Partito della Rifondazione Comunista
Conferenza nazionale d'organizzazione 2007
Sintesi conclusioni Giordano

SINTESI delle CONCLUSIONI DI FRANCO GIORDANO ALLA CONFERENZA DI ORGANIZZAZIONE DI CARRARA
1- APRILE 2007

Care compagne e cari compagni.
potrebbe persino apparire bizzarro ed eccentrico questo nostro ragionare su di noi in un momento in cui la congiuntura politica prende il sopravvento ed in cui tutti gli sguardi e riflettori della politica parlano del governo, dei suoi equilibri, dei suoi problemi e delle difficoltà aperte.
Ma noi siamo testardi: abbiamo imparato dalle donne e dal femminismo che il partire da sé è sempre decisivo ed abbiamo detto che vogliamo investire sulla cura della Rifondazione Comunista, su questa comunità di compagne e di compagni che hanno intrapreso 16 anni fa un cammino che ci consente oggi di affrontare la sfida della trasformazione.

La nostra bussola è l’autonomia

Ma noi sappiamo che questa sfida non si esaurisce dentro il governo e nelle istituzioni, ma riguarda la capacità di sviluppare una cultura politica autonoma da quella dominante, ci muoviamo dentro le parole chiave dell’autonomia, della sperimentazione, dell’inchiesta. Sono questa ricerca e questa cura la bussola che ci orienta nelle difficoltà e nella complessità dell’oggi. In fondo è proprio questa autonomia che si vuole mettere in discussione quando in tante occasioni ci hanno proposto di stare al governo e di disertare i luoghi del conflitto, o addirittura di contrapporci ai movimenti. E’ questo ruolo di cerniera, è questo contrasto alla deriva auto-referenziale della politica ed alla sua crisi che si cerca di normalizzare. La nostra scelta strategica in questi anni al contrario è stata quella della partecipazione diffusa, del protagonismo nei grandi movimenti di massa, il movimento no global e quello pacifista, le esperienze del conflitto sociale del movimento operaio e le rivolte di comunità che hanno rovesciato l’identità territoriale contrappositiva incontrando e ricostruendo legame sociale e nuove solidarietà. Da Scansano ad Acerra , dalle lotte No Tav a quelle contro il Ponte sullo Stretto fino a Vicenza: la nostra collocazione non può cambiare, questa è l’unica scelta che ci permette di svolgere un ruolo politico attivo nel governo, nelle istituzioni e nella società. Noi non mutiamo la natura del nostro rapporto con il governo: essa non avviene per una esigenza di emergenza democratica, perchè il nemico è alle porte, seppure ci sentiamo protagonisti della sconfitta al governo Berlusconi. Il nostro stare al Governo è il frutto di una condivisione ed attuazione del programma dell’Unione, di un mandato elettorale, di un rapporto intenso, partecipato con il popolo che ci ha votato. Da protagonisti dunque, non in modo subalterno. Ed è evidente che in questi mesi si è voluto colpire questo ruolo e questa funzione, e si è cercato di condizionare il programma e di contenere le forme della partecipazione democratica, non un complotto oscuro dei poteri forti del Paese ma una lotta politica aperta alla luce del sole.

Cosa ci insegna l’internità ai movimenti

Basta leggere i giornali di oggi per chiederci cosa fanno Bagnasco e Montezemolo quando intervengono così pesantemente, ed è singolare però che le risposte che oggi vengono contrapposte a questo disegno, anche da sinistra, manifestino una tale subalternità e anche qualche regressione anche tra di noi a culture antiche antecedenti il processo di innovazione e culturale della nostra idea di rifondazione. C’è chi dice, scegliendo a occhi aperti il primato delle istituzioni, parla e si comporta come se si fossero gli unici interpreti dei movimenti; da Genova in poi, invece, come la stessa inchiesta sul partito ci dice, noi abbiamo scelto l’internità unitaria ai movimenti e non ci sentiamo collettivamente di rappresentarli, non trasmettiamo pedagogicamente una linea nè assumiamo su di noi l’arbitrio dell’unicità di una posizione.
Noi lavoriamo per l’unità e per la ricomposizione , per il riconoscimento delle differenze,.
Eravamo ieri contro la logica dell’anatema usata contro parti del movimento, e così oggi contrastiamo l’intolleranza e la subalternità esaltate ad arte mediaticamente di posizioni integraliste.
Esse vengono fatte valere rigidamente nelle istituzioni manifestando un primato dell’autonomia del politico e una fascinazione verso i luoghi del potere propri di una cultura antica di parti del movimento operaio che hanno abdicato ad una idea di trasformazione sociale e contemporaneamente, a fronte di una difficoltà legata a questo passaggio politico, c’è un rifluire disarmato nell’autonomia del sociale. Così la politica appare irriformabile, c’è solo spazio per un conflitto nella società che non ambisce ad incidere, a trasformare i luoghi della decisione e a criticare la natura e i fini del potere.
Qui c’è una sconcertante subalternità al modello sociale americano che ha incorporata un’idea di passività e di marginalità. Se accettassimo questa teoria e questi comportamenti dovremmo rinunciare all’idea di costruire un progetto di alternativa, dovremmo accettare un rapporto tra conflitto e politica strumentale in cui si separano gli obbiettivi concreti da un disegno generale , i mezzi dai fini. No, la nostra ambizione non cambia. La nostra sfida è alta, vogliamo rompere la separatezza della politica, la sua presunta tecnicalità, noi vogliamo trasformare la società e la politica, lottare per un altro mondo possibile.
E’ questo il senso della nostra autonomia che è la parola chiave di questa conferenza..
Dobbiamo chiederci quindi cosa siamo, cosa rappresentiamo, perché se è questa la sfida di fronte a noi, contrastare la crisi della politica, riaffermare il suo senso e la necessità di definire una nuova progettualità, allora io credo siano urgenti delle correzioni nel nostro modo di lavorare.

Le correzioni urgenti al nostro modo di lavorare

Il documento ha sollevato coraggiosamente problemi e ha proposto soluzioni.
Esso è stato largamente condiviso al di là spesso delle sensibilità e delle appartenenze
L’inchiesta infatti ci dice che i temi dell’innovazione e delle nuove pratiche sono fortemente voluti ma che spesso le pratiche reali sono altre, spesso ripetitive e monotone.
La sensazione è che quando riproponiamo una sorta di rito identitario che ci portiamo sin dalla nostra nascita, quando è in gioco la nostra sopravvivenza per esempio, realizziamo una mobilitazione generale così come è avvenuto il 4 novembre a Roma e il 17 febbraio a Vicenza, ma poi registriamo una difficoltà ad articolare e a consolidare quotidianamente quelle mobilitazioni,
Abbiamo difficoltà di direzione e di cultura politica .
Malgrado la maggioranza delle compagne e dei compagni ritengano che sulla questione di genere questo partito sia “il meno peggio” una larga quota di iscritti ritiene che questo partito rimanga “maschilista” e non mi tranquillizza per nulla che la quota di genere negli organismi dirigenti sia proporzionale agli iscritti, se mai emerge un problema più drammatico di difficoltà generale a far vivere nel nostro partito percorsi di differenza e a raccogliere la spinta della partecipazione politica di giovani ragazze che pure nei movimenti hanno incrociato la politica.
C’è un problema di tempi e di liturgie nel nostro modo di lavorare.
E per noi maschi c’è un problema che riguarda l’abbandono di ogni universalismo neutro e del riconoscimento della nostra parzialità, di dismettere il narcisismo che è sempre il segno più pubblico del cerimoniale del potere.
Forse la nostra proposta è piccola cosa, ma io credo che possa avviare una positiva spinta nel partito al riequilibrio della rappresentanza di genere. Gli organismi che non rispettano a tutti i livelli l’equilibrio del 40% vanno dichiarati illegittimi. Va inoltre superata la struttura gerarchica del partito a partire dalla rottura di quei meccanismi insopportabili di cumulo delle cariche istituzionali e da quella sorta di separazione delle carriere secondo cui c’è qualcuno a cui spetterebbe di fare politica nella società e a qualcun altro nelle istituzioni . Così come va impedito che prendano piede anche nel nostro partito pratiche elettoralistiche, comitati elettorali, va combattuta qualsiasi degenerazione morale del Partito. No, proviamo a costruire percorsi misti e nelle istituzioni mettiamo in atto una democrazia di genere che per noi viaggia di pari passo ad una nuova legge elettorale che tenga ferma la pluralità della rappresentanza, l’esatto contrario di ciò che questo referendum elettorale introdurrebbe .
Infine dobbiamo provare a rompere la fissità, le rigidità e le esasperazioni correntizie e provare ad investire sulla qualità di una nuova discussione .Per questo ho apprezzato chi in questi mesi pur avendo diversità di opinioni ha provato a discutere apertamente, e poi nelle istituzioni ha fatto prevalere lo spirito di internità a questa comunità di compagne e di compagni che si chiama Rifondazione Comunista.
L’ambizione di questa conferenza è dunque quella di riformare il partito, una terapia d’urto per renderlo più democratico, più partecipato e più in grado di rappresentare una democrazia dei generi.
Liberazione ha pubblicato in questi giorni una bellissima lettera di Don Sardelli rivolta al sindaco di Roma che abbiamo potuto leggere in modo integrale. Essa ci dice che “il processo di riforma della politica o parte dal basso o non sarà”.
Per questo il nuovo soggetto a sinistra è necessario, ma non può sostituire il rapporto nuovo da ristabilire tra politica e società.
Tensioni abbiamo avuto sulla politica internazionale e sul rapporto pace/guerra. Ma su questo tema siamo riusciti a segnare importanti segnali di discontinuità, frutto dell’iniziativa e della forza del movimento pacifista.. Noi siamo usciti da guerra In Iraq. Così come in Libano abbiamo ricostruito la soggettività politica dell’Onu saccheggiata dall’unilateralismo americano. Oggi, dopo il governo unitario in Palestina dobbiamo riprendere con forza l’iniziativa per dare uno Stato alla Palestina, per riprendere il negoziato di pace, l’obiettivo due popoli due stati.
E non dimentico la splendida militanza pacifista spenta dai serbatoi dell’odio di Angelo Frammartino, kefiah al collo e immagine di Arafat alle spalle!
Ed in Afghanistan, pur partendo da posizioni diverse e distanti, investiamo nell’alternativa di una conferenza internazionale di pace, ed oggi siamo qui a chiedere dopo la liberazione di Mastrogiacomo, quella di Adjmal e di Rahmatullah, chiediamo che il governo faccia pubblicamente i propri passi per il loro rilascio.
Sento però che le difficoltà di questo governo sono sopratutto sulla politica sociale ed economica.
Ma guai a noi se scivoliamo nella logica disastrosa che ha contraddistinto altre esperienze del movimento operaio, vale a dire di definire una gerarchia tra diritti sociali, diritti civili, la contraddizione pace/guerra.

La laicità decisiva per una nuova soggettività politica

Oggi, per tutti noi , la sfera delle libertà non può essere altra cosa dalla sfera della giustizia sociale. Oggi nel paese reale vi sono una molteplicità di relazioni affettive indipendente dagli orientamenti sessuali. C’è tanta ricchezza, umanità, socialità. Si può far finta di non vederle, ma appunto, se facessimo così la politica sarebbe ridotta ad una finzione. E allora è inutile alimentare paure. Al presidente della Cei Bagnasco diciamo che non è tempo di crociate, non è tempo di dividere la società italiana su questi temi. Non si possono più negare tutele sacrosante, il dovere del legislatore è di vedere e riconoscere la realtà. Non si può rincorrere una logica proprietaria e di controllo ossessivo sui corpi e sui sentimenti, dalla legge 40 ai Dico.
Una casta, sia essa sacerdotale o politica, tutta rigidamente maschile, decide che la nostra legislazione debba inseguire come un pendolo, o le regole di un’etica religiosa o l’osservanza alle dinamiche del mercato. La laicità è la ricostruzione di uno spazio pubblico che non produce né subisce guerre religiose. La laicità è il carattere distintivo di una nuova soggettività politica.
Ma è indiscutibile che nel paese è avvertito un malessere diffuso, è un malessere sociale che ha segnato la difficoltà di consenso del governo. Pesano le eredità del governo Berlusconi, e c’è un’attesa di mutamento delle concrete condizioni sociali del nostro popolo, dell’Unione materiale.
Come dice l’ultima indagine dell’Eurispes, l’Italia è maglia nera dell’Unione Europea nella crescita delle retribuzioni. Da noi le retribuzioni negli ultimi 5 anni sono cresciute cinque punti in meno della media europea.

E’ il momento del risarcimento sociale

In Atesia un lavoratore a tempo indeterminato percepisce uno stipendio mensile di 680 euro, e i lavoratori dei call center sono ben 250.000. A Mirafiori e a Melfi un operaio che lavora in catena di montaggio percepisce 1.100 euro al mese. Un precario nella scuola e nell’università varia tra gli 800 e i 1000 euro mensili. I lavoratori in cassa integrazione percepiscono 700 euro al mese.
Presidente Montezemolo, pensa davvero che sia uno spreco aumentare queste retribuzioni?
E’ facile fare queste considerazioni a pancia piena, dopo avere incassato i miliardi del cuneo fiscale.
Presidente Prodi, non sarebbe bello e innovativo usare le risorse fiscale per favorire il rinnovo dei contratti riducendo il peso delle trattenute a carico dei lavoratori riconoscendo l’insostituibilità del contratto collettivo nazionale?
Il paese reale ci dice che la legislazione sulla precarietà e il lavoro nero riguardano circa quattro milioni di lavoratori e la maggioranza sono donne.
Vivono in un dramma che nega loro ogni sicurezza ed impedisce la progettazione del futuro.
E’ giunto il momento di mettere mano ad una nuova legislazione del lavoro che investa sul lavoro a tempo indeterminato e superi la legge 30.
Il paese reale parla di giovani che non hanno possibilità di costruire una pensione adeguata. Se si abbassassero i coefficienti di rivalutazione quelle pensioni diventerebbero poco più di una mancia. Il paese reale parla di anziani che nella loro maggioranza hanno importi mensili di 402 euro ed al massimo di 590 euro.
Bisogna abbattere lo scalone e abbassare l’età pensionabile.
L’altro giorno arrivando qui a Carrara ho visitato le cave di questa città e i lavoratori, che qui vi lavorano d’inverno a cinque gradi sotto zero, così come d’estate quando i marmi riflettono i raggi del sole arrivando anche a 50 gradi. Quel lavoratore a 62 anni può avere la stessa aspettativa di vita di un altro lavoratore? E il lavoratore che lavora all’esterno delle cave può essere considerato, come è oggi, lavoratore diverso e con meno diritti rispetto a quello che lavora in galleria? Provate a dirlo a quei lavoratori che volete alzare l’età pensionabile, quel popolo che ha contribuito a far vincere l’Unione, oggi si attende finalmente un risarcimento sociale.
(…)
Vogliamo affrontare il problema dell’elevamento della tassazione della rendita finanziaria ponendoci al livello degli altri paesi europei?
Noi chiediamo un salto di qualità nell’azione di governo.
Ce lo chiede il nostro popolo. E’ venuto il tempo di un risarcimento sociale.
Questo salto di qualità dobbiamo conquistarcelo con un’iniziativa diffusa ed unitaria nel Paese.
Non si può stare in attesa, bisogna costruire un fronte unitario e diffuso di partecipazione e di lotte sulle pensioni, sulla precarietà, sui salari, sulla casa.
Altro che divaricazione con i movimenti e con i sindacati!
Bisogna rompere una condizione di attesa, vanno conquistati nuovi spazi di lotta.
La nostra economia non può essere affidata alla competitività di prezzo, alla riduzione del costo del lavoro.
Questa crescita sarebbe effimera e di breve periodo.
(…)

La politica rischia di non incontrare i temi della vita

C’è un’Italia che rischia di sprofondare sotto il livello dell’acqua entro questo secolo. Oltre 4.500 chilometri di costa, tra i più belli.
Già oggi solo il 16% della popolazione mondiale ha l’acqua potabile in casa.
Tre miliardi di persone, secondo l’OMS nel 2020, non avrà accesso all’acqua.
Nel 2050 due miliardi di persone sono minacciate dalle inondazioni, per quella data l’energia prodotte da fonti fossili sarà esaurita.
Ridotte le piogge del 20% ed in Italia un riscaldamento di un grado entro il 2030 e di quattro gradi entro la fine del secolo.
Ma la politica ha qualcosa da dire sulla vita?
(…)

Nuovo soggetto politico e cantiere della sinistra

E’ in questo quadro e contesto che per noi torna la necessità di un nuovo rapporto tra politica e società. Non, quindi, una politica impoverita, ridotta a tecnica e spogliata del conflitto.
Noi ci battiamo contro questa deriva con uno spirito unitario, una nuova cultura politica che si alimenta dei movimenti incontrati a partire da Genova.
E’ da qui che formuliamo la nostra proposta ed esigenza di un nuovo soggetto politico. Esso deve essere un processo unitario e paritario, nessuna annessione e nessun semplice allargamento del partito della Rifondazione Comunista. Non chiediamo a nessuno di annacquare la propria identità e non sciogliamo Rifondazione Comunista che manterrà oggi e domani la sua autonomia politica e organizzativa e la sua simbologia. Un percorso che non è in alternativa al rapporto con la società, con i movimenti e i conflitti, al contrario è la sua valorizzazione.
Solo chi ha una identità flebile ed incerta teme il processo unitario.
Non ci interessano recinti che fotografano i gruppi dirigenti delle attuali organizzazioni, funzionali alla loro riproduzione.
Ci interessano i luoghi aperti, le “case della sinistra” in cui si sperimentano percorsi, fare società, la centralità della auto-organizzazione, la relazione tra diversità.
Vogliamo proseguire l’innovazione politico culturale che abbiamo avviato nel delineare una nuova critica anticapitalistica e non definire un patto di resistenti al Partito Democratico. Non può sfuggire l’enorme e positiva novità che emerge dalle scelte della sinistra Ds. Si mostra una disponibilità a costruire una nuova soggettività politica a sinistra dando al nostro progetto grandi ed enormi potenzialità e possibilità. C’è la conferma che si può costruire un soggetto largo, aperto, ricco culturalmente, antiliberista e pacifista. Non ci lasceremo sfuggire questa occasione e le tante speranze di donne e di uomini che vogliamo un’alternativa di società e la ricostruzione di una sinistra alternativa. Ma mentre facciamo ciò, attraverso il cimento del “Cantiere a sinistra”, vogliamo proporre una sfida unitaria a tutte le sinistre ovunque collocate sul terreno attualissimo del mutamento radicale della società, della democrazia, della laicità. Sarebbe paradossale che, mentre nel mondo emerge il bisogno di critica alla globalizzazione, una parte maggioritaria della sinistra approdasse ad una cultura liberal democratica.
Il riformismo rischia di essere totalmente afono ed ininfluente rispetto alle drammatiche contraddizioni che si aprono sullo scenario di questo millennio.

Le contraddizioni che attualizzano l’altro mondo possibile

Quando il 10% della popolazione mondiale detiene l’85% della ricchezza totale, ed il 50% più povero dell’umanità deve spartirsi l’1% della ricchezza planetaria, quando due miliardi di persone vivono oggi con poco più di un dollaro al giorno c’è poco da emendare, vanno aggrediti i meccanismi di fondo che producono queste disparità. L’innovazione e la modernizzazione sono fondate sulle diseguaglianze, esse stesse sono produttrici di disparità e di precarietà. Le disparità, le nuove povertà, la precarietà diffusa non sono una patologia, una cancrena dell’attuale forma di produzione capitalistica. Esse sono il capitalismo. E se tutti insieme dobbiamo impegnarci nella definizione di una nuova identità collettiva del soggetto che stiamo costruendo per noi rimane aperta la sfida della rifondazione comunista . Essa è una sfida che non ha lo sguardo all’indietro ma vive perché nuovi movimenti hanno riproposto nelle loro pratiche il tema del mondo diverso, di un altro mondo possibile. (…).
Se oggi decliniamo la politica della non violenza non è solo per porre il problema rilevantissimo e decisivo dei metodi e delle forme di lotta, ma perchè attraverso questa politica critichiamo le forme e la natura del “potere” e costruiamo un’alternativa all’esperienze storiche del movimento operaio tutte segnate dalle conquiste e dalle gestione del “potere”.
E vogliamo, dobbiamo individuare il nesso perduto nel ‘900 tra uguaglianza e libertà.
(…)
A tal proposito ci viene in soccorso una antica e consolidata saggezza che potremmo chiamare “mediterranea”.
Essa parla di conflitti mai diventati distruttivi e di tanti espedienti di vita in grado di aggirare le avversità come la storia di quell’eremita, in un lontano passato, finito a Lampedusa, che faceva uso di una stola con su un verso ricamati i simboli della religione cristiana, sull’altra quelli del credo islamico. Quando l’eremita era in grado di distinguere in mare un avvicinamento si dice che saggiamente quel monaco si sistemasse la stola secondo necessità.
Tanta saggezza ed un inedito e divertito, quanto inconsapevole, avvio di “interculturalismo”.
Oggi proprio sulle sponde del Mediterraneo si gioca una partita importante tra il vecchio pensiero economico separatista, segregazionista, quello della banca Mondiale e dei capitali privati internazionali ed una nuova cultura, meticcia, diversa, in cui uomini e donne restano padroni del loro tempo, del loro spazio sociale e della loro vita.

Scommettiamo sulla nostra comunità

Proprio in questi giorni, qui a Carrara, è stata confermata la ricchezza, la vitalità e la forza di questa nostra comunità politica. E’ proprio questa la nostra sfida. Non ci è data altra via, qui ed ora, che stare nella temperie presente e viva. Ma sono fiducioso
Ho sentito tanto la responsabilità di questi mesi, abbiamo fatto scelte difficili, ma abbiamo investito sempre sulla democrazia e sulla partecipazione. Sulla solidarietà. Politica ed umana.
Ed io non riesco a vivere la dimensione di questa sfida politica senza partire da questa nostra comunità, senza essere contaminato dalle passioni della nostra vita individuale e collettiva.

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