Una terapia d’urto per cambiare il partito
Abbiamo cercato di fare della conferenza di organizzazione un evento
politico dentro un percorso di partecipazione.
Oltre duemila assemblee di circolo, 117 conferenze di federazione, migliaia
di interventi, centinaia di ordini del giorno e documenti votati e approvati.
Uno degli elementi di fondo della crisi della politica è lo svuotamento
degli spazi di decisione e il suo spostamento verso sedi che si autonomizzano,
si separano. La critica radicale alla separatezza istituzionale è
un punto di fondo per la stessa possibilità di una uscita da sinistra
alla crisi della politica.
Una decisione, presa in una sede democratica non può essere cambiata
nella sede istituzionale che si separa così dalla sede della comunità
nel nome del quale si assume quella decisione. Vale per il municipio e
vale per il Parlamento.
La critica radicale a questa politica è la cifra che informa il
documento per la conferenza di organizzazione, un documento che ha raggiunto
un ampio grado di condivisione nel dibattito delle compagne e i compagni.
Questo dibattito è chiamato a individuare possibili risposte a
domande difficili.
Il PRC è una forza politica che ha innovato profondamente la sua
cultura politica in questi anni ma non ha innovato il suo modo di essere.
Burocratismo, autoreferenzialità, verticismo, correntismo esasperato,
separatezza istituzionale, fenomeni, parziali, locali, marginali ma non
da sottovalutare, di affacciarsi di fenomeni di elettoralismo, di comitati
elettorali, di forme di inquinamento della politica come partecipazione.
Da qui, parte la terapia d’urto di cui parliamo nel documento sottoposto
alla consultazione del partito.
Affrontare con determinazione la crisi della politica e come questa investa
anche noi, non vuol dire non considerare il patrimonio enorme rappresentato
dall’impegno volontario e generoso che si esprime dentro Rifondazione
Comunista.
Questa forza rappresenta un valore grande per la democrazia di questo
Paese: oltre 93000 iscritti (superiamo il dato dello scorso anno), 2200
circoli in tutte le realtà territoriali e i posti di lavoro. Il
problema che poniamo è questo : come coinvolgere e far pesare di
più nelle scelta quella ricchezza partecipativa, come non disperderla,
come consentire che rompa le incrostazioni che impediscono la piena agibilità
e la piena partecipazione anche dentro il partito, le sue regole e modalità
di funzionamento.
Dobbiamo tradurre tutto questo in una pratica.
Se la differenza è un valore che attraversa la cultura della rifondazione
comunista, allora, almeno cominciamo a praticare la democrazia di genere.
Se diciamo che un sesso non può essere rappresentato negli organismi
otre un a certa percentuale, allora l’organismo che non lo rispetta
non può legittimamente continuare a vivere.
Rompere la struttura piramidale del partito, la circostanza che a tutti
i livelli: dal centro ai territorio, in tutta la struttura del partito,
si ripropone la medesima modalità di funzionamento, quella generalista.
Sperimentiamo e strutturiamo forme di adesione al partito che si svolgano
anche attraverso una parzialità.
Rendiamo l’inchiesta l’elemento sovraordinatore dell’azione
del partito a tutti i livelli, come leva di un sapere che si connette
direttamente con le vertenze e le lotte.
Democratizziamo davvero il funzionamento del nostro partito, recuperando
cose vecchie: l’elezione in parte degli organismi dirigenti nei
livelli di base e facendone di nuove, come le consultazioni periodiche
o straordinarie dei gruppi dirigenti di base e del corpo del partito.
Poniamo come centrale il tema dell’autofinanziamento e della non
dipendenza dalle istituzioni, poniamo apertamente in un dibattito aperto
la questione delle forme di comunicazione e discutiamo di Liberazione.
Affrontiamo di petto i nodi dei costi della politica e della connessione
tra questo problema e quello della separatezza istituzionale di cui prima
parlavo.
Chi vuole cancellare i costi pubblici della politica, in realtà
vuole far arretrare il Paese in una condizione predemocratica, alla politica
basata sul censo dell’epoca liberale.
Ma noi, dobbiamo e con forza, avanzare un’altra critica che non
attenua, anzi inasprisce la radicalità dell’opposizione a
questa politica.
I costi della politica sono lievitati in maniera esponenziale attraverso
i meccanismi delle riforme istituzionali che proprio quelli che gridano
contro i costi della politica hanno determinato.
La lotta per ridurre i costi della politica deve connettersi con quella
contro l’autoreferenzialità istituzionale.
Allora, questa cosa riguarda anche noi: assumiamo un regolamento che impedisca
il riprodursi e l’estendersi di comitati elettorali dentro Rifondazione
Comunista e di spese individuali e/o personalistiche durante le competizioni
elettorali. Stabiliamo in maniera cogente l’obbligatorietà
di una alternanza, anche temporale, tra impegno nelle istituzioni, lavoro
nel partito, nelle organizzazioni di massa e nei movimenti. Questo deve
valere non solo per gli incarichi istituzionali elettivi ma anche per
altre funzioni istituzionali, incarichi, presenze in consigli di amministrazione
e analoghe postazioni.
Poniamo dei vincoli specifici per impedire il cumulare, tranne eccezioni
nominate espressamente, cumuli di incarichi elettivi, di altro tipo istituzionale
e così via.
Io credo che non sia moralistico riproporre il tema irrisolto di una questione
morale che pervade il funzionamento della politica nel rapporto intimamente
corruttivo dei meccanismi istituzionali e delle sue propaggini.
E’ tempo del risarcimento sociale
Svolgiamo questa nostra conferenza in una fase non semplice, in un passaggio
non scontato della vita politica, economica e sociale del Paese.
Il governo dell’Unione è alla prova decisiva. Il suo rapporto
con la società diffusa ha subito colpi pesanti, anche la relazione
con le realtà sociali e del mondo del lavoro più avvertite
ha subito un appannamento. Il punto è rendersi conto di come la
situazione sociale del Paese e la condizione economica di strati sociali
sempre più vasti sia cambiata in peggio.
E’ suonato un campanello di allarme nel rapporto tra il governo
dell’Unione e il suo popolo.
Insomma, per molti versi, dopo la manovra dello scorso anno, questo 2007
è l’anno decisivo in cui l’Unione deve giocare fino
in fondo le sue carte e dimostrare di essere all’altezza delle speranze
e delle attese di tanta parte del Paese che attende una ripresa economica
che si congiunga con una grande opera di riforma sociale e politica.
In questa sfida, il tema del salario è decisivo.
Dobbiamo scatenare una grande offensiva. Questo Paese ha bisogno di una
grande riforma sociale, economica, nel campo dei diritti, nel ruolo internazionale.
Vi sono poteri, apparati, forze che, in Italia e fuori dall’Italia,
tentano di frapporre un diga, di resistere, di compromettere, rimandare,
ritardare, diluire i contenuti di questo cambiamento necessario.
Si tratta di poteri economici ben definiti, la Confindustria ne è
la principale ma non unica componente, si tratta delle gerarchie vaticane,
si tratta del governo conservatore statunitense.
Queste forze agiscono per impedire quell’avanzamento sociale, economico,
culturale, dei diritti, del ruolo di relazione con Paesi del sud del mondo
e di altre realtà emergenti che questo Paese può raggiungere,
che la sua parte maggioritaria e io direi migliore chiede, che, oserei
dire, questo Paese merita.
Il nostro errore più grave sarebbe quindi ritrarci dentro una nicchia.
Noi dobbiamo avere una aspirazione molto più ambiziosa, noi siamo
la maggioranza ed esprimiamo una idea generale e una cultura politica
che può essere egemone.
Il punto ritorna quindi quello dell’autonomia del Partito, dei sindacati,
delle associazioni, dei movimenti.
C’è il tema delle pensioni. Ebbene, non solo noi, ma anche
gli altri sono andati davanti alle fabbriche a dire: vogliamo abolire
lo scalone che porta a 60 anni l’età pensionabile. Lo hai
detto, lo devi fare !
Un grande moto partecipativo. Andiamo a chiedere , facciamolo come una
specie di bilancio preventivo partecipativo, al popolo dell’Unione
come utilizzare le risorse che una importante azione di rigore e di contrasto
all’evasione e all’elusione sta producendo.
Non si tratta di stabilire gerarchie o di scartare in una direzione economicistica
della battaglia politica.
Le unioni civili stanno dentro questa offensiva e valgono allo stesso
modo della questione generale della difesa del contratto di lavoro nazionale
e della lotta contro la precarietà. Dobbiamo connettere assieme
salario, diritti del lavoro, diritti sociali, diritti di civiltà,
diritti delle comunità locali in lotta nelle grandi e piccole vertenze
territoriali, diritti dei migranti, diritti della persona, lotta per la
pace e nuovo ruolo internazionale dell’Italia.
Lo dobbiamo fare perché si tratta di una offensiva complessiva,
di una idea della società, della cultura, della politica, di una
grande riforma sociale, economica, culturale, del costume, del ruolo mondiale
che affidiamo al nostro Paese.
La sinistra europea e il cantiere per una nuova sinistra
Dentro questa sfida, compagne e compagni, giocano il loro destino le
sinistre.
Noi ci siamo disposti in questo confronto con una proposta: la costruzione
della sinistra europea. Per noi, la sinistra europea è un progetto
di lungo periodo, non un proposta organizzativa, un assemblaggio, è
la proposta di costruzione della sinistra di alternativa dentro una ispirazione.
Essa non può prescindere dall’esperienza in Europa del Partito
della Sinistra Europea e dalle modalità medesime della sua costruzione:
non sulla base di una fissità ideologica, di una presunta ortodossia.
La sinistra europea nasce dentro l’ispirazione della costruzione
di un’altra Europa, dentro l’ispirazione di un nuovo europeismo
popolare e di sinistra. E’ dentro questa onda lunga che si sono
aperti, laddove c’è stata una originale capacità di
impegno, fatti politici nuovi e importati anche dentro il campo delle
sinistre.
Pensiamo che un laboratorio importante si anche quello che siamo andati
costruendo in Italia in questi mesi, con l’incontro con altre soggettività
della sinistra politica, di quella ambientalista, dei diritti civili,
dell’informazione e della rete.
Abbiamo svolto incontri, allacciato relazioni, è in campo un progetto
concreto che entro giugno vedrà una sua prima fase di concretizzazione
con l’assemblea nazionale delle reti aderenti a sinistra europea.
Non chiediamo ad altri di annettersi a Rifondazione Comunista, non intendiamo
sciogliere o diluire dentro la Sinistra Europea l’identità
o l’autonomia politica e organizzativa di Rifondazione Comunista.
Nella Conferenza, noi non poniamo il “se” costruire la sinistra
europea ma il “come”. Pensiamo a un processo partecipato,
che parta dal basso, dai territori.
Per questo, abbiamo pensato alle case della sinistra, come luoghi del
fare società, luoghi del confronto, ma anche dell’organizzazione
sociale, aperti e partecipati.
Per questo, vogliamo procedere con grande determinazione ma anche con
grande apertura. Dopo l’assemblea nazionale delle reti nazionali
a giugno, si deve svolgere un nuovo percorso, che parte direttamente dalle
città e dai territori con una assise nazionale delle case della
sinistra e delle reti locali.
Si è aperto un confronto ancora più ampio, l’idea
di un cantiere per la sinistra, per definire culture politiche e anche
per verificare forme di relazione e di unità possibile.
E’ un dibattito importante. La costruzione della sinistra europea
non ci ostacola in questo dibattito, ci aiuta.
Con il progetto del Partito democratico, intendiamo misurarci a viso aperto
in una competizione di lungo periodo che non esclude il dialogo e la ricerca
dell’unità possibile.
La sinistra, dentro la prospettiva del Partito Democratico, non solo smarrisce
il suo nome, smarrisce il suo codice e la sua missione: trasformare, cambiare
la realtà.
La sinistra, invece, che c’è e pensa e si interroga e si
arrovella nella costruzione dell’alternativa: è la nostra
sinistra, è Rifondazione Comunista, è la sinistra europea,
è una relazione ancora più ampia con forze della sinistra
politica, sociale, espressioni del movimento operaio di questo Paese.
Con la sinistra ds, condividiamo molte battaglie comuni nel Parlamento
e nel Paese, ci sentiamo dentro un dibattito che parte da domande analoghe
ed è rivolto verso l’innovazione di cultura politica.
Non pensiamo che si debbano o possano mettere discriminanti né
che possano essere posti vincoli al proseguo di questo confronto. Ognuno
parte da sé: noi dalla sinistra europea e dalla cultura politica
della rifondazione comunista; altri da altre ipotesi di collocazione internazionale
e altri riferimenti, del tutto legittimi. Nessuno rinunci a nulla, la
prospettiva deve essere il misurarsi in un confronto, i cui tempi e modalità
vanno naturalmente condivisi.
Credo che, con grande forza, dovremmo dire anche in questa tornata amministrativa,
la prima dopo la decisione del partito democratico, che in Italia una
sinistra è viva e forte.
Noi pensiamo che l’autonomia politica e organizzativa di Rifondazione
Comunista non debba essere in discussione, non debba essere in discussione
neanche la sua simbologia. Noi non lo poniamo in discussione e pensiamo
che questa scelta non sia contraddittoria con l’apertura unitaria
che anche da questa assise intendiamo lanciare. Questa perché,
con la stessa autonomia consideriamo le culture politiche, sociali, di
movimento che incontriamo.
Non si tratta soltanto di essere giustamente attaccati e orgogliosi della
propria cultura e dei propri simboli. La questione di fondo, almeno per
noi, è che nessun ragionamento sul socialismo del XXI secolo sia
fecondo senza assumere anche l’innovazione culturale e politica
prodotta dalla rifondazione comunista, innovazione che non solo non intendiamo
dimettere ma intendiamo approfondire. |