Partito della Rifondazione Comunista
Conferenza nazionale d'organizzazione 2007
Sintesi relazione Ferrara

Una terapia d’urto per cambiare il partito

Abbiamo cercato di fare della conferenza di organizzazione un evento politico dentro un percorso di partecipazione.
Oltre duemila assemblee di circolo, 117 conferenze di federazione, migliaia di interventi, centinaia di ordini del giorno e documenti votati e approvati.
Uno degli elementi di fondo della crisi della politica è lo svuotamento degli spazi di decisione e il suo spostamento verso sedi che si autonomizzano, si separano. La critica radicale alla separatezza istituzionale è un punto di fondo per la stessa possibilità di una uscita da sinistra alla crisi della politica.
Una decisione, presa in una sede democratica non può essere cambiata nella sede istituzionale che si separa così dalla sede della comunità nel nome del quale si assume quella decisione. Vale per il municipio e vale per il Parlamento.
La critica radicale a questa politica è la cifra che informa il documento per la conferenza di organizzazione, un documento che ha raggiunto un ampio grado di condivisione nel dibattito delle compagne e i compagni.
Questo dibattito è chiamato a individuare possibili risposte a domande difficili.
Il PRC è una forza politica che ha innovato profondamente la sua cultura politica in questi anni ma non ha innovato il suo modo di essere.
Burocratismo, autoreferenzialità, verticismo, correntismo esasperato, separatezza istituzionale, fenomeni, parziali, locali, marginali ma non da sottovalutare, di affacciarsi di fenomeni di elettoralismo, di comitati elettorali, di forme di inquinamento della politica come partecipazione.
Da qui, parte la terapia d’urto di cui parliamo nel documento sottoposto alla consultazione del partito.
Affrontare con determinazione la crisi della politica e come questa investa anche noi, non vuol dire non considerare il patrimonio enorme rappresentato dall’impegno volontario e generoso che si esprime dentro Rifondazione Comunista.
Questa forza rappresenta un valore grande per la democrazia di questo Paese: oltre 93000 iscritti (superiamo il dato dello scorso anno), 2200 circoli in tutte le realtà territoriali e i posti di lavoro. Il problema che poniamo è questo : come coinvolgere e far pesare di più nelle scelta quella ricchezza partecipativa, come non disperderla, come consentire che rompa le incrostazioni che impediscono la piena agibilità e la piena partecipazione anche dentro il partito, le sue regole e modalità di funzionamento.
Dobbiamo tradurre tutto questo in una pratica.
Se la differenza è un valore che attraversa la cultura della rifondazione comunista, allora, almeno cominciamo a praticare la democrazia di genere. Se diciamo che un sesso non può essere rappresentato negli organismi otre un a certa percentuale, allora l’organismo che non lo rispetta non può legittimamente continuare a vivere.
Rompere la struttura piramidale del partito, la circostanza che a tutti i livelli: dal centro ai territorio, in tutta la struttura del partito, si ripropone la medesima modalità di funzionamento, quella generalista. Sperimentiamo e strutturiamo forme di adesione al partito che si svolgano anche attraverso una parzialità.
Rendiamo l’inchiesta l’elemento sovraordinatore dell’azione del partito a tutti i livelli, come leva di un sapere che si connette direttamente con le vertenze e le lotte.
Democratizziamo davvero il funzionamento del nostro partito, recuperando cose vecchie: l’elezione in parte degli organismi dirigenti nei livelli di base e facendone di nuove, come le consultazioni periodiche o straordinarie dei gruppi dirigenti di base e del corpo del partito.
Poniamo come centrale il tema dell’autofinanziamento e della non dipendenza dalle istituzioni, poniamo apertamente in un dibattito aperto la questione delle forme di comunicazione e discutiamo di Liberazione.
Affrontiamo di petto i nodi dei costi della politica e della connessione tra questo problema e quello della separatezza istituzionale di cui prima parlavo.
Chi vuole cancellare i costi pubblici della politica, in realtà vuole far arretrare il Paese in una condizione predemocratica, alla politica basata sul censo dell’epoca liberale.
Ma noi, dobbiamo e con forza, avanzare un’altra critica che non attenua, anzi inasprisce la radicalità dell’opposizione a questa politica.
I costi della politica sono lievitati in maniera esponenziale attraverso i meccanismi delle riforme istituzionali che proprio quelli che gridano contro i costi della politica hanno determinato.
La lotta per ridurre i costi della politica deve connettersi con quella contro l’autoreferenzialità istituzionale.
Allora, questa cosa riguarda anche noi: assumiamo un regolamento che impedisca il riprodursi e l’estendersi di comitati elettorali dentro Rifondazione Comunista e di spese individuali e/o personalistiche durante le competizioni elettorali. Stabiliamo in maniera cogente l’obbligatorietà di una alternanza, anche temporale, tra impegno nelle istituzioni, lavoro nel partito, nelle organizzazioni di massa e nei movimenti. Questo deve valere non solo per gli incarichi istituzionali elettivi ma anche per altre funzioni istituzionali, incarichi, presenze in consigli di amministrazione e analoghe postazioni.
Poniamo dei vincoli specifici per impedire il cumulare, tranne eccezioni nominate espressamente, cumuli di incarichi elettivi, di altro tipo istituzionale e così via.
Io credo che non sia moralistico riproporre il tema irrisolto di una questione morale che pervade il funzionamento della politica nel rapporto intimamente corruttivo dei meccanismi istituzionali e delle sue propaggini.

E’ tempo del risarcimento sociale

Svolgiamo questa nostra conferenza in una fase non semplice, in un passaggio non scontato della vita politica, economica e sociale del Paese.
Il governo dell’Unione è alla prova decisiva. Il suo rapporto con la società diffusa ha subito colpi pesanti, anche la relazione con le realtà sociali e del mondo del lavoro più avvertite ha subito un appannamento. Il punto è rendersi conto di come la situazione sociale del Paese e la condizione economica di strati sociali sempre più vasti sia cambiata in peggio.
E’ suonato un campanello di allarme nel rapporto tra il governo dell’Unione e il suo popolo.
Insomma, per molti versi, dopo la manovra dello scorso anno, questo 2007 è l’anno decisivo in cui l’Unione deve giocare fino in fondo le sue carte e dimostrare di essere all’altezza delle speranze e delle attese di tanta parte del Paese che attende una ripresa economica che si congiunga con una grande opera di riforma sociale e politica.
In questa sfida, il tema del salario è decisivo.
Dobbiamo scatenare una grande offensiva. Questo Paese ha bisogno di una grande riforma sociale, economica, nel campo dei diritti, nel ruolo internazionale.
Vi sono poteri, apparati, forze che, in Italia e fuori dall’Italia, tentano di frapporre un diga, di resistere, di compromettere, rimandare, ritardare, diluire i contenuti di questo cambiamento necessario.
Si tratta di poteri economici ben definiti, la Confindustria ne è la principale ma non unica componente, si tratta delle gerarchie vaticane, si tratta del governo conservatore statunitense.
Queste forze agiscono per impedire quell’avanzamento sociale, economico, culturale, dei diritti, del ruolo di relazione con Paesi del sud del mondo e di altre realtà emergenti che questo Paese può raggiungere, che la sua parte maggioritaria e io direi migliore chiede, che, oserei dire, questo Paese merita.
Il nostro errore più grave sarebbe quindi ritrarci dentro una nicchia.
Noi dobbiamo avere una aspirazione molto più ambiziosa, noi siamo la maggioranza ed esprimiamo una idea generale e una cultura politica che può essere egemone.
Il punto ritorna quindi quello dell’autonomia del Partito, dei sindacati, delle associazioni, dei movimenti.
C’è il tema delle pensioni. Ebbene, non solo noi, ma anche gli altri sono andati davanti alle fabbriche a dire: vogliamo abolire lo scalone che porta a 60 anni l’età pensionabile. Lo hai detto, lo devi fare !
Un grande moto partecipativo. Andiamo a chiedere , facciamolo come una specie di bilancio preventivo partecipativo, al popolo dell’Unione come utilizzare le risorse che una importante azione di rigore e di contrasto all’evasione e all’elusione sta producendo.
Non si tratta di stabilire gerarchie o di scartare in una direzione economicistica della battaglia politica.
Le unioni civili stanno dentro questa offensiva e valgono allo stesso modo della questione generale della difesa del contratto di lavoro nazionale e della lotta contro la precarietà. Dobbiamo connettere assieme salario, diritti del lavoro, diritti sociali, diritti di civiltà, diritti delle comunità locali in lotta nelle grandi e piccole vertenze territoriali, diritti dei migranti, diritti della persona, lotta per la pace e nuovo ruolo internazionale dell’Italia.
Lo dobbiamo fare perché si tratta di una offensiva complessiva, di una idea della società, della cultura, della politica, di una grande riforma sociale, economica, culturale, del costume, del ruolo mondiale che affidiamo al nostro Paese.
La sinistra europea e il cantiere per una nuova sinistra

Dentro questa sfida, compagne e compagni, giocano il loro destino le sinistre.
Noi ci siamo disposti in questo confronto con una proposta: la costruzione della sinistra europea. Per noi, la sinistra europea è un progetto di lungo periodo, non un proposta organizzativa, un assemblaggio, è la proposta di costruzione della sinistra di alternativa dentro una ispirazione. Essa non può prescindere dall’esperienza in Europa del Partito della Sinistra Europea e dalle modalità medesime della sua costruzione: non sulla base di una fissità ideologica, di una presunta ortodossia.
La sinistra europea nasce dentro l’ispirazione della costruzione di un’altra Europa, dentro l’ispirazione di un nuovo europeismo popolare e di sinistra. E’ dentro questa onda lunga che si sono aperti, laddove c’è stata una originale capacità di impegno, fatti politici nuovi e importati anche dentro il campo delle sinistre.
Pensiamo che un laboratorio importante si anche quello che siamo andati costruendo in Italia in questi mesi, con l’incontro con altre soggettività della sinistra politica, di quella ambientalista, dei diritti civili, dell’informazione e della rete.
Abbiamo svolto incontri, allacciato relazioni, è in campo un progetto concreto che entro giugno vedrà una sua prima fase di concretizzazione con l’assemblea nazionale delle reti aderenti a sinistra europea.
Non chiediamo ad altri di annettersi a Rifondazione Comunista, non intendiamo sciogliere o diluire dentro la Sinistra Europea l’identità o l’autonomia politica e organizzativa di Rifondazione Comunista.
Nella Conferenza, noi non poniamo il “se” costruire la sinistra europea ma il “come”. Pensiamo a un processo partecipato, che parta dal basso, dai territori.
Per questo, abbiamo pensato alle case della sinistra, come luoghi del fare società, luoghi del confronto, ma anche dell’organizzazione sociale, aperti e partecipati.
Per questo, vogliamo procedere con grande determinazione ma anche con grande apertura. Dopo l’assemblea nazionale delle reti nazionali a giugno, si deve svolgere un nuovo percorso, che parte direttamente dalle città e dai territori con una assise nazionale delle case della sinistra e delle reti locali.
Si è aperto un confronto ancora più ampio, l’idea di un cantiere per la sinistra, per definire culture politiche e anche per verificare forme di relazione e di unità possibile.
E’ un dibattito importante. La costruzione della sinistra europea non ci ostacola in questo dibattito, ci aiuta.
Con il progetto del Partito democratico, intendiamo misurarci a viso aperto in una competizione di lungo periodo che non esclude il dialogo e la ricerca dell’unità possibile.
La sinistra, dentro la prospettiva del Partito Democratico, non solo smarrisce il suo nome, smarrisce il suo codice e la sua missione: trasformare, cambiare la realtà.
La sinistra, invece, che c’è e pensa e si interroga e si arrovella nella costruzione dell’alternativa: è la nostra sinistra, è Rifondazione Comunista, è la sinistra europea, è una relazione ancora più ampia con forze della sinistra politica, sociale, espressioni del movimento operaio di questo Paese.
Con la sinistra ds, condividiamo molte battaglie comuni nel Parlamento e nel Paese, ci sentiamo dentro un dibattito che parte da domande analoghe ed è rivolto verso l’innovazione di cultura politica.
Non pensiamo che si debbano o possano mettere discriminanti né che possano essere posti vincoli al proseguo di questo confronto. Ognuno parte da sé: noi dalla sinistra europea e dalla cultura politica della rifondazione comunista; altri da altre ipotesi di collocazione internazionale e altri riferimenti, del tutto legittimi. Nessuno rinunci a nulla, la prospettiva deve essere il misurarsi in un confronto, i cui tempi e modalità vanno naturalmente condivisi.
Credo che, con grande forza, dovremmo dire anche in questa tornata amministrativa, la prima dopo la decisione del partito democratico, che in Italia una sinistra è viva e forte.
Noi pensiamo che l’autonomia politica e organizzativa di Rifondazione Comunista non debba essere in discussione, non debba essere in discussione neanche la sua simbologia. Noi non lo poniamo in discussione e pensiamo che questa scelta non sia contraddittoria con l’apertura unitaria che anche da questa assise intendiamo lanciare. Questa perché, con la stessa autonomia consideriamo le culture politiche, sociali, di movimento che incontriamo.
Non si tratta soltanto di essere giustamente attaccati e orgogliosi della propria cultura e dei propri simboli. La questione di fondo, almeno per noi, è che nessun ragionamento sul socialismo del XXI secolo sia fecondo senza assumere anche l’innovazione culturale e politica prodotta dalla rifondazione comunista, innovazione che non solo non intendiamo dimettere ma intendiamo approfondire.

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