale nazionale ha messo in fila una serie di Aziende che non hanno crisi (tant'è vero che Salvi ha dovuto fare un decreto legislativo successivo che dice che la cassa integrazione straordinaria deroga la normativa anche per le aziende senza crisi, appunto per giustificare quell'accordo sindacale). Ora, tutte queste cose dimostrano, visto dall'altra parte, rispetto all'esperienza vostra, che non c'è dubbio che il lavoro sul sindacato che dobbiamo fare è un lavoro grandioso perché il riferimento con i lavoratori è carente , talvolta i sindacati confederali hanno paura di andare in assemblea generale; quindi l'osservatorio "dall'altra parte del tavolo" dimostra quanto lavoro politico c'è bisogno di fare per rimettere in piedi un sindacato di classe! Un grandissimo lavoro politico che dovremo fare proprio per utilizzare lo strumento, come diceva il compagno che mi ha preceduto, per costruire più forza. Voglio dire che dobbiamo declinare "riprendiamoci il tempo e il salario" contro la flessibilità noi abbiamo bisogno di un sindacato di classe certo, abbiamo bisogno anche di declinare delle politiche ad es. per la parte sulla quale lavoro. Ovviamente l'ottica è sempre istituzionale ma ciò che volevo dire a quest'assemblea è che il riferimento istituzionale può essere utile per le lotte sociali; abbiamo tanti fondi comunitari ad es. sui quali possiamo finanziare sia la riduzione d'orario, sia la retribuzione salariale per i disoccupati di lunga durata. Possiamo quindi intrecciare le lotte sociali con l'iniziativa politica, allora c'è tanto lavoro da fare e tutto il partito deve lavorare in questa direzione.

 

 

Grazia Montuoro - PRC Nocera Inferiore

Compagni sono qui perché avevo l'esigenza di esprimermi come lavoratrice del comune di Nocera Inferiore, sui miei bisogni di lavoratrice. Una lavoratrice di terzo livello, che prende 1.600.000 al mese, che fa 36 ore settimanali ed è flessibile rispetto a quello che sono le richieste degli altri e non le richieste mie che avanzano. Credo che se oggi i comunisti e le comuniste si interrogavano sui propri bisogni, forse avremmo fatto un lavoro migliore, per noi stessi e per avanzare rispetto alla soluzione dei nostri bisogni e dei nostri problemi, e per il partito che bene ha fatto a scommettere su questa conferenza dei lavoratori e delle lavoratrici, perché secondo me è arrivato il momento di fare chiarezza. Sono d'accordo che ci facciamo solo male se c'è chi "parteggia" per la CGIL o per i Cobas. Io voglio sapere se siamo disponibili insieme, oggi, qui, in Italia ad alzare il tiro per la questione salariale. Allora qui tutti quanti stamattina dovevamo dire "caro Segretario Bertinotti, da qui a venti giorni dobbiamo fare una grande manifestazione perché non ne possiamo più". Invece buona parte di discussione è stata su altro. La relazione del compagno Zuccherini mette all'ordine del giorno e ai primi posti della nostra discussione una riflessione seria sulla nuova questione meridionale, perché oggi possiamo affermarlo con forza che c'è una nuova questione meridionale, perché abbiamo nuovi poveri, abbiamo qualcuno che si può permettere il telefonino però che non porta il pane e il latte a casa. Ci sono altri che dicono che queste sono le strade della new economy: impara l'inglese, impara il computer e sicuramente troverai un lavoro! Mio figlio che va all'Itis mi ha detto io informatica non la voglio fare perché oggi il mio padrone è questo, domani sarà quello, io voglio stabilità sul posto ai lavoro! In che modo intrecciamo oggi quelle che sono le problematiche dell'ambiente le problematiche della messa in sicurezza del territorio con la creazione di nuovo lavoro? Abbiamo fatto la conferenza provinciale a Salerno, e il compagno Claudio Milite, responsabile del lavoro, apriva quella relazione dicendo "oggi i giornali, quasi tutti titolano che c'è bisogno di mano d'opera verso il nord e quindi se ci spostiamo verso il nord abbiamo lavoro". Non siamo d'accordo, vogliamo che le imprese vengano qui. In provincia di Salerno i disoccupati iscritti all'ufficio di collocamento sono 200.000, il 26%, nell'Agronocerino Sarnese, da dove io vengo, si raggiunge il 34%. In quell'area, è successo Sarno, Siano e Braciliano! Oggi viviamo anche una responsabilità di governo in quella regione e quindi proviamo anche dal lato istituzionale, così come faceva la compagna assessore che mi ha preceduta a fare avanzare le nostra piattaforme.

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Comunque anche per il più illuminato Bassolino il mercato è quello che deve regolare la vita sociale. I comunisti cosa fanno? Alziamo i tiro? Tentiamo di fare una grande manifestazione su questa problematiche a fine febbraio a Napoli in Campania, e tutti i comunisti e le comuniste come io oggi sono qui a Treviso, e ritengo che sia anche giusto venire a Treviso, perché il partito anche qui si deve interrogare perché nel ricco nord est quando il partito ha le percentuali che ha, si deve interrogare. Qui non ci sentono perché forse stanno molto bene, al sud non ci sentono perché stanno troppo male, allora devono vedere da che santo devono andare per raccomandarsi. Scusate ma noi un equilibrio di linea politica , di piattaforme lo dobbiamo fare, è un nostro dovere di comunisti. Chiudo facendo anche alcune proposte, rispetto all'esternalizzazione. Badate bene non si esternalizza solo nel pubblico, si esternalizza anche nel privato, nella grande fabbrica metalmeccanica si esternalizza che riguarda le pulizie; una compagna di una cooperativa stava raccogliendo le firme contro le pensioni e i salari d'oro ed è stata allontanata perché hanno detto alla cooperativa se questa non la smette di pensare noi vi togliamo l'appalto. Quella compagna ha dovuto cambiare posto se no c'erano altre 4 persone che perdevano il lavoro. Occorre anche fare chiarezza sul mondo della cooperazione, perché se abbiamo il dovere di farlo rispetto al mondo sindacale lo dobbiamo fare anche rispetto al mondo della cooperazione. Questa è storia che appartiene anche a noi: la CGIL non è loro, come non è loro la legge delle cooperative, perché i valori sono i nostri, e noi da qui dobbiamo riscattarci, e questo lo dico con rabbia, perché chi vi parla ha fatto militanza! Stamattina c'era qualche compagno che diceva che ci sono i ceti politici e sindacali; bene, in provincia di Salerno negli ultimi tempi una compagna della Sinistra Sindacale riesce ad entrare in segreteria confederale, quella compagna oggi non è qui perché non vuole lasciare il suo posto perché gli infermieri sono pochi e lei rispetta i lavoratori... non si è presa il distacco... perché fa l'infermiera...

Io sono d'accordo di andare a costruire dove è possibile, dove non è possibile bisogna fondare le "camere del lavoro e del non lavoro" anche come luogo dei compagni della CGIL dei Cobas delle RDB, per mettere insieme le forze, per definire piattaforme e forse riusciremo a dare rappresentanza a quel mondo del lavoro che nessuno rappresenta, per rappresentare anche chi non ha voce.

In regione Campania abbiamo proposto con forza una Agenzia per gli LSU. Siamo d'accordo con la proposta che faceva prima la compagna assessore, di utilizzare i fondi che in questo ultimo sprazzo avremo, e saranno parecchi, questi di Agenda 2000 poi ne dovremo aspettare ancora altri, per provare ad istituzionalizzare forme di riduzione di orari di lavoro e , là dove è possibile, anche forme di salario sociale. La questione del salario sociale non è una questione del mezzogiorno, noi non vogliamo essere assistiti, noi vogliamo lavorare, però chi non ce l'ha il lavoro deve avere la possibilità di non essere ricattato. Se questo partito riuscirà nell'enorme difficoltà che abbiamo economiche, organizzative.. a fare questo, possiamo dire che forse ci incamminiamo verso la costruzione di un partito di massa rilanciando un po' tutti insieme la costruzione di un nuovo sindacalismo confederale: però personalmente non sono disposta a regalare niente a nessuno

 

 

 

Interventi del 28 Gennaio – Cinema Edison

 

Paolo Cacciari - Segretario PRC Veneto

 

Care compagne, cari compagni,

Questa è la giornata conclusiva, in seduta pubblica e plenaria, della Conferenza Nazionale delle Lavoratrici e dei Lavoratori Comunisti, che si è aperta ieri a Ponzano con la relazione di Stefano Zuccherini e che ha visto la partecipazione di oltre 450 delegati, impegnati in un lavoro pesante di approfondimento delle principali tematiche che attraversano il mondo del lavoro.

A me spetta solo il compito di ringraziare le compagne e i compagni che così numerosi sono qui oggi ad ascoltare gli interventi conclusivi; ma soprattutto ho un debito di riconoscimento ai delegati delle federazioni più lontane, per i disagi di un lungo viaggio e per le soluzioni logistiche un po' complicate che abbiamo offerto loro, un ringraziamento sincero quindi ai compagni del sud, ai compagni sardi, ai compagni pugliesi, ai compagni calabri, ai compagni campani. Vi posso assicurare che questa vostra fatica ha per noi una straordinaria valenza politica; innanzitutto è un gesto di fratellanza con quelle parti del nostro Partito che sono costrette ed operare nelle condizioni più difficili, dove le destre sono più prepotenti e i padroni più potenti; secondo, abbiamo voluto venire qui perché vogliamo fare i conti con il cuore pulsante della nuova rivoluzione industriale in quel nord est che nell'ultimo decennio ha avuto le performance di sviluppo più evidenti e , a torto o a ragione, è stato indicato come modello produttivo e sociale. Un'area che si è trovata al centro dello snodo delle nuove relazioni internazionali capitalistiche e che le ha sfruttate mettendo al lavoro ogni suo ganglio vitale, ogni sua molecola. Ieri eravamo a Ponzano e avrete certamente notato Fabrica, l'avveniristica mega struttura che contiene la logistica dell'impero Benetton. Un immenso hangar tecnologico, sospeso da cavi di acciaio e attraversato da fibre ottiche; ma l'intera pianura veneta è stata lastricata da capannoni di tutte le fogge e di tutte le dimensioni. Maglie e magliette colorate, scarpe e scarponi, occhiali e cerchioni in lega, sedie e sellini da biciclette, polli e panettoni escono da qui a rigagnoli a vanno ad alimentare di splendenti cianfrusaglie gli scaffali del grande mercato globale.

Siamo nel Veneto a parlare di condizioni di lavoro, perché la nostra critica alle modalità produttive vuole uscire dal capannone e guarda alle relazioni sociali; non si ferma alla contestazione del pure insopportabile ritmo della mansione parcellizzata in frazione di secondo; la nostra critica riguarda la disincronia del ciclo continuo del "just in time" con i tempi di vita, con i tempi della vita biologica ed affettiva delle persone. In un'aula di tribunale, in una città poco lontana da questa, da tre anni si sta dibattendo un processo importante, intentato da un piccolo gruppo di operai tenaci al gotha dell'industria chimica Italiana. La spaventosa lista dei morti per cancro da cloruro di vinile monomero accertati dalla magistratura inquirente è giunta a 187; e senza andare ai petrolchimici, avete visto le ricerche dell'Organizzazione Mondiale della Sanità che ha pubblicato Liberazione e, mi pare, nessun altro ieri sui giornali. Pensiamo alla vicenda paradigmatica della mucca pazza, paradigmatica perché ci dice a cosa può portare la logica cieca del profitto. Ci chiediamo e chiediamo vale la pena? Lavoro notturno, esteso anche alle donne, "contratti pipistrelli", contratti week-end, lavoro a chiamata part-time saltuario con deroghe agli straordinari e via precarizzando, per cosa? Solo per sfondare il pavimento dei posti di lavoro, quanta ipocrisia, quante lacrime di coccodrillo cadono dai pulpiti delle nostre chiese e inchiostrano pagine di giornali per il calo demografico, per la crisi della famiglia, per il dilagare dei disagi mentali, per le pasticche del sabato sera. Ma se in fabbrica si va come in guerra, tentando di pensare ad altro e sperando che finisca presto, allora fuori dal lavoro, inevitabilmente, la precarietà diventa insicurezza, l'incertezza diventa ansia, l'insuccesso una colpa personale e il successo una opportunità per i tipi più furbi e aggressivi. Vi devo confessare, compagne e compagni, che incomincio ad avere seri dubbi su quella massima che diceva che l'uomo si realizza con il lavoro, ma sono certo invece e convinto che questo lavoro svalorizza e deumanizza le persone che sono chiamate a svolgerlo... Siamo a Treviso, nel cuore del nord est, dove massima è l'ostentazione della ricchezza dei nuovi ceti arricchiti, e dove massima è la domanda e il ricorso al lavoro povero, dove il salario offerto non basta a pagare l'affitto degli immigrati, non basta a mantenere la famiglia. In questa piccola provincia 25.000 sono gli stranieri residenti, il 20% degli occupati nell'industria sono immigrati, senza di loro il miracolo del nord est svanirebbe di botto, altro che rubarci il lavoro! Ebbene, proprio qui c'è il sindaco più xenofobo e razzista d'Italia, le sue ignobili battute hanno fatto il giro del mondo e sembrerebbe una contraddizione: i padroni hanno bisogno di un esercito di riserva industriale più grande possibile e non vanno certo per il sottile, non guardano il colore della pelle e neanche i documenti delle Ambasciate e delle Questure, mentre i loro rappresentanti politici, gli amministratori delle ricchezze sociali accumulate in queste terre dicono di non volerne sapere. Ma, badate, è una contraddizione apparente: il razzismo non è solo una categoria dello spirito, un pregiudizio ideologico diffuso e banale quanto lo può essere solo il male, è anche un potente strumento ordinatore della società; attraverso la regolamentazione dei flussi si instaurano sistemi di gerarchie, si segmenta e si controlla il mercato del lavoro, si instaura un doppio mercato, si differenziano e si etnicizzano i contratti di lavoro. Come diceva quello studioso, il razzismo è la religione dei ceti dominanti. Ecco perché noi comunisti nella lotta la razzismo non muoviamo solo da ragioni etiche di solidarietà, ma anche da motivazioni interne alla iniziativa di classe: nostro obiettivo è tentare di ricomporre i soggetti diversi in un quadro di lotta alle modalità di produzione e riproduzione capitalistica. Ecco perché, compagne e compagni, siamo qui a Treviso, ecco perché a nome di tutto il Partito veneto ringraziamo il dipartimento lavoro e la direzione tutta per aver voluto scegliere proprio il nord est per lanciare il nostro messaggio di lotta e di speranza ai lavoratori di tutta Italia.

 

Pietro Magra - Delegato Circolo Iveco - Brescia

 

Care compagne e cari compagni,

un ringraziamento particolare per l'opportunità che ho di essere qui a parlare.

E' molto difficile per me dire in pochi minuti tutto quello che sento, sensazioni, stati d'animo, che giorno per giorno avverto come molto veri, iniziando dalla percezione di quanto sia difficile oggi continuare ad essere e a chiamarsi comunisti, data l'ostilità crescente verso questa identità che tuttavia è grandemente rispettata per la coerenza che ci distingue e ci caratterizza. Per venire allo scopo per il quale ci siamo trovati ieri e oggi, gli spunti per dare il mio modesto contributo sono numerosi. Molte cose sono cambiate nel mondo del lavoro, ma l'avvertimento che stessero cambiando e in peggio lo si poteva ritrovare anche in riflessioni più lontane come in una lettera di molto tempo fa i cui contenuti rimangono tuttavia molto attuali. Questa lettera parla di diversi tipologie di lavoro degli anni '50 che assomigliano molto a quelli di oggi, al lavoro interinale, a tempo determinato, alla formazione lavoro e tanti altri; allora il problema era il cottimo, un lento suicidio specialmente per il giovani. Questa lettera dice che i giovani operai, smaniosi di portare alla mamma una busta sempre più pesante, si consumavano e non pensavano alla salute, lavoravano 12 ore al giorno, a turni, rischiando infortuni in misura doppia, senza essere assicurati, senza assegni ne mutua, passava così la logica del padrone per la quale il bene dell'azienda doveva essere il bene di tutti. Ho ripreso solo alcuni degli elementi di denuncia più scandalosi che nel '53 Don Lorenzo Milani inviava ad un amico prete nel merito al licenziamento di Mauro, un ragazzo della sua comunità. Molte delle denunce di Don Milani sono tornate attuali, e perfino la cronaca giornaliera è piena di situazioni analoghe, di storie di persone alle quali non si riconosce più il diritto ad esistere, ad esserci a determinarsi, costruire un futuro per se e per i propri figli. Le cosiddette morti bianche, che sarebbe giusto chiamare omicidi, sono il segnale estremo del decadimento della civiltà del lavoro. L'infortunio mortale nel rogo di una fabbrica tessile a Biella che è avvenuto non molto tempo fa, ha cause ben precise e tutte imputabili a questo decadimento: gli aumenti vertiginosi dei ritmi di lavoro in presenza di innovazione tecnica per la quale il lavoratore è diventato un fattore di produzione secondario, l'allentamento del controllo sulla salute che, non solo oggi esclude ogni serio controllo operaio, ma che sempre più spesso è affidato ad agenzie esterne, cioè è anch'esso esternalizzato. Potrei continuare, ma voi stessi conoscete per esperienza la stessa condizione operaia che si caratterizza per una generale insicurezza. Tuttavia, compagne e compagni, non siamo venuti qui per compiangerci, ma per capire come reagire, quali risposte determinate e coscienti possiamo mettere in campo contro i processo in corso di imbarbarimento del lavoro. Uno degli strumenti utili ad invertire la situazione attuale è certamente istituito da un lavoro di presa di coscienza della propria condizione proletaria che nelle fabbriche i nostri circoli operai possono e devono svolgere, soprattutto verso i lavoratori più giovani che non dispongono di memoria di lavoro e che potrebbero essere più penetrabili dal pensiero unico e da un sentimento di resa. Riprendere la battaglia sui diritti sindacali ma non solo è l'obiettivo primo che si è posto il nostro neonato circolo "Carla Capponi" di Brescia e del sito Iveco (ci chiamiamo sito perché ci hanno esternalizzato, spezzettato, ormai la fabbrica è divisa in diversi reparti con diverse proprietà). Questa prospettiva non può fare a meno di una grande teoria della liberazione, quella che in noi nuovi comunisti teniamo ferma e sviluppiamo; voglio riassumerla servendomi di un messaggio di lotta e di speranza che il Subcomandante Marcos ci ha inviato dalla selva Lacondona, che recita:

"In questo mondo globalizzato, neoliberista, ci sono uomini schiavi che sono felici di esserlo. Ci sono uomini e donne che rinunciano alla propria umanità e vanno ad occupare un posto nel gigantesco mercato dello sfruttamento dell'uomo sull'uomo, ma c'è anche chi non si adatta e sceglie di essere scomodo, chi non si vende, che non si arrende. In qualsiasi tempo ci sono stati uomini e donne che si sono ribellati con grande coraggio e ad alta voce hanno detto ora basta!"

Compagne e compagni, questo del Comandante Marcos è un messaggio forte, facciamolo nostro.

 

 

Maurizio Zipponi- Segretario Fiom - CGIL Lombardia

 

Io credo che siano poche le occasioni vere che ha un sindacato e la sinistra di poter risollevare la propria voce e di far ascoltare i propri progetti, le proprie idee e di riprendere un rapporto positivo con il mondo del lavoro. Noi veniamo tutti da una grande fase di cambiamento più volte analizzata, piena di sconfitte in alcuni casi di vittorie o comunque di amarezze, siamo però in una fase in cui il lavoro sta cambiando, l'impresa sta cambiando, c'è un pensiero unico, e quando nel mondo del lavoro si dice pensiero unico non si intende una elaborazione ideologica unica, si intende un unico punto di comando e di potere nel paese e nel lavoro, chi sta nelle fabbriche, negli uffici, chi lavora nei centri commerciali, chi lavora sa che il punto vero è un'altra voce che deve riconquistare diritto di parola, di ascolto, di nuova lotta, di nuovi accordi, perché si tenga conto della condizione di un lavoro che non sta scomparendo, ma anzi è il motore di questa modernizzazione. Siamo in uno di questi momenti in cui il cambiamento del lavoro e dell'impresa è un'occasione per la sinistra e per il sindacato per passare dalla resistenza al liberismo radicale che c'è stato, ognuno di noi come ha potuto, chi in modo più moderato, chi in modo più radicale, ma una resistenza, alla fase della proposta e della mobilitazione. Grandi segnali ci sono stati, richiamati più volte nel dibattito, nella relazione, c'è stato il voto alla Zanussi, gli insegnanti, il voto alla Telecom, gli scioperi di oggi alla Fiat, la quale Fiat risponde in modo rabbioso al fatto che lo sciopero è oggi ancora un punto, un'arma, un modo per aprire una contraddizione entro il pensiero unico. L'esito di questa fase però, se è vero che per noi è un'occasione, dobbiamo sapere che l'esito di questa fase può anche essere un rischio pesante di corporativismo e di marginalità definitiva della soggettività dei lavoratori con la conseguente scomparsa del più grande sindacato italiano che si chiama CGIL. Parlo della scomparsa del più grande sindacato italiano e non dei sindacalisti, dico che la CGIL oggi sta rischiando, non tanto una deriva moderata, entriamo tutti in una fase in cui la discussione non è più se la linea della CGIL è di concertazione, moderata con l'accoro di luglio ecc., stiamo entrando in una fase in cui la CGIL se non cambia radicalmente e torna a parlare contemporaneamente di contratti nazionali europei, ma di contrattazione sul tuo orario, sul tuo salario, sui tuoi diritti, sulla tua vita, su i tuoi affetti, sul tuo tempo di lavoro e ricontratta questi elementi, o ci sono entrambi questi due punti di ripresa radicale dell'iniziativa della CGIL, oppure dobbiamo dirlo che il rischio vero è la scomparsa della CGIL perché non serve più; un sindacato corporativo pronto c'è già si chiama CISL, in Italia. Credo quindi che la proposta sulla quale dobbiamo lavorare, insieme, è quella di riaprire il conflitto sul lavoro. Ora, quando si dice riaprire il conflitto sul lavoro, ci si accusa sempre di fare una battaglia di retroguardia, che ripropone un passato. Allora, molti di noi nel loro lavoro trattano con le aziende o le imprese, io so, e bisogna dirlo ormai senza nemmeno stare lì a perdere molto tempo a spiegare, a scusarci a dire che si anche noi abbiamo il nostro passato e così via, ma io so che oggi non c'è niente di più moderno in questo paese se non costringere l'impresa a competere non sul basso costo del lavoro, ma sulla ricerca, sulla formazione, sulla progettazione su ciò che rende l'impresa italiana corporativa. E come lo facciamo, sostituendoci noi all'impresa? No di certo, sicuramente riaprendo il capitolo del salario, cioè quanto sono pagato per fare quello che faccio, dicendo tu, impresa devi competere su quanto mi paghi; quindi va riaperto il fronte del salario sganciandolo dall'inflazione programmata che ormai è un furto programmato a danno dei lavoratori. Cosa c'è di più moderno se non dire nelle piattaforme che rivendichiamo la riduzione dell'orario di lavoro dentro la trasformazione dell'impresa, perché le imprese, loro essendo pensiero unico, comando unico, imperativo unico, loro dovendo competere il mercato globale, decidono loro i livelli di formazione, dove si colloca il sapere dell'impresa; perché noi non possiamo porre la questione del sapere dentro l'impresa e per discutere di sapere dobbiamo dare il tempo a noi e ai lavoratori di capire, di comprendere, di studiare, di accedere a livelli di informazione, di studio, di riflessione, lo possiamo fare solo riproponendo il tema della riduzione dell'orario di lavoro, in forme nuove, certo, originali, ma sicuramente in questo modo. Dobbiamo dire che non c'è niente di più moderno se non dire che pensiamo che una battaglia giusta da riaprire è per avere il posto di lavoro a tempo indeterminato; il posto di lavoro a tempo determinato impedisce, lo hanno detto tanti e tutti lo testimoniano, a un lavoratore di progettare sé e il suo futuro, quindi è chiaro che anche parlare di tempo indeterminato nelle vertenze aziendali, nella pratica di tutti i giorni che dobbiamo fare negli accordi è un altro dei punti fondamentali. Certo, dobbiamo discutere su un punto che ci viene proposto: guardate che, ci dicono molti coi quali ci confrontiamo tutti i giorni, in Italia il sindacato ha retto un fronte; no! C'è stata una destrutturazione generale dei diritti, dei contratti nazionali e quanto altro. In questa discussione che si è aperta, fra sinistra moderata e sinistra radicale e dentro il sindacato, posso anche dire ammesso che sul passato, pur rimanendo giudizi diversi sugli accordi del luglio '93 e quant'altro, si potesse dire teniamo un attimo lì non teniamo quello come punto di diversità strategica tra di noi, ma c'è una questione che ci divide e che deve essere battaglia politica e cioè che è necessaria oggi una svolta radicale, sul terreno sociale e politico, perché il bilancio concreto sulla vita delle persone che noi dobbiamo rappresentare, che noi vorremmo rappresentare e recuperare alla partecipazione politica e sindacale, la vita di queste persone è peggiorata, e tutte le volte che è peggiorata e quindi il bilancio è negativo sulla vita delle persone, tutte le volte lo dicono i giornali, noti giornali comunisti come il Corriere della Sera, Il Sole 24 Ore e qunto altro, loro scrivono che il reddito dedicato al salario in 20 anni è passato dal 56% al 40%, e quindi diventa notizia; oppure loro dicono, Il Sole 24 Ore, che al nord ormai l'unico modo per cercare mano d'opera è offrire lavoro a tempo indeterminato dall'impresa; se lo chiediamo noi diventa battaglia di retroguardia. Quindi è chiaro che il bilancio di questi anni, per coloro che lavorano nelle imprese e ai giovani a cui viene offerto un nuovo lavoro i bilancio è un bilancio negativo innanzitutto, prima ancora che sul salario sulla libertà! Abbiamo un bilancio da fare sull'unità sindacale che è una cosa di cui nessuno parla più; siamo alla totale rottura perché non c'è più una corrispondenza tra unità nel mondo del lavoro e quindi le burocrazie sindacali non sono più chiamate a rispondere su progetti di riunificazione e di unità sindacale. Abbiamo avuto il dramma della contingente necessità sulla guerra e oggi su tutta la questione relativa all'uranio impoverito, quindi siamo a un potere prossimo allo zero nei processi di trasformazione nell'impresa, quindi questi sono i fatti; allora, se questi sono i fatti, secondo me, un punto deve diventare oggetto di discussione nella sinistra e cioè non basta, nella formazione della sinistra sindacale, ragionare solo intorno a un progetto alternativo a quello dell'attuale maggioranza, è necessario parlare di discontinuità di linea, progetto alternativo e gruppo dirigente alternativo. Noi non possiamo più saltare un processo di rinnovamento generale del sindacato. La lotta alla burocrazia diventa un punto fondamentale nel rapporto anche col mondo del lavoro. Non credo che sia possibile fare una battaglia nella sinistra sindacale e ricostruire un progetto se non si fa anche in modo diverso la politica. Non esiste un documento di sinistra o di destra, esiste una pratica di sinistra o di destra, esiste un accordo che firma il tempo determinato e un accordo che dice non lo firmo e firmo il tempo indeterminato, esiste un modo di agire e non è un modo di agire elitario, di qualcuno che testimonia una posizione, è un modo di agire che, sappiamo tutti, entra in contatto con la trasformazione del mondo del lavoro, con le richieste di libertà, emancipazione, associazione, sindacato, lotta, conflitto e accordo, si entra in contatto quando hai pratiche concrete e non solo chiacchiere. Quindi io credo che la risposta alla scomparsa del mondo di lavoro dipendente, alla precarietà alla autonomia del sindacato, la si possa fare ricostruendo intorno alla catena del lavoro e cioè si parte da dove nascono le idee, dalle progettazioni, dalle ricerche e si scende a chi progetta il ciclo produttivo, a chi pensa i prodotti, quali prodotti, inseriamo, come è stato detto nella relazione, la compatibilità con l'ambiente rispetto alla produzione di servizi o mezzi e ad ogni anello di catena del lavoro che ricostruiamo, costruiamo un anello di diritti, nuovi diritti, certezze, piattaforme, conflitto accordi e lotta per sostenerlo, quindi la catena dei diritti che accompagna una ricostruzione minuziosa, precisa, rigorosa, della ricostruzione della catena del lavoro, e accanto a questo una forte battaglia per la sburocratizzazione delle organizzazioni sindacali. Ecco io credo che oggi abbiamo un'occasione di stare dentro fenomeni che vedono la necessità di voce, di associazione, di lotta per ricostruire un'identità del mondo del lavoro. In un dibattito di pochi giorni fa c'è stato un noto commentatore televisivo che mi dice "ma guarda tu sei anche una brava persona, dici cose intelligenti, però hai un limite che ti definisci comunista, perché?" La risposta che io ho dato è stata semplicemente questa, io mi definisco comunista semplicemente perché le cose come sono oggi nel mondo del lavoro non mi vanno bene; mi definisco comunista perché penso che sia l'occasione per cambiare; mi definisco comunista perché penso che la ricostruzione di un sindacato democratico, sburocratizzato, vero, che fa pratica sindacale attraverso il conflitto, attraverso nuovi accordi, è un modo per dire non ci sto a un gioco in cui coloro che generano la ricchezza di un paese, che sono motore fondamentale della modernizzazione di un paese, questi, donne e uomini, sono sempre chiusi in un teatro buio in cui non possono nemmeno permettersi di accendere la luce e dire noi invece ci siamo e vogliamo contare e abbiamo una nostra voglia di progettare il futuro; quindi mi definisco comunista semplicemente per una ragione, perché penso che sia il futuro del movimento operaio italiano.

 

 

 

Seje Umar - delegato 3B

 

Vi ringrazio di avermi dato l'opportunità di essere qui per testimoniare la mia presenza in Italia come lavoratore. Sono senegalese, lavoro alla 3B da quasi 12 anni, dall'89, e attualmente sono delegato, faccio parte della commissione interna della fabbrica, dove siamo in circa 700 operai, con circa 250 immigrati. Il nostro problema lo conoscete tutti: siamo partiti dal nostro paese per venire qui per lavorare. Io ho girato un po' tutta l'Italia: Caserta, Napoli, poi giù fino a Messina, Catania, Siracusa, Ragusa, ho girato un po' dappertutto, però ho dovuto risalire verso il nord per potere trovare lavoro; lavoro da 11 anni nello stesso posto. Noi come lavoratori immigrati, sappiamo che l'Italia non è stato un paese preparato per ricevere immigrati, quindi abbiamo sempre avuto problemi, problemi di inserimento, perché arrivando qui non si conosceva la lingua, non si conosceva nessuno, quindi per inserirci abbiamo avuto molti problemi. Adesso le cose stano cambiando, non c'è più quell'ignoranza, perché gli immigrati sono qui? Perché sono presenti in Italia realmente? Adesso si parla di immigrati lavoratori, sono una risorsa: è vero lavoriamo per guadagnare, ma voi avete bisogno di noi, senza di noi credo che tante fabbriche qui nel nord sarebbero chiuse. Questo si è verificato dopo dieci anni, perché all'inizio io ho conosciuto alcune persone, amici che mi hanno portato qui e insieme abbiamo sempre lavorato per cercare spazi agli immigrati, però si è verificato realmente la necessità, il bisogno di immigrati dopo 10 anni. Noi attualmente lavoriamo tanto, perché i posti più pesanti sono degli immigrati, i posti più schifosi li danno agli immigrati. Gli orari, perché quando un datore di lavoro ha bisogno di te, sei sempre presente.

Il problema della casa. I padroni hanno bisogno di noi per lavorare, però dopo il lavoro non ci vogliono più vedere, dobbiamo sparire, allora noi immigrati come facciamo? Dove andiamo a riposarci, dove andiamo a dormire dopo il lavoro pesante che facciamo in fabbrica? Ci alziamo presto, andiamo a lavorare alle 6 del mattino e torniamo alle 6 di sera, siamo stanchi, non abbiamo tempo di stare con la famiglia. Adesso stanno arrivando le nostre famiglie, perché non possiamo più vivere da soli, volgiamo vivere con le nostra famiglie. Ogni persona dove va, ha almeno il diritto di vivere con la sua famiglia. Abbiamo sempre detto che il lavoro da noi è il lavoro che fa l'uomo, perché bisogna lavorare e guadagnare dignitosamente, però noi passiamo tutto il nostro tempo a lavorare, senza avere neanche un minimo di tempo per stare con la famiglia, se non pensiamo a questo, veramente il lavoro rovinerà l'umanità. Lavorare per crescere, però non possiamo occupare tutta la giornata, 24 ore su 24, con il lavoro o non avere nemmeno un giorno per riposarsi.

 

 

Francesco Ferrara - Responsabile Dipartimento Mezzogiorno PRC

 

La questione sociale, la questione del lavoro, due facce della stessa medaglia in cammino per il salario sociale e questa conferenza di lavoratori e lavoratrici rendono visibile quello che si vuole oscurare in questo paese, e cioè quello che le politiche della liberalizzazione, della privatizzazione, quelle che hanno imposto la centralità dell'impresa sulla centralità del lavoro, vogliono oscurare. Vogliono, cioè, non fare i conti con la realtà, con la dura realtà delle cose, con i processi che ci sono in questo Paese, con i fatti che hanno determinato, con le ingiustizie che hanno provocato. L'Italia, si diceva, dentro la globalizzazione sarebbe diventata più forte, più competitiva nel sistema mondiale ed europeo. E ci hanno anche detto che il mezzogiorno avrebbe accorciato le distanze dal centro nord; ebbene io credo che sia sotto gli occhi di tutti quello che queste nostre iniziative, la conferenza delle lavoratrice e dei lavoratori con le assemblee fatte in tutto il territorio nazionale e il faticoso cammino che abbiamo fatto nel mezzogiorno con la bandiera del salario sociale, invece ci portano ad una dura realtà, a una differenza strategica e culturale tra le cose che dicono e quello che veramente è il Pese. Un'Italia sempre più debole, non competitiva nel sistema europeo e mondiale, impoverita nella ricerca, nella progettazione, nell'innovazione, e un centro nord sempre più distante dal centro sud: un fallimento quindi delle politiche dei governi. Ma cos'è oggi il mezzogiorno, che cos'è tutto quel disagio che abbiamo trovato, che abbiamo riscontrato, e anche quei terribili drammi dei disoccupati, dei giovani che vivono in solitudine la loro condizione di vita di non occupazione, le fabbriche, la distruzione con la privatizzazione di quelle poche realtà industriali nel mezzogiorno. Patti territoriali, contratti d'area, solo ed esclusivamente visti per mettere in discussione diritti salari, contratti nazionali, altro che uso delle flessibilità per l'occupazione e per sviluppare il mezzogiorno! Al contrario, l'uso della flessibilità , la precarizzazione del rapporti di lavoro per rendere ancora più subalterno il mezzogiorno dal resto del paese. Quindi un modello sociale che è ingiusto e che al tempo stesso prevede una disoccupazione di massa in una realtà del nostro Paese, il mezzogiorno; un modello sociale, ecco le facce della stessa medaglia, che punta alla svalorizzazione del lavoro, alla precarizzazione, a rendere inefficaci diritti, salari e quan'altro. Modello sociale che è anche sfruttare territori, città, ambiente, natura, non per renderle risorse in grado di provocare occupazione, di rimettere in moto lo sviluppo in queste realtà, ma per creare la distanza, per aggredirli, per renderli sempre più inumani, più incivili, perché, di fronte al profitto, si può fare anche questo. E pur tuttavia noi avvertiamo che anche in questo disagio, tra le lavoratrici e i lavoratori, tra i soggetti sociali che stiamo incontrando con le nostre iniziative e con la nostra proposta politica, avvertiamo ancora una vera crisi della rappresentanza politica. Il disagio quindi che abbiamo incontrato non riusciamo ancora a tradurlo in rappresentanza politica, dentro il partito, e io credo che è la stessa cosa, rappresentanza politica e rappresentanza anche per come abbiamo discusso la crisi del sindacato. Per affrontare questo punto, bisogna uscire da una logica di competizione tra le varie esperienze sindacali, e interrogarci sul come mai, la dove siamo, con i limiti e le difficoltà che abbiamo, sia nelle organizzazioni di base che in quella confederale, incidiamo così poco nei processi di ristrutturazione e come mai contiamo poco anche nella nostra capacità di rendere più forte un progetto di autonomia del sindacato dalla politica, dai governi e dalle imprese, e quindi interrogarci intanto perché questo non avviene e al tempo stesso provare in qualche modo a ripartire da qui per ricostruire in tutti i luoghi di lavoro, dalla pubblica amministrazione, ai servizi, all'industria, una battaglia che punta a mettere in discussione un'egemonia che io sento che c'è da parte della sinistra moderata. E' come se noi da un lato sentiamo giustamente la necessità di proporre una lettura giusta di un sindacato di classe, al tempo stesso, per la durezza dello scontro, per le poche forze che riconosciamo di avere, poi sostanzialmente al punto in cui occorrerebbe aprirsi e provare in qualche modo a costruire una rete di rapporti con i compagni e le compagne di tante esperienze, di volontariato, di movimenti, di disoccupati, di pezzi importanti di sindacato, di intellettuali, in quel momento forse, veniamo meno. Io credo che qui sia la sfida, dell'insediamento politico del partito e qui è la sfida anche se vogliamo tenere aperta la prospettiva di un sindacato generale e di massa. Per questo penso che dobbiamo non metterla sul terreno competitivo: credo che le compagne e i compagni del nostro partito, dovunque sono, rappresentano il partito e hanno la loro autonomia dentro quelle organizzazioni, consolidata dalla piattaforma del nostro partito. I processi ovviamente sono lunghi, ma io sento anche (se penso a questi pochi mesi che ho conosciuto meglio da meridionale il mezzogiorno) un limite: noi non ce la facciamo da soli, abbiamo bisogni intorno a noi, con la nostra iniziativa, con le nostre proposte, di costruire movimenti, reti di rapporti in grado di riportare di nuovo pezzi di sindacato, pezzi di politica, pezzi di intellettuali ad avere una sponda per la ricostruzione vera dell'autonomia del nostro partito nel mezzogiorno e nel paese. Più siamo forti nel ricercare questa nostra capacità autonoma, più è chiara anche la proposta per le prossime elezioni politiche.

 

 

Con il presente documento, le compagne del Forum delle Donne e del coordinamento provinciale delle Donne Comuniste di Varese, intendono portare un proprio contributo alla Conferenza delle Lavoratrici e dei Lavoratori, evidenziando un punto di vista che, pur partendo dalla propria esperienza di genere, può diventare generale, cioè capace di cogliere e interpretare efficacemente la realtà lavorativa, sociale ed esistenziale di donne e uomini. Le esperienze lavorative delle donne mettono in discussione la centralità della produzione e con essa l'idea della cittadinanza fondata sul lavoro produttivo che ci destina ad un ruolo secondario e marginale. Al contrario, ricollochiamo il lavoro produttivo all'interno della complessa dimensione della vita, ricostruendo l'evidente, anche se rimossa, connessione tra produzione e riproduzione, è infatti il lavoro di cura delle condizioni materiali e mentali dei membri della comunità, non solo dei più deboli, ma anche dei maschi adulti, che consente a questi ultimi di lavorare a determinate condizioni di orario e salario. Tale lavoro non pagato, quasi esclusivamente eseguito dalle donne, deve dunque essere misurato per renderne evidente l'esistenza e il suo carattere necessario. Alla luce di tale analisi, riteniamo sbagliato indicare le donne casalinghe fra la non forza lavoro, al contrario, il lavoro domestico non pagato che esse eseguono deve essere considerato quale elemento costitutivo dei processi di accumulazione di ricchezza sociale e conteggiato nel PIL, senza per questo essere considerato come lavoro naturalmente delle donne, ma anzi riconoscendo e criticando la sua disuguale distribuzione all'interno della famiglia. Il mancato invito delle compagne casalinghe alla conferenza delle Lavoratrici e dei Lavoratori del partito, è parte della costruzione sociale e culturale che rimuove il problema della ineguale distribuzione del lavoro non pagato e che relega le potenziali tensioni che ne derivano all'interno delle mura domestiche, riducendolo ad un problema provato della coppia. Accanto al sistematico intreccio del lavoro produttivo e del lavoro riproduttivo, che continua a caratterizzare le nostre esperienze lavorative, le donne subiscono, in misura maggiore, la progressiva precarizzazione e le difficoltà di accesso di accesso e reingresso nel mondo del lavoro produttivo. Benché la femminilizzazione del mercato del lavoro sia un dato ormai strutturale, le politiche sociali non paiono volersene rendere conto, insistendo sul ruolo famigliare della donna e su una legislazione incentrata sul sostegno alle famiglie e sulla privatizzazione dei sevizi sociali, e qui cito la nuova legge sull'assistenza Turco - Signorino, approvata da questo Governo di centrosinistra. La nostra accresciuta presenza nei diversi ambiti lavorativi, benché in Italia la media delle donne occupate resti decisamente inferiore alla media degli altri paesi europei, si accompagna così a una moltiplicazione delle discriminazioni della parte femminile del lavoro, ed una minore possibilità di carriera e di salario, alla relegazione nelle mansioni più flessibili e più precarie. Sono quindi le donne, i giovani, e ancora più le giovani a subire la deregolamentazione del mercato del lavoro, costrette ad accettare un percorso lavorativo incerto, atipico e flessibile, che ci condanna a vivere in un tempo convulso, tra le mille attività necessarie alla produzione e alla riproduzione, e spesso a scegliere, o comunque a spostare nel tempo, con possibili conseguenze per la salute nostra e dei nostri figli e figlie, tra lavoro produttivo e conseguente autonomia economica e desiderio di maternità. Che ne sarà poi di tutte queste lavoratrici atipiche, una volta giunte alla vecchiaia e con essa l'impossibilità di autosostentamento economico? La produzione di merci, slegata dai bisogni delle popolazioni che distrugge le risorse naturali necessarie alla sopravvivenza, aumenta la responsabilità delle donne chiamate a riprodurre comunque le condizioni quotidiane di vita. Ciò contribuisce a sostenere l'illusione femminile che una maggiore flessibilità fuori casa, nel proprio lavoro produttivo, nei servizi, nei supermercati, aiuti a meglio rispondere alle continue nuove incombenze che il modello capitalista genera. Opponendoci per cambiarlo all'ordine di cose esistenti, rivendichiamo il diritto di fuggire dalla miseria e dalla povertà di donne e uomini, contro il tentativo di disciplinamento della forza lavoro su scala planetaria. Riteniamo però necessario analizzare il fenomeno e riconoscere la posizione strategica delle e dei migranti, anche nei confronti dei processi di privatizzazione e domesticizzazione della riproduzione sociale, dei lavori di cura, non a caso svolti in maniera crescente da donne, e in misura minore anche da uomini immigranti. Le lavoratrici che quotidianamente sperimentano l'alienazione della propria doppia presenza, possiedono potenzialmente una grande risorsa critica, in grado di contrastare l'attuale organizzazione del lavoro e della società, di rifiutare la dicotomia tra vita e lavoro, di opporsi alla frammentazione dell'esperienza sociale. E' compito anche del PRC accrescere la consapevolezza necessaria per sviluppare questa potenzialità antagonista al modello capitalistico e patriarcale. E' compito dei compagni che devono acquisire e consolidare una capacità di analisi di genere, è compito delle compagne che devono farsi soggetto attivo all'interno o all'esterno del partito. Nell'assumerci in prima persona questa responsabilità, le compagne presenti del Coordinamento Provinciale di Varese, denotano una presenza alla conferenza nazionale delle lavoratrici e dei lavoratori estremamente limitata di donne, riteniamo infatti non casuale e non occasionale che i segretari dei circoli dei luoghi di lavoro siano per la maggior parte uomini, anche in quegli ambiti dove le lavoratrici sono in maggioranza donne. E' questo un dato strutturale che perdura all'interno del partito nonostante le buone intenzioni spesso dichiarate e nonostante gli sforzi che tante compagne e ormai anche diversi compagni stanno facendo. Solo favorendo la presenza delle donne sarà infatti possibile elaborare un progetto globale, che non rimuove o rende marginale l'inestricabile nesso tra lavoro produttivo pagato e lavoro di cura gratuito e non riconosciuto su cui il capitalismo continua a reggersi e a riprodursi.

 

 

Rasenia Tellini - lavoratrice ex McDonlad's - Firenze

 

Sono una ex lavoratrice McDonald's ed ho partecipato al primo sciopero italiano contro la compagnia l'autunno scorso.

Dopo la nostra iniziativa, anche grazie alla visibilità che abbiamo avuto e all'aiuto dei Giovani Comunisti di Firenze, molti lavoratori McDonald's ci hanno contattato, quindi abbiamo potuto conoscere esperienze simili alle nostre. In tutti i locali, infatti, i lavoratori vivono ciò che abbiamo vissuto noi cioè sfruttamento, precarietà e mobbing.

McDonald's usa spesso il mobbing con i dipendenti che gli sono scomodi per domarli o per cacciarli via.

La nostra protesta è nata dopo una serie di maltrattamenti (in alcuni casi fisici) a cui siamo stati sottoposti.

Soprattutto ragazze che l'azienda voleva cacciare perché sindacalizzate e che avevano cominciato a chiedere cose che la McDonald's non ha in programma di concedere, cioè un lavoro più sicuro e con più diritti.

Soprattutto la company ci rimproverava il fatto di essere troppo anziane, nel senso che non ci decidevamo a levare le tende, come ci diceva spesso il nostro capo, molte di noi lavoravano lì addirittura da 4 anni, un caso raro per i McDonald's.

Eravamo un gruppo unito e sindacalizzato, quindi pericoloso per l'armonia aziendale e per l'educazione dei nuovi dipendenti.

Il turn-over continuo è molto importante per l'azienda e questa cerca di garantirselo non soltanto attraverso i contratti che stipula con i lavoratori (stagionali, a tempo determinato e adesso interinali) ma anche e soprattutto con un metodo che penso abbia inventato la McDonald's, cioè quello di presentare il lavoro nei suoi ristoranti come un non-lavoro, un'attività divertente che fai in mezzo a giovani come te per pagarti le vacanze e i libri dell'università, le tasse universitarie naturalmente no, se devi pagarti pure quelle vai a fare un secondo lavoro.

E' difficile coinvolgere questi lavoratori in qualcosa, pensano che non ne valga la pena e che se dovranno impegnarsi lo faranno per un lavoro vero e soprattutto non si sentono tutelati dal sindacato.

La nostra esperienza è sotto gli occhi di tutti, lo sciopero ci è costato il poso di lavoro e nessuno è riuscito a impedirlo.

Adesso ci siamo costituite nel coordinamento di ex lavoratrici McDonald's, grazie all'aiuto dei Giovani Comunisti e degli LSU stiamo raccogliendo testimonianze di lavoratori McDonald's per farne un libro che serva anche come manuale di autodifesa.

Attualmente la cosa che ci impegna di più è il cercare di fare una mappatura dei contratti dentro i locali della compagnia.

Ieri pomeriggio alcune ex lavoratrici hanno avvicinato, con un unto informativo piazzato di fronte al McDonald's della stazione di Firenze, i lavoratori per spiegare loro che è molto probabile che il loro prossimo lavoro, anche se apparentemente migliore, sarà simile a quello di McDonalds, cioè precario e di sfruttamento e che hanno diritto ad una paga di almeno £ 12.000 nette all'ora (la loro paga attuale va dalle £ 6.000 alle £ 9.000), e che hanno diritto ad un lavoro più sicuro.

Speriamo che qualcuno se ne convinca e voglia unirsi al nostro progetto.

Abbiamo bisogno di aiuto per completare la mappatura dei contratti con i lavoratori nei McDonald's e soprattutto per avvicinare lavoratori di questo tipo, non solo McDonald's, tenendo presente che alcuni dei meccanismi che li fa sembrare così remissivi sono quelli di cui vi ho parlato.

 

Lavoriamo per far vivere nella nostra pratica quotidiana, una nuova pratica politica. Contro di noi, però, contro questo nostro progetto politico, sono in campo forze potenti, con un obiettivo, a me sembra non del tutto nascosto, di cancellare dalla scena politica questa nostra anomalia. La modrenizzazione che sta nelle forze dominanti si coniuga con il prevalere nella società del pensiero unico, per questo credo oggi con più forza viene avanti l'idea di cancellare, di annullare, l'attività di un soggetto politico alternativo, anche perché noi siamo in questo nostro paese l'unico motore portatore di una proposta politica alternativa, di un progetto compiutamente alternativo. Guardate come è partita la campagna elettorale, un incrocio tra blandizie e aggressioni, aggressioni anche sul piano politico e personale, come sono avvenute nei confronti di Fausto Bertinotti, con un obiettivo di fondo chiaro: mettere in discussione l'esistenza della nostra forza politica, cancellare quello che oggi è nella società il motore; oggi senza il PRC non sarebbe possibile un progetto comunista in questo nostro paese. E non è un caso che il lavoro sporco in questa direzione viene portato avanti da coloro che ormai hanno abbandonato, in cambio di qualche posto di sottogoverno, ogni ipotesi di trasformazione. Vengo da una realtà che ha avuto un Ministro dei lavori Pubblici che si chiamava Nicolazzi, adesso è all'assistenza domiciliare, cioè ha l'assistente sociale. Penso che Nicolazzi sia un po' impallidito in questi tempi di fronte alla quantità di progetti che Nesi sta portando avanti per quanto riguarda i lavori pubblici. Auguro all'amico Nesi un futuro alla Nicolazzi, però è chiaro che questa scelta politica si accompagna con l'attacco e l'aggressione nei nostri confronti.

Vedete noi come sindacalisti, e questo è un altro punto che vorrei sottolineare, stiamo portando avanti da tempo un progetto di sinistra sindacale, una sinistra sindacale ampia e plurale, che ha visto un suo momento importante nell'assemblea di Milano e che sempre di più sta assumendo carattere di massa. Questo lavoro non è la messa insieme di gruppi dirigenti o di burocrazie, è il frutto di un lavoro di lungo respiro che parte dai contenuti, dalla messa in campo di un progetto e dal tentativo di realizzare una pratica sindacale diversa rispetto al passato. Questo lavoro trova indubbiamente delle difficoltà e dei contrasto molto forti, all'interno un'organizzazione come la nostra. Questo lavoro ha avuto una sua accelerazione, aveva ragione Zuccherini a ricordarlo nella sua introduzione, con la vicenda della guerra; è passato poco più di un anno, ma ricordate, quando noi ci siamo opposti compiendo anche atti di insubordinazione di rifiuto di partecipazione all'iniziativa del sindacato' pur essendo militanti e dirigenti di questa organizzazione, quando si giustificava la guerra come una contingente necessità. Oggi a distanza di poco più di un anno, si dimostra l'errore politico, la gravità, di questa pagina nera, secondo me incancellabile, del sindacalismo italiano. Quello però era la punta di un iceberg più grande rappresentato dalla politica del sindacato degli anni '90, la politica di subalternità, di perdita di autonomia. Guardate, dentro gli organismi dirigenti di questa organizzazione, si vivono momenti tra il ridicolo e il tragico. La CGIL ha espresso un parere favorevole alla finanziaria, prima che la finanziaria fosse presentata alla Camera; tutte le modifiche che sono avvenute, non sono state modifiche da poco, fatte dalla battaglia condotta da Rifondazione Comunista, non sono state assunte dalla CGIL, perché ormai aveva espresso un parere positivo prima ancora che cominciasse la discussione. Il sindacato è d'accordo col Governo prima ancora che il Governo dica cosa vuole fare: questo è l'indice della subalternità di un'organizzazione di 5.800.000 iscritti! Ecco perchè noi avevamo messo in campo una proposta alternativa, contro la politica realizzata in tutti gli anni '80. Penso che ormai anche parte del gruppo dirigente della maggioranza ha capito che siamo alla fine di un ciclo della la politica degli anni '90, degli accordi del luglio, della concertazione, visto il disastro che queste politiche hanno realizzato per quanto riguarda salario, occupazione, mezzogiorno, flessibilità, precarizzazione; come vi può essere un giudizio positivo? Non esiste un giudizio positivo su nessuno di questi punti, eppure non si ha il coraggio di affrontare una discussione, di confrontarci sulla questioni che sono in campo, e la stessa scelta di rinviare il congresso della CGIL è una scelta gravissima perché mette in discussione questa organizzazione di fronte a una crisi strategica ed alla necessità di una svolta. Per questo noi abbiamo segnato anche in questa occasione, attraverso uno strappo, il rifiuto dentro gli organismi dirigenti di assumere questa scelta come una scelta collettiva. Il rinvio è una scelta della maggioranza, che rifiutiamo continuando a condurre la battaglia politica sulla nostra piattaforma. Un sindacato che negli ultimi tempi, nel rapporto con i lavoratori, non ha vinto una sua battaglia. Non è soltanto la vicenda della Zanussi, ma ogni volta che si realizza un contratto come quello delle telecomunicazioni e si va al rapporto con i lavoratori, la maggioranza dei lavoratori batte la politica del sindacato. E così lo stop avvenuto nei giorni scorsi per quanto riguarda i contratti a tempo determinato. Penso quindi che cominciamo a costruire alcuni risultati della nostra battaglia politica, ci sono i segnali di una svolta; certo, non si è ancora realizzata una politica nella direzione che noi rivendichiamo, ma una svolta ha cominciato a realizzarsi: gli scioperi nella scuola, nei trasporti, alla Fiat, indicano la tendenza alla possibilità di muoverci in questa direzione. In questo senso vorrei dire una cosa anche un po' risolutiva della discussione che c'è fra di noi, sul luogo dove condurre la battaglia sindacale. Io penso che sia fondamentale far cambiare la politica del sindacalismo confederale, per il peso che il sindacalismo confederale ha; ma questa battaglia nel sindacalismo confederale non può essere una battaglia di tipo esclusivo, è una battaglia fondamentale per il peso che il sindacalismo confederale ha, ma guardate, se facciamo l'analisi di quello che è accaduto in tutti questi anni, questa politica anche del sindacalismo confederale ha contribuito alla frammentazione di classe, ha contribuito a una frantumazione sociale; parte dello stesso sindacalismo di base dello stesso sindacalismo autonomo è nato dal sindacalismo confederale, tutta la vicenda dei trasporti è in questa direzione. Allora il problema non è dividerci fra di noi sui luoghi dove dobbiamo condurre la battaglia politica; il problema è su quali contenuti noi dobbiamo condurre la battaglia e come ricomponiamo una battaglia di classe nel nostro paese. Questa cosa la può fare solo Rifondazione Comunista, la possiamo fare solo noi, oggi, nel sindacalismo confederale, nel sindacalismo di base, possiamo portare avanti obiettivi comuni, battaglie comuni di trasformazione di questo nostro paese. Per questo sento l'esigenza di discutere sempre più tra di noi, non chi sta con la Juve, col Milan o con la Lazio, ma quali sono gli obiettivi su cui conduciamo le battaglie: sulla questione del salario, dell'orario, della lotta alla precarizzazione; quali sono gli obiettivi su cui costruiamo un movimento di massa. Questo oggi lo possiamo fare, perché, sempre di più, stiamo definendo un vero e proprio progetto alternativo. Credo che con questa conferenza, con la ulteriore definizione di una nostra proposta politica, abbiamo creato le basi per sviluppare nei prossimi giorni e nelle prossime settimane questa nostra iniziativa per realizzare una svolta a fondo. La battaglia elettorale non è questione marginale o secondaria rispetto a questi obiettivi di carattere generale, e penso che dobbiamo, con più forza, stare vicini all'iniziativa del movimento, costruire il più possibile un'iniziativa di lotta creare una vera e propria svolta di carattere sociale in questo paese.

 

 

Roberto Latella - Camera del Lavoro e non Lavoro - Roma

 

Io sono della Camera del Lavoro e del non Lavoro di Roma, che cos'è questa esperienza a cui abbiamo dato vita da un anno? E' un luogo dove ci incontriamo, dove facciamo iniziative, lavoratori precari, lavoratori disoccupate ma, badate bene, anche alcuni lavoratori stabili ci hanno portato la loro solidarietà e il loro aiuto, proprio in nome della ricostruzione di un luogo della ricomposizione sociale, tra esperienze diverse e tra condizioni sociali diverse. Io sono qui e sono contento di questa conferenza perché mi sembra che veramente la questione della precarietà , la questione della lotta alla precarizzazione, sia stata messa al centro, e sia stata messa la centro con un'idea che noi dobbiamo avere sempre di più che è quella di passare dalla denuncia, qualche volta addirittura dal lamento, a un protagonismo, alle pratiche sociali. Dobbiamo passare a un'idea per cui il precario è un soggetto debole da tutelare, che è una cosa che, nella sinistra, nessuno te la nega, il poverino che cambia 10 lavori in un anno, non te lo nega nessuno, però è sempre un po' come si fa la difesa dei panda, è sempre un po' con un'impostazione molto cattolica del soggetto debole che va aiutato. Noi invece pensiamo che oggi si tratta di organizzarci come precari, e questo mi pare che sia il centro di questa conferenza, cioè prendere voce, fare una cosa complicatissima perché non c'è solo la frammentazione sociale fra il lavoratore stabile e il lavoratore precario, con tutte le cose che sappiamo di quanto precarie e incerta è anche la posizione stabile, ormai; ma all'interno del precariato, quante forme diverse, quante storie diverse. Io vi posso enumerare almeno sei tipi di contratto: contratto a termine, collaborazione coordinata e continuativa, part-time, contratti di formazione lavoro, apprendistato, c'è di tutto compagni, ci dividono in mille rivoli, e non solo nelle forme reali. Quando noi parliamo di lavoro dipendente e lavoro non dipendente, anche lì attenzione, è dipendente o no il "call center" con cui noi lavoriamo alla camera del lavoro e del non lavoro, che lavora 8 ore e che deve chiedere il permesso per andare al bagno, così come avveniva con i capetti della Fiat, e ha la partita iva o la collaborazione, cos'è dipendente o non è dipendente? Quali sono le forme di gerarchie che si producono? Ecco in realtà la cosa è molto complessa proprio perché le frammentazioni sociali sono anche lì dentro e sono molto forti, però che cosa ci unisce? Ci unisce una cosa, in negativo, purtroppo, cioè che l'impresa ha scaricato tutto il suo rischio che dovrebbe stare nel mercato, i teorici del mercato ci spiegano che l'impresa nel mercato rischia, ha il rischio d'impresa, si chiama così; non c'è più nessun rischio d'impresa, te lo prendi tutto tu il rischio d'impresa, sei tu che vai fuori se l'azienda va male, sei tu che perdi il lavoro!

E questo rischio d'impresa, come ci hanno dimostrato, anche la compagna di McDonald's, questo rischio d'impresa te lo porti a casa, perché quando perdi il lavoro, quando cambi continuamente lavoro, ti spiegano che sei tu che non funzioni, l'insuccesso e tuo; ti porti a casa l'idea, la preoccupazione del lavoro che non c'è, la preoccupazione, che devi lavorare di più, perché ci sarà un periodo che non lavori. E ti cambiano le relazioni sociali, quanti precari nella propria vita, fuori dal lavoro, costruiscono relazioni sociali sapendo che quello ti potrà dare una mano un giorno, che a quell'altro gli potrai chiedere una mano per il lavoro, cioè ti entrano dentro la vita tutta, anche quando stai fuori, non solo quando sei preoccupato per il lavoro, ma perché cambiano i legami sociali. Perdere un lavoro, cambiare un lavoro, non significa solamente perdere un salario, ovviamente principalmente quello, ma significa rompere i legami sociali, rompere identità, rompere abitudini. Tutto questo la dizione "neoservile" mi convince, e guardate è così vero, la mia impressione più forte di vivere una condizione servile ce l'ho, lo sapete quando? Quando vado a chiedere, siccome i tempi dei pagamenti in alcuni lavori non sono mai certi, non è che ti pagano a fine mese, ti pagano quando ci sono i soldi, allora c'è questa questua, per cui tu, una o due volte al mese, quello più timido magari ci va una e li piglia più tardi, vai lì e gli chiedi "sono arrivati i soldi?" Come se fosse un favore che loro ti fanno, pagandoti per il lavoro che hai fatto due mesi prima! Allora, vedete, questo è il nocciolo della condizione servile; può sembrare una stupidaggine, che tu rispetto a quel tuo padrone che non chiami più padrone, ma datore di lavoro, ma io lo vorrei chiamare padrone, quando vai lì gli devi chiedere "Per favore sono arrivati i soldi?", non è che è una cosa che è un tuo diritto e non devi chiedere nulla. Entri cioè in un rapporto di dipendenza così forte che dipende da lui se ti paga il giorno prima, il giorno dopo o tre mesi più tardi. Su queste cose, come Camera del Lavoro e del Non Lavoro, abbiamo costruito una piattaforma, che ieri era anche in cartellina, che per alcuni versi può sembrare banale perché chiede la certezza dei tempi di pagamenti scritti in un contratto di collaborazione coordinata e continuativa, è "l'acqua calda", ma siamo a un punto tale per cui quel tipo di battaglia ci serve proprio per costruire una forma di non servitù nel lavoro. Oppure la maternità: ora si sono inventati che c'è un assegno per i collaboratori, ma quando una donna va in maternità e poi torna, cosa fa, torna sul posto di lavoro? Perde il posto di lavoro? Potete darle quanti assegni volete, ma il lavoro non glielo lascia! Noi chiediamo per esempio che quando una donna va in maternità e ha una collaborazione, possa ritrovare il posto di lavoro quando vuole tornare al lavoro e così via: la mensa, l'assicurazione sanitaria, etc. Un esempio ancora sui "call center" su cui stiamo lavorando a Roma: questi lavoratori si affittano la postazione, cioè affittano il computer pagandolo 6.000 lire a giornata; se stanno male, non solo non gli pagano la giornata, ma gli rimane anche l'affitto del computer perché l'avevano prenotato, quindi uno si ammala e paga perché si è ammalato, non solo non è pagato! Rispetto a questa condizioni io credo che scatti, come mi sembra che sia scattato anche ai McDonald's, una cosa che va addirittura oltre la questione del salario, del diritto, che è una questione proprio di dignità, cioè l'idea per cui tu gli dici "tu non puoi fare di me tutto quello che vuoi, cioè tu non sei il mio padrone nella forma addirittura antica del termine" è questa cosa che scatta. Ecco, proprio perché la situazione è molto complessa, a volte dobbiamo costruire delle forme di organizzazione che si misurino con degli obiettivi molto concreti, e a volte addirittura invece, va rimessa al centro proprio la dignità, la semplice dignità del lavoratore che appunto non deve chiedere tre volte il suo stipendio, o che non debba essere "mobbizzato" dentro a un McDonald's, oppure che abbia dei diritti minimi come quello di andare in bagno quando gli pare. Dobbiamo cioè veramente ritornare sul livello di base. Stiamo cercando di costruire questa esperienza da un anno, ovviamente tra mille difficoltà. Abbiamo provato a fare anche una causa pilota con un gruppo di disoccupati chiedendo il danno per il fatto che non sono state rispettate, non solo le Direttive Europee, ma neanche la Costituzione. Una causa ovviamente che ha valore simbolico, con gli avvocati che ci stanno aiutando, per dire fondamentalmente che al disoccupato da 10, 15 anni, gli deve essere rimborsato tutto quello che ha perso nella sua vita perchè non ha scelto la condizione di disoccupato. Abbiamo costruito questa piattaforma, stiamo facendo una serie di iniziative anche sui posti di lavoro. Veniva detto da Zuccherini, ieri, costruiamo una camera del lavoro in ogni regione. Ovviamente questo mi fa grandissimo piacere ed è una cosa molto importante, con una sola attenzione che noi dobbiamo farle davvero queste cose perché se no non funzionano, non possiamo pensare che pigliamo la scritta "Rifondazione Comunista" dalla sezione, la rigiriamo e oggi si chiama Camera del Lavoro e del Non Lavoro. Dobbiamo fare qualcosa di molto diverso, cioè dobbiamo costruire davvero delle relazioni sociali dei luoghi differenti che diventano luoghi di mutualità, di incontro, di scambio, di informazione, di difesa, anche semplicemente un posto dove andare a parlare con un tuo simile, che siano non Rifondazione che si cala, ma che Rifondazione costruisca tutte le condizioni, tutte le possibilità anche mettendo in contatto le esperienze che si stanno costruendo a livello nazionale perché si costruisca questa cosa. Quindi non un pezzo del partito che diventi Camera del Lavoro, io non credo che Zuccherini volesse dire questo, ma invece la possibilità di costruire davvero delle forme nuove con i tempi, con le modalità, con le difficoltà che questo significa.

 

 

Michele Magnani - Coordinatore Giovani Comunisti - Toscana

 

Vorrei partire da quello che è stato detto nel primo intervento, cioè capire come reagire, perché il punto è anche questo. Capire come reagire significa anche conoscere di nuovo tutto il lavoro che ci sta intorno a noi e soprattutto aprire le porte a tutti quei lavoratori, che sono il 73% di tutti i neoassunti, precari flessibili, che non sanno neanche quali sono i loro diritti minimi sui luoghi di lavoro. Noi abbiamo cominciato a fare anche questo come giovani comunisti della Toscana cercando di lavorare e studiare i dati della realtà, per confrontarci con quello che esiste. Abbiamo trovato dati che ci dicono che c'è un'occupazione e una disoccupazione che sono su livelli stabili perché è vero che si sostituisce in qualche modo del "lavoro buono" con del "lavoro cattivo", quel lavoro cattivo di cui parlava prima Roberto e di cui parlava prima Rasenia. Questo è vero anche perché c'è un allargamento dell'economia dei servizi all'impresa, alla persona. Parlo di una regione dove questi servizi all'impresa e alla persona, sono molto più sviluppati rispetto alla media nazionale, ma anche rispetto allo stesso nord est. Questi dati ci impongono di lavorare sul terreno del "lavoro buono" e del "lavoro cattivo" di cui parlavo prima e del lavoro a tempo indeterminato. Il lavoratore a tempo indeterminato è sempre più solo e isolato nei luoghi di lavoro, paradossalmente, proprio perché si trova a lavorare accanto a persone che non hanno gli stessi diritti e gli stessi rapporti giuridici. Su questo stesso terreno, anche analitico, rispetto alla situazione data, il lavoro sui McDonald's, il lavoro sui lavoratori socialmente utili, ci parla non soltanto di microconflittualità che si stanno accendendo, ma della possibilità reale di incominciare a pensare alla riunificazione dei lavoratori. Su questi tipi di lavoro credo che aveva ragione Roberto quando diceva che si riparte anche dalla dignità umana rispetto a un lavoro di tipo servile , che ti fa fare uno scatto in avanti, ma soprattutto si riparte da una dignità umana che individua nel lavoro precario la propria condizione di vita. Non a caso le lavoratrici di McDonald's sono andate con uno striscione allo sciopero del lavoratori socialmente utili scrivendoci "oggi precari, domani disoccupati", perché c'è la percezione che la loro condizione di vita non cambierà se oltre a fare una battaglia in quel singolo posto di lavoro, non si comincia a parlare di un lavoro vero e di un lavoro stabile. Lo hanno capito i lavoratori socialmente utili che, apro una parentesi si questo terreno: questi 130.000 lavoratori socialmente utili, che hanno costruito una delle prime esperienze avanzate di coordinamento nazionale hanno ancora e sempre più bisogno di una sponda e di una collaborazione politica con il nostro partito; hanno bisogno di sostanziare e rafforzare la propria esperienza che ci parla anche della possibilità di costruire modalità di lavoro diverse dall'oggi. Per esempio, su questo abbiamo approntato un questionario provinciale, rispetto alla ridislocazione dei poteri sul lavoro, e non soltanto sulla vivibilità ambientale, sul lavoro di ammodernamento dei nostri parchi, delle nostre strade e di tutto il lavoro che c'è da fare sulle nostre strade. Da qui emerge che c'è la possibilità concreta di incominciare a costruire ipotesi politiche, innanzitutto di messa al lavoro di persone che fanno veramente lavori di pubblica utilità e che vanno, in qualche modo, valorizzati, visto che tra l'altro le piante organiche in tutti i nostri territori sono sempre tropo basse rispetto alle esigenze del territorio. Su questo terreno l'inchiesta ci può permettere di fare una proposta e di avanzare anche la possibilità di un lavoro stabile. Dicevo però, la questione è anche di ricominciare a parlare di come si riunificano le vertenze, e di come gli si dà un'ampia visione politica, perché se è vero, come dice il nostro documento della conferenza nazionale, che in qualche modo questi lavoratori si trovano per primi direttamente davanti alla proprietà, ad un potere, all'impossibilità di redistribuzione della ricchezza perché i profitti volgiono andare avanti, c'è bisogno di uno scatto politico su questo terreno! Bisogna ricominciare a parlare non soltanto dei luoghi ma del come, sul che cosa, si ricostruisce una riunificazione di tutti i pezzi segmentati, in questo senso ricominciare a parlare a tutti i livelli di un salario minimo, di un salario sociale (e anche il cantiere che ci sarà a Pescara sarà un passaggio rispetto a questo tipo di discussione) vuol dire ricominciare a parlare di come, su questo terreno e sui diritti minimi che questi lavoratori spesso non sanno neanche di avere, di come si ricostruisce un radicamento e una solidarietà a partire anche dalla costruzione di luoghi ampi e allargati della mobilitazione sui territori che tengano dentro tutte le esperienza, che tengano dentro le rappresentanze sindacali per es., e che facciano sì che i nostri sindacalisti, di tutte le provenienze si possano confrontare con la realtà del lavoro precario che si sta coordinando. C'è la possibilità concreta di ricominciare un lavoro di riunificazione delle battaglie politiche e sociali, queste esperienze ce lo dicono, si tratta di incamminarci in questo senso, di verificare queste ipotesi, e così facendo cercare in qualche modo di riappropriarci, in maniera più completa della questione sociale.

 

 

Giorgio Cremaschi - Segretario FIOM Piemonte

In questo mio intervento, compagne e compagni, voglio cercare di motivare, anche sulla base della mia esperienza e delle mie riflessioni, quelli che a me paiono almeno quattro motivi che mi hanno condotto a questa scelta (l'iscrizione al PRC): il primo è stato ampiamente trattato nella relazione di Zuccherini, che condivido, forse anche questo di ricominciare a condividere le relazioni di un partito è un passo avanti, e riguarda la questione della globalizzazione. Credo che siamo di fronte alla necessità di scegliere molto nettamente da che parte stare: o si sta con l'idea che bisogna condizionare, interessare, ammorbidire, modificare le posizioni dei ricchi che si riuniscono a Davos, o si sta con tutti coloro che in questi stessi giorni a Puerto Alegre stanno cercando di organizzare una prima risposta globale alla globalizzazione. Io non ho dubbi con chi stare, sento che ogni tanto, nella sinistra moderata, nel dibattito politico, anche nel dibattito sindacale, ci viene spiegato che la globalizzazione è un insieme di rischi e di opportunità, è vero, e assolutamente vero, solo che le opportunità ce le hanno solo alcuni, quelli da un certo reddito in su, i rischi tutti gli altri. Noi siamo di fronte a un meccanismo mostruoso, abbiamo avuto pochi giorni fa i dati, venivano ripresi, un miliardo di disoccupati, 500 milioni di persone che vivono con un dollaro al giorno, e di fronte a questo

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Persone che tutte insieme sommano i redditi di metà dell'umanità! Pensiamo davvero che questo possa essere affrontato, questa vergogna, questo scandalo con le buone parole? E non con la rabbia profonda di rimettere in moto un meccanismo per l'uguaglianza per la trasformazione sociale a livello mondiale.

Abbiamo bisogno quindi di avere un punto di vista sulla globalizzazione, questa è la prima ragione: bisogna avere la forza e il coraggio di un punto di vista alternativo a questo capitalismo, un punto di vista alternativo a questo capitalismo distruttivo, a questo capitalismo globale che sta distruggendo le nostre vite, le nostre coscienze le nostre anime e che crea per tre quarti dell'umanità, è stato qui detto, una condizione servile che davvero, non solo non è accettabile in nessun momento, ma che va combattuta in ogni momento. C'è stato il movimento di Puerta Legre, a Luglio ci sarà a Genova il vertice del G8, credo che dobbiamo già d'ora impegnarci tutti, ognuno nella sua specificità, a far si che quello sia un grande appuntamento di mobilitazione; mobilitazione di lavoratori, di giovani, di disoccupati, di intellettuali per fare sentire in Italia per la prima volta la nostra voce, e voglio vedere se, visto il federalismo che sta avanzando, se troveranno il modo di bloccare i treni anche alla frontiera tra la Liguria e il Piemonte o tra la Toscana e l'Emilia.

La seconda ragione viene subito dopo ed è legata a questa, compagne e compagni, non lo dico solo per storia personale, per profonda convinzione, magari per difendere il mio mestiere, ma perché sono assolutamente convinto che al centro di questi processi di sfruttamento incredibile dell'uomo, di questa distruzione dell'uomo e della natura, c'è e resta un'idea del lavoro che noi non possiamo accettare e che è la base della nostra scelta. Si parla molto in questi giorni delle mucca pazza abbiamo sentito i pianti sull'uso non naturale delle mucche, costrette a diventare carnivore, da vegetariane che erano, e abbiamo sentito tanti pentimenti, tranne, mi pare, quello di Emma Bonino che temperata dopo... coerente, voglio dire...dai mangimi animali all'uranio impoverito, mi sembra che ci sia una coerenza di fondo. Bene, ma quasi nessuno si chiede una cosa che è alla base di questa riflessione, dei vostri interventi, è l'uso non umano delle persone umane nel lavoro; questo processo che sta avvenendo ancora di più con la flessibilizzazione, con la precarizzazione, con la frantumazione del lavoro, per il quale quella che dovrebbe essere la principale, il più importante momento di rapporto tra l'uomo, da sé, con le cose da fare, con gli altri, diventa la distorsione del suo modo di essere, l'uso non umano delle presone umane nel lavoro: quando ti spostano e ti fanno lavorare la notte, non ti fanno dormire o ti chiamano la domenica, o alle donne, le donne, certo, chiamate nel mercato del lavoro oggi, questo è considerato un successo, ma a dei prezzi, giustamente è stato sottolineato, a dei prezzi che ancora noi non condanniamo a sufficienza per quello che vogliono dire di sovraccarico di lavoro, di fatica, spesso tutti noi, credo, maschi dovremmo riflettere su questo, per quanto assommiamo nel nostro lavoro anche l'uso di questo lavoro femminile non riconosciuto. Ebbene, io sono convinto che questo uso non umano del lavoro umano è la questione di fondo che noi abbiamo di fronte, noi non possiamo essere di fronte a un'idea di soppressine dell'identità del lavoro e della riduzione del lavoro a merce, questo è poi, alla fine, il nodo su cui poi si discute di tutto, tutto il resto viene di conseguenza. Quindi la seconda ragione per la quale faccio questa scelta è che credo che bisogna ricominciare a dirlo con forza: noi non possiamo accettare più, non possiamo continuare a dare per scontato, per naturale, commuoverci giustamente per la mucca pazza e non cogliere la follia di un capitalismo che riduce la nostra capacità lavorativa a pezzi del mercato, ci usa, ci spreme e ci getta come limoni. Solo una cosa, ad esempio, guardate questa discussione di questi giorni, il rilancio della questione pensionistica, in pensione a 67 anni ha detto un alto magistrato della Corte dei Conti, pensando ovviamente ai suoi durissimi ritmi di lavoro. In pensione a 67 anni, ma guardate che oggi nelle medie fabbriche metalmeccaniche a 30 anni a 35 anni, i giovani dopo che hanno fatto tutta questa drammatica trafila di lavoro precario ed interinale, e di ritmi ecc., sono logorati, sono invecchiati; i numero di invalidi che ci sono oggi nelle aziende, inabili che ci sono oggi nelle aziende metalmeccaniche tra i giovani impressionante, tra i giovani, non parlo solo degli anziani. Abbiamo un sistema di lavoro che ti fa essere precari fino a 30 anni, poi, se ti va bene, hai 10 anni dove ti giochi tutto e poi sei già vecchio, poi devi arrivare alla pensione a 67 anni, sapendo che in Europa a 45 - 50 anni, se perdi un posto di lavoro, non lo trovi più. Allora, tutto questo ci dice che c'è bisogno di una ricostruzione, di un progetto di liberazione del lavoro, che metta al centro le persone in carne e ossa, le loro condizioni, e su questo costruisca le proprie compatibilità. Ed è per questo allora che noi abbiamo bisogno, lo dico qui, di cambiare con forza, con rabbia la linea del sindacato di questi anni; lo dico con tutta la convinzione di cui sono capace, la linea del sindacato di questi anni è sbagliata non solo perché ha messo il salario nella sordina in cui l'ha messo, perché ha concesso la precarietà, perché ha fatto perdere in Italia, quel ruolo, quel peso che il sindacato aveva in tante situazioni, mascherato dalla crescita del ruolo istituzionale, ma soprattutto per questo, perché noi abbiamo accettato la priorità dell'impresa su quella del lavoro, questa è la questione: prima il lavoro e poi l'impresa. Se l'impresa non si adatta al lavoro, è un'impresa indegna di reggere. Questo lo voglio dire. Questa è la nostra battaglia. Noi non possiamo accettare l'idea che deve essere il lavoro che deve essere frantumato, distrutto, storpiato fino al punto di adattarsi a questa ipercompetitività dell'impresa, è esattamente il contrario, e da qui c'è la necessità di una spinta per cambiare la politica sindacale, la concertazione, il 23 luglio, che proprio questo, quando sentiamo tante discussioni sindacali, alla fine, ma le persone in carne ed ossa dove sono? Questo è il ribaltamento che noi vogliamo. Naturalmente c'è un latro motivo, questo ribaltamento delle posizioni delle politiche sindacali richiede anche un cambiamento, è stato detto anche in molti interventi, in particolare dei compagni con i quali condivido l'esperienza di una lotta per il cambiamento nella CGIL, della sinistra sindacale della CGIL, un cambiamento del modo d'essere del sindacato. Si dice, è stato detto, lo citava anche Zipponi, il sindacato ha retto di più in questi anni; diciamoci la verità: è stato un declino lungo che partiva da una grande vetta, e forse per questo che è stato più lungo, perché l'esperienza degli anni '70, i consigli di fabbrica, l'FLM, quel grande movimento di partecipazione sindacale e di unità sindacale che ha cambiato la società italiana, e che ancora viene criminalizzato stupidamente anche nei dibattiti della sinistra, bene quel grande processo è quello che ci ha permesso, non altre cose, di reggere meglio in una ritirata rispetto ad altro. Certo siamo arrivati a un punto di svolta, non si può andar avanti così, noi siamo di fronte ad una frantumazione, all'attacco dei padroni, al cambiamento, mi sembra evidente cosa propongono il padronato, la Confindustria, il futuro candidato del polo che si dice "operaio"; ecco, Berlusconi operaio, minatore, saldatore in linea. Hanno fatto una cena a Milano, ho letto da qualche parte, a sostegno della campagna elettorale di Berlusconi, "l'operaio Berlusconi", dove si sono trovati, invitati dal Conte, perché abbiamo ancora i Conti Sforza, le signore Della Dama, i padroncini, i "padroncioni" milanesi, belle firme, prezzo della cena, a testa, 46 milioni. 46 milioni, in una sola serata hanno raccolto tutto il finanziamento pubblico di Rifondazione Comunista! Ecco io direi che forse sarebbe utile che il Ministro Del Turco ci andasse un po'... si facesse consegnare l'elenco, perché ho l'impressione che ci sarà un bel po' di evasori fiscali lì dentro.

Di fronte a questa destra che scatena di nuovo l'attacco in nome del liberismo la risposta non può essere, questo è l'altro punto vero, non può essere continuiamo con la politiche di questi anni, questa è l'altra ragione della mia scelta. Continuare per le politiche di questi anni, ha completamente ragione il compagno Bertinotti tutte le volte che lo sostiene, significa, e ha suscitato non capisco quale scandalo, questa sua dichiarazione sui giornali, che raccoglie semplicemente le cose che sentiamo tutti i giorni nei luoghi di lavoro: se il sindacato non fa il suo mestiere, se la sinistra non fa il suo mestiere, non sono i ricchi che cambiano posizione, perché l'hanno sempre mantenuta, sono i poveri che pensano che siccome non c'è alternativa, tanto vale andare dal progetto originale. E qui nel veneto lo sentiamo con forza cosa vuol dire la cadute di identità, di soggettività, di alternatività, che cosa vuol dire anche dal punto di vista politico e morale. Ecco allora la necessità di cambiamento del sindacato, il cambiamento del sindacato vuol dire molte cose: obiettivi, uscire dalla concertazione, riconquistare l'autonomia, l'autonomia di fare una piattaforma, per cui, mi è capitato di dirlo in molte riunioni sindacali, non succeda che le piattaforme si facciano semplicemente facendo regole con il compasso, con il calcolatore, la sottrazione di tutti i decimali delle DPF. Vi ricordate negli anni '80 , quando abbiamo fatto la lunga, dura, sconfitta battaglia in difesa della scala mobile? La parte moderata del sindacato e, va detto i socialisti di Craxi, ci spiegavano che rinunciando alla scala mobile sarebbe aumentata la contrattazione sindacale, adesso che non c'è più la scala mobile i contratti nazionale li facciamo con una scala mobile al rovescio che è l'inflazione programmata, e i contratti aziendali li facciamo con una scala mobile al rovescio che è il legame dei salari ai bilanci aziendali. Abbiamo ribaltato la nostra autonomia, quindi si riparte da qui, ma ripartire da qui significa ripartire naturalmente anche da un'altra idea di sindacato: dall'idea di un sindacato che è fatto di uomini, donne in carne ed ossa e di persone che partecipano e decidono. Io a questo, sarà per ragioni di età non mi rassegno, non mi rassegno all'idea che unità, democrazia e partecipazione siano le grandi forme con le quali il sindacato può vincere la grande forza del padrone. E non mi rassegno, questo anche di fronte a certe discussioni che ho sentito qui, tra le compagne e i compagni, non c'è dubbio. Io credo che ognuno di noi ha il dovere di fare una grande battaglia per cambiare le cose nel sindacato, dov'è, com'è, sapendo che non ci possono essere solchi tra chi è dentro e fuori la CGIL, se si ha in mente queste cose; ho sentito parlare di solchi, non ci sono i solchi, perché tutti noi abbiamo sentito dal sindacalista americano, insomma, voglio dire se la FLCIO, che era per la guerra in Vietnam, che era per tutto quello che ha fatto, se ha finanziato tutto quello che ha finanziato, è potuta cambiare, ebbene io non mi rassegno all'idea che il sindacalismo confederale italiano, europeo, oggi tutto in una grave crisi di identità, possa essere cambiato se rimettiamo in campo un movimento, certo, rigore e coerenza, rigore e coerenza dentro e fuori. Una sola cosa la voglio dire per assumere un paio di impegni concreti, anche sul fronte del sindacalismo extraconfederale: la prima, la battaglia della democrazia impegna noi che siamo dentro il sindacalismo confederale ad essere rigorosi ed intransigenti, un solo esempio, il contratto della scuola, deve essere un impegno di tutti perché i lavoratori e le lavoratrici della scuola votino, su scheda bianca, per questo contratto com'è loro diritto. Un altro impegno più ampio, un'iniziativa comune, sulla globalizzazione: si sta costruendo in Italia la sede di Attac, la fanno parte sia sindacalisti confederali che extaconfederale, facciamone una sede nella quale si comincia ad operare assieme per costruire esperienze, non solo di lotta contro la tobing tax, contro i grandi principi della globalizzazione, ma contro i suoi effetti: la precarizzazione del lavoro, le condizioni sociali, e tutto quello che avviene, esperienze concrete. Una motivazione politca, l'ultima, la devo dare: queste sono scelte che per chi mi conosce sa, le ho già fatte anche prima, perché allora a questo punto iscriversi a Rifondazione? Perché la mia esperienza mi ha convinto che c'è bisogno anche oltre l'iniziativa, oltre la lotta nel sindacato, oltre l'esperienza nel territorio, oltre l'esperienza concreta che ognuno di noi fa nella sua vita politica e sociale, c'è bisogno di qualche cosa di più, che non possiamo ridurre, come dice anche qualche mio amico, tutta l'esperienza politica a puro volontariato occasionale. E' importantissimo, questo, non può cambiare, ma c'è bisogno di un partito, ce n'è bisogno in Italia, ha ragione chi l'ha sottolineato, queste elezioni sono un campo difficilissimo per noi perché c'è un tentativo di spiegare che non serve a niente, io credo che , se c'è un voto utile oggi, lo dico qui perché ne sono profondamente convinto, per i lavoratori, per chi fa una battaglia nel sindacato, è il voto a Rifondazione la presenza di Rifondazione nelle istituzioni, la sua forza nelle istituzioni, dobbiamo avere il coraggio di dire che ci vuole questo voto utile. Seconda considerazione: c'è bisogno di un partito che appunto metta insieme punto di vista, esperienza, progetto, programma, questo non può che essere un partito come Rifondazione, anche se, credo che voi prima di me, siccome credo di seguire un po' le cose che avete detto, sappiate perfettamente questo vuol dire innovare profondamente sulla tradizione, sull'esperienza dei partiti comunisti. Non sarei sincero se dicessi, compagni, che solo qui si fermano le mie motivazioni, il rapporto di amicizia, di affetto e di stima personale che mi lega a Fausto Bertinotti, devo dire, è molto importante per me e non nascondo che è una delle ragioni di questa scelta, lo dico con convinzione, sapendo che siamo in un partito, siamo tutti... Fausto è il primo a dirlo, nulla può essere ridotto a una sola persona, però bisogna anche sapere che nelle forze politiche, nelle vite ci sono anche queste scelte e questi legami. Mi ha molto convinto l'ultimo discorso che il compagno Fausto ha fatto a Livorno sul rinnovamento del partito e sulla sua storia, un discorso che è stato nella sua parte più importante, in gran parte ignorato in questo clima elettorale in cui ci sono i due faccioni, in cui un faccione dice "sicurezza nelle città" e l'altro faccione dice "città nella sicurezza", per cui noi dobbiamo scegliere e distinguere, ecco mi ha molto colpito invece questa necessità , anche sotto, come si diceva una volta, sotto li fuoco del nemico, si sarebbe detto, la volontà di non chiudersi a riccio, di volersi rinnovare e di saper fare i conti su noi stessi, perché, non dobbiamo dimenticarlo, il liberismo oggi è nel mondo così forte anche perché la prova che abbiamo dato, la grande prova che abbiamo dato, con la Rivoluzione d'Ottobre, col 1917, la grande speranza che abbiamo data all'umanità è progressivamente affievolita e crollata, ed è stata anche travolta dai suoi errori, dai suoi orrori e soprattutto dalla sua insopportabile deformazione burocratica. I guasti della burocrazia, i guasti, le deformazioni burocratiche della burocrazia, questo hanno fatto, per questo il mi sento, se devo dirlo con una battuta, sono più incavolato io con lo stalinismo, con quello che giustamente è stato.... di chi, di tanti che sono dall'altra parte. Perché lo stalinismo ha fatto il guasti a me, lo stalinismo ha fatto si che 50 anni dopo, questo ha fatto lo stalinismo e la sua deformazione burocratica, che 50 anni dopo, 60 anni dopo, adesso che celebriamo il 27 gennaio, ieri abbiamo celebrato la liberazione si Auschwitz, e qualcuno si è dimenticato, tanti commentatori che è stato un soldato dell'Armata Russa a tirare e aprire i cancelli. Quindi quella storia che è storia nostra, fino in fondo, è però stata affossata e rinnegata dall'incapacità di rinnovarla, dall'incapacità di misurarla, dall'incapacità di ascoltare, dall'incapacità di cambiare delle burocrazie dei paesi del socialismo reale. Ed è per questo che il liberismo è stato più forte nonostante la sua miseria morale ed intellettuale, ed è per questo che partire noi, significa partire, certo, non rinnegando nulla, nulla della nostra storia, delle nostre lotte, dei nostri valori, ma anche essendo implacabili quando ci sono stati questi errori e soprattutto la deformazione burocratica. Grazie compagni, se posso concludere questo mio intervento, vorrei solo dirlo con una parola, mi viene in mente di dirla con le parole di un vecchio dirigente , di un grande dirigente comunista, con quale, quando era in vita, in tutta la mia vita non sono mai stato d'accordo su nulla, ma che emerge come gigante rispetto ai suoi epigoni attuali che concludeva spesso le sue riunioni dicendo spesso "al lavoro e alla lotta!", e io credo che questa sia una parola giusta, uno slogan giusto per tutti noi.

 

 

Loreno Benassi - Cantiere Navale SEC - Viareggio

 

Ringrazio questa presidenza che ci ha dato l'opportunità di parlare. Vengo da Viareggio, vengo da un cantiere navale, da un ex cantiere navale, perché il 24 novembre è stato dichiarato fallito. Eravamo dipendenti di un padrone di questa zona, il Dott. Pozzo, che per chi non lo conosce, è legato alla Somalia, alla cooperazione, a Bettino Craxi, realtà che ricordano il caso di Ilaria Alpi. Noi eravamo venuti a questa assemblea più che altro, lo dico onestamente, per cercare di capire, perché nella nostra azienda, nella nostra zona, Viareggio, la Versilia, tutto quello che in due giorni ho sentito come denunce e proposizioni da questi microfoni, viene confermato, è tutto reale. Dicevo che noi eravamo venuti a questa assemblea per cercare di capire dove andare, con chi andare, quali soluzioni portare avanti; perché vedete, forse è dettato anche dalla situazione che abbiamo nella nostra azienda ora, ma è tre anni che abbiamo tre padroni! Qualcuno diceva ieri, il rappresentante dei Cobas, fate tanta fatica col padrone e col sindacato... noi ne abbiamo tre, abbiamo fatto tanta fatica, abbiamo fatto tanti sbagli, il primo forse a venire via dalle organizzazioni sindacali, ma vi assicuro che dopo 23 anni di sindacato, venire via dalle organizzazioni sindacali è una fatica immensa... però ci siamo arrivati e non so se abbiamo fatto bene. L'ultimo esempio, quello che ci ha portato in questa condizione: due anni fa come lavoratori della SEC avevamo raggiunto un accordo sulle 35 ore; in quel cantiere si doveva arrivare a 35 ore, 32 ore in alcuni reparti; da quel giorno è comunicata la tragedia in quel cantiere per noi; è durato tre mesi, quell'accordo! Probabilmente non abbiamo avuto la forza di mantenerlo, ma non abbiamo trovato nessuno che ci abbia dato una mano per mantenerlo, abbiamo trovato un sindacato che l'unica cosa che ci ha detto su questo punto è che l'azienda era in crisi, che bisognava riorganizzare l'attività dell'azienda, e la riorganizzazione dell'azienda cominciava da togliere di mezzo le 35 ore e di lì è cominciata la battaglia. Poi e arrivata la crisi, non la faccio lunga come è arrivata la crisi, vi dico solo che è una crisi con un pacchetto di lavoro da 1.000 miliardi, abbiamo 5 navi da fare, di cui tre fatte, lì, pronte per consegnare, è una crisi con una commessa da 1.000 miliardi; molto probabilmente è una crisi come ce ne sono tante in Italia, e come ce ne sono tante in Versilia. Guardate, la Versilia dove abitiamo noi (cave di marmo Apuane, noi cantiere navale, la Imeg, etc.) conta 2.500 - 3.000 operai a casa, in mobilità e quanti licenziati! Abbiamo provato a dialogare in tutti i modi, ma quello che ho sentito in questi due giorni, il movimento che si intravede, le difficoltà di identità di questo sindacato, dalle nostre parti io non la recepisco. Noi siamo metalmeccanici, il nuovo vuol dire ripresentare una piattaforme scritta da chi non so, non discussa dai lavoratori. Una volta si faceva che prima i lavoratori la discutevano, la componevano... Oggi si ripresenta una piattaforma dei metalmeccanici dove ci sono scritte sopra delle date, non so se si andrà a un referendum, dopo che ci sarà un'ipotesi d'accordo. Non vedo quindi questo movimento, questa crisi di identità del sindacato; nella nostra zona il sindacato è ben schierato non ne ha di crisi di identità! Un esempio: nella nostra azienda 200 lavoratori diretti e circa 800 lavoratori indiretti, licenziati, a casa, ma non c'è un fermento di sociale, non c'è un fermento di solidarietà. Sono consigliere comunale del Partito della Rifondazione Comunista al comune di Viareggio, su questa situazione con 3.000 persone circa coinvolte in un fallimento, abbiamo fatto un consiglio comunale aperto, ma nessuna sigla sindacale ha partecipato a quel consiglio comunale aperto; perché l'ordine era che bisognava stare calmi, che non bisognava sollevare polveroni, che ci pensava il Dott. Pozzo a risolvere i problemi; si sarebbe data un'immagine alle banche, ai futuri armatori che dovevano comprare le barche ; non bisognava agitare le acque, non bisognava, per l'amor di Dio, lo sciopero, buoni, perché ci pensano loro. E così siamo arrivati purtroppo alla conclusione tragica del fallimento.

 

 

Fausto BERTINOTTI – Conclusioni alla Conferenza dei lavoratori PRC del 28/01/2001 -

 

Care compagne, cari compagni, abbiamo fatto un lavoro importante in questi due giorni e prima ancora nell’attività assai impegnativa che ha preparato questa Conferenza delle lavoratrici e dei lavoratori comunisti.

Credo davvero, siccome viviamo in un tempo di tante disgrazie, di tante fatiche ed anche di tante frustrazioni, che sia giusto riconoscere alle compagne ed ai compagni che hanno lavorato a questa impresa in particolare di aver compiuto una operazione politica importante che è soprattutto quella di avere messo in luce una parte della vita del Partito che troppo spesso risulta nascosta, ed è il Partito della esperienza e delle esperienze, del lavoro di massa, del faticoso rapporto con il conflitto sociale, con le questioni drammatiche del lavoro oggi in Italia.

Troppo spesso il nostro Partito appare soltanto, anche a sé stesso, nella conoscenza di sé stesso, come il Partito dei gruppi dirigenti, come il partito degli organismi dirigenti, questione assolutamente importante.

C’è un Partito, però, che noi dobbiamo sapere valorizzare di più ed è proprio il Partito dell’esperienza delle compagne e

dei compagni.

Abbiamo già avuto modo di verificare questa realtà in crescita recentemente, qualche settimana fa, al Forum dell’Ambiente dove abbiamo potuto vedere pezzi importanti della nostra realtà che sono, ormai, parte integrante del vero Movimento ambientalista e verde che c’è in Italia, non quello dei ceti politici dirigenti e dei balletti, ma quello delle lotte contro gli inceneritori, contro l’elettrosmog, contro le violenze esercitate in tante parti delle città, gli ambienti, un lavoro reale che oggi si presenta anche in un’esperienza di ricerca culturale con l’inserto di “Capitalismo, Natura e Socialismo” che viene portato da “Liberazione” e che costituisce per noi un punto davvero di orgoglio per l’apprezzamento che riceviamo di questo lavoro.

Un intellettuale internazionale, come O’Connor, ci invia un messaggio per questa via, è, appunto, il premio di un’esperienza; un’esperienza che qui facciamo rispetto ad un elemento centrale della nostra attività politica: il lavoro.

Vorrei dire davvero un grazie sentito a chi nel Partito con testardaggine ha lavorato a fare qui questo Convegno, a costruirlo in un luogo che poteva prestarsi ad essere di qualche preoccupazione per la riuscita, è difficile venire dalla Campania, dalla Sicilia, dalla Calabria a Treviso, ed invece è stato giusto farlo qui, è stato giusto, ancora una volta, per noi reggere alla sfida, andare nel punto dove il capitalismo rivela nella sua rivoluzione gli elementi, forse, più di tendenza e per noi anche così difficili da

padroneggiare.

C’è stato un lavoro del Dipartimento Lavoro in particolare e del Regionale Veneto, oltre che della Federazione, che io credo davvero vada apprezzato.

Noi siamo spesso preda del carattere un po’ scombinato con cui facciamo le cose, e qui è riuscita una impresa che si presentava davvero difficile.

La cosa, tuttavia, da sottolineare è che questa riuscita del lavoro ha messo in luce una elaborazione, una ricerca, quella che avete trovato nel documento e che la relazione di Stefano Zuccherini ha presentato ieri in un modo tale che ha consentito alla discussione di crescere.

Questa cosa è stata possibile perché dietro c’è un lavoro, un lavoro faticoso ed innovativo.

Uno degli elementi che ha portato a questo risultato e che dovrà essere rilanciato da questa Conferenza è il valore fondamentale dell’inchiesta, importante per le situazioni di lavoro che tu raggiungi, ma importante per te, per le modificazioni culturali che tu introduci nel Partito, importante per te, perché rompi la supponenza di tanta politica che parla di quello che non sa e che si mette invece in rapporto con quelli che sanno perché vivono quella condizione.

L’inchiesta, come sapete, ha origini nobilissime nella

storia del Movimento operaio, viene addirittura da Carlo Marx, da una esperienza culturalmente significativa, passata per mille sentieri anche nella vita del dopo guerra in Italia, l’abbiamo ripresa e vorrei ringraziare, qui davvero, anche compagne e compagni che hanno contribuito con il Partito a sviluppare questa iniziativa.

Dobbiamo davvero lavorarci molto, è un modo per costruire una mappa, di individuare delle relazioni, stabilire dei rapporti è oggi il modo per puntare ad un salto di qualità.

L’inchiesta ci ha dato tanto, ci può dare di più fino a darci la possibilità di costruire proprie e vere esperienze di lotta, delle vertenze sul lavoro con le lavoratrici ed i lavoratori,

come parte importante di un lievito da portare nella ricostruzione di un movimento di massa.

Anche questa partecipazione è stata premiata simbolicamente, l’adesione al Partito di un sindacalista, di un compagno, di un amico, come Giorgio Cremaschi, è indicativo di una possibilità di crescere attraverso il lavoro comune.

Questa esperienza deve davvero rilanciare la nostra attività, individuandone anche i limiti.

Questa mattina abbiamo trovato qualche forma di maggiore rappresentazione di una esperienza che, per nostro limite, ancora non riusciamo a mettere a frutto: l’esperienza delle donne, non solo la partecipazione delle donne al dibattito politico, ma quell’esperienza, quella cultura di genere necessaria per rinvigorire, riqualificare un modo di concepire anche diverso il nuovo conflitto di classe.

Conflitto di classe nel quale il nostro lavoro deve tendere anche ambiziosamente a ricostruire gli elementi fondamentali di una coscienza di classe, in una condizione di grandi trasformazioni, come queste, dopo la vittoria delle forze conservatrici, del blocco dominante, dopo lo scompaginamento di tanti elementi di una cultura consolidata del Movimento operaio; non possiamo pensare di ricostruire i rapporti di forza semplicemente sul terreno necessario della lotta sociale e della lotta economica.

C’è un problema che riguarda la soggettività, le coscienze, la coscienza di classe; è il terreno su cui abbiamo cercato di lavorare anche con la Conferenza di Livorno, con il tentativo, cioè, di parlare insieme dell’attualità del comunismo e l’esigenza di rinnovare a fondo la nostra cultura affinché questa attualità del comunismo parli alle masse e non soltanto a noi, parli ai nuovi soggetti che emergono in questa disastrata condizione del mondo.

Così, anche per questa ragione abbiamo scelto Treviso per

parlare di questo Nord-Est che parla delle questioni più complesse della nuova composizione di classe, della ristrutturazione capitalistica, del nuovo conflitto di lavoro.

Ci siamo mossi da un’idea, l’idea che in Italia cominci ad apparire quello che abbiamo chiamato il disgelo. Dopo anni lunghi, pesanti, di notte, di tregua sociale imposta, di pace sociale subita, i segni che questo ghiaccio, che questa coltre di ghiaccio che ha imprigionato tanti bisogni, tante domande delle popolazioni lavorative cominciava ad incrinarsi, che noi potevamo lavorare su questa incrinatura dell’oppressione.

Per questo abbiamo messo così grande attenzione sulla vicenda Zanussi, per questo abbiamo investito e scommesso su ogni elemento di conflitto sociale che si riapriva, da quello di Mc Donald’s alla lotta nelle Poste, alle lotte dei lavoratori socialmente utili, alla ripresa di lotta alla FIAT, alle lotte ed agli scioperi degli insegnanti.

Ogni volta abbiamo investito, abbiamo dismesso ogni elemento di guardare le lotte con la puzza sotto il naso per misurare il grado di coerenza intima con la nostra linea politica, abbiamo individuato, invece, la rottura che per quella via si produceva ed abbiamo speso energie in questa direzione.

Dobbiamo fare anche di più. So bene che una rondine non fa primavera, ma molti di questi segni ci dicono che si può lavorare, che si può costruire una nuova esperienza, una nuova esperienza di lotta.

Guardate, nessuna di queste esperienze di lotta è scontata; prendiamo la cosa più classica; cosa c’è di più classico dello sciopero alla FIAT, a Mirafiori.

E’ stata per molti anni, per molti decenni il punto di lettura del conflitto di classe in Italia, ma è ancora così oggi; ma come, non ci hanno spiegato che il conflitto di classe era morto?, non ci hanno spiegato che gli operai erano, ormai, prigionieri della logica dell’impresa?, non ci hanno spiegato che il mutamento che pure c’è così profondo dei contratti, dei contratti di lavoro imprigionava tanti giovani nell’impossibilità di produrre il conflitto?

Perché, quando finalmente il Sindacato organizza la lotta quei lavoratori scendono in sciopero con percentuali altissime, perché accade?

Su questo terreno noi dobbiamo riflettere di più, dobbiamo riflettere per vedere come esperienze che si stanno producendo nel Paese, appunto, sono indicative di una possibilità.

Gli insegnanti da questo punto di vista sono stati assai significativi; colpiti da un’idea del Centrosinistra, prima colpiti culturalmente con un Centrosinistra che ha fatto quello che la Democrazia cristiana non aveva fatto per 40 anni con il finanziamento delle scuole private, colpiti nel loro ruolo pubblico, nella loro funzione sociale, sono stati poi addirittura beffati da un governo che dice loro che hanno stipendi da fame e che subito dopo offre aumenti miserabili.

I Sindacati, tutti i Sindacati passano per esperienze diverse di lotta, quegli insegnanti riscoprono il conflitto; compagne e compagni ci sono degli insegnanti che in quella vertenza, siccome i Sindacati sceglievano di scioperare in giorni diversi non ne hanno fatto uno di sciopero, ne hanno fatti 2-3, per aderire ogni volta al momento di lotta che si produceva, mostrando una rottura radicale con la coltre che veniva loro imposta.

Per questo non mi stupisco che oggi “Il Corriere della Sera” guardi agli insegnanti per vedere come voteranno, come si accingono a votare e scopre che gli insegnanti diminuiscono il loro consenso al Centrosinistra e – dice l’indagine de “Il Corriere della Sera” – raddoppiano i loro consensi a Rifondazione comunista.

Se fosse così vorrebbe dire che davvero la lotta paga anche sul terreno dell’iniziativa politica.

Sono importanti queste esperienze di lotte perché avvengono dentro una situazione – voglio ritornare su questo punto perché ha destato molto scandalo – in cui nel Paese la Destra reale ha vinto e la Sinistra reale ha perso. Per Destra reale intendo davvero i poteri forti, le imprese, le banche, la struttura del capitale e non solo le loro manifestazioni politiche; e per Sinistra reale intendo il popolo delle Sinistre, la gente che lavora, i disoccupati, i giovani, le donne; questi hanno perso, hanno perso nel corso di 20 anni, ormai 20 anni lunghi che cominciano con la ristrutturazione capitalistica e che muove dalla vittoria della FIAT e dalla vittoria della compagine borghese contro una grande lotta operaia di resistenza.

Comincia lì un’operazione importante di riorganizzazione delle forze in campo, con quella ristrutturazione si determina una guida alla riorganizzazione capitalistica in Italia che non è un fatto tecnico, è un fatto politico sociale, avviene una sostituzione di forza lavoro, vengono cacciati fuori i lavoratori che hanno fatto esperienza, i lavoratori che sono meno adatti alla nuova competitività, o perché anziani, o perché donne, o perché portatori di handicap, o perché “rompicoglioni” rispetto all’azienda; vengono cacciati di fuori e sostituiti, divisi, disintegrati, messi in cassa integrazione per lunghissimo periodo e progressivamente sostituiti da nuovi rapporti di lavoro e da nuove figure sociali.

Questa offensiva che modifica la composizione sociale di

classe a vantaggio del padrone fa un nuovo balzo – è stato ricordato qui – alla metà degli anni Ottanta, quando non casualmente quello che – a meno dei fenomeni corruttivi – è il reale padre della politica della Sinistra moderata in Italia, cioè Bettino Craxi, impone il salto dell’attacco alla scala mobile; lì avviene un altro passaggio cruciale, coglie la Sinistra moderata di governo, appunto Craxi, che la questione che prima era nel rapporto tra composizione di classe ed impresa diventa quella tra salario e profitto e porta un attacco diretto attraverso la scala mobile anche ai simboli dell’identità, dell’appartenenza del potere della classe operaia.

Di nuovo piegato e sconfitto il Movimento, come qui Giorgio ricordava, anche per la mistificazione di una parte del Sindacato che raccontava la bugia di una scala mobile che veniva messa da parte per alimentare la contrattazione, laddove da quel momento in avanti abbiamo avuto lo smantellamento della scala mobile e della contrattazione e si è costruita al suo posto una finta contrattazione che era semplicemente l’adattamento del salario all’esigenza delle imprese e della competitività.

Questo secondo colpo prepara il terzo che è l’attacco allo stato sociale di cui la progressiva aggressione alle pensioni rappresenta il punto cardine di quell’attacco, e – guardate – è significativo che l’attacco avviene alle pensioni di anzianità, cioè ad uno degli elementi – va detto – di grande conquista di civiltà realizzata dal Sindacato dei Consigli in Italia, cioè dall’esperienza più avanzata del conflitto sociale che si sia conosciuta sia sul terreno della lotta, della cultura che della partecipazione.

Quale era? Era il fatto che non era vero che siamo tutti uguali, che ognuno di noi è figlio anche della propria esperienza lavorativa e, come si vede adesso perfino dalle facce, non è vero che uno conta nella sua età per l’età biologica, per quando è nato, ma conta per quale vita ha fatto, ed a 60 anni una donna che ha fatto il doppio lavoro in casa e su un telaio non è uguale alla faccia di un professore universitario.

La pensione di anzianità era precisamente la messa a frutto della grande intuizione marxiana secondo cui dare la stessa cosa a due diseguali non è fare un’uguaglianza, ma è fare la diseguaglianza e con la pensione di anzianità tu dicevi: “a te che hai lavorato sul telaio, a te che hai lavorato in una fabbrica chimica, a te che hai lavorato in una fabbrica siderurgica, a te che sei stato nella linea di montaggio, tu dopo 35 anni di pensione, quale che sia la tua età, hai diritto ad andare in pensione perché hai dato quello che dovevi alla società e perché sei diverso”, viene colpito quel punto perché si capisce l’intuizione strategica che aveva dentro: ristrutturazione capitalistica delle fabbriche, attacco al salario con la scala mobile, attacco allo stato sociale con le pensioni.

Progressivamente attraverso questo attacco alla classe operaia viene cambiato il campo di parti importanti che rappresentavano il Movimento operaio.

La Sinistra moderata che nasce in primo luogo dalla disastrosa scelta di sciogliere il Partito comunista italiano e che vede, poi, progressivamente dislocarsi i suoi eredi non più neppure sulla tradizione socialdemocratica, ma su una tradizione di Sinistra liberale, e vede il Sindacato confederale che era stato il grande artefice degli anni Settanta in Italia, del vero cambiamento di fondo di questo Paese ripiegare fino agli accordi di luglio, cioè alla individuazione di una pratica che per essere concertativa in realtà era solo subalterna.

Su questo punto vorrei dire una cosa precisa: la nostra critica al Sindacato non è una invettiva, non è un attacco al tradimento dei ceti politici dirigenti, seppure non ci nascondiamo la critica al burocratismo delle Organizzazioni sindacali, al ruolo separato di un ceto politico collocato istituzionalmente che costituisce un diaframma rispetto alla possibilità di raccogliere ed organizzare i bisogni delle masse lavoratrici; ma non è questo il punto.

Il punto centrale è che noi contestiamo del Sindacato l’abbandono di volere rappresentare prioritariamente le ragioni del conflitto di classe, che – anzi – vengono negati ideologicamente per sostituire alla rappresentanza degli interessi di classe il punto di vista dell’impresa nella competizione e nel mercato.

Questa è la contestazione di fondo che noi facciamo, è una contestazione della cultura politica del Sindacato che ha in larga misura determinato la sua ricollocazione nella società.

Certo, c’è stata - nella discussione ieri è emersa con molta evidenza – come del resto era emerso nell’inchiesta – una vera e propria destrutturazione della compagine lavorativa, una modificazione profonda della composizione sociale di classe, e non c’è dubbio che la modificazione strutturale del lavoro e della composizione di classe rende più difficile oggi l’organizzazione del conflitto.

Questo elemento va indagato, ma questo fa parte della ordinaria questione – seppure difficilissima – della lotta di classe; quello che non può essere scambiato con questa difficoltà e che il Sindacato ha rifiutato, per quella scelta che ho detto, di organizzare la resistenza degli operai, delle operaie e dei lavoratori alla ristrutturazione capitalistica ed alla rivoluzione capitalistica.

Così abbiamo assistito e stiamo assistendo ad una innovazione del lavoro gigantesca, ma che non ha nulla di neutrale :nuove tecnologie che intervengono, la riorganizzazione delle imprese, l’introduzione di quella vera e propria rivoluzione che è la rivoluzione dell’informazione, cioè del governo dell’informazione, cosa che favorisce modificazioni nel rapporto tra capitale produttivo e capitale finanziario, tra località e mondo nel ciclo produttivo che viene riorganizzato, insomma in quella cosa che gli studiosi chiamano la fase dello sviluppo capitalistico post fordista, cioè che viene dopo lo sviluppo concentrato sulle produzioni di serie e sul consumo di massa.

Questa organizzazione non è un passaggio naturale come nelle stagioni; questa innovazione ha una connotazione sociale precisa, è una rivoluzione capitalistica restauratrice, cioè capace di reimporre l’egemonia ed il dominio del capitale sul lavoro.

Questo è il segno radicale che noi contestiamo di questa innovazione.

E’ questa la condizione per cui la realtà può essere raffigurata come sempre, nel rapporto tra salario, profitto e reddito, è una lettura – naturalmente come dicono gli economisti - macro-economica, cioè prende grandi dimensioni per dare il quadro, ma dà il quadro, del resto su questo non si sbaglia.

Datemi il grafico della dinamica dei salari ed io vi dico – ma ci dico, perché lo diciamo insieme – in che Paese viviamo.

Se la dinamica dei salari va verso l’alto stiamo in un Paese civile, se la dinamica dei salari va verso il basso stiamo in un Paese incivile, è proprio come 2+2 fa 4!

Noi denunciamo questa questione salariale come questione di civiltà da lungo periodo, ma ormai – guardate – guadagnamo consensi anche in una intellettualità borghese; è stato citato nella relazione di Stefano Zuccherini una cosa importante.

“Il Corriere della Sera”, anzi meglio – come ormai ricordo spesso – i giornali italiani ormai si sono specializzati ad avere due giornali, un giornale per il lettore medio, quello è fatto per disinformare, poi contiene un altro giornale per il lettore informato – non diciamo colto, né intelligente – semplicemente informato, quello può dire la verità.

Il primo giornale, quello che avvolge quell’altro vi spiega

che bisogna essere competitivi, che per essere competitivi ci vuole più flessibilità, che per essere più competitivi i salari devono essere contenuti; nel secondo giornale, quello che va agli informati, una settimana fa “Il Corriere della Sera” nell’inserto economico proponeva una lettura della dinamica dei salari negli ultimi 10 anni; sapete come era intitolato? “Il trionfo del profitto e della rendita”, pari pari, cioè riconoscimento esplicito, ed il trionfo del profitto e della rendita si è realizzato perché i salari sono stati tenuti bassi.

A chi dice perché la Destra sta vincendo? La Destra sta vincendo in primo luogo per questa ragione, perché il salario perde e perché vince il profitto e la rendita!

Naturalmente so bene che questa Destra ha una forza non solo nella dimensione economico-statuale, lo si vede bene qui nel Nord-Est, capace di una operazione ambiziosa, insisto: non prendiamoli sotto gamba. Perché naturalmente se uno li guarda dal punto di vista dell’estetica e dell’eleganza, che poi non è il nostro criterio fondamentale di valutazione, può anche ridere delle loro cose, ma lì c’è un impasto micidiale e c’è l’impasto che rende Berlusconi al centro del Partito conservatore europeo.

Perché si presenta smagliante a Berlino? Perché in realtà l’operazione è proprio costruita qui nel Nord-Est, economico-sociale ed insieme culturale dà a questa Destra una forza, per ora, travolgente, ed è il fatto di essere portatori della più radicale organizzazione neoliberista della società economica e sociale – peraltro con una grande forza perché il Centrosinistra li insegue solo, arriva sempre solo il giorno dopo, e con qualche moderazione in più, ma ha lo stesso esito – con, però, non più il pensiero liberale, incultura, ma invece il pensiero populista, neopopulista, xenofobo, razzista, con il quale organizza le paure e le insicurezze che la mano prima, quella liberista, produce nel Paese, con un dato produce insicurezza e con l’altra mobilita l’insicurezza non contro il padrone, ma contro l’immigrato, contro il nero, contro il diverso, operando una trasformazione dal conflitto verticale di classe al conflitto orizzontale.

Poi possono permettersi perfino di essere compassionevoli. Una volta passati come con una macchina schiacciasassi sul Paese ed avere trascinato in questa macchina schiacciasassi anche il Centrosinistra nelle sue politiche concrete di governo, tanto che se uno straniero arrivasse in Italia e chiedesse cosa hanno fatto i governi negli ultimi due anni e poi fosse di fronte alla domanda: ma chi l’ha fatta?, le Destre o le Sinistre?, proviamo a vedere.

Secondo voi, chi può aver fatto la guerra nei Balcani con una ragione umanitaria che è stata smentita così clamorosamente?

Chi può avere finanziato la scuola privata? Chi può vantarsi di avere fatto il più accelerato processo di privatizzazione in tutta Europa, di cui sarà contento Colannino, ma non certo il lavoratore dell’ENEL.

Chi ha liberalizzato il mercato del lavoro, salvo adesso piangere lacrime amare perché nelle assunzioni, non nella quantità complessiva della popolazione lavorativa, come giustamente ci richiama Vittorio Riser ad un’analisi puntuale a non prendere lucciole per lanterne, cioè non pensare che tutto il mondo sia fatto di contratti atipici in un Paese in cui, invece, i contratti tipici sono ancora maggioritari, mentre i contratti atipici sono assolutamente maggioritari nelle nuove assunzioni, quindi in una indicazione tendenziale.

In ogni caso chi le ha fatte quelle leggi per cui si può assumere oggi con il contratto a termine in maniera così ...; chi le ha fatte? Allora dice: chi ha governato il Paese? Il Paese è stato governato dalla Destre per interposta persona, questo è il punto.

anzi, vi prego, che a nessuno venga in mente di fare la spia o cose di questo genere.

Per interposta persona si intende un processo di egemonia culturale, non che li pagavano o li guidavano, egemonia culturale, loro ci mettevano le idee e gli altri i fatti, convinti – anzi – di essere un po’ diversi, ma invece quella è la direzione, è lo scavare, il muoversi in quella direzione.

Allora, così si indaga la forza delle Destre, così si capisce da dove riprendere il bandolo della matassa; quale era la loro forza, la forza di questo blocco sociale, economico, culturale delle destre reali.

Ogni volta che sento una discussione se hanno vinto più sul terreno culturale che sociale a me viene l’orticaria, hanno vinto nella connessione, per questo sono egemoni, hanno vinto nella connessione e la loro ipotesi è calcata su uno sfondamento culturale che è intervenuto ed in cui – vorrei dire – ce ne è per tutti, anche per la Sinistra storica, perché questo consentirebbe di indagare anche i nostri limiti tradizionali di quanto eravamo bravi, non di quanto eravamo cattivi, che è questo essere avviluppati anche nelle trame dell’avversario.

Guardate, voglio essere chiaro su questo punto, avremo tempo per una polemica anche aspra a Sinistra su questa questione: io non penso che il Movimento operaio possa essere accusato di essere complice del produttivistico prometeico del capitalismo, non lo credo, assolutamente - potrei discuterne lungamente su questa faccenda – ma che noi abbiamo avuto una contaminazione, noi inteso come Movimento operaio, su terreni come quelli della produttività, della competitività, non c’è dubbio e viene da lontano.

Mi ricordo un allora giovane sindacalista torinese e mi ricordo l’impressione enorme, proprio come uno shock, del primo documento del Partito comunista che parlava bene della produttività, adesso ci provassero, sarebbe una posizione quasi di estrema sinistra, ma allora ci fece un’impressione immensa, perché era un pezzo di cultura che noi avevamo sempre avversato, come la politica dei redditi.

Adesso tutti parlano della politica dei redditi, ma vorrei ricordare che la CGIL degli anni Sessanta muove contro la politica dei redditi; questo per dire come sono avvenuti in Italia degli smottamenti di cui si è persa l’origine dei

punti di vista di partenza. Sulla produttività lo stesso.

Questi elementi di lento sgretolamento dei tuoi riferimento culturali ha prodotto poi lo sfondamento, quello dell’assolutizzazione della competitività delle merci; tutti hanno assunto quello come il problema, quale è il problema? La competitività delle merci, ed a quel punto progressivamente hai finito per introiettare molti elementi che in realtà sembravano oggettivi e che erano, invece, semplicemente il frutto della vittoria dell’impresa sul lavoro, o meglio del capitale sul lavoro, o meglio dell’impresa sulle lavoratrici e sui lavoratori.

Così è passata una vera e propria controrivoluzione, mutamento del capitale, innovazione radicale, mutamento nella composizione sociale di classe, e qui vi è un punto che vorrei proporvi assumendo un elemento della relazione di Stefano Zuccherini, che trovo molto promettente per la nostra ricerca futura, però dobbiamo discuterne perché è un elemento che conta molto anche per l’azione, un punto di analisi.

Così liberatosi dal condizionamento del mondo del lavoro il capitalismo sta impazzendo; questo è un punto chiave.

Il capitalismo ha chiesto di liberarsi dal condizionamento del Novecento, il Movimento operaio in tutte le sue forme, che così ha quel condizionamento nella traiettoria della rivoluzione, accanto cosa si produceva? Attravesrola politica si operava un condizionamento sul mercato e sull’impresa, di diverso genere; era il contratto di lavoro, lo stato sociale, la legislazione lavoristica.

Il capitalismo ha detto: liberatemi da questo condizionamento perché altrimenti io non posso più esercitare la competitività, anzi sono posso governare l’innovazione.

Siccome sono in una fase di grande innovazione non posso avere l’impaccio di questo condizionamento, toglietemelo di mezzo e vedrete che io veleggerò rapidissimamente verso un mondo nuovo, soltanto che questo mondo nuovo è una schifezza.

Questo mondo nuovo del capitalismo separa l’innovazione dal progresso; una volta che si è liberato, e per una ragione di fondo, dal condizionamento del Movimento operaio diventa irresponsabile.

Guardate che l’irresponsabilità è ormai uno degli elementi centrali della critica che noi dobbiamo fare al capitalismo ed alle sue classi dirigenti.

Anche questo non è uno slogan, è una constatazione; guardiamo due fatti che sono stati citati in questo nostro dibattito: uranio impoverito e mucca pazza, espressione chiaramente dell’impazzimento del capitalismo e della irresponsabilità delle classi dirigenti; che cosa vuole dire

responsabilità?

Vuol dire che si mettono nella condizione di non poter rispondere di loro stessi; quelli fanno una guerra, dicono che è una guerra umanitaria, va bene, c’è una mistificazione ideologica, l’abbiamo detto, invece volevano fare una guerra per costruire il G7-G8 di dominio del mondo poi scopri che hanno usato l’uranio impoverito.

Non solo, dunque, hanno fatto una scelta politica che abbiamo contestato in radice, bombardi Belgrado perché vuoi attaccare Milosevich, bombardi le popolazioni, no di più: usi delle armi di cui non sei più in grado di controllare gli effetti, cioè non è vero che è come il bombardamento di Dresda, non è vero, per quanto tragico sia.

Con questa guerra loro diventano i responsabili degli effetti, nel senso che non si sa più per quanto tempo e per quale spazio la gente morirà per colpa della loro guerra

e quindi non vogliono e non possono rispondere delle loro azioni, sono irresponsabili!

Le mistificazioni che leggiamo sono la conseguenza di queste responsabilità.

La mucca pazza non è la stessa cosa? Loro sfondano un muro che era un muro di civiltà, quello contro il cannibalismo, e alle mucche invece di far mangiare erba, come è nella loro storia, fanno mangiare carne attraverso la farina animale.

Si produce un impazzimento, ma la morte che semina questa loro scelta non si sa dove si deposita, dove arriva, e quando dicono che c’è il panico nella gente dicono una cosa irresponsabile ancora perché loro hanno provocato il panico rendendo irresponsabili le classi dirigenti e le scelte scientifiche.

Il panico non è legato semplicemente alla carne, è il fatto che uno sente per la prima volta che lui non sa più nulla della sua vita; tu entri in un supermercato e non sai con che cosa esci, non sai se esci con un miglioramento della tua condizione o avendo incorporato il germe della morte.

Questo punto è cardine, deve essere proprio una specie di dannazione dei poveri; cioè ogni volta che i poveri guadagnano una emancipazione da un loro limite nella sfera dei consumi e consumano qualche cosa, immediatamente quella cosa diventa disastrosa!

I poveri sono sottoposti ad un processo di inurbamento, escono dalla povertà della campagna, dalla fatica di vivere, dal freddo, dalla mancanza di luce, arrivano in città loro, le città sono invivibili, inquinate, la sicurezza, è un disastro!

Le mie generazioni per la prima volta, quelle che erano inurbate, imparano che c’è il mare non perché semplicemente ci sono le barche, ma anche perché d’estate uno ci può andare a fare il bagno, quando ci arrivammo noi il mare era inquinato, non si può più usare, le spiagge sono invisibili!

Abbiamo tirato la cinghia per secoli, alcuni di noi sono cresciuti sognando la bistecca, ci arrivi e crepi sulla bistecca.

Questo capitalismo ce l’ha proprio con noi, diciamo la verità, ed è per questo che non lo vogliamo più, perché ce l’ha troppo con noi!

Questa irresponsabilità che è nei confronti della vita e delle popolazioni è in primo luogo – è stato detto qui giustamente – irresponsabilità dell’impresa verso il lavoro, cioè tutti questi elementi si riconducono poi a queste irresponsabilità.

Il Movimento operaio, dopo la vittoria contro il nazi-fascismo, proprio questo aveva fatto, aveva reso responsabile l’impresa rispetto al lavoro, anche con delle cose discutibili culturalmente, ma vi ricordate il carattere sociale dell’impresa? Anche con il contributo del mondo cattolico, di una cosa assai discutibile e criticabile come la dottrina sociale, però era cresciuta nelle correnti marxiste, illuministe, cattoliche l’idea che l’impresa proprio una cosa non poteva essere: irresponsabile nei confronti della società e dei lavoratori, doveva essere responsabile; aveva il suo fine – il profitto – però doveva condizionare il profitto a degli elementi di civiltà da cui doveva partire.

Oggi è questa la liberazione dell’impresa, si è liberata dal condizionamento della civiltà e ha assunto la competitività come unico elemento guida delle proprie politiche; l’impresa risponde solo al fatto: io devo competere; come? Come voglio!

E’ l’assolutizzazione di questo parametro che distrugge gli altri, ed in Italia – questo è un punto che vorrei sottolineare – questa scelta determina un modello particolare di sviluppo industriale e di sviluppo tout court perché diversamente da quello che molti dicono non è vero che l’Italia è un Paese di straccioni, non è vero per niente, infatti siamo una delle principali potenze industriali del mondo, quindi non si scappa.

Non è vero neppure che in Italia non c’è una politica industriale, c’è; la politica industriale italiana consiste nella negazione della politica industriale, cioè consiste nel rifiuto di ogni elemento di progetto e di programmazione, compresa l’organizzazione della ricerca, perché viene bandito ogni elemento che parla degli investimenti con redditività differita, cioè che non guadagni subito, ma guadagni domani, o anche guadagni anche domani eccome, e quindi il sistema italiano è il sistema che non solo nel rapporto tra capitale e lavoro, ma nell’economia assolutizza la flessibilità.

Dove va la produzione italiana? Dove per interstizio o altro può competere; come si organizza? In maniera di essere competitiva; il Nord-Est è esattamente questo paradigma.

Liberarsi dello Stato, liberarsi del Sindacato, liberarsi perfino della società e muovere nelle pulsioni che ti consentono di adattarti laddove c’è in qualche modo la possibilità di piazzare una merce in maniera più competitiva.

Per essere competitivi cosa ci deve essere? La flessibilità del lavoro ed i bassi salari.

Il lavoro è un ventre molle su cui tu poggi e premi per realizzare la competizione. La disumanizzazione del lavoro di cui si è parlato nasce da qui, e per realizzare questa opera, infatti si fanno due operazioni strutturali; la prima si determina un processo di privatizzazione che cancella ogni elemento di proprietà pubblica perché quella fatica ad essere irresponsabile, cioè non c’è soltanto il fatto che tu vuoi mettere sul mercato l’ENEL, c’è il fatto che tu non vuoi più dar via delle aziende pubbliche a cui il lavoro possa rivolgersi dicendo: “tu - per favore – che orario mi fai fare?, che lavoro mi fai fare?, che salario mi dai?”; non puoi fare così perché fai un’attività antisociale, quello non può dirti: no, non mi interessa, l’impresa privata mi dice: non mi interessa, la proprietà pubblica ha un vincolo, per questo è stata smantellata progressivamente e guardate che si riorganizza così una catena di impresa di rendere sempre di più irresponsabile l’impresa, cioè dalla privatizzazione nasce il decentramento delle imprese, le catene che vanno dall’azienda madre fino agli appalti, perché non solo è privato, e quindi già risponde di meno, ma poi addirittura a lavorare tu sei l’anello ultimo della catena, in modo che l’azienda committente non risponde più, e quello degli appalti dice: “che cosa devo fare io, sono un povero cristo che ha questa commessa”, tu devi lavorare così e non puoi fare altro, e poi siccome non raggiungo quel numero di dipendenti ti posso licenziare quando voglio se tu non accetti questo ricatto.

Secondo: viene spezzata l’unitarietà del contratto di lavoro, cioè in alto rompi con la proprietà pubblica, apre la proprietà privata, produci un processo a catena che rende responsabile l’ultima azienda nei confronti del lavoro, e spacchi l’unitarietà del contratto dei lavoratori, fai i contratti atipici che determinano una totale frammentazione della potestà contrattuale.

L’elemento estremo di questa vicenda – per questo c’è uno scontro così aspro – sono i processi migratori ed è la figura dell’immigrato.

La figura dell’immigrato è estrema, e per questo si carica anche di questa violenza contro di lui, perché - care compagne e cari compagni – ci sono un milione di ragioni per essere contro il razzismo; vogliamo dire l’ultima? Che il razzismo è il modo fondamentale per tenere sotto controllo i salari.

Naturalmente, intendiamoci bene, come insegnava il filosofo, le classi dirigenti sono cosmopolite, non puoi trovare un borghese che sia così schifosamente razzista? Basta che lo sia la società – razzista – in modo che loro, come padroni, possono assumere l’immigrato, farlo lavorare, ma poi siccome gli è negata dalla società, non da loro, la cittadinanza, possono ricattarlo continuamente.

Il sindacalista dell’ AFL-CIO ci ha detto una cosa fondamentale: guardate, un Sindacato che si rispetta fa valere i diritti dei clandestini, perché altrimenti non difende i diritti di nessuno.

E’ un punto di rovesciamento, non è altruismo, è egoismo maturo, è il fatto che tu in qualche misura per difendere la tua condizione e per poterla ricostruire devi passare per quella ricostruzione che gli altri tendono, invece, a spezzare ed a mettere in discussione usando anche la leva della monetizzazione, come elemento di scardinamento della tua unità e qui – incontrandoli – dia dei valori della società e della vita.

Sì, tutto questo è difficile, duro, ma quando vi propongo un atteggiamento così critico nei confronti del Sindacato lo faccio perché vedo il Sindacato dentro questa trama.

Siccome non voglio passare per quello che non sono, vorrei leggervi tre righe, tre, di un accordo sindacale firmato il 28/12/2000, cioè un mese fa tra la SEA e la FILT-CGIL, la FIT-CISL, la UILT-UIL; si parla di Malpensa.

Il titolo è: “Servizio di sgombro nevi”. “Nell’ipotesi in cui il lavoratore venisse trattenuto – un lavoratore come può essere trattenuto? Non può decidere lui se andare o non andare dopo l’orario di lavoro, se è trattenuto è trattenuto, per chi non è lavoratore si chiama sequestro di persona – per le operazione di sgombro della neve ininterrottamente per più giorni, l’indennità economica suddetta sarà pari a £. 80.000 lorde – lasciamo stare la cifra potrebbe essere anche un milione – per ogni 8 ore di presenza al lavoro successive alle prime 8”, è un ciclo continuo, cioè non è scritto che ti pagano un’ora dopo le 8 ore, e per tante ore, e non è neanche scritto per le prossime 8 ore, no, per ogni 8 ore successive.

Uno dice: che cosa è? Questa è attività antisindacale, questo accordo è attività antisindacale.

Questa cosa dice che loro proprio devono spingere sulle estreme conseguenze, ma dice anche che un modello così non ha una grande forza; questo modello vince, ma non convince, un modello così ti può piegare per un giorno, per una settimana, per un anno, non regge, e badate che è così e cominciano ormai a dirlo in molti.

Questo autorevole economista americano, che è Foster, ha scritto su una rivista importante degli Stati Uniti d’America una cosa secondo me preziosa, una chicca: “Sapete perché gli Stati Uniti d’America sono più competitivi di altri sistemi? Perché la lotta della classe dominante sul lavoro è stata più efficace che negli altri Paesi.”

Questo è il modello, ma questo modello comincia ad essere inceppato, infatti non solo dà luogo al disagio sociale, alla crisi sociale, no, comincia ad avere degli inceppamenti al suo interno.

Il modello nel modello è la California, il modello degli USA è la California, la quale vive oggi una condizione di crisi, badate, e adesso non facciamola lunga, ma è in crisi persino la privatizzazione che in California si è fatta dell’energia elettrica, e cominciano a dire: “forse non funziona!”.

E l’automobile americana è in crisi a tal punto che le grandi società americane riaprono le procedure di licenziamento, sapete perché? Perché nell’automobile si è sperimentato negli Stati Uniti d’America un modello di vendita che diventerà dominante nei prossimi anni, quello del leasing; non ti vendono più la proprietà del mezzo, cioè tu non compri un’automobile, ma compri la possibilità di usare l’automobile, tu non compri un elettrodomestico, ma compri il prestito, l’uso, non compri una televisione, ma la possibilità di utilizzarla, la proprietà rimane dell’azienda che te l’ha ceduta per prestito, si fa pagare la manutenzione ed il prestito d’uso, cioè tu compri l’accesso a quel bene.

Così negli Stati Uniti d’America è successo che una stragrande maggioranza di gente ha comprato jeep, perché erano macchine di status simbol straordinario.

Non le hanno comprate più direttamente, ma in questa forma del leasing, del prestito, sennonché l’incrinatura di questa popolazione che si è indebitata per il leasing, cioè è diventata anche lei irresponsabile come le aziende, provoca un crack, perché c’è un’indisponibilità di liquidità verso le aziende, vengono loro restituite le macchine, ma loro non sanno più dove piazzarle, semplice: licenziano i lavoratori, non che ci vuole un grande ingegno, si licenziano i lavoratori, fino alle prossime macchine, alla prossima invenzione!

Ma questo elemento produce una grande instabilità sociale e, comunque, produce anche il rallentamento della corsa della locomotiva americana.

Loro, dunque, sono forti, ma non invincibili, allora ritorna la questione fondamentale per noi del ruolo del conflitto di classe, del conflitto in generale e, badate bene, è un problema analogo a quello che abbiamo della rifondazione del comunismo, non è poi così diverso, sembra diverso perché una è organizzare la lotta sul salario, sull’orario, l’altra è una questione gigantesca, ma sono grosso modo le stesse cose, ed anche nel conflitto sociale, come nel comunismo, il problema dell’apertura del conflitto a temi che ieri non erano in così grande evidenza, come quelli prodotti dall’esperienza delle donne, dalla collocazione della donna nel lavoro, nella società, nel rapporto tra produzione e riproduzione, come la questione ambientale, ebbene, questi diventano cruciali nella ricostruzione del conflitto, oltre che del comunismo.

Seattle da questo punto di vista è, credo, assai indicativo.

Questo elemento scuote qualche esperienza sindacale come quella americana perché gli Stati Uniti d’America, che hanno una struttura liberale non protezionistica, hanno fatto sì che la sconfitta del Sindacato sia stata pagata in termini di iscritti.

I Sindacati passano dal 35% di iscrizione al Sindacato al 13% e questo apre uno scontro asperrimo nel Sindacato, si costruisce un nuovo gruppo dirigente che punta a ricostruire il Sindacato laddove era stato espulso, cioè nel precariato.

In Europa ed in Italia abbiamo, invece, un Sindacato in qualche modo protetto, dalla legislazione, dal suo essere istruzione, dalla concertazione, però vorrei farvi notare che il Sindacato con le sue mani ha indebolito drammaticamente due elementi importanti della sua funzione. Quella di essere monopolista della forza lavoro, il Sindacato forte è il Sindacato del monopolio della forza lavoro, se lo è unitariamente, bene, se lo è come Sindacato unico, male, ma il fatto di essere monopolio è la caratteristica fondamentale per fronteggiare il monopolio delle imprese americane.

Il Sindacato italiano con le sue mani ha disintegrato la possibilità di essere monopolio di forza lavoro, infatti, tantissimi strati sono assolutamente esclusi da questa possibilità.

Cos’era l’altro elemento di forza? Quello di essere autorità salariale, poi sul resto si discute, se ce la fa sull’organizzazione del lavoro, etc., ma l’autorità salariale è una caratteristica fondamentale.

Con gli accordi di luglio il Sindacato ha smesso di essere un’autorità salariale, le cose che venivano dette, il rapporto tra il salario e l’inflazione programmata è un’indicazione di questa dismissione.

Questo elemento, dunque, compagne e compagni, ci pone due problemi: uno, come ci rapportiamo alla battaglia interna del sindacato; l’altro, cosa facciamo noi!

Come vedete, non taccio le critiche al Sindacato, ma debbo dire che non possiamo appagarci di questo . . . . e non possiamo neanche solo chiedere al Sindacato. Il tempo della delega, del passaggio del testimone è finito, il Partito deve essere in grado di avere un proprio, autonomo intervento nella questione sociale!

Credo che dobbiamo guardare con maggiore attenzione alle cose che facciamo: la marcia per il salario sociale nel Sud, con tutti i suoi limiti e le sue fatiche, che cosa era se non questa idea di provarci? Naturalmente non sto dicendo che ci siamo riusciti, ma che ci abbiamo provato, cioè che non puoi delegare, tanto meno nel Mezzogiorno d’Italia, la questione del salario sociale a qualcuno, anche perché il Sindacato non l’assume, ma è anche come riattraversi la società meridionale, come riorganizzi delle forze, come muovi delle realtà, ed io debbo dire che con tutti i limiti queste nostre fragili strutture di Partito nel Mezzogiorno ci hanno provato e va riconosciuto questo sforzo che loro hanno fatto, e dobbiamo noi interrogarci come Partito perché non vi abbiamo corrisposto interamente, non scaricare l’elemento critico su quell’esperienza, guadagnarla, ragionare.

Dobbiamo, insomma, provare e riprovare e, davvero, anche ricostruire qualche elemento di conflitto, di vertenza. L’ho già detto altre volte e lo ridico: se tu fai maturare un’esperienza vertenziale, il soggetto che formalmente organizza lo sciopero quando non c’è il Sindacato lo trovi lo stesso, ma tu devi essere in grado di porti questo obiettivo, io vorrei che il Partito individuasse tre, quattro, cinque situazioni in cui promuove direttamente conflitto e vertenza ed indica per questa strada una possibilità di crescita, si rapporta criticamente con l’esperienza sindacale, muove forza, certo non può sostituirsi al Sindacato.

Il discorso del Sindacato è un discorso dolente per noi, l’abbiamo visto anche ieri nella discussione del pomeriggio, una discussione molto travagliata, molto difficile, anche molto aspra.

Vorrei dire che noi dovremmo acquisire che abbiamo fatto con questa Conferenza un passo avanti nella elaborazione sul Sindacato, vorrei che non lo disperdessimo per distrazione: non è vero che in questa Conferenza abbiamo detto quello che dicevamo un anno fa.

Certo, partiamo dalla valorizzazione dei fatti delle esperienze, fuori dal quadro concertativo come un anno fa e anche della soggettività, in questo la polemica fra di noi non ha nessun senso, valorizziamo le esperienze nei Sindacati dovunque si producono, in quanto sono esperienze di lotte e di critica al quadro concertativo e ne fuoriescono, chiunque le faccia, anche dal punto di vista dell’organizzazione, per questa ragione abbiamo alzato nei trasporti l’esperienza di riorganizzazione di forze critiche, che avevano realtà consistenti di Movimento e di lotta, basta andare a Fiumicino per rendersene conto, ed abbiamo apprezzato – e non capisco le polemiche – il risultato dei Cobas scuola che, presentati in elezioni difficili, dove sono stati presenti, hanno guadagnato grandi ed importanti risultati. Non si capisce perché non dobbiamo vedere questi elementi!

Contemporaneamente, abbiamo investito e sottolineato il valore della riunificazione delle forze alternative della Sinistra sindacale in CGIL, dove si conduce una grande battaglia, importante.

E’ stata ricordata qui, questa cosa della CGIL è davvero grande: rinvia i Congressi, ma è un fatto tecnico, oppure invece è l’alienazione della propria autonomia e, invece di essere la CGIL, diventa un reparto separato dei DS?

Si apre, dunque, una questione fondamentale e cruciale della battaglia politica, come qui è stato sacrosantemente ricordato, è per questo che noi guardiamo a tutte queste forme di lotta politica con così grande attenzione, con così grande investimento, specie quando si collegano ad esperienze di lotta, di rottura della tregua sindacale, di iniziativa.

Contemporaneamente, però, a questo sviluppo del nostro apporto tradizionale con il Movimento sindacale, abbiamo tentato di indicare una rotta, quella della costruzione di un nuovo Sindacato confederale di classe, democratico e di massa, sapendo e dicendo che questa realtà non la si costruisce “in vitro”, non si costruisce per scissione o per frantumazione, non la si costruisce neanche dicendo: “vai lì, piuttosto che là”, perché questa sarebbe la prefigurazione di un modello che non c’è, invece chiede a tutte le compagne ed ai compagni che condividono questo progetto nei diversi Sindacati di fare intanto “come se. .”, preannunciando le esperienze, le iniziative che vanno in quella direzione dal punto di vista della piattaforma, delle lotte, delle esperienze di costruzione e di organizzazione dal basso, costruendo dentro le forze esistenti una direzione che consente ad ognuno di valorizzare la sua presenza originale e di guardare, però, il processo che tu vuoi costruire e mettere in movimento.

E’ da questo punto di vista, allora, che dobbiamo cogliere le novità e non tornare alla discussione: “ma dimmi se io devo stare lì o qua”, tu devi stare lì o là purché tu sia in grado di stare in rapporto con altre compagne e con altri compagni e costruire esperienze politiche di lotta che preannunciano un cammino da fare e che valorizzano le esperienze parziali.

E’ per questo che dobbiamo essere in grado di mettere l’accento sull’organizzazione delle lotte e delle piattaforme e qui vale la parola d’ordine: “riprenderci il salario ed il tempo”. Vorrei tornare ad usare la parola maledetta di questi anni: noi dobbiamo riconquistare delle rigidità!

La flessibilità è la modalità attraverso la quale sono state piegate le istanze di classe, le istanze della persona, le istanze delle donne e dei giovani al “Molok” dell’impresa, questo svetta come vuole se tu non sei in grado di dirgli: qui no, arrivi fino qui, ma da qui in avanti non vai!

Questa cosa si chiama rigidità, rigidità di salario, di orario, di condizione e di prestazione lavorativa.

Sono i vincoli che tu imponi in una situazione, alle imprese ed al mercato che possono funzionare finché la trasformazione a cui lavoriamo non avrà il suo corso, ma rispettando questi vincoli imposti: di salario, di orario e di diritti.

Per questa ragione credo che sia così importante per noi riorganizzare il conflitto. Se mi si domandasse qual è la priorità delle priorità, è questa, la riorganizzazione del conflitto, dei fuochi, dei punti di iniziativa.

Guardiamo a quello che ci viene dall’inchiesta, ma anche da quello che ci viene da un film come quello di Ken Loach: “Pane e rose”, abbiamo sentito qui con partecipazione la testimonianza di un compagno dell’AFL-CIO, molti di voi hanno visto quel film, a volte le opere d’arte ti aiutano ad aprire una scatola, a mostrarti una prospettiva che altrimenti ti era preclusa, noi dobbiamo pensare ad organizzare il conflitto, compagne e compagni, non più pensando all’organizzazione del conflitto come se fossimo in una cattedrale, ma invece pensare ad organizzarlo come se fossimo - come siamo – in un borgo medievale, dove ci sono i mestieri e le condizioni servili, dove c’è la cappa di un dominio che si esprime in tutti gli elementi della vita quotidiana.

In questo nuovo Medioevo, che è il borgo della riorganizzazione capitalistica del lavoro, dobbiamo riprendere la via dell’unificazione, del conflitto e della lotta.

Questo è un punto cardine della nostra impostazione e costruirla insieme sul salario, sull’orario e sul controllo sociale.

Credo che dobbiamo essere in grado, oltre che su questi terreni di classe, anche di esplorare nuovi terreni.

Il lavoro ci sfida sul terreno della riorganizzazione, mistificando un’immaginaria autonomia; autonomia di un lavoro sempre più eterodiretto, anche quando non legato al contratto, autonomia come capacità di alludere alle tue possibilità; bene, proviamo a rivendicarla noi, autonomia e creatività nel lavoro, proviamo a rivendicarla davvero come un elemento di conflitto da portargli e portarla attraverso dei diritti come garanzie, per tutti!

Tu sei precario, sei atipico, metalmeccanico, chimico, tessile? Queste distinzioni, compagne e compagni, sono importanti, i meccanici spesso riescono a dimostrare una loro tenuta proprio per questo, ma sono travalicati ormai; se vuoi ricostruire un’unità di classe, tu devi dire: precario, atipico, stabile? Ebbene, c’è un salario minimo sotto il quale non può andare nessuno e quello è fissato per legge ed è un vincolo che viene proposto ad ogni forma della tua organizzazione e con quello devi fare i conti!

Tu cambi l’assetto della proprietà? Io sono per il carattere pubblico e tu per il privato? Sì, però, quando privatizzi, garantisci, rispetto al lavoratore ed al consumatore, consumatore e lavoratore che possono trovare un punto di incontro.

Tu fai l’appalto? Bene, tu dai l’appalto, ma il responsabile della condizione di lavoro, del salario e dell’orario se tu, azienda committente, e tu devi rispondere a questo!

Se in Italia ci sono 4 morti al giorno sul lavoro, è perché è aumentata la flessibilità ed è stato abbattuto il controllo dei lavoratori, non per un incidente.

E’ uno spazio pubblico, è la rivendicazione di uno spazio pubblico, progettuale per fare nuove esperienze, ma guardate vicende anche operaie ultime: Genova, Ponente, una fabbrica siderurgica, un luogo che era stato uno degli elementi pulsanti della crescita della lotta di classe in Italia è ridotta oggi ad un ferro vecchio, dove si annida un gruppo di lavoratori purtroppo destinati ad essere cacciati via, ebbene, con il privato sono massacrati, con il privato ritorna lo scontro tra ambientalisti e lavoratori, con il contratto si può decidere la più cinica delle loro rivincite e mettono il destino di quel povero cristo di lavoratore, inchiodato per 35 anni in una fabbrica siderurgica, contro il bisogno delle popolazioni che vedono che da quella fabbrica ormai viene loro solo inquinamento.

Perché lì, allora, non ci potrebbe essere un intervento pubblico, capace di garantire quei mille lavoratori ed avviare un nuovo e diverso sviluppo, perché no?

Lotta ed individuazione di territori, dove poi costruire esperienze originali, penso al Sud-Est, al Nord-Est qui, penso al sud, grandi aggregati in cui possono crescere anche elementi di unificazione verso l’unificazione nazionale, verso la condizione europea, verso il mondo.

Un mappa del conflitto è un programma sociale. C’è una traccia importante nel documento, nel dibattito la relazione di Stefano ha, secondo me, fatto un passo avanti anche da questo punto di vista.

Penso che anche gli elementi di dissenso, che legittimamente ci sono stati anche qui, possono essere confrontati verso uno sbocco nella Consulta, che sia in grado di mettere a frutto l’intera esperienza ed elaborazioni in questo campo, e costruire una piattaforma sul salario, sull’orario, sulla qualità del lavoro, sui diritti e sui poteri, un progetto che veda da una parte una mappa delle esperienze su cui far crescere il conflitto sociale, e dall’altra parte un programma a cui tendere, anche proponendo, compagne e compagni, una modificazione di un rapporto classico, cioè che c’è stata un’esperienza di lotta sociale d’Italia, che diversamente da Paesi del mondo, anche in Europa, ha assolutizzato il valore del contratto sulla legge.

Credo che il problema di unificazione del Movimento e dei conflitti propone oggi un ripensamento ed una rivalutazione del rapporto classica, lontana delle origini del Movimento operaio, tra la lotta sociale e la legge, come elemento di reale terreno di unificazione, non come fuga verso la dimensione istituzionale, ma come nuovo processo di unificazione sociale e politico e – perché no? – come costruzione di una Sinistra di alternativa che attorno a Rifondazione comunista possa riproporre una soggettività di società.

Guardate, compagne e compagni, che di nefandezze ne sono state compiute in nome del primato del contratto; vi ricordate le 35 ore? Quando abbiamo proposto, battagliato nei primi due anni dell’esperienza del Centrosinistra, guadagnato una proposta di legge?, cosa ci diceva larga parte del sindacalismo italiano? Ci diceva: “certo, la riduzione dell’orario di lavoro è un tema interessante, come siete intelligenti, però è sbagliatissimo con la legge, che vergogna, bisogna farlo con i contratti”.

Tolta di mezzo Rifondazione comunista di orario di lavoro non se ne è parlato più se non per aumentarlo in tantissime condizioni in Italia.

Ecco, allora, il valore anche di una scommessa sulla legge; pensiamo al salario; io penso alla esigenza di una rivendicazione fondamentale di rivalutazione del salario in azienda, nel territorio, nelle categorie, ma come non vedere che ormai la questione salariale è una questione delle popolazioni che - certo – muove dalla radicalità dello scontro tra salario e profitto e rendita, ma investe le popolazioni.

Come fai a parlare di salario se non sei in grado di proporre contemporaneamente la difesa delle pensioni, a partire dalle pensioni al minimo; e come fai a valorizzare la tua rivendicazione salariale se non sei in grado di parlare ad una generazione nel Sud che è esclusa dal lavoro con il salario sociale, con una grande rivendicazione unitaria in grado di fare interagire relazioni, dislocare forze, blocchi sociali diversi.

Il rapporto tra legge e Movimento vale per l’orario, vale per il salario, vale per i diritti, per ritrovare un rapporto tra lavoratori stabili, precari, e per lavoratori

autonomi.

Credo che dobbiamo lavorare a questo progetto con grande ambizione, l’aria che tira nel mondo ci incoraggia; è stato detto giustamente che mentre noi siamo qui a Porto Alegre gente che pensa come noi ci prova, lontani eppure vicinissimi, come siamo vicinissimi nel Movimento dopo Seattle.

Come non si può non essere vicini in un mondo, quello della modernizzazione capitalistica in cui tre miliardari hanno un reddito complessivo – loro tre – uguale al prodotto interno lordo di Paesi pari a 600 milioni di persone.

In un mondo in cui, appunto, puoi morire di fame mentre ti raccontano le magnifiche sorti progressive dell’intervento sul genoma umano che darà luogo alla salute eterna, in un mondo in cui il lavoro non è mai stato così centrale, come ora, nell’accumulazione capitalistica e non è mai stato così svalorizzato, come ora, nello sviluppo capitalistico; in un mondo che ci propone insieme la lotta – qui ed ora – e per un mondo diverso e futuro.

 

Resoconto del lavoro di gruppo

 

 

 

Gruppo di lavoro

LA COMPOSIZIONE DI CLASSE E L'INCHIESTA

Resoconto a cura di Vittorio Rieser

 

1.

Le commissioni di lavoro in cui a un certo punto si è articolata la Conferenza di Treviso sono state un momento di partecipazione molto intensa e ricca di contenuti, anche se il tempo a loro disposizione si è progressivamente ristretto, da un intero pomeriggio (come era originariamente previsto) a poco più di due ore. Per fare l'esempio concreto della commissione su "la composizione di classe e l'inchiesta", su una settantina di partecipanti una trentina si è iscritta a parlare - anche se solo 14 hanno potuto farlo (purtroppo, una sola donna) dati i limiti del tempo a disposizione.

Questo si collega - a mio parere - a un problema più generale, a una incertezza di scelta nel "taglio" e nella struttura della conferenza che ha lasciato aperta una contraddizione: da un lato, gli interventi (non solo quelli in commissione, ma anche gran parte di quelli "in plenaria") non erano interventi "di immagine", di pura propaganda o denuncia, ma erano ricchi di elementi di analisi, di elaborazione e proposta; dall'altro, questo materiale molto ricco non è stato adeguatamente organizzato attorno ad alcuni "punti focali", che permettessero di trarre indicazioni specifiche, linee di prosecuzione del lavoro. Con ciò non intendo affatto dire che un maggior spazio dato al lavoro di commissione sarebbe stato il "toccasana", la risposta risolutiva (anche se sarebbe stato utile); piuttosto, sarebbe stato importante individuare alcuni "centri tematici" attorno a cui organizzare il dibattito della conferenza, in modo più netto e drastico di quanto sia stato fatto.

 

2.

Gli interventi in commissione si sono concentrati più sul terziario (privato e pubblico) che sull'industria, più sui lavoratori precari (nelle loro varie condizioni e collocazioni) che sulla "classe operaia centrale". In parte, questo derivava dal tema stesso della commissione: discutere di "composizione di classe" porta naturalmente a vedere anzitutto che cosa è cambiato nella composizione di classe. Ma, per certi versi, questo spostamento di attenzione verso settori meno tradizionali e più "periferici" delle classi lavoratrici è stata una caratteristica più generale della conferenza. Credo che sia un segno positivo del fatto che il Partito cerca di essere attento (non solo all'analisi, ma nell'intervento concreto) verso aspetti nuovi (o finora trascurati) della situazione di classe, e che non vada interpretato come uno "slittamento" verso le ideologie correnti sul "post-industriale" o sul declino della classe operaia.

 

3.

Non è possibile, in questa breve nota, dar conto di tutti gli interventi e dei loro contenuti specifici. E' importante però sottolineare che il discorso sulla precarietà - proposto esplicitamente come tema centrale del lavoro della commissione - non si sia limitato a una denuncia generica (e per certi versi scontata) della crescente precarizzazione del rapporto di lavoro: i processi di precarizzazione sono stati analizzati in concreto, nelle forme assai diversificate che assumono.

Si sono visti, ad esempio, i processi di precarizzazione che originano dalle trasformazioni del settore pubblico, non solo attraverso le privatizzazioni ma attraverso al crescente ricorso agli appalti.

Appalti che molto spesso si rivolgono a cooperative: e di queste si sono analizzate le gerarchie interne, formali e informali, che le allontanano sempre di più dal modello cooperativo "teorico" e che gravano pesantemente sulla condizione del socio-lavoratore , facendone spesso un "lavoratore dipendente di serie B".

Dai vari interventi, è emerso un panorama ricco e diversificato delle varie condizioni di precariato; dagli anziani "precari a vita" di Fiumicino, alle condizioni estremamente diverse (in termini di autonomia come di sicurezza del lavoro come di reddito) in cui operano i collaboratori coordinati e continuativi, all'uso "gratuito" di stagisti e borsisti da parte delle imprese (il risvolto nascosto delle tanto decantate politiche di formazione), fino ai casi estremi di precari extracomunitari usati per bonificare dall'amianto le vetture ferroviarie.

Ma, naturalmente, il dibattito della commissione non si è limitato all'analisi: questa si è intrecciata al tema dell'organizzazione, delle lotte e dei loro obiettivi.

Gli esempi di lotte (spesso con risultati positivi) sul tema della precarietà non mancano, anzi in questi ultimi tempi si stanno moltiplicando: dalla bocciatura dell'accordo separato Zanussi sul "lavoro a chiamata" fino ai recentissimi scioperi alla Fiat contro il mancato rinnovo dei contratti a termine. Nel dibattito della commissione, sono emersi altri casi meno noti: come la lotta alla Meritor, la più grossa azienda metalmeccanica di Novara. La questione dell'area di lavoro precario è, spesso, legata a processi più generali di ristrutturazione: in particolare alle cosiddette "terziarizzazioni" (uno dei problemi con cui si è misurata con successo la lotta alla Meritor) o, anche, ai processi di privatizzazione dei servizi pubblici (è il caso della lotta vittoriosa contro la privatizzazione del trasporto locale, condotta nel Tigullio).

Esiste dunque un terreno fecondo, una disponibilità alla lotta unitaria di lavoratori stabili e precari. E gli esempi di lotte vittoriose (quelli emersi in commissione come quelli più largamente noti) si basano in gran parte sulla mobilitazione dei lavoratori stabili e non dei soli precari, che costituiscono una porzione sempre più ampia del lavoro dipendente. Su questo il dibattito della commissione ha messo in luce esperienze e indicazioni interessanti, ma anche le grandi difficoltà che si incontrano nel costruire il passaggio - come ha detto un compagno di Roma - "dal precariato come soggetto debole da tutelare alla sua auto-organizzazione come lavoratore". Appunto a Roma si sta sviluppando una delle esperienze più interessanti in questo senso, e cioè la Camera del lavoro e del non-lavoro.

In questa prospettiva, da più parti lo strumento dell'inchiesta è utilizzato (o lo sarà nel prossimo futuro), non solo come prima forma di contatto con i lavoratori precari, ma soprattutto - per costruire una conoscenza articolata, che non ne appiattisca le condizioni sotto le etichette generiche di "lavoratore dipendente" e di "precarietà", illudendosi magari di estendere meccanicamente le forme di organizzazione e le rivendicazioni sperimentate nel lavoro dipendente "tradizionale".

Forme di organizzazione e obiettivi di lotta vanno costruiti a partire dalle condizioni specifiche e insieme ai diretti interessati: l'inchiesta si configura come un passaggio indispensabile di questo processo di costruzione organizzativa.

 

Non ci sono state conclusioni: non solo perché il dibattito è stato, per così dire, "interrotto sul più bello" dallo scadere del breve tempo a disposizione, ma perché non potevano esserci conclusioni improvvisate. Si tratta dunque di trovare le forme e i modi per dare continuità a questo lavoro comune, dopo il promettente avvio in sede di Conferenza.

 

 

 

 

 

 

Gruppo di Lavoro

QUESTIONE SOCIALE E SINDACATO GENERALE

Resoconto a cura di Stefano Mele

 

E' ovviamente molto difficile sintetizzare in pochissimi minuti nella sede plenaria la discussione della nostra sessione sul sindacato, un tema che è stato in gran parte centrale sia nella preparazione che nello svolgimento di questa nostra conferenza.

La sessione pomeridiana, durata 4 ore circa, ha visto la partecipazione grande parte dei delegati alla conferenza; si sono svolti 25 interventi su 50 richieste, 11 interventi hanno visto protagoniste le compagne che hanno portato il loro contributo specifico con passione e merito di notevole rilievo.

La scelta della presidenza della sessione, con l'accordo dei delegati presenti, ha volutamente dato più spazio alle compagne.

Il mio compito si limita a sottolineare sinteticamente gli aspetti che mi sembra siano emersi dal ricchissimo dibattito.

Sul tema del sindacato, la discussione ha confermato la vivacità di un dibattito nel quale non sono mancati accenni forti rispetto alle scelte del Partito, ai limiti e alle potenzialità che su questo terreno investono la responsabilità di un soggetto politico come il PRC, che sulla centralità del lavoro ha investito il punto decisivo della sua identità e collocazione politica e sociale.

Il confronto è stato vivace e forte, volto alla ricerca della massima unità dei comunisti, da costruire a prescindere dal "luogo" sindacale di appartenenza e valorizzando in generale tutti i momenti concreti di convergenza sul terreno del conflitto reale, per cui è determinante il contributo dei comunisti.

Il dibatto ha confermato e condiviso il giudizio fortemente critico del Partito sulla condizione del lavoro e del non lavoro nel nostro paese, dal nord-est all'estremo sud, evidenziando con forza la perdita della percezione della condizione sociale e sfiducia nello strumento della rappresentanza sociale del mondo del lavoro in generale.

Una sfiducia che è cresciuta sull'erosione dei dritti e sulla drammaticità del deficit sul terreno della democrazia sindacale, aspetto questo dove è stato registrato uno dei più gravi fallimenti del Centro Sinistra per aver negato, in questa legislatura, la legge sulla rappresentanza democratica dei lavoratori in tutti i luoghi di lavoro.

A me è parso che, in generale, in questa sede sia stata approfondita la comprensione e condivisione dei contenuti del documento che sono stati proposti al dibattito dalla Direzione del Partito e che vada raccolto l'invito a proseguire questo livello di confronto per mettere tutto il Partito nelle condizioni migliori per arrivare a scelte conclusive su questi temi nella sede naturale, che è quella del congresso.

Di rilievo mi sono parse le riflessioni e gli accenti posti sulla questione dell'autonomia del Partito sui temi sociali in rapporto al quadro generale sindacale, questo aspetto mi è sembrato di gran lunga prevalente rispetto alle poche "tirate di giacca" che qualche volta hanno teso a chiedere di fare scelte privilegiate "sul versante confederale tradizionale o sul versante del sindacalismo di base".

A questo proposito mi è parsa chiara la crescita della consapevolezza generale che su questo tema "non ci sono scorciatoie decisioniste" che possono sciogliere il nodo dei percorsi obbligati da costruire con fatica per il lavoro della "ricostruzione della rappresentanza sociale" e che il tema non è uno di quelli che investono le decisioni del Partito "quale sede decisionale sulle forme della rappresentanza sociale" perché questo non è iscritto nelle funzioni e ruoli del Partito; al Partito spetta il compito di "aiutare la ricostruzione delle forme autonome della rappresentanza sociale di classe".

L'autonomia politica del Partito sui temi sociali e l'autonomia della rappresentanza sociale e sindacale devono quindi essere riconosciute profondamente e concretamente se non si vuole ricreare guasti che anziché unire la "nuova classe operaia in un nuovo e rifondato sindacato generale e democratico" ne perpetua le dannose divisioni di carattere corporativo.

Il nostro lavoro quindi dovrebbe proseguire con forza su queste tracce, sulle esperienza concrete di lotta e disgelo operaio che si vanno diffondendo nel paese e che qui, in questa conferenza, abbiamo analizzato e valorizzato, assegnando alla sede della consulta dei lavoratori comunisti ad ogni livello e ai circoli di Rifondazione nei luoghi di lavoro, il luogo privilegiato della ricostruzione unitaria ed efficace della presenza dei comunisti nel lavoro e per il lavoro.

 

 

GRUPPO DI LAVORO

Il partito nei luoghi di lavoro

Resoconto a cura di Ugo Boghetta

 

Il documento per la Conferenza dei lavoratori e delle lavoratrici non affrontava, anche per non mettere troppa carne al fuoco, la questione dell'organizzazione del partito nel mondo del lavoro. A Treviso, tuttavia, uno dei gruppi di lavoro era dedicato a questo tema. Del resto, nel momento in cui si proponeva un forte ruolo del partito nel mondo del lavoro, non si poteva non affrontare questo tema. La questione lavoro è per noi non solo centrale, nonostante i cambiamenti intervenuti e che tuttora modificano fortemente la composizione di classe, per la rifondazione comunista. Questo punto "di gravità permanente", tuttavia, non sempre si riscontrata nella prassi complessiva del partito ed ancor meno nel modello organizzativo. Troppo spesso, in particolare ai livelli territoriali prendono il sopravvento le tematiche istituzionali ed elettorali. In federazioni, anche importanti, la questione lavoratori, lavoro e non lavoro, un intervento settoriale e non permea, come dovrebbe la più complessiva attività del partito. Le stesse politiche istituzionali a volte sono avulse da queste tematiche, quando non si producono scelte anche contrastanti con le nostre proposte che riguardano i temi del lavoro. E' questo, dei compartimenti stagni, un problema più generale del partito. In questi anni inoltre, si è determinata per molti compagni la centralità nel sindacato di appartenenza rispetto a quella del partito. Un pansindacalismo che colpisce indifferentemente compagni iscritti ai sindacati confederali come quelli di base. Le ragioni sono tante: le difficoltà in cui è incorso il PRC in questi anni, la (apparente?) concretezza dell'agire sindacale. Così si determina un conflitto fra le varie appartenenze, mentre quella al partito non sembra né comune nè unificante. Il partito viene perciò "tirato" da una parte o dall'altra in una logica di "cinghia di trasmissione" alla rovescia.

Per questi motivi gli interventi nel gruppo di lavoro hanno toccato le più varie tematiche e riportato esperienze ed opzioni molto diverse; ma il tema è sentito come dimostrano le quasi 40 richieste di intervento. Si va dall'esperienza torinese della costruzione dei circoli territoriali da parte dei compagni lavoratori, alle difficoltà espresse da molti nel rapporto fra iniziativa politica e sindacale e quelle nei rapporti con le rispettive federazioni e, a volte, con le stesse commissioni lavoro. Unanimemente positivi invece sono state le esperienze di quanti hanno condotto l'inchiesta. Dagli interventi luci e ombre anche nei rapporti con i nostri rappresentanti nelle istituzioni. Sono state portate esperienze di un rapporto proficuo fra iniziativa di massa e uso positivo delle istituzioni ed altre che portano alla fatidica domanda del che ci stiamo a fare nei governi locali se noi riusciamo innanzitutto a fare da sponda ai conflitti. E' stato pure posto il problema dei rapporti con il nazionale e dell'organizzazione del dipartimento lavoro centrale, in particolare in riferimento alle grandi questioni e alle aziende di livello nazionale. Analogo problematica investirà sempre più i regionali a causa del "federalismo". Ovviamente non sono mancate espressioni di disagi, critiche e lamentele in merito alla questione sindacale e a quanto di negativo questa induce nel funzionamento dei circoli, delle commissioni e nei rapporti fra compagni con differenti militanze. Così come è stato posto la questione fra intervento sulle tematiche del lavoro e non lavoro e i circoli territoriali, ma anche il non coinvolgimento di molti iscritti che non praticano alcuna militanza sui posti di lavoro. Un tema fra tutti ha trovato l'unanime critica: Liberazione. Ovviamente la questione non era tanto l'impegno che il giornale profonde sui temi del lavoro, ma la difficoltà di rapporto fra i compagni che stanno sui vari fronti di lotta ed il giornale medesimo. Un rapporto che non può essere demandato al volontarismo di qualche compagno, ma deve trovare una propria sistematizzazione politica nel giornale e fra questo e i compagni.

In questo mare di problemi e contraddizioni la nota fortemente positiva è che i compagni del PRC, seppur in maniera incasinata, nei luoghi di lavoro e del conflitto c'è. Ci sono ed in maniera diffusa oltre ad una non esaltante presenza di circoli. Noi siamo sicuramente il motore di quella resistenza atomizzata che ha portato in questo ultimo anno a quello disgelo che è il fondamento per continuare la lotta. Ci sono i compagni, non sempre c'è il partito o c'è nel modo giusto. Non sempre il partito agisce da partito né sulle tematiche propriamente lavorative né portando sui luoghi di lavoro tematiche (ad esempio quelle legate alla globalizzazione) in grado di portare i lavoratori al livello a cui avviene lo scontro di classe: l'Europa, il mondo. Così come appare evidente la necessità di ripensare e sperimentare nuove forme organizzative adeguate alla nuova composizione di classe, ai nuovi modi di esprimere la militanza, alle nuove forme di conflitto a fronte di un partito impostato, apparentemente sui circoli territoriali, in realtà basato sull'organizzazione dello stato e delle istituzioni e, quindi, con una forte impronta elettorale. Più in generale il dibattito ha evidenziato la scarsità di occasioni di dibattito e di approfondimento politico, ad esempio sui temi del documento di Treviso che proponeva un rilevante innovazione nei modi di pensare e praticare la politica del partito, segno di un "isolamento" dei compagni lavoratori. E proprio per questo gli interventi hanno espresso la volontà di contare di più nelle scelte politiche e nella gestione del partito. Ci dovremo tornare in modo sistematico dopo le politiche, nel percorso che ci porterà a alla Consulta.

 

 

Il saluto di

Riccardo Calimani - Rappresentante della Comunità Ebraica di Venezia e Treviso

alla Conferenza dei Lavoratori in occasione della Giornata della Memoria, 27 gennaio 2001

 

Naturalmente sono qui a titolo personale, perché il mondo ebraico è un mondo che non ha gerarchia, non abbiamo da venti secoli nè papi nè cardinali, e quindi ognuno parla e ragiona con la propria interpretazione e con la propria testa.

Si dice, nel mondo ebraico, che la Bibbia è stata data agli ebrei che erano 600.000 e 600.000 sono le interpretazioni del testo, quindi il mondo ebraico si distingue per una grande forza contro qualsiasi principio d'autorità, gli ebrei sono sempre stati sovversivi nelle idee e nei modi e quindi io parlo a titolo personale, ma con questa carica. Gli ebrei sono contro gli idoli, e gli idoli naturalmente non sono qualche cosa di statico ma un qualche cosa di dinamico: bisogna combattere gli idoli individuandoli e cercando di avere una grande coscienza critica. Che cosa vado a dire ad un uditorio sensibile che certamente sa che cos'è l'antifascismo, anche se ormai è fuori moda, tanto che si tende a giocare sulle storie dei destini individuali e alle adesioni individuali alla Repubblica Sociale Italiana per giustificare in qualche modo qualche cosa che non è giustificabile; che ci siano storie individuali di persone che sono finite da quella parte, va bene, ma che da queste storie individuali non si voglia capire che da una parte c'era la giustizia e la liberà e dall'altra il totalitarismo e il nazifascismo, questo mi pare incomprensibile. Eppure voi sapete che anche i vertici del nostro Paese e i mass-media diffondono messaggi obliqui e poco chiari; c'è poco da fare, su questo ci deve essere assolutamente chiarezza.

Sono d'accordo con il vostro segretario quando dice che c'è troppa poca sinistra in questo paese. Io che vado nelle scuole dove ormai un trucco retorico ce l'ho per cercare di guadagnare qualche vantaggio psicologico, mi trovo un po' spiazzato a parlare a voi; però qualche trucco retorico lo posso tirare fuori: vi vorrei domandare se sapete quanti sono gli ebrei in Italia, l'ho già fatto con altri a tavola prima ed erano in difficoltà. Quanti sono gli ebrei in Italia? Perché si parla molto e spesso degli ebrei e ognuno di noi dentro ha dei retropensieri. Lasciamo perdere il mondo cristiano che ancora tra 800 e 900 la civiltà cattolica parlava di omicidio rituale. Lasciamo perdere il mondo reazionario e fascista con gli stereotipi; i pregiudizi li abbiamo tutti dentro, perché il pregiudizio è una legge di economia del nostro pensiero, sono quelli che qualcuno chiama "i tunnel del pensiero", allora noi tutti abbiamo i pregiudizi. Naturalmente anche la sinistra ha dei pregiudizi, l'idea dell'ebreo ricco, dell'ebreo potente, fu il fascismo a portare avanti l'idea che il nemico fosse potente, erano soltanto poche decine di migliaia quella volta gli ebrei, eppure c'era il complotto demo-pluto-giudaico ecc. Quanti sono gli ebrei in Italia? Sono solo 25.000, un numero esiguo, una debolezza incredibile, eppure voi sapete che si può essere pochi ma le idee possono essere altrettanto apprezzabili. La differenza fra ebreo, giudeo, israelita, israeliano, semita , sionista, anche questa terminologia, i mass-media fanno una confusione terribile di questo, e non si sa distinguere e poi naturalmente l'antisemitismo, il pregiudizio emerge e diventa forte, potente, distruttivo. Voi tutti siete certamente convinti, ma lo sono anche gli ebrei per primi, che gli ebrei sono sempre stati perseguitati, gli ebrei stesi sono convinti, ma non è vero l'antisemitismo non è eterno. Permettetemi in poche battute di raccontarvi una storia che è poco nota: la parola "semita" nasce alla fine del '700 con connotazioni solamente linguistiche, la parola "antisemita" nasce alla fine dell'800, è una parola coniata con connotazioni razziali, sia pur detto in estrema sintesi, alla fine del '700 c'è l'illuminismo poi nasce la scienza moderna con il positivismo, si nutre di irrazionalismo e di romanticismo c'è, nel corso dell'800, la grande irruzione della rivoluzione industriale c'è, nel corso dell'800, quella che viene chiamata la rottura del soggetto, che porta all'inizio del totalitarismo moderno, e alla fine la questione ebraica diventa una questione politica. Prima l'antisemitismo non esisteva, eppure gli ebrei sono sempre stati perseguitati, ma quando si dice questo si vuole sottintendere che se sono sempre stati perseguitati, vuol dire che qualcosa hanno fatto, magari un deicidio nella storia, un omicidio rituale; ebbene prima c'era una cultura del disprezzo, che è di matrice religiosa ed era l'antigiudaismo di matrice cristiana. E' evidente che in poche battute non riesco a raccontarvi una storia complicata, ma se vi racconto questa storia è perché molte idee che spesso sono considerate acquisite, fanno parte del pregiudizio di ognuno di noi. Su una bandella di un libro c'è scritto "Rita Levi Montalcini lasciò l'Italia per motivi razziali", e qui si dà per scontato che esistano razze diverse, quando la razza, come vi ho detto, è un concetto moderno ottocentesco, frutto di un positivismo deteriore e che poi si sviluppa in questo secolo e porta alle tragedie che ha portato. Il pregiudizio è un'idea che abbiamo tutti, con cui dobbiamo convivere, ma di cui ci dobbiamo rendere conto. Perché parlo tanto del pregiudizio? Perché ho scelto un tema con cui spero di sorprendervi un po' e spero che poi queste parole suscitino dubbi e suscitino una nuova, interessante ricerca per capire e per conoscere meglio gli ebrei, che, come dico, sono pochi, sono magari anche dei grandissimi rompiballe, sono certamente all'attenzione per via di quel tunnel del pensiero che quando ci sono mille palline bianche e ci sono dieci palline rosse, si vedono palline bianche e rosse, e poi si sovradimensiona una certa realtà e, quando la si sovradimensiona, la si capisce poco. Lo sterminio chiamato erroneamente Shoa, è in qualche modo una parte di quello che ha fatto il nazismo in Europa, ma è banale ed evidente che il nazismo non è un problema che riguarda gli ebrei, gli ebrei sono le vittime; alle vittime non si può chiedere, oltre che sono state vittime anche di spiegare il perché sono state vittime! Quando l'Europa cristiana ha messo gli ebrei nel ghetto, il problema non è degli ebrei che sono nel ghetto, ma è dell'Europa cristiana che ha saputo produrre i ghetti. Naturalmente l'antisemitismo moderno si nutre dei pregiudizi e di antiche idee, il segno giallo è frutto di un concilio lateranense del 1215, anche qui bisogna interpretare la realtà: si, fu una misura discriminatoria, ma anche fu fatta quella misura dalla chiesa perché non sapeva più distinguere in quello che era il mescolamento tra ebrei e cristiani. i rogo dei libri nella storia si è ripetuto più volte, non è stato Hitler che ha scoperto tutto. Io oggi sono qui, e ringrazio Paolo Cacciari per avermi invitato, per ricordarvi il giorno della memoria. Il giorno della memoria è una riparazione tardiva verso quei cittadini italiani, i miei genitori ebrei, per esempio, che hanno perso la loro gioventù dal '38 in poi, e che poi dal '43 al '45 sono scappati e si sono salvati perché nel veneto quella volta, nonostante fosse difficile, c'erano diffuse complicità a favore degli ebrei, 1000 dovevano aiutare un ebreo, uno solo bastava che lo denunciasse e sarebbero stati perduti. Io ho fiducia in questo, ho fiducia nel dialogo, nello scontro, nel confronto, perché i miei mi hanno raccontato; io sono nato nel '46, anche se mi chiamo Riccardo perché un fratello di mia madre si chiamava Riccardo ed è stato deportato, ho sempre saputo, che pur essendo nato dopo la guerra, avevo un'eredità ideale da portare avanti. Tutto questo perché il giorno della memoria non sia un vuoto gioco retorico ma sia l'unica strada possibile, cioè non accettare spiegazioni facili, non accettare spiegazioni semplici, ma ci sia la domanda, la ricerca la critica continua verso tutto e contro tutti, in una società che lo sapete bene massimizza e frulla tutto quanto, in una società dove ragionare in maniera autonoma è sempre più difficile. Vi voglio leggere alcune righe che io e il poeta di Pieve di Soligo, Andrea Zanzotto, abbiamo scritto e che ho dato a Paolo Cacciari:

" Le parole e i concetti espressi dal sindaco di Treviso Gentilini, secondo cui gli immigrati dovrebbero essere rimpatriati in vagoni piombati suscitano brividi di orrore perché evocano un linguaggio truce e che ricorda le persecuzioni nazifasciste. Noi firmatari pur convinti che in qualche caso non si dovrebbe dare troppa considerazione a chi cerca, con mezzi impropri, le luci della ribalta, non possiamo non attirare l'attenzione della pubblica opinione su idee brutali inquinanti e perverse. Il silenzio sarebbe colpevole!".

 

 

 

Di seguito pubblichiamo il testo della lettera inviataci dai lavoratori della ZASTAVA

 

Carissime compagne e Compagni

Vogliamo ringraziarvi dell'importante e gentile invito a partecipare alla vostra iniziativa nazionale a Treviso.

Purtroppo, come già noto a molti di Voi, la nostra attuale situazione è oggi molto complicata e tesa. Sono giorni importanti questi per il futuro della nostra fabbrica e del nostro sindacato che non ci permettono di assentarci.

Sapete delle nostre difficoltà. Delle nostre iniziative in una pesante situazione di embargo per difendere i diritti dei nostri lavoratori. Del bombardamento della fabbrica che ci ha lasciato senza lavoro e senza reddito, del grande sforzo per rimuovere le macerie e per riavviare quel poco di produzione per lasciare aperte almeno delle prospettive per il futuro.

Non avremmo avuto la possibilità di credere in tutto questo senza l'aiuto di tanti lavoratori Italiani, di tante fabbriche ed RSU.

Avremmo voluto essere a Treviso anche per potervi abbracciare tutti e per raccontarvi come, senza di voi molti nostri lavoratori avrebbero abbandonato ogni speranza di lavoro e di lotta per il loro futuro.

Alla rabbia impotente dei nostri lavoratori contro una guerra assurda è stato di enorme conforto sentire la concreta solidarietà, da Torino, Milano, Brescia, Roma, Bari, Napoli, Bologna e da tante altre città, dei lavoratori Italiani. Lavoratori che, come noi, questa guerra non l'hanno accettata, non l'hanno voluta, che l'hanno subita.

Vogliamo dirvi ora che, proprio nel momento in cui la nostra speranza poteva diventare realtà ci troviamo impegnati in una lotta, sia per l'esistenza del nostro sindacato che per l'esistenza della nostra fabbrica.

La nuova direzione aziendale ha sospeso la poca produzione che con tanta fatica avevamo riavviato, chiudendo quei pochi posti di lavoro coi quali potevamo, in una sorta di rotazione, permettere ai nostri lavoratori di guadagnare qualcosa di più delle ben poche 13.000 lire mensili del sussidio di disoccupazione.

La nuova direzione aziendale, nonostante le nostre richieste, ancora non ci ha dato le necessarie informazioni sui progetti di ripresa del lavoro, sugli investimenti, sui programmi.

Siamo preoccupati. Sappiamo che non e stata fatta nessuna programmazione per l'acquisto delle materie prime, per la definizione della commesse. Temiamo che qualcuno abbia già deciso di chiudere la nostra fabbrica e di lasciare così senza lavoro e senza speranza 34.000 lavoratori.

II concreto aiuto dei lavoratori Italiani ai nostri lavoratori ed alle loro famiglie, non è solo un magnifico esempio della solidarietà tra lavoratori (che speriamo la storia non dimenticherà e contrapporrà all'avidità ed all'arroganza del capitalismo e delle sue guerre) ma è oggi anche un aiuto a resistere ed a lottare per il nostro diritto al lavoro.

Ma siamo anche preoccupati per il nostro diritto ad una vita degna. I nostri lavoratori, tutta la popolazione ha paura.

II nostro territorio è devastato da un inquinamento senza precedenti, a Krahujevac come a Pancevo e Novi Sad.

Inoltre è per noi fondamentale e cruciale lottare per richiedere ai Governi della Nato tutta la verità per quanto riguarda le armi che ci hanno colpito (Uranio impoverito, plutonio).

Sappiamo delle lotte che state conducendo in Italia per conquistare questa verità, e sappiate che siamo con voi.

Questa guerra è stata una vergogna contro la quale dovrebbe alzarsi la voce di ogni essere umano di buona volontà. Una guerra che è stata condotta con armi subdole, tra le quali l'embargo che ha fatto più vittime di quanto si possa immaginare. Vittime umiliate, colpite nella carne, nei bisogni, nella salute, abbandonate, lasciate morire senza una medicina.

Vi auguriamo un buon lavoro per la vostra assemblea. Sappiamo che anche in Italia avete aperte lotte importanti per il lavoro, per il salario e per la democrazia.

Vi abbiamo conosciuti e sappiamo che avete la coscienza e la determinazione adeguate per condurre queste battaglie.

I lavoratori Italiani hanno dimostrato tutto questo anche in occasione della guerra che ci ha colpiti tutti. Tanti lavoratori, alcune strutture sindacali, compagni delle RSU hanno dimostrato questa coscienza e determinazione cercando e costruendo un magnifico fronte di solidarietà nonostante l'embargo e nonostante il loro sindacato nazionale non li abbia aiutati.

Anche di questa coscienza e determinazione siamo felici, perché con essa, i lavoratori Italiani ed Jugoslavi hanno potuto tenere alta la testa e separarsi nettamente dalle responsabilità di chi questa guerra ha voluto, condiviso, o anche solo tollerato.

Conosciamo molti di Voi, perché sappiamo come molti dei lavoratori e dei delegati Rsu che abbiamo conosciuto sono militanti del vostro partito. Molti di questi sono seduti a questa assemblea e li salutiamo. Ma vogliamo salutare tutti voi perché sappiamo che senza un lavoro quotidiano, faticoso, continuo, come fanno le formiche, nulla di quanto è stato fatto si sarebbe potuto fare.

Un saluto ed un abbraccio a tutti voi dai lavoratori della Zastava e dalle loro famiglie

Ruiica Milosavljevic e Rajka Veljovic

Sindacato Autonomo del Gruppo Zastava